venerdì 31 dicembre 2021

La morte di Abdel - Basta morte nei reparti!

(aggiornamenti) 

 

I risultati dell'inchiesta della Regione confermano "rilevanti criticità nella documentazione sanitaria"

Se Wissem Ben Abdel Latif ha mangiato o ha bevuto, se la pressione arteriosa era regolare o se lo erano i battiti del suo cuore nei tre giorni di ricovero all'ospedale San Camillo, molto probabilmente non lo sapremo mai. Dopo la rivelazione di Repubblica sulla documentazione mancante nella cartella clinica del tunisino morto a 26 anni nel Servizio psichiatrico arriva anche il sigillo da parte della Regione. 

"Soprattutto al Servizio psichiatrico del San Camillo, la qualità della documentazione sanitaria ha mostrato rilevanti criticità", scrivono in una nota dal Centro regionale Rischio clinico al termine dell'inchiesta interna voluta dalla direzione regionale Salute. L'inchiesta interna della Regione ha messo in luce anche dell'altro. Wissem non avrebbe avuto sin da subito la possibilità di parlare con un mediatore culturale nella sua lingua. Tanto che gli ispettori hanno scritto: "È emersa la difficoltà nel reperimento del servizio di mediazione culturale".

E, con molta probabilità, non sapremo nemmeno se le fasce che tenevano costretto il migrante a letto erano posizionate in modo corretto. Uno dei dati di maggior rilievo per un paziente che viene ricoverato in "contenzione" come era Wissem Abdel. Su questo monitoraggio e su altri parametri non riportati in una apposita scheda, la Regione scrive ancora: "Viene segnalato alla Asl Roma 3 l'importanza di revisionare le procedure clinico-operative per la corretta gestione delle complicanze gestite nel reparto comprese le attività di monitoraggio, segnalazione e gestione di eventuali eventi avversi".

Dall'inizio di dicembre gli avvocati della famiglia del migrante morto e il legale del Garante nazionale dei detenuti hanno chiesto un'integrazione degli atti in loro possesso dove c'è soltanto il "registro di contenzione". C'è la data di inizio della procedura di immobilizzazione, il 25 novembre. Ma non sono indicati gli orari in cui è stata interrotta. Viene scritto che il paziente era "sedato", aveva un "comportamento aggressivo", era "confuso" e "disorientato" in ogni giorno di degenza.

Per ogni giorno, poi, viene scritto "contenzione" o "contenuto", il 28 novembre viene indicato alle 4,20 "arresto cardiocircolatorio". Ma se quel paziente aveva dormito o se stava bene o male, nessuno lo ha scritto in quel registro. Perché quei dati dovevano essere annotati nella scheda mancante: quella di "utilizzo della contenzione fisica". Ma che fine ha fatto quella scheda? Non è mai stata compilata o è andata persa?

Nella relazione, la Regione spiega che ha concentrato l'inchiesta "dal momento del ricovero presso il Servizio psichiatrico del Grassi fino all'exitus (decesso, ndr) verificatosi presso il Servizio psichiatrico, di competenza della Asl Roma 3 all'interno dell'azienda ospedaliera San Camillo".

Wissem era arrivato al Grassi il 23 novembre con una diagnosi di disagio "schizo-affettivo". Aveva rifiutato la terapia che gli avevano prescritto al Cpr di Ponte Galeria dove si trovava dai primi di ottobre. "Non accettava quella condizione", hanno raccontato i suoi compagni di viaggio. Dal 25 novembre è stato trasferito al San Camillo, per competenza territoriale.

Al termine della loro relazione gli ispettori della Regione danno delle indicazioni: "Si segnala alla Asl Roma 3 l'importanza di attivare il servizio di mediazione culturale che è stato possibile solo dopo alcuni giorni dal ricovero". La relazione è arrivata all'Asl 3 che adesso dovrà "mettere immediatamente in atto le azioni di miglioramento e il superamento delle problematiche rilevate entro il 31 gennaio 2022".

Solidarietà concreta per Giovanna

Condiviamo quanto ricevuto--->

https://artaudpisa.noblogs.org/

Ciao,
Dopo l’intervento di aprile e la lunga ripresa che è seguita, Giova è tornata a lavoro e alle attività quotidiane e di lotta.
A ottobre c’è stato il secondo intervento e a novembre un terzo.

Il morale è alto ma la sanità non smette di farci arrabbiare, noi come tante altre persone che vi si rivolgono. Disorganizzazione, sfruttamento selvaggio di chi ci lavora, assenza di tutele per chi ha bisogno di cure, costi esorbitanti perché il SSN non garantisce l’accesso gratuito a tutte le cure.

In seguito all’ultimo intervento è necessaria una riabilitazione della mandibola e dei supporti specifici per la cura, nonché visite e accertamenti oculistici.
Le spese sono altissime, si parla di diverse migliaia di euro. Senza queste cure le operazioni fatte rischiano di non essere utili.

Abbiamo quindi deciso di scrivervi e raccogliere l’invito, che in tant* ci avete fatto, di contribuire alle spese che affrontiamo. Per ora abbiamo deciso di inviare questo messaggio a compagn, *amic* e organizzazioni del nostro territorio in modo da sostenere le spese più imminenti.

Per far ciò abbiamo aperto un conto apposito di cui vi diamo gli estremi per il bonifico.

Vi ringraziamo anticipatamente per lo sforzo e il sostegno,
Un grande abbraccio
Compagne e compagni di Pisa

Iban: IT38K3608105138254838454853
Giovanna Saraceno

sabato 25 dicembre 2021

Gli antipsicotici sono utili?

fonte: https://mad-in-italy.com

Joanna Moncrieff spiega che l’effetto dei farmaci antipsicotici è aspecifico e non mirato ai pensieri definiti in termini psichiatrici “psicotici”.

Gli antipsicotici inducono un appiattimento emotivo che può essere utile ad attenuare la sofferenza emotiva che scatena i sintomi “psicotici”, ma allo stesso tempo sopprimono anche i sentimenti e le emozioni positive, togliendo la motivazione, l’interesse e il piacere delle cose.

Il loro uso potrebbe quindi essere utile nel breve periodo, ma a lungo termine è associato a un peggioramento della “psicosi” e dello stato di salute generale.

Per questo, se non evitabili, l’uso dovrebbe essere limitato al controllo dei sintomi acuti e poi dovrebbero essere sospesi in sicurezza, sotto il controllo medico esperto, lentamente e gradualmente, per lasciare spazio agli interventi psicosociali mirati ad affrontare le cause della sofferenza psichica alla base dei sintomi psichici.

Dal libro Le pillole più amare. La storia inquietante dei farmaci antipsicotici

di Joanna Moncrieff

traduzione del libro di Laura Guerra

L’assunzione di farmaci antipsicotici produce uno stato di sedazione, letargia, appiattimento delle risposte emotive, indifferenza e stati di alterazione del funzionamento mentale a volte accompagnati, a seconda del farmaco in qualche misura, da una spiacevole agitazione nota come acatisia….

… Il rallentamento fisico e mentale indotto dai farmaci riduce l’agitazione e aiuta a calmare le persone che sono molto agitate, a causa delle voci che sentono nella loro testa o di altri fenomeni mentali inquietanti.

L’annebbiamento mentale prodotto dai farmaci può anche ridurre l’intensità dei sintomi psicotici, ma ciò che li contraddistingue dalla maggior parte delle altre sostanze sedative e psicoattive è la capacità distintiva dei farmaci di smorzare le risposte emotive.

L’appiattimento emotivo e la perdita di interesse e di motivazione che i farmaci producono possono ridurre la preoccupazione delle persone per le idee e le esperienze intrusive e quindi anche l’agitazione, l’ansia o l’aggressività che tali esperienze possono provocare.

I fenomeni psicotici sembrano svanire nel nulla, non richiedono più così tanta attenzione e i livelli di disagio possono diminuire notevolmente.

Con il trattamento farmacologico le persone sono in grado di ignorare i loro sintomi psicotici e, sebbene ne parlino ancora quando gli viene chiesto, i sintomi non sembrano più essere in primo piano nel loro pensiero.

A volte le idee e le esperienze alterate possono scomparire del tutto, poiché le persone semplicemente perdono interesse per esse….

La Moncrieff continua spiegando che l’uso a lungo termine dei farmaci antipsicotici è associato a un esito peggiore dei sintomi e dello stato di salute.

“In che modo gli antipsicotici influenzino negativamente la prospettiva delle condizioni psicotiche, se effettivamente lo fanno, rimane incerto ma, come abbiamo visto, è stato proposto che potrebbero rendere il cervello più vulnerabile alle psicosi inducendo cambiamenti nei recettori della dopamina e in altri sistemi di neurotrasmettitori, come nell’idea di “psicosi da supersensibilità”.

Note sull’autrice del libro Le pillole più amare. La storia inquitente dei farmaci antipsicotici

La Dr.ssa Joanna Moncrieff è docente presso la University College di Londra. È una delle fondatrici e co-presidentessa della Critical Psychiatry Network. Ha scritto tre libri: The Bitterest Pills qui tradotto e presentato come Le pillole più amare, The Myth of the Chemical Cure e A Straight Talking Introduction to Psychiatric Drugs.

venerdì 10 dicembre 2021

ANCORA UN MORTO PER CONTENZIONE MECCANICA

Condividiamo e diffondiamo il volantino scritto dal collettivo antipsichiatrico SenzaNumero riguardo la morte per contenzione meccanica di Abdel Latif avvenuta nel reparto psichiatrico dell’Ospedale San Camillo di Roma.

BASTA MORTE NEI REPARTI PSICHIATRICI!!

ABOLIAMO LA CONTENZIONE!!

Abdel Latif, ragazzo tunisino di 26 anni. Era arrivato in Italia tramite una delle tante navi che cercano di approdare, fortunate per non essere state respinte. L’ “accoglienza” che gli è stata riservata, a lui come a tanti/e altre, è stata quella di essere rinchiuso in un CPR, un centro di detenzione per migranti nel quale vieni portato per un reato terribile: non avere il documento “giusto”.

Abdel rimane nel CPR svariati giorni; a un certo punto, da quanto appreso dai giornali, gli viene diagnosticato un disturbo psichiatrico (di cui non aveva mai avuto segni in Tunisia) e gli vengono dati dei farmaci. Dopo pochi giorni la “cura” pare vada rafforzata e Abdel viene trasferito al reparto di psichiatria prima del Grassi di Ostia, poi al San Camillo.

Qui viene tenuto legato al letto per 3 giorni, dal 26 al 28 novembre giorno in cui muore.

Le autorità mediche parlano di arresto cardiaco, non facendo alcun riferimento né ai farmaci somministrati né al fatto che fosse stato contenuto per almeno 72 ore.

Questa storia ci riporta a due verità purtroppo già note: nei reparti psichiatrici italiani si continua a morire di contenzione meccanica, sia in regime di degenza che durante le procedure di TSO. IL CPR è un luogo di detenzione e come tale si fonda sulla violenza e sulla sopraffazione.
La
morte di Abdel non è una storia isolata, molti/e hanno subito la sua stessa sorte. Citiamo solo gli ultimi di cui siamo a conoscenza: Guglielmo Antonio Grassi morto nel reparto psichiatrico dell’ospedale di Livorno; Elena Casetto, arsa viva perché legata… sempre in un reparto psichiatrico.

Ma la l’elenco sarebbe lungo nonostante di molte persone non si conoscano neanche i nomi.

Contenzione meccanica e farmacologica sono pratiche diffuse anche nei CPR, nelle carceri, nelle strutture che ospitano persone anziane e/o non autosufficienti, negli ospedali. In nessun caso la carenza di personale può giustificare il ricorso a pratiche coercitive. La logica dei “motivi di sicurezza”, dello “stato di necessità” o delle “persone aggressive”, a cui sovente si fa appello nei reparti, deve essere respinta poiché fondata sul pregiudizio ancora diffuso della potenziale pericolosità della “pazzia”. Molti ritengono, per atteggiamento culturale o per formazione, che sia giustificabile sottoporre persone diagnosticate come “malate mentali” a mezzi coercitivi, che sia nell’ordine delle cose e corrisponda al loro stesso interesse (!), rimuovendo dal loro orizzonte il valore imprescindibile della libertà della persona. Tanto più rilevante quanto più attinente alle libertà minime, elementari e naturali, come quella di movimento.

Oltre al ricorso alla contenzione meccanica e farmacologica, continua ancora oggi a prevalere nei servizi psichiatrici un atteggiamento custodialistico e l’impiego sistematico di pratiche e dispositivi manicomiali: obbligo di cura, porte chiuse, grate alle finestre, sequestro dei beni personali, limitazione e controllo delle telefonate e di altre relazioni e abitudini. Lo stato di pandemia ha inoltre rafforzato l’isolamento e la distanza tra chi è tenuto rinchiuso/a e chi non lo è, accrescendo le violenze perpetrate all’interno di quelle mura (siano esse del carcere, del CPR, dei reparti di psichiatria).

Ribadiamo la necessità di eliminare, senza alcuna eccezione, la contenzione meccanica nelle istituzioni sanitarie, assistenziali e penitenziarie italiane.

Continueremo a lottare con forza contro ogni dispositivo manicomiale e coercitivo (obbligo di cura, trattamento sanitario obbligatorio, uso dell’elettroshock, contenzione meccanica, farmacologica e ambientale, ecc.) e per il superamento e l’abolizione di ogni pratica lesiva della libertà personale.

Continueremo a lottare contro i respingimenti, i rimpatri, le espulsioni, le frontiere, per la libera circolazione di tutte le persone.

PER UN MONDO SENZA FRONTIERE, SENZA PSICHIATRIA, SENZA COERCIZIONI

senzanumero.noblogs.org/

hurriya.noblogs.org/

Basta morti nei reparti

È morto a 26 anni Abdel dopo tre giorni di ricovero al San Camillo di Roma dove sarebbe rimasto legato su un lettino di contenzione per 3 giorni. Si chiamava Wissem Benabdelatif arrivava dalla Tunisia ed era sbarcato in Sicilia, ad Augusta, poco più di 2 mesi fa. 

A Roma come a Livorno...Ovunque: basta morti nei reparti!

mercoledì 1 dicembre 2021

Situazione del reparto psichiatrico Sestante nel carcere Vallette di Torino

Intervista Collettivo Artaud a Radio Blackout 

https://radioblackout.org/2021/11/il-sestante-carcere-e-manicomio/

La recente denuncia dell’associazione Antigone sulle condizioni inumane di detenzione al Sestante, il repartino psichiatrico del carcere delle Vallette, ha riaperto la questione dei manicomi criminali, poi ospedali psichiatrici giudiziari, chiusi per far posto alle REMS – residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza. Formalmente, pur essendo strutture chiuse, le REMS non sono più carceri, perché la competenza è passata dal ministero di giustizia a quello della sanità.
La chiusura degli OPG e la nascita delle REMS non ha tuttavia reciso il legame tra psichiatria e reclusione. Anzi.
I prigionieri delle REMS sono sedati chimicamente, non possono uscire, spesso sono legati ai letti.
In carcere, già prima della nascita delle REMS, sono stati aperti repartini dedicati alle persone psichiatrizzate. Veri e propri manicomi all’interno delle carceri. Come i vecchi manicomi criminali sono luoghi dove, ancor più che nei reparti “normali”, vige l’arbitrio e la violenza delle guardie. Celle buie, materassi marci, gabinetti intasati, persone incapaci di muoversi e parlare perché sedate con dosi massicce di psicofarmaci. La gabbia chimica e quella di mattoni si uniscono in questi nuovi manicomi. Il manicomio si è polverizzato in tante e diverse strutture più piccole, ma la reclusione psichiatrica resta l’orizzonte concreto per moltissime persone.
Oggi un detenuto su quattro è in terapia psichiatrica, nel 2020 c’erano 174 persone rinchiuse in carcere in attesa di venire imprigionate in una REMS.
La contenzione fisica, dentro e fuori dal carcere è aumentata, mentre si allunga l’elenco delle persone morte, dopo essere rimaste legate mani, piedi e spalle al letto. L’ultimo morto di cui si ha notizia è rimasto per quasi tre settimane crocefisso alla sua branda nel repartino dell’ospedale di Livorno. Due anni fa Elena Casetto, inchiodata da legacci al suo letto, morì atrocemente, bruciata viva, prima che qualcuno intervenisse. Per questa vicenda atroce sono indagati i vigili del fuoco: gli psichiatri non sono mai entrati nell’inchiesta.
La contenzione fisica, che, assieme alla gabbia chimica, è una vera forma di tortura, è stata abolita in numerosi paesi europei. In Italia solo 17 ospedali su 320 hanno deciso di buttare legacci e corde.
Ne abbiamo parlato con Alberto del Collettivo antipsichiatrico “Antonin Artaud” di Pisa

https://radioblackout.org/2021/11/il-sestante-carcere-e-manicomio/

domenica 14 novembre 2021

La testimonianza

fonte: repubblica.it

Vitaliano Trevisan: "Io, un matto trattato senza pietà"
di Vitaliano Trevisan
Dopo il ricovero coatto in psichiatria, lo scrittore vicentino racconta la
sua esperienza. E denuncia le condizioni in cui si tengono i pazienti

Un uomo che cammina in piena luce, in Italia, è scoperto, nudo, indifeso.
\[…\] Cammina come una vittima, e come un colpevole. \[…\] È lì, scoperto,
inerme, esposto ai colpi, alle indagini, alle accuse. Non si può né
schermire, né difendere. È una condizione terribile: noi Italiani, non ci
possiamo difendere, mai, da nulla, né dall’assassino né dal giudice»
(Curzio Malaparte, Misura della Francia, Il Tempo, 4 dicembre 1952).

Né tantomeno, in un paese come l’Italia, ci si può difendere dallo
psichiatra, specie se, com’è il (fresco) caso di chi scrive, si è soggetti
a un A.S.O. (Accertamento Sanitario Obbligatorio), parente stretto del
famigerato, e ben più noto, T.S.O. (Trattamento Sanitario Obbligatorio),
ovvero accertamento e trattamento “psichiatrico” obbligatorio, giacché
sanitario sta qui per psichiatrico.

Iniziamo col dire che, del mio caso personale, non voglio e non posso dire
nulla, sia perché trattasi di questione strettamente privata, che peraltro
coinvolge anche dei minori; sia perché, anzi direi soprattutto, se dicessi
di aver subito l’accertamento psichiatrico in questione, e il successivo
internamento coatto, ingiustamente, sarebbe come se affermassi di non
essere pazzo, cosa che, com’è noto (vedi il famosissimo Comma 22) non è
possibile affermare.

Partiamo dalla fine, ovvero dalla lettera di dimissioni dell’Azienda Ulss
n.8 Berica, dell’Ospedale di Montecchio Maggiore, reparto di psichiatria,
firmata dal dott. Christian Di Marco, dove, oltre alla data del ricovero, 3
ottobre, e quella di dimissione, 13 ottobre, tra l’altro si legge: «Emesso
provvedimento di accertamento sanitario obbligatorio, paziente si recava e
ricoverava poi volontariamente in nosocomio per la valutazione ed il
ricovero».

Signor no, signore. Volontariamente, da domenica 3 ottobre, ho fatto solo
ciò che mi è stato permesso fare, cioè poco o nulla. Sulle circostanze del
mio “arresto sanitario”, per ragioni di spazio, dirò solo che l’Aso mi è
stato notificato, peraltro in forma esclusivamente verbale, nella stazione
dei Carabinieri di Crespadoro, mio comune di residenza, dal comandante
della stazione stessa, alla presenza di due vigili urbani del comando di
Arzignano, e un medico e due infermieri di un’unità del 118, venuti
appositamente in ambulanza per prelevarmi; ambulanza su cui sono costretto
a salire “volontariamente”, sotto la minaccia di un Tso.

lunedì 1 novembre 2021

Il Potere della Parola - recensione

 fonte: https://umanitanova.org

MANZOLI, Sara, Il Potere della Parola. La Carenza Dialogica nelle Relazioni tra Utenti e Operatori nell’istituzione psichiatrica, Roma, Sensibili Alle Foglie, 2021.

Questo libro è frutto di un cantiere di socioanalisi narrativa svolto dall’autrice Sara Manzoli con persone che sono seguite dai servizi psichiatrici di Modena e provincia.

Nella socioanalisi la narrazione dell’esperienza su cui si vuole portare l’attenzione diventa un dispositivo di ricerca che consente, attraverso il lavoro di gruppo, di fare emergere i molti non detti, ovvero quei dispositivi occulti e totalizzanti che, per le persone implicate, risultano alienanti, mortificanti e fonte di malessere. Attraverso le narrazioni d’esperienza, con l’intervento socioanalitico, si cerca di mettere a fuoco le varie modalità attraverso cui le persone si adattano o resistono in modo creativo all’azione dei dispositivi di potere. La narrazione e il racconto sono potenti strumenti di elaborazione del proprio vissuto, servono per crescere, per migliorarsi, per mettersi in discussione e per andare avanti nel viaggio della vita; questa è l’ottica con cui le persone che hanno partecipato al cantiere si sono approcciate a questa esperienza collettiva.

Gli ambiti emersi dai racconti e presi in considerazione in questo lavoro sono la mancanza di dialogo fra paziente e psichiatra, i ricoveri psichiatrici, i Trattamenti Sanitari Obbligatori (TSO), i dispositivi di controllo che vengono applicati nei reparti ospedalieri e nei contesti residenziali, la terapia psicofarmacologica, lo stigma.

In questo testo abbiamo trovato spunti di riflessione e meccanismi della psichiatria che da anni denunciamo come collettivo antipsichiatrico. I colloqui troppo brevi dove ti tengono giusto il tempo per darti la terapia e non c’è la possibilità di essere ascoltati o di esprimere i dubbi e le difficoltà. La parola della persona diagnosticata (marchiata) malata di mente non viene presa in considerazione, anzi spesso, considerata sintomo della malattia. Le persone protagoniste del cantiere raccontano che sono obbligate a frequentare i servizi psichiatrici e costrette ad assumere psicofarmaci, che devono continuare a prenderli per il resto della vita, proprio come un “diabetico prende l’insulina”. L’unico interesse della psichiatria non sembra essere quello dichiarato della “cura” ma la progressiva cronicizzazione del malessere: tutte le altre discipline mediche hanno come obiettivo la dimissione del malato, il sistema psichiatrico, invece, ti prende in carico a vita.

L’inganno maggiore di questo sistema sta nel credere che un Trattamento Sanitario Obbligatorio (TSO) duri in fondo solo sette giorni o quattordici nel caso peggiore; nel pensare che, sì, in effetti è un sequestro di persona legalizzato. La verità è che il Trattamento Sanitario Obbligatorio implica una coatta presa in carico della persona da parte dei Servizi di salute mentale del territorio che può durare per decenni, proprio come è successo a vari partecipanti al cantiere. Una volta entrato in questo meccanismo infernale, una volta bollato con l’infamia della malattia mentale, il paziente vi rimane invischiato a vita, costretto a continue visite psichiatriche e soprattutto, a trattamenti con farmaci obbligatori pena un nuovo ricovero. Per i pazienti ricoverati in TSO e considerati “agitati” si ricorre ancora al’’isolamento e alla contenzione fisica, mentre i cocktail di farmaci somministrati mirano ad annullare la coscienza di sé della persona, a renderla docile ai ritmi e alle regole ospedaliere. Il grado di spersonalizzazione ed alienazione che si può raggiungere durante una settimana di TSO ha pochi eguali, anche per il bombardamento chimico a cui si è sottoposti. Ecco come l’obbligo di cura oggi non significhi più necessariamente la reclusione in una struttura ma si trasformi nell’impossibilità di modificare o sospendere il trattamento psichiatrico, sotto costante minaccia di ricorso al ricovero coatto sfruttato come strumento di ricatto e repressione.

Un altro capitolo del libro è dedicato all’obbligo di cura e di assunzione di psicofarmaci. Gli psicofarmaci, oltre ad agire solo sui sintomi e non sulle cause della sofferenza della persona, se presi per lunghi periodi alterano il metabolismo e le percezioni, rallentano i percorsi cognitivi ed ideativi contrastando la possibilità di fare scelte autonome, generano fenomeni di dipendenza ed assuefazione del tutto pari, se non superiori, a quelli delle sostanze illegali classificate come droghe pesanti. Sappiamo bene che le persone trattate con psicofarmaci aumentano la probabilità di trasformare un episodio di sofferenza in una patologia cronica. La maggior parte di coloro che ricevano un trattamento farmacologico va incontro a nuovi e più gravi sintomi psichiatrici, a patologie somatiche e a una compromissione cognitiva. Quello che finora ci ha proposto la psichiatria è la centralità degli “squilibri chimici” nel funzionamento del cervello, ha cambiato il nostro schema di comprensione della mente e messo in discussione il concetto di libero arbitrio. Come collettivo, non condanniamo a priori l’utilizzo di psicofarmaci ma pensiamo che spetti all’individuo deciderne in libertà e consapevolezza l’assunzione.

Poiché la risposta psichiatrica è sempre la stessa per tutte le situazioni: diagnosi, etichetta e cura farmacologica crediamo che rivendicare il diritto ad avere parola e all’autodeterminazione in ambito psichiatrico significhi riappropriarsi delle proprie esperienze, delle difficoltà, delle sofferenze e della molteplicità di maniere per affrontarle. La logica psichiatrica sminuisce le sofferenze delle persone, riducendo le reazioni dell’individuo al carico di stress cui si trova sottoposto a sintomi di malattia e medicalizzando gli eventi naturali della vita.

È necessario operare contro l’invalidante stigma psichiatrico affinché l’Istituzione psichiatrica dia ascolto e credito alle parole delle persone. La restituzione sociale del cantiere proposta nel libro si pone come obiettivo il mettere in luce quanto a livello di ascolto e scambio dialogico sia ancora necessario fare per poter arrivare a un reale processo di condivisione del percorso terapeutico. Dalle narrazioni emerge una precisa richiesta di un maggior dialogo tra utenti e operatori, di sviluppare pratiche alternative alla cura farmacologica, nella prospettiva di elaborare un metodo che modifichi radicalmente, sovvertendole, le Istituzioni psichiatriche nel loro complesso.

Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud

Per contatti con il Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud:

antipsichiatriapisa@inventati.org | www.artaudpisa.noblogs.org | 355 7002669

mercoledì 27 ottobre 2021

Poesia 27/10/21

 Le odiate sirene rompono il silenzio
Mentre sbuffo  
Guardo in stazione passivo/statico i freddi schermi.
Molto spesso difficile trovare un senso
Per i deboli arduo sedare il tormento
Fumare compulsivo
Posacenere colmi
Assenso?
Vorrei annegare i timori nel assenzio
Odore di dimesso
Afflitto/in guerra depresso.
Padre,figlio e cronaca nera
Abusi su minori
Sempre in testa la chiesa
Sbarre invisibili
L' inferno in alcune famiglie la sera...
Chi muore?
Forse tua madre?
Forse un signore?
Forse per spaccio?
Forse per malattia mentale?
Forse perché criminale?
Forse perché troppo normale?
Forse perché schiavo a lavorare?
Forse perché costretto a scappare e migrare?...
Chi muore?
Tutti i minuti/tutte le ore
Il panico si illumina
Ogni mattina alle prime ore...
Chi muore?
Quali deboli?
Siete voi...
Governi, leggi, repressioni, farmaci...
Per imbrogliare la vostra paura,
Non ammettete di odiarvi,
Invidiosi e incapaci
Di essere felici
Cali di Serotonina
Alcol di pregio e Cocaina.
Tristi
Potenti
Benpensanti...
Assilati dai fantasmi,
Dilaniati dalle colpe,
Umiliati dai vostri orgasmi,
Divorati dai vermi
Sbranati dai matti.
Sulle vittime piangono
Le suore...
La nostra Lotta
Contro tutto
Il nostro amore...
Insiste
Solidale
Continua
Non muore.
Credo che essere buoni
Non sia un limite...
Tremare non è essere fragili...
La vita non è attendere
Come in posta il crepare.
Ho la piena certezza
Che il sincero ardore
E la passione più trasparente
Sono quello che conta
Le ferite parlano
I ricordi sbiadiscono
Gli anni si buttano
Le mani diventano acqua
Un abbraccio corretto col sudore,
L' Essere umano
Un capolavoro di sensi
Un romanzo d' orrore.

Ang. 27/10/21

venerdì 15 ottobre 2021

BASTA MORIRE DI CONTENZIONE!! ABOLIAMO LA CONTENZIONE!!

 BASTA MORIRE DI CONTENZIONE!! ABOLIAMO LA CONTENZIONE!!

Sono ancora scarse le informazioni riguardanti la morte della persona, originaria della Val di Cornia, ricoverata nel reparto di psichiatria dell’ospedale di Livorno deceduta a inizio aprile di quest’anno dopo essere stato legata al letto per oltre una settimana. Le generalità non sono ancora state rese pubbliche. Non sappiamo se è stata fatta un’autopsia e se c’è un indagine della magistratura in corso. Non sappiamo quante contenzioni vengono fatte nel reparto di Livorno.

Di sicuro nei reparti psichiatrici italiani si continua a morire di contenzione meccanica, sia in regime di degenza che durante le procedure di TSO.

Il 13 agosto del 2019, nel reparto psichiatrico dell'ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo è  morta durante un incendio Elena Casetto, 19 anni, bruciata viva nel letto al quale era legata: la contenzione non le ha permesso di fuggire. A oggi per quel terribile evento sono indagati solo i due addetti della ditta che aveva in appalto il servizio antincendio dell’ospedale.
Un episodio simile era accaduto nel Manicomio Giudiziario di Pozzuoli nel 1974, quando Antonia Bernardini morì per le ustioni riportate dopo l'incendio che l'aveva avvolta nel letto di contenzione al quale era stata legata ininterrottamente per 43 giorni.
Il 4 agosto del 2009 Francesco Mastrogiovanni è morto per edema polmonare dopo 87 ore consecutive di contenzione nel reparto di psichiatria dell’Ospedale di Vallo della Lucania, provincia di Salerno. Era stato ricoverato in TSO, trattamento sanitario obbligatorio, senza rispettare le procedure previste dalla legge; sedato e legato con fascette ai polsi e alle caviglie, è rimasto senza mangiare, senza bere e senza nessuno che si preoccupasse di lui fino alla morte.

Nel caso Mastrogiovanni la Corte di Cassazione ha definito l’uso della contenzione meccanica un presidio restrittivo della libertà personale che non ha né una finalità curativa né produce l’effetto di migliorare le condizioni di salute del paziente. La contenzione non è un atto medico e non ha alcuna valenza terapeutica: è un evento violento e dannoso per la salute mentale e fisica di chi la subisce; offende la dignità delle persone e compromette gravemente la relazione terapeutica.

Purtroppo contenzione meccanica e farmacologica sono praticate diffusamente anche nelle strutture che ospitano persone anziane e/o non autosufficienti. In nessun caso la carenza di personale e di strutture può giustificare il ricorso a pratiche coercitive. Anche la logica dei “motivi di sicurezza”, dello “stato di necessità” o delle “persone aggressive” a cui sovente si fa appello nei reparti, deve essere respinta poiché fondata sul pregiudizio ancora diffuso della potenziale pericolosità della “pazzia”. Molti ritengono, per atteggiamento culturale o per formazione, che sia giustificabile sottoporre persone diagnosticate come “malate mentali” a mezzi coercitivi, che sia nell’ordine delle cose e corrisponda al loro stesso interesse. Chi condivide questa opinione non considera adeguatamente, sia in termini esistenziali che giuridici, il valore imprescindibile della libertà della persona, tanto più rilevante quanto più attinente a libertà minime, elementari e naturali, come la libertà di movimento.

Oltre al ricorso alla contenzione meccanica e farmacologica, continua ancora oggi a prevalere nei servizi psichiatrici un atteggiamento custodialistico e l’impiego sistematico di pratiche e dispositivi manicomiali: obbligo di cura, porte chiuse, grate alle finestre, sequestro dei beni personali, limitazione e controllo delle telefonate e di altre relazioni e abitudini.
Sappiamo inoltre, di numerose esperienze in Italia e all’estero dove viene evitata la contenzione. In solo 15 reparti italiani su 320 viene praticata la terapia no restraint, la contenzione è stata abolita e le porte sono aperte.
Sappiamo che questi dispositivi sono strutturali ai luoghi di reclusione e abbandono, ma ribadiamo la necessità di proibire, senza alcuna eccezione, la contenzione meccanica nelle istituzioni sanitarie, assistenziali, penitenziarie italiane e in tutti i luoghi di reclusione.
Continueremo a lottare con forza contro ogni dispositivo manicomiale e coercitivo (obbligo di cura, trattamento sanitario obbligatorio, uso dell’elettroshock, contenzione meccanica, farmacologica e ambientale, ecc) e per il superamento e l’abolizione di ogni pratica lesiva della libertà personale.


BASTA MORIRE DI CONTENZIONE !! STOP ALLA CONTENZIONE!!

Sabato 6 Novembre:
- PRESIDIO CONTRO LA CONTENZIONE piazza Damiano Chiesa davanti l’Ospedale nel pomeriggio dalle ore 16
-  alle ore 20 PIZZATA + MUSICA  all’ Ex Caserma Occupata in via Adriana 16

Domenica 7 novembre:
- ore 10 all’ Ex Caserma Occupata inizio assemblea antipsichiatrica
- ore 13 Pranzo a cura di Cucina IppoOasi
nel pom proseguimento assemblea

lunedì 4 ottobre 2021

articolo sul Il Tirreno sul processo per la morte di Mattia seguito dalla Stella Maris (struttura psichiatrica in provincia di Pisa)

https://necrologie.iltirreno.gelocal.it/news/129964

Morto soffocato, chiesta condanna a un anno e mezzo
Per la direttrice sanitaria della Stella Maris la pm ha concluso la sua requisitoria invocando una sentenza di non luogo a procedere

Una richiesta di proscioglimento e una di condanna con la condizionale.

È l’esito della requisitoria del pm Flavia Alemi davanti al gup Giuseppe Laghezza nei confronti delle due imputate per omicidio colposo in relazione alla morte di Mattia Giordani, il 26enne calcesano soffocato da un boccone mentre cenava con i genitori. Era il 27 marzo 2018.

La morte del giovane, uscito dalla Stella Maris dove era seguito da tempo, sarebbe da mettere in relazione ai farmaci di cui Mattia faceva uso. Per la dottoressa Giovanna Sorrentino, 60 anni, di Sesto Fiorentino, difesa dall’avvocato Francesco Maldonado, è stata invocata una condanna a un anno e mezzo con la sospensione condizionale, mentre per Graziella Bertini, 63 anni, di Volterra, assistita dagli avvocati Enrico Marzaduri e Adele Boris, la pm ha concluso per il non luogo a procedere.

Parti civili l’associazione Telefono Viola rappresentata dall’avvocato Gioacchino Di Palma e i genitori di Mattia, assistiti dallo studio legale Capria. Dopo la drammatica morte di Mattia in un primo tempo nessuno aveva messo in relazione la tragedia con i farmaci somministrati al 26enne che in quel periodo era assistito nel centro di Montalto di Fauglia della Stella Maris. Solo in un secondo momento i genitori scoprirono che era stato sedato con più farmaci. Proprio questi medicinali, secondo l’accusa, già in precedenza gli avevano causato gravi crisi respiratorie. Dalla cartella clinica del centro di Fauglia era emerso che altre volte Mattia aveva rischiato di morire soffocato durante i pasti. La dottoressa Bertini è la direttrice sanitaria della residenza sanitaria per disabili di Montalto, gestita dalla Stella Maris, mentre la dottoressa Sorrentino, neuropsichiatra, risponde del reato come medico specialista di riferimento della struttura. Sentenza a ottobre.

venerdì 17 settembre 2021

PISA Ven 1 Ottobre

  presentazione di “IL POTERE DELLA PAROLA” di Sara Manzoli c/o S.A. Newroz

PISA VENERDI’ 1 OTTOBRE c/ lo Spazio Antagonista NEWROZ in via Garibaldi 72 alle ore 18 il Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud presenta:

Il libro “IL POTERE DELLA PAROLA. La carenza dialogica nelle relazioni tra utenti e operatori nell’istituzione psichiatrica” di Sara Manzoli edizioni Sensibili Alle Foglie

Questo libro nasce dall’esperienza di un cantiere di socioanalisi narrativa svolto con persone che fanno riferimento al servizio di salute mentale di Modena e provincia; un territorio che viene portato come esempio positivo a livello nazionale rispetto al proprio approccio alla cura del disagio psichico. Dalle narrazioni raccolte appare però evidente che non tutto scorra liscio come lo si racconta. La restituzione sociale del cantiere qui proposta si pone come obiettivo il mettere in luce quanto a livello di ascolto e scambio dialogico sia ancora necessario fare per poter arrivare a un reale processo di condivisione del percorso terapeutico. Spostarsi dalla centralità del farmaco alla centralità della parola sembra un passaggio imprescindibile da qualsiasi altra pratica proposta. Gli ambiti presi in considerazione sono i ricoveri psichiatrici, i dispositivi di controllo che vengono applicati nei contesti residenziali, la terapia farmacologica, lo stigma.

sarà presente l’autrice

a seguire APERICENA

l’evento si svolgerà seguendo le misure di prevenzione anti Covid

per info:

Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud
via San Lorenzo 38, 56100 Pisa
antipsichiatriapisa@inventati.org
www.artaudpisa.noblogs.org 3357002669


 

sabato 14 agosto 2021

Da non dimenticare, accadeva in questi giorni. Lui come altri/e vittime della psichiatria

fonte:https://www.infocilento.it/

12 anni fa moriva Francesco Mastrogiovanni: “il maestro più alto del mondo”

Era il 4 agosto 2009 quando Francesco Mastrogiovanni morì all'ospedale di Vallo dopo 83 ore trascorse legato al letto di contenzione


VALLO DELLA LUCANIA. Era il 4 agosto del 2009 quando Francesco Mastrogiovanni, maestro elementare di Castelnuovo Cilento, spirò presso l’ospedale “San Luca” di Vallo della Lucania. Era ricoverato in regime di Tso dal 31 luglio.

Francesco Mastrogiovanni: il tso

Quel giorno le forze dell’ordine lo andarono a prendere in spiaggia per un trattamento sanitario obbligatorio (per lui sarebbe il terzo nel giro di pochi anni). Quella mattina ci fu un dispiegamento di forze non indifferente: Francesco Mastrogiovanni fu circondato da terra e da mare da carabinieri e guardia costiera.

Alla fine cedette: «Non mi fate portare all’ospedale di Vallo, perché là mi ammazzano!», avrebbe esclamato prima di esser portato via, ma nessuno gli diede retta.
L’arrivo in ospedale e il ricovero

Arrivato in ospedale, Francesco Mastrogiovanni, venne dopo poco tempo legato con delle fascette di plastica al letto di contenzione. Fu liberato solo sei ore dopo il decesso, avvenuto il 4 agosto, ad 83 ore dal suo arrivo presso il presidio ospedaliero.

Il processo

Dopo il decesso è iniziato un lungo iter giudiziario. In primo grado per la morte dell’insegnante vennero condannati i medici, a vario titolo, per omicidio colposo, sequestro di persona e falso ideologico. Tre anni fa, nel 2018, la Corte di Cassazione mise la parola fine alla vicenda.

I giudici per la morte di Francesco Mastrogiovanni confermarono le condanne ai sei medici e agli undici infermieri per il sequestro di persona, con i medici condannati anche per falso ideologico. Annullata invece la sentenza d’appello per il reato di morte come conseguenza di altro delitto, caduto in prescrizione. Le pene: dai 15 ai 7 mesi.

Chi era Francesco Mastrogiovanni

Maestro nella scuola elementare di Pollica, anarchico, uomo di cultura, amatissimo dai suoi alunni che lo descrivevano come il «maestro più alto del mondo», Francesco Mastrogiovanni è diventato il simbolo per quanto lottano per un’adeguatezza delle cure in ambito psichiatrico.

Nel 2015 un docufilm raccontò la tragica morte di Mastrogiovanni.

Il ricordo

«Noi non dimentichiamo! Mio zio Francesco Mastrogiovanni è stato ucciso dalla mancanza di umanità di persone che avrebbero dovuto curarlo e invece hanno messo fine alla sua vita in poche ore. Nessuno, in quel reparto, lo ha considerato più come una persona». Così la nipote Grazia Serra in occasione del 12° anniversario della scomparsa.

giovedì 5 agosto 2021

VENERDì 6 AGOSTO a LIVORNO

 VENERDì 6 AGOSTO a LIVORNO c/o EFFETTO REFUGIO Scali del Refugio 8 alle ore 20



“ ABBATTIAMO I MURI CHE CI RINCHIUDONO! ”
I volti dell’internamento lungo la rotta balcanica, dall’isola prigione di Lesvos al controllo psichiatrico dei migranti in Italia.

Dibattito e interventi di Giacomo Sini, Dario Antonelli e del Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud

saremo presenti per tutto la durata del festival dal 4 a 8 agosto con il banchetto della distribuzione di libri e materiale informativo.

Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud
via San Lorenzo 38, 56100 Pisa
antipsichiatriapisa@inventati.org
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giovedì 22 luglio 2021

Testimonianza di Ang.

Ripubblichiamo uno scritto di uno dei nostri, testimonianza di violenza e repressione in terra straniera:

Vorrei tanto scrivere qualcosa di bello? Ancora non ci riesco, ho scene orrende in mente, a volte vorrei perdere la memoria o diventare una larva fatta di psicofarmaci inerme? Sò che non servirebbe a niente? Sono felice di essere costretto a ricordare.Scrivo da quando ho 17 anni: Prima a corrispondendere a disamore, sogni sedati in sere di luglio, desideri boicottati forse troppo sinceri?!...Provo a metter giù due righe in biro per i bambini e bambine di adesso : È non riesco comunque a mentire, non voglio eludere né deludere la loro fantasia...che fiaba nella inquinata magia, esaltata e nefasta che viviamo?!... Sento odore di sangue ovunque, il richiamo alla morte perenne, forse vivere è così difficile? Palazzi grigi mi osservano e mi chiedono perché? Persone senza cuore, beate e tristi, difendono ciò che sa di marcio ogni giorno. So di non essere il solo a provare malessere, la depressione ci può rendere artisti e artiste del nostro tempo, ma che male?...che bruciore?... Nel 2014 in un freddissimo febbraio tedesco per una goccia in più di Olaperidolo iniettato nel mio braccio sinistro, dall'unità di pronto soccorso di Waiden,il cuore si fermò per poco.Ambulanza chiamata dalla polizia, dopo un fermo in stazione, per incomprensioni verbali sul treno per Monaco con la controllore. Stavo in forte esaurimento, avevo bisogno forse delle mie pastiglie?...ma ciò non giustifica quello, che scesi dal treno io ed una amica, ci saremmo trovati ad affrontare. Un poliziotto già su quel treno, premendo il suo manganello sul mio petto, urlava:" Silence". Alla stazione di Waiden venimmo fermati appunto con il sospetto di essere drogati e disgraziati. Nessuno dei due lo era. Ricordo le parole che dissi mentre ci conducevano alla polfer in 6 o 7 agenti : "È finita Mari?! Ci hanno preso"... Poi per stizza prima delle scale lanciai giù lo zaino... Una spinta dietro la schiena mi fece volare sulle scale, me li ritrovai addosso tutti, mi tenevano, mi menavano, mi provarono pure a tappare la bocca... Morsi quelle mani con tutta la disperazione di questo mondo, e provai a dare pugni in testa ad un agente che mi bloccava, senza veder alcun risultato. Quasi svenuto mi trasportarono a forza, con la testa che sbatteva su quei gradini, che sembravano infiniti in una cella. Quindi da parte loro in poi, il percorso per il Tso alla tedesca diciamo. Ho sentito un fremito strano, dopo non so quante ore in quella celletta, metalicca e gelida?!... Prima di quel iniezione mi sono detto:" Andiamo? Andiamo!!!" Le lacrime erano finite...come la paura. Dopo poco la puntura, sentii il mio cuore esplodere, la vista che mi lasciava, e quel terrore di esclamare:"ohhhh ohhhh ohhhh!"... Buio. Mi fecero riprendere con un defibrillatore, sono qui a raccontarlo oggi... Non mi rende né vittima né migliore, forse più provato? Forse più Amante dei nostri respiri? Forse più empatico? Di certo molto più sensibile. Grazie a Mari tornai a casa. Mi ricoverarono in un reparto al nord della Baviera, entrando a brandelli e alla fine di quella giornata, mi svegliai sedato, calmo e legato al letto, con un' altra ragazza a fianco a me che urlò giustamente tutta notte, legata pure lei, mentre un' operatrice ci osservava da dietro un pc. Perché dico tutto questo? Andrea Soldi non lo riporta indietro nessuno, nessuno può dar da bere a Mastrogiovanni, nessuno può togliere i lividi da Stefano, nessuno ci ridarà indietro Carlo. Nomi, nomi, nomi?! Orrore e rivalsa, terrore e furore. Ciò che più mi preme dire o scrivere è che non importa quanti soldi, case o macchine hai? O che lavoro svolgi? Ti prego capisci sempre che il prossimo o la prossima potresti essere tu?! E ti auguro di non essere sol*. Non ci sono motivazioni, è assurdo certo. La follia per me rimane l'unica forma di intelligenza veramente sostenibile. La Ragione, La politica, la repressione poliziesca, rimangono la più grande sconfitta dell'essere umano. Grazie Mari, l' amicizia oltre ogni limite è per sempre. Gabryela mi da la forza, Gabryela mi regala ancora un sorriso. Polvere siamo e Polvere diventeremo, ma qualcun * nel proprio percorso personale avrà fatto la differenza per sé stess* magari?!! ... L' amore è fuoco indomabile e voi carogne non potrete mai provarlo, con il vostro cervello spero, intasato da voci e fantasmi che senza tregua vi seguiranno in ogni dove. Liber* noi siamo liber*... Nel vostro cancro... Nel nostro dolore. Ang. 21/07/21

In aggiunta allo scritto di ieri. Scusa il disturbo. P. S. Riuscii a tornare a casa grazie a Mari sì. Lei al momento dell' accaduto prese un foglio di via da Waiden e le chiesero di andarsene dal territorio tedesco. L' ex marito di sua sorella fortuna stava a Monaco con cittadinanza e quindi ci diede aiuto come mio referente e ci riportò in Italia finito il ricovero in psichiatria di una settimana (senza di loro, io sarei uscito dopo un mese e mezzo). La legge tedesca mi fece avere un traduttore per parlare con i medici. Mari poté quindi venirmi a trovare  in reparto già da subito con il traduttore. Un giorno e mezzo fui contenuto al letto, Mari fotografò il letto con l'urina dove venni legato. Grazie al traduttore che fece gli straordinari fu possibile, minacciare (lasciatemi il termine) di diffusione della foto la dottoressa che mi aveva in carico. Così ebbi le visite di Mari e gli diedimo la garanzia con il mio referente che sarei tornato a casa, dopo una settimana. Senza questi preziosi aiuti, fatto come una mina di farmaci appunto, sarei uscito senza un soldo dopo un mese e mezzo. Così dicevano?... Ultima cosa che mi sento di aggiungere... Prima del ricovero dopo la defibrillazzione, mi condussero in ambulanza in un pronto soccorso, dove venni abbandonato momentaneamente in corsia, non venni curato perché con le poche forze che mi rimanevano dissi che prendevo terapie di psicofarmaci. Mari seduta con a fianco due sbirri, guardava me con loro, io sul lettino, lei disperata, gli sbirri? Sì, tutto vero, si misero a piangere. Lacrime o no? Merde siete e resterete. Scusate, fine.

mercoledì 21 luglio 2021

''TANTO E’ UN MALATO MENTALE…'' Una testimonianza contro la contenzione

Riceviamo dal Collettivo Artaud e pubblichiamo una testimonianza contro la contenzione meccanica:

“Tanto è un malato mentale”
Due anni fa, nell’estate 2019, ero ricoverato a seguito di una mia richiesta (TSV) in un reparto psichiatrico fiorentino. Un pomeriggio, durante il ricovero, ho trovato una porta finestra del reparto che doveva essere chiusa (secondo la politica della struttura), completamente spalancata. Mi sono avventurato sul balcone per curiosità. In seguito ho riferito il fatto ad un operatore.
Lui si è consultato con lo psichiatra in turno, che ha preso una decisione risolutiva: ha stabilito che sarei stato trasportato d’urgenza in un altro reparto psichiatrico, legato a letto per tutta la notte. Una specie di punizione esemplare… Tanto è un malato mentale!
Così è avvenuto. Quando sono stato informato dallo psichiatra della sua decisione, ha sostenuto fermamente la tesi, davanti all’ operatore, che io avessi rotto con le mani i due lucchetti che chiudevano la porta.
Sarebbe interessante entrare in possesso del “verbale” con cui questi signori si sono liberati della loro responsabilità. Ma questo non può avvenire perché nessun tribunale autorizzerebbe una richiesta del genere senza valide prove… Tanto è un malato mentale!
Ho subito varie ingiustizie nella mia vita, e questo capita a molte persone. Ogni tanto, ma solo per fatti gravissimi, nel mondo psichiatrico avvengono delle inchieste. Nel mio caso il problema è soltanto una ferita difficile da rimarginare, una delle tante, che mi ritorna indietro come uno sputo in faccia. Non posso fare altro se non testimoniarlo. Rigorosamente senza fare nomi, per evitare ritorsioni.
Tanto è un malato mentale.
Anonimo

giovedì 15 luglio 2021

Contenzione psichiatrica: la vergogna del silenzio

 LINK INTERVISTA a Radio OndaRossa: CONTENZIONE PSICHIATRICA: LA VERGOGNA DEL SILENZIO

Sotto il link per ascoltare l’intervista fatta a Radio OndaRossa come collettivo Artaud sul tema della Contenzione in psichiatria.

Contenzione psichiatrica: la vergogna del silenzio

https://archive.org/details/ror-210708_1032-1104-contenzione

La contenzione si nasconde in quelli che dovrebbero essere luoghi della cura. Nel nostro paese, in gran parte dei servizi psichiatrici ospedalieri di diagnosi e cura, la contenzione è pratica diffusa,  La pratica della contenzione – meccanica e farmacologica – è ben conosciuta negli istituti che si occupano di persone anziane (rsa) e nei luoghi che accolgono bambini e adolescenti, nelle REMS, nelle carceri. In molti di questi luoghi si lega ma si fa di tutto per non parlarne. Salvo quando avviene qualcosa. Francesco Mastrogiovanni, maestro di cinquantotto anni, muore nel servizio psichiatrico di Vallo della Lucania (SA) ai primi di agosto del 2009, dopo 4 giorni di contenzione; tre anni prima, nel 2006, moriva nel Servizio psichiatrico dell’ospedale “Santissima Trinità” di Cagliari, Giuseppe Casu dopo che per una settimana era rimasto legato al letto. Elena Casetto, ragazza di 19 anni morta arsa viva dalle fiamme di un incendio sviluppatosi nel reparto di psichiatria del “Papa Giovanni” di Bergamo nel 2020 e che non ha potuto mettersi in salvo perché legata al letto. In occasione della Seconda Conferenza Nazionale sulla salute mentale del giugno scorso che ha tracciato la road map per rilanciare l’assistenza territoriale per la salute mentale allo scopo di “migliorare la qualità e la sicurezza dei servizi a beneficio di pazienti e operatori”, il ministro Speranza ha annunciato anche che è pronto l’accordo con le Regioni per “il superamento della contenzione meccanica nei luoghi di cura della salute mentale”. Eppure nel Pnrr di fragilità psichica non si parla. Ne parliamo con un compagno del collettivo antipsichiatrico Antonin Artaud.

sabato 3 luglio 2021

Ricoverato per un Tso, Salvatore D’Aniello muore in ospedale a Napoli. La famiglia denuncia

Salvatore D’Aniello, 39 anni, è morto il 18 giugno all’Ospedale del Mare di Napoli, dove era ricoverato per un Tso. Nei 10 giorni di degenza i familiari non sono mai riusciti ad avere contatti con lui, ma i medici li avevano rassicurati sulle sue condizioni fino a poche ore prima del decesso, arrivato all’improvviso. La famiglia ha sporto denuncia.
di Nico Falco , fonte fanpage.it

Un ricovero in Tso, le rassicurazioni continue dei medici sul suo stato di salute, poi l'ultima telefonata, all'improvviso, per comunicare l'avvenuto decesso. Una faccenda che presenta diversi punti oscuri, quella del 39enne Salvatore D'Aniello, morto il 18 giugno scorso nel reparto di Psichiatria dell'Ospedale del Mare di Ponticelli, a Napoli Est, dove era ricoverato e in cura per una polmonite non originata da Covid-19. In ospedale Sasà ci era finito l'8 giugno. Da quel momento, dieci giorni di vuoto. Telefono spento, nessun contatto, soltanto rassicurazioni: "Sta bene, non vi preoccupate, non rischia nulla".

I familiari, assistiti dall'avvocato Giuliano Sorrentino, hanno sporto denuncia alla Polizia, la salma è stata trasferita al Policlinico Federico II in attesa delle decisioni della magistratura; il sospetto è che si tratti di un caso di mala sanità, che il 39enne sia morto in seguito a una massiccia somministrazione di psicofarmaci. A ricostruire la vicenda a Fanpage.it è il cugino, Domenico Monaco. "Sasà viveva a Montesanto, era molto conosciuto nel quartiere – spiega – non aveva mai dato fastidio a nessuno, gli volevano tutti bene. Purtroppo aveva dei problemi di tossicodipendenza, aveva fatto un percorso di recupero presso una comunità a Vicenza e poi era tornato a Napoli, in affidamento al Sert. L'uso di quelle sostanze gli aveva causato dei disagi mentali ma fisicamente stava bene".

Salvatore D'Aniello ricoverato per Tso

La storia comincia l'8 giugno, quando Salvatore, come già aveva fatto altre volte, esce di casa in piena notte. Ha una crisi, è convinto che qualcuno voglia ucciderlo. E così chiede aiuto ai carabinieri della caserma Pastrengo, che si trova a due passi da Montesanto. I militari si rendono conto della situazione e allertano il 118, l'ambulanza arriva poco dopo. Viene disposto il Tso e il 39enne viene portato all'Ospedale del Mare di Ponticelli. "Quella notte anche la madre andò con lui – prosegue Monaco – e consegnò il telefono cellulare di Sasà chiedendo di farglielo usare quando si fosse calmato. Da allora, però, non siamo mai più riusciti ad avere contatti con lui. Ci abbiamo provato, tante volte: ci dicevano che stava bene, che stava riposando o che era proprio lui che non voleva accendere il telefono perché aveva paura. Nemmeno la madre, quando è andata in ospedale, è riuscita a vederlo".

"Sasà non rischia nulla". Poche ore dopo, il decesso

Pochi giorni prima del decesso, però, le condizioni di salute si sono aggravate. "Un medico mi ha detto che aveva una polmonite, ma che il tampone Covid-19 era risultato negativo – continua Monaco – ho chiesto perché non venisse trasferito in un altro reparto, invece che tenerlo in Psichiatria, e ci siamo proposti di provvedere noi a un trasferimento con ambulanza privata, ma anche allora ci hanno rassicurato: andava tutto bene, se fosse stato necessario spostarlo ci avrebbero pensato loro. Nella penultima telefonata, la sera del 17 giugno, intorno alle 22:30, una dottoressa ha detto al fratello che stavano facendo una cura farmacologica ma che non era in pericolo. "Assolutamente no, suo fratello non rischia niente", gli ha detto, e noi abbiamo tranquillizzato la madre, le abbiamo riferito che stava migliorando. La mattina dopo, la telefonata: Sasà era morto per embolia polmonare con arresto cardiaco".

La famiglia di Salvatore D'Aniello sporge denuncia

La famiglia D'Aniello ha sporto denuncia, tramite il legale Giuliano Sorrentino ha chiesto il sequestro delle cartelle cliniche. Si attende la decisione della magistratura per l'autopsia a cui assisterà anche il consulente di parte. "Quando l'avvocato è andato in ospedale – continua Monaco – Sasà era ancora nel reparto di Psichiatria e indossava un pannolone. Lui non ne aveva mai avuto bisogno, era autonomo. Pensiamo che possa essere stato pesantemente sedato per tutta la durata del ricovero. A noi sembra assurdo che fino a poche ore prima de decesso ancora ci rassicurassero, dicendoci che non c'era nessun problema. Vogliamo capire quello che è successo, lo dobbiamo alla madre, al padre e ai fratelli, oggi una famiglia distrutta che si sta logorando nel dolore di non sapere come è morto Sasà".

mercoledì 2 giugno 2021

Daniele Novara: L’invasione degli screening

La tendenza a leggere la realtà di bambini e bambine sempre più soltanto tramite la lente della diagnosi clinica sembra trovare nella pandemia un modo per rafforzarsi. Le scuole sono invase in questi giorni da screening neurodiagnostici, denuncia Daniele Novara: “È stato davvero un periodo duro per i piccoli e i più giovani. Tanti di loro hanno vissuto senza veri contatti sociali, con pochissimo movimento e sport, con la scuola a singhiozzo e sempre con la mascherina. Ma non è lecito trasformare quanto accaduto in processi di neurodiagnosi…”. Insomma, si tratta di mettere in discussione l’ossessione della ricerca di disturbi neurologici per consentire a genitori, educatori, insegnanti, amministratori locali di rispondere a bisogni educativi, come stare all’aperto e costruire relazioni .I bambini e i ragazzi hanno bisogno di normalità, non di neurodiagnosi. È stato davvero un periodo duro per i piccoli e i più giovani. Tanti di loro hanno vissuto senza veri contatti sociali, con pochissimo movimento e sport, con la scuola a singhiozzo e sempre con la mascherina. Non è lecito trasformare quanto accaduto in processi di neurodiagnosi, cercando disturbi neurologici che sono semplicemente la conseguenza di un arresto grave nella loro crescita e nel loro sviluppo. Le scuole sono invase in questi giorni da screening neurodiagnostici, alla ricerca di presunti disturbi che altro non sono che la legittima risposta dei bambini e ragazzi alla difficoltà del momento. Si tratta di evitare che i più piccoli vengano raggiunti da questi tentativi, proposti nelle scuole senza alcun quadro normativo, di realizzare screening per andare alla ricerca di questi disturbi. I bambini hanno bisogno normalità, non di neurodiagnosi. Il fenomeno degli eccessi di neurodiagnosi e di certificazione scolastica di disabilità che, negli ultimi dieci anni, si è letteralmente abbattuto su di loro, non lascia molti margini di interpretazione statistica. È un dato secco e inequivocabile. Nel report Istat relativo all’anno scolastico 2010-11, gli alunni disabili – secondo i criteri della legge 104 – erano 139 mila. Nove anni dopo, cioè nell’anno scolastico 2019-20, il dato è più che raddoppiato: 300 mila certificazioni di disabilità. La stragrande maggioranza di queste certificazioni – l’80 per cento circa – riguarda non più, come succedeva fino agli anni Novanta, disabilità fisiologiche, motorie e genetiche, ma quelle legate a deficit emotivi e comportamentali. In particolare, è cresciuta a dismisura la diagnosi di spettro autistico. Una valutazione che lo stesso Michele Zappella, decano dei neuropsichiatri italiani e fra i primi in Italia a studiare proprio l’autismo, ha definito una sorta di etichetta senza, il più delle volte, una precisa spiegazione diagnostica e che pertanto finisce con presentare una percentuale di cosiddetti falsi positivi elevatissima (40-50 per cento, se non di più). I rischi di medicalizzazione nella scuola Alain Goussot Zappella, nel suo ultimo libro Bambini con l’etichetta. Dislessici, autistici e iperattivi: cattive diagnosi ed esclusione (Feltrinelli, 2021), ricorda come l’80 per cento dei genitori che riceve questa diagnosi, o un suo sentore, con la parola autismo, cade in una depressione che può ancora essere presente a distanza di un anno, un anno e mezzo. Spesso, e del tutto incautamente, questa neurodiagnosi viene accompagnata da commenti come «Da questa malattia non si guarisce mai», «Ve lo dovete tenere così com’è», e simili. L’angoscia aumenta e va ad alimentare la grande fragilità genitoriale di quest’ultima generazione. Penso che il calo demografico non dipenda da motivi sociologici, quanto dalle tante problematiche educative. Ai genitori non si offrono sponde se non queste drammatiche diagnosi neuropsichiatriche gestite, il più delle volte, senza alcun riguardo verso i genitori e tantomeno privacy verso i bambini. Da ultimo, compare il fantasma degli screening precoci tra i due e i sei anni. Centri specializzati, senza alcuna cornice normativa, entrano nelle scuole, col consenso di dirigenti e di insegnanti mal consigliati, per cercare disturbi dell’apprendimento, dello spettro autistico e dell’iperattività. Fra i genitori si sta creando il panico. Anche nei miei studi continuo a ricevere madri e padri letteralmente terrorizzati. Già nel 2017 denunciai, sia col convegno nazionale “Curare con l’educazione”, che con il mio libro Non è colpa dei bambini. Perché la scuola sta rinunciando a educare i nostri figli e come dobbiamo rimediare (BUR-Rizzoli), la deriva verso cui si stava andando nell’indifferenza istituzionale. Occorre che i genitori non vengano abbandonati a se stessi e, specialmente, che si impedisca la patologizzazione dell’infanzia, il crescere di un’epidemia che non corrisponde a veri dati scientifici. Occorre rispettare la crescita e l’età dei più piccoli con la consapevolezza che la plasticità neurocerebrale sa recuperare sui momenti di inceppamento evolutivo. Bisogna cambiare pagina e offrire alle famiglie un supporto pedagogico per educare e crescere le nuove generazioni. I genitori meritano fiducia, non angosce. Nei mesi scorsi ho proposto un “bonus pedagogico” IL PROGETTO VADEMECUM E PATTI LA RETE FORMAZIONE ONLINE

Contatti Email: comunicazione@territorieducativi.it Per info sul progetto: info@territorieducativi.it Telefono: 06 6538261 Indirizzo: Via Del Casaletto 400, ROMA.

È meglio porre attenzione ai bisogni educativi delle nuove generazioni piuttosto che certificarne la disabilità.

 Daniele Novara è direttore del Centro psicopedagico per l’educazione e la gestione dei conflitti. 

INTONACO IRRITATO

 PISA VENERDI’ 4 GIUGNO c/ lo Spazio Antagonista NEWROZ in via Garibaldi 72
alle ore 17:30 il Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud presenta:

INTONACO IRRITATO
per la PRIMA VOLTA ESPOSIZIONE dell’INTONACO con DISEGNI E SCRITTE MURALI del Reparto di Psichiatria dell’Ospedale Santa Chiara di Pisa

Presentazione del libro
L'ARTE IR-RITATA SI RACCONTA di Nicola Valentino Ed. Sensibili Alle Foglie
Questo libro nasce in occasione del trentennale (1990 – 2020) dell’attività di Sensibili alle foglie e del suo peculiare modo di guardare le risorse espressive che si manifestano nelle condizioni di reclusione e difficoltà a vivere. È sulla spinta di questo segno di radicamento nel tempo che l’autore, direttore artistico dell’Archivio di scritture scrizioni e arte ir-ritata, decide di chiedere ad alcune persone, che nel corso degli anni hanno collaborato con l’Archivio, di offrire un loro contributo, in modo che l’arte ir-ritata si potesse raccontare attraverso punti di vista variegati e ambiti sociali e professionali diversificati. Prendendo forza dalle esperienze fatte questo lavoro si proietta nella possibilità che l’arte ir-ritata continui a costituire una modalità sociale e culturale per rendere visibili, valorizzandone i linguaggi, le persone costrette all’invisibilità.

Presentazione dell’Opuscolo “Disegni e scritte murali sull’intonaco del muro del reparto di psichiatria “ a cura del collettivo Artaud
In seguito alla ristrutturazione del reparto di psichiatria dell’Ospedale Santa Chiara di Pisa è stato rimosso l’intonaco che andava a rivestire le pareti della stanza “ricreativa” dove è permesso fumare. L’intonaco, la cui superficie è rivestita lineolum, è stato trovato, recuperato e donato al collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud.

a seguire APERICENA

l’evento si svolgerà seguendo le misure di prevenzione anti Covid

per info:
Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud
via San Lorenzo 38, 56100 Pisa
antipsichiatriapisa@inventati.org
www.artaudpisa.noblogs.org 3357002669

 


 

domenica 23 maggio 2021

BASTA MORTI IN CONTENZIONE NEL REPARTO PSICHIATRIA!! ABOLIAMO LA CONTENZIONE!!

Volantino che sarà distribuito Sabato 29 maggio a LIVORNO in PIAZZA DAMIANO CHIESA dalle ore 10:30 alle ore 12:30.
il collettivo Artaud


Non si sa ancora niente del paziente originario della Val di Cornia ricoverato nel reparto di psichiatria dell’ospedale di Livorno e morto a inizio aprile di questo anno dopo essere stato legato al letto per una settimana. Ciò che sappiamo è che nei reparti psichiatrici italiani si continua a morire di contenzione meccanica, sia in regime di degenza che durante le procedure di TSO.

Il 13 agosto del 2019, nel reparto psichiatrico dell'ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo è  morta durante un incendio Elena Casetto, 19 anni, bruciata viva nel letto al quale era legata: la contenzione non le ha permesso di fuggire. A oggi per quel terribile evento sono indagati solo i due addetti della ditta che aveva in appalto il servizio antincendio dell’ospedale.
Un episodio simile era accaduto nel Manicomio Giudiziario di Pozzuoli nel 1974, quando Antonia Bernardini morì per le ustioni riportate dopo l'incendio che l'aveva avvolta nel letto di contenzione al quale era stata legata ininterrottamente per 43 giorni.
Il 4 agosto del 2009 Francesco Mastrogiovanni è morto per edema polmonare dopo 87 ore consecutive di contenzione nel reparto di psichiatria dell’Ospedale di Vallo della Lucania, provincia di Salerno. Era stato ricoverato in TSO, trattamento sanitario obbligatorio, senza rispettare le procedure previste dalla legge; sedato e legato con fascette ai polsi e alle caviglie, è rimasto senza mangiare, senza bere e senza nessuno che si preoccupasse di lui fino alla morte.

Nel caso Mastrogiovanni la Corte di Cassazione ha definito l’uso della contenzione meccanica un presidio restrittivo della libertà personale che non ha né una finalità curativa né produce l’effetto di migliorare le condizioni di salute del paziente. La contenzione non è un atto medico e non ha alcuna valenza terapeutica: è un evento violento e dannoso per la salute mentale e fisica di chi la subisce; offende la dignità delle persone e compromette gravemente la relazione terapeutica.

Purtroppo contenzione meccanica e farmacologica sono praticate diffusamente anche nelle strutture che ospitano persone anziane e/o non autosufficienti. In nessun caso la carenza di personale e di strutture può giustificare il ricorso a pratiche coercitive. Anche la logica dei “motivi di sicurezza”, dello “stato di necessità” o delle “persone aggressive” a cui sovente si fa appello nei reparti, deve essere respinta poiché fondata sul pregiudizio ancora diffuso della potenziale pericolosità della “pazzia”. Molti ritengono, per atteggiamento culturale o per formazione, che sia giustificabile sottoporre persone diagnosticate come “malate mentali” a mezzi coercitivi, che sia nell’ordine delle cose e corrisponda al loro stesso interesse. Chi condivide questa opinione non considera adeguatamente, sia in termini esistenziali che giuridici, il valore imprescindibile della libertà della persona, tanto più rilevante quanto più attinente a libertà minime, elementari e naturali, come la libertà di movimento.

Oltre al ricorso alla contenzione meccanica e farmacologica, continua ancora oggi a prevalere nei servizi psichiatrici un atteggiamento custodialistico e l’impiego sistematico di pratiche e dispositivi manicomiali: obbligo di cura, porte chiuse, grate alle finestre, sequestro dei beni personali, limitazione e controllo delle telefonate e di altre relazioni e abitudini.
Sappiamo inoltre, di numerose esperienze in Italia e all’estero dove viene evitata la contenzione. In solo 15 reparti italiani su 320 viene praticata la terapia no restraint, la contenzione è stata abolita e le porte sono aperte.

Ribadiamo la necessità di proibire, senza alcuna eccezione, la contenzione meccanica nelle istituzioni sanitarie, assistenziali e penitenziarie italiane.
Continueremo a lottare con forza contro ogni dispositivo manicomiale e coercitivo (obbligo di cura, trattamento sanitario obbligatorio, uso dell’elettroshock, contenzione meccanica, farmacologica e ambientale, ecc) e per il superamento e l’abolizione di ogni pratica lesiva della libertà personale.

Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud-Pisa
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via San Lorenzo 38 Pisa

domenica 16 maggio 2021

Livorno: lunedì 17 maggio alle ore 18 ASSEMBLEA PUBBLICA CON IL COLLETTIVO Antipsichiatrico Antonin Artaud

 a LIVORNO LUNEDì 17 MAGGIO ORE 18:00 c/o il Teatro Officina Refugio, scali del Refugio 8

ASSEMBLEA PUBBLICA CON IL COLLETTIVO Antipsichiatrico Antonin Artaud

Ospitiamo il Collettivo Antipsichiatria Antonin Artaud per una serata di sensibilizzazione e informazione sull'uso della contenzione meccanica negli ospedali.
Qualche settimana fa, infatti, proprio nella nostra città è morta una persona nel reparto di psichiatria, mentre era sottoposta a contenzione meccanica. Questa è solo l'ultima di una lunga serie di morti di Stato garantite dai metodi disumanizzanti attuati nei reparti psichiatrici: ricordiamo Elena Casetto, 19 anni, bruciata viva nel letto al quale era legata, Franco Mastrogiovanni, morto per edema polmonare dopo 87 ore consecutive di contenzione.
Sabato 29 maggio insieme al Collettivo Artaud faremo un volantinaggio presso l'ospedale di Livorno. Lunedì ci incontriamo c/o il Teatro Officina Refugio alle ore 18 per organizzarci e informare chiunque ha voglia di partecipare...

per info: https://www.facebook.com/events/200282138603434/
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TI RIFIUTI DI METTERE LA MASCHERINA IN CLASSE? TI FACCIO IL TSO!!

 Abbiamo appreso dai giornali che uno studente di 18 anni di Fano è stato ricoverato in Trattamento Sanitario Obbligatorio (TSO) perché non voleva indossare la mascherina in classe.
Siamo sconcertati e ci vergogniamo dell’operato delle Istituzioni. Davvero non si poteva agire diversamente? Bisognava proprio attuare un TSO?

Il dirigente scolastico dell’Istituto ha dichiarato che il ricovero coatto sarebbe stato fatto per fare riflettere e per educare il ragazzo che, a detta degli insegnanti, ha un ottimo rendimento scolastico ed è benvoluto dai compagni. Su cosa esattamente doveva riflettere? Sul fatto che pensarla in modo diverso sia una colpa? Usare il TSO per educare, ma si può parlare di educazione quando si sta obbligando una persona a ricoverarsi contro la sua volontà?

Non hanno capito che forse si trattava di una provocazione? Che forse il ragazzo era stanco di studiare e vivere così? Che forse voleva comunicare la sua difficoltà e lanciare un messaggio ai compagni? Come sempre è la persona che è malata e non si mette mai in discussione il contesto ma ci si affida alla psichiatria. Rivendicarsi di utilizzare il trattamento sanitario per reprimere, punire e rieducare chi ha comportamenti non adeguati e fuori dagli schemi ecco il vero scopo del potere psichiatrico e delle istituzioni che vi si affidano.

E il sindaco di Fano? Si giustifica dicendo che la firma del sindaco è soltanto un atto formale, ma ha verificato se sussistevano le 3 condizioni per attuare il TSO?
La legge 180/78 stabilisce che il trattamento sanitario obbligatorio deve essere disposto con provvedimento del Sindaco del Comune di residenza su proposta motivata da un medico e convalidata da uno psichiatra operante nella struttura sanitaria pubblica. Dopo aver firmato la richiesta di TSO, il Sindaco deve inviare il provvedimento e le certificazioni mediche al Giudice Tutelare operante sul territorio il quale deve notificare il provvedimento e decidere se convalidarlo o meno entro 48 ore.  Il TSO si può effettuare se si presentano contemporaneamente tre condizioni:
- quando la persona si trova in alterazione psichica tale da richiedere urgenti interventi terapeutici
- quando tali interventi terapeutici vengono rifiutati dalla persona
- quando tali interventi non si possono garantire nel proprio domicilio

Premesso che per noi il TSO andrebbe abolito, in questo caso non ci sembra pertinente e legittimo attuare un trattamento sanitario obbligatorio, sottrarre lo studente con un'ambulanza.

Se, in teoria, la legge prevede il ricovero coatto solo in casi limitati e dietro il rispetto rigoroso di alcune condizioni, la realtà testimoniata da chi la psichiatria la subisce è ben diversa. Con grande facilità le procedure giuridiche e mediche vengono aggirate: nella maggior parte dei casi i ricoveri coatti sono eseguiti senza rispettare le norme che li regolano e seguono il loro corso semplicemente per il fatto che quasi nessuno è a conoscenza delle normative e dei diritti del ricoverato.
Molto spesso prima arriva l' ambulanza per portare le persone in reparto psichiatrico (spdc) e poi viene fatto partire il provvedimento; accade anche che il paziente non viene informato di poter lasciare il reparto dopo lo scadere dei sette giorni ed è trattenuto inconsapevolmente in regime di TSV (Trattamento Sanitario Volontario). Persone che si recano in reparto in regime di TSV sono poi trattenute in TSO al momento in cui richiedono di andarsene. Diffusa è la pratica di far passare, tramite pressioni e ricatti, quelli che sarebbero ricoveri obbligati per ricoveri volontari: si spinge cioè l’individuo a ricoverarsi volontariamente minacciandolo di intervenire altrimenti con un TSO.

La vicenda di Fano crea un precedente preoccupante nell’uso della repressione come metodo educativo. Dato l’elevato numero di ricoveri coatti praticati ogni anno in Italia, non possiamo fare a meno di chiederci: appena un individuo si discosta da quella che i più definiscono normalità è a rischio TSO?

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La Valle Refrattaria: Tempi Moderni, Tempi Di Pandemia

https://lavallerefrattaria.noblogs.org

Ciò che – già prima della pandemia- si stava rivelando sempre più efficiente era ed è la struttura repressiva.
Innumerevoli gli atti volti a spegnere qualunque forma di dissenso sul nascere:
In primis la super diffusione della paura nella gente;
Le tecnologie militari come il teaser: considerato non letale e perciò spesso visto  sostituito ai richiami verbali. Nonostante siano molti i casi di morti successive ai forti shock;
Gente -pronta in qualsiasi momento!- a chiamare un autorità che intervenga per far rispettare il DECORO! Nel caso qualcun* esca dagli schemi e dagli standard di una normalità sempre più fumosa;
Paura e intolleranza diffusa tiene in piedi tutto ciò.
Psicofarmaci vengono assunti in forma privata, nelle carceri, nei cpr, nei cie,  rems, spdc, crt come non mai!
per sedare la gente e tenerla buona! Dove finisce l’essere umano?
Numerosi sono i casi di Trattamento Sanitario Obbligatorio, dove la leggenda dello psicoreato assume le sue sembianze complete nella realtà.
Se una persona soffre e magari arriva all’esaurimento nervoso è triste sapere che se non ha dietro una rete d’aiuto, conoscenze, amicizie sincere e persone solidali, può finire nei guai.
A chiunque può capitare un periodo difficile della vita. Per qualcun* se non ascoltat* può significare morte.
Reparti, carceri, cie fanno da anni vittime.
Tutt* possiamo avere dei problemi come tutt* purtroppo in una sventura possiamo subire l’abuso da parte della divisa e delle istituzioni.
 La rete capillare repressiva è riuscita ad arrivare a tutte le età, a trovare problemi che prima non venivano nemmeno considerati (vedi i disturbi dell’attenzione).
I numerosi ricorsi a misure speciali – tra gli ultimi casi la richiesta di sorveglianza speciale per Boba a Torino: gli inquirenti argomentano reputando inneggianti alla rivolta alcuni versi, citati da un personaggio del libro che avrebbe scritto “Io non sono come voi”.
Si criminalizza il pensiero e ciò è inquietante.
Per non trovarsi soli o sole ad affrontare questo presente è necessario e fondamentale crearsi appunto una rete di amicizie o collettivi che possa rimanere unita di fronte alle situazioni. Molto spesso, dove non ci sono testimonianze e solidarietà attiva, può finire veramente male per un individuo. Un clamoroso silenzio dona ancor più potere a queste lorde mani dominanti.
Gli esempi di abusi di potere purtroppo sono innumerevoli.
Nessun* deve più finire come Franco Mastrogiovanni, morto dopo un tso, nell’ignoranza e indifferenza, legato al letto. Come spesso accade in molti reparti dove vigono tutt’ora protocolli di contenzione meccanica al letto o l’elettroschock, ora chiamato “terapia elettroconvulsionante con pre sedazione”.
Come la sorte di Andrea Soldi, morto durante il procedimento di ricovero coatto in un parco di Torino, strozzato dai vigili urbani attivati dopo la segnalazione del padre alla mancata presenza al richiamo farmacologico perchè per far partire un tso basta una qualsiasi segnalazione)
Scegliamo veramente ciò che è meglio per noi, lottiamo senza cedere, stando attenti e critici con ciò che ci circonda.
Non sentiamoci intoccabili (non è così!)
facendo barricate
 contro il NULLA
-guidato dal soldo,
dal virtuale
e dai neurolettici-
che avanza…
Angelo

giovedì 6 maggio 2021

Intervista su Radio BlackOut al collettivo Artaud sulla contenzione

Sotto il link per ascoltare l’intervista fatta a Radio Blackout da Alberto del Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud in cui cerchiamo di osservare e analizzare le pratiche contenitive e deumanizzanti diffuse nelle istituzioni totali deputate alla gestione della sofferenza psichica.

https://radioblackout.org/podcast/antimafia-e-migranti-psichiatria-chile/

il collettivo Artaud

Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud

mercoledì 28 aprile 2021

Il paradigma non farmacologico in aumento per il trattamento delle “psicosi”

 Segnalato da Collettivo Artaud:
 

fonte:
https://mad-in-italy.com
Il paradigma non farmacologico in aumento per il trattamento delle “psicosi”

In questo video, Robert Whitaker esamina le evidenze scientifiche che richiedono un cambiamento radicale o un cambio di paradigma basato sull’evidenza nell’assistenza psichiatrica e descrive progetti pilota che raccontano un nuovo modo di affrontare la sofferenza psichica.

https://www.youtube.com/watch?v=2SGxEGOrno4

A partire dagli anni ’80, la nostra società ha organizzato il proprio pensiero e i propri sistemi di cura attorno a una narrazione del “modello di malattia” promosso dall’American Psychiatric Association e dall’industria farmaceutica (modello organicista o bio-medico).
Quella narrativa è crollata. . . le diagnosi nel DSM non sono state convalidate come reali malattie; il peso della “malattia mentale” nella nostra società è aumentato e c’è un crescente corpo di prove che racconta di come gli psicofarmaci, a lungo termine, aumentano la cronicità dei disturbi psichiatrici.
Il crollo di quel paradigma biologico od organicista offre un’opportunità per un cambiamento radicale.
In Norvegia, il ministero della salute ha ordinato che il trattamento “senza farmaci” sia messo a disposizione dei pazienti psichiatrici nelle strutture ospedaliere.
È stato aperto un ospedale privato in Norvegia che cerca di aiutare i pazienti cronici a ridurre gradualmente gli psicofarmaci o ad essere trattati senza il loro uso.
In Israele, sono sorte numerose case “Soteria”, che forniscono cure residenziali a pazienti psicotici e riducono al minimo l’uso di antipsicotici in tali contesti.
La ricerca su Hearing Voices Networks (Movimento degli uditori di voci) sta fornendo prove della loro “efficacia” nell’aiutare le persone a riprendersi.
Il trattamento di Dialogo aperto (Open dialogue), che è stato sviluppato nel nord della Finlandia e ha comportato la riduzione al minimo dell’uso di antipsicotici, è stato adottato in molti contesti negli Stati Uniti e all’estero”.

https://www.youtube.com/watch?v=2SGxEGOrno4