martedì 30 dicembre 2014

Resoconto di fine anno


Da un pò di tempo non scrivo più nulla su questo blog (ma questo non vuol dire rimanere inattivi, anzi...). Qualcuno me l'ha fatto notare e sinceramente mi ha fatto piacere. Innanzitutto perchè è sempre bello quando qualcuno nota la tua assenza. Ma si, ammettiamo pure quel pizzico di egocentrismo misto a narcisismo che bene o male caratterizza un pò tutti noi!
In secondo luogo, esser richiamata all'impegno mi riporta al contatto con gli altri, ad uscire da quel guscio che così spesso creiamo intorno a noi e che ogni giorno cementiamo con le nostre illusioni, paure e speranze. Purtroppo o per fortuna, "fuori" c'è il mondo, che tu lo voglia o meno. Ma non parlo della rete, del web: quello non è il mondo. Non è neppure "un mondo", ma un mezzo di comunicazione. Il problema nasce quando il mezzo di comunicazione diventa l'ambiente esclusivo in cui vivere, quando le ore di connessione (alla macchina, non alla persona) aumentano sempre più, esponenzialmente, e alla stessa velocità diminuiscono i contatti umani, quelli Veri.
Può sembrare un paradosso scrivere una premessa del genere in un blog, ma per noi questo è un mezzo. Le pagine web in cui anche quest'anno abbiamo riversato contenuti di vario tipo sono il mezzo di contatto con l'esterno, il nostro modo di fare informazione su un tema fondamentale, essenziale per l'autodifesa di ogni cittadino. Che la si chiami Anti-psichiatria, No psichiatria o psichiatria critica (Szasz preferiva questo termine), l'essenziale del nostro lavoro è contattare, informare e aiutare coloro che non riescono a districarsi in questo complicato labirinto medico-giudiziario-sociale-politico. Perchè non bisogna mai dimenticare che quando si parla di psichiatria non è solo l'ambito medico ad essere chiamato in causa.
Quest'anno abbiamo fatto molto. Dalle magliette alla distribuzione di materiale, dai concerti degli Ebola alle discussioni animate durante le feste. Lo sportello d'ascolto ha ricevuto svariate richieste, a volte anche dall'estero. Abbiamo risposto a tutti (a volte con un pò di ritardo!), forse non siamo stati utili a chiunque, ma ci siamo messi comunque in gioco con coerenza e partecipazione. Abbiamo risposto perfino a chi controlla il nostro operato e ci scrive fingendosi una vittima del sistema psichiatrico, in cerca di chissà quale prova di attività criminale (pensavate di passare inosservati, vero?): non abbiamo nulla da nascondere e ciò che facciamo rientra in una sana critica di quegli aspetti della società che ancora si basano sulla prevaricazione mascherata da cura medica.
Le quasi 14.000 visite ci spingono ad andare avanti per molto tempo ancora. Più forte dei numeri però è l'appoggio degli amici, in primis i Kalashnikov, che ammiriamo tanto per la musica quanto per la coerenza di pensiero. E dal loro ultimo split con i Contrasto ho voluto prendere la copertina e farne l'immagine di apertura di questo post. Possa essere un augurio di libertà per tutti coloro che visitano questo blog.

Veronika

domenica 28 dicembre 2014

Alda Merini

Nel centro del giardino c'era anche un'altra appendice dell'ospedale: il ricovero delle cavie, dove si facevano esperimenti sul cervello umano. Io mi sono addentrata in quel posto poche volte, quanto basta per provare un orrore incredibile. Bestie lobotomizzate, castrate e, dappertutto, un senso di innaturale forza malvagia, ridotta al massimo della sua violenza. Certe bestie, sotto i veleni delle medicine, avevano perso del tutto la loro identità. E dei gatti parevano tigri feroci, dei topolini erano presi da sindromi strane che li facevano girare su sé stessi senza posa alcuna né alcun senso di conservazione. L'uomo che dirigeva questo brutto traffico era un po' eguale alle sue bestie, pareva un lobotomizzato, unto e untuoso, cercava di arraffare qualche malata e portarla di sotto per "montarla", come diceva lui.
Alda Merini - L'Altra Verità, diario di una diversa
 

L’altra verità. Diario di una diversa

L’altra verità. Diario di una diversa

Un alternarsi di orrore e solitudine, di incapacità di comprendere e di essere compresi, in una narrazione che nonostante tutto è un inno alla vita e alla forza del "sentire".
Alda Merini (poetessa, aforista e scrittrice italiana) ripercorre il suo ricovero decennale in manicomio: il racconto della vita nella clinica psichiatrica, tra elettroshock e autentiche torture, libera lo sguardo della poetessa su questo inferno, come un'onda che alterna la lucidità all'incanto.
Un diario senza traccia di sentimentalismo o di facili condanne, in cui emerge lo "sperdimento", ma anche la sicurezza di sé e delle proprie emozioni in una sorta di innocenza primaria che tutto osserva e trasforma, senza mai disconoscere la malattia, o la fatica del non sentire i ritmi e i bisogni altrui, in una riflessione che si fa poesia, negli interrogativi e nei dubbi che divengono rime a lacerare il torpore, l'abitudine, l'indifferenza e la paura del mondo che c'è "fuori".

sabato 20 dicembre 2014

Tra realtà psichiatrica e carceraria: chiudere tutti gli OPG

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Di seguito una parte del documento diffuso dalla Rete Antipsichiatrica:
Il Manicomio Criminale come principale istituzione per l’esecuzione delle misure di sicurezza è stato introdotto nel 1876. Nel 1891 viene ridenominato Manicomio Giudiziario, pur rimanendo sostanzialmente invariato. Nel 1975, con la Legge n. 354, il Manicomio Giudiziario viene ridenominato Ospedale Psichiatrico Giudiziario (OPG), pur rimanendo sostanzialmente invariato come principale istituzione per l’esecuzione delle misure di sicurezza. In tutti questi anni, mentre l’OPG è rimasto cristallizzato nella sua forma fascista, con la legge 180/1978 gli Ospedali Psichiatrici vengono lentamente smantellati e sostituiti da una serie di istituzioni (ospedali, case famiglia, comunità, ecc.) ed il ricovero coatto viene regolamentato e ridefinito come Trattamento Sanitario Obbligatorio in reparto psichiatrico.
Allo stesso modo le carceri vengono formalmente coinvolte in un processo di apertura, che paradossalmente conduce ad un allargamento della popolazione carceraria tramite un più ampio e capillare sistema di controllo esterno al carcere. Con la legge Gozzini le carceri si aprono alla società e si instaurano una serie di misure alternative all’internamento.
Negli anni ’70-’80 una rivoluzione culturale antisegregazionista si afferma sul piano legislativo, ma nella realtà rimangono inalterati il pregiudizio di pericolosità sociale del malato mentale e lo stigma del recluso.
Nella proposta di superamento degli OPG, le REMS (Residenze per l’Esecuzione Misure Sicurezza) accoglieranno i folli rei (coloro che hanno compiuto un reato in stato di incapacità di intendere e di volere per infermità mentale, sono stati prosciolti ma internati perché ritenuti socialmente pericolosi) condannati alla misura di sicurezza; mentre i rei folli(coloro che hanno compiuto un reato, sono stati condannati ad una pena detentiva e, successivamente, in carcere sono stati riconosciuti socialmente pericolosi per infermità mentale) rimarranno all’interno delle carceri, trasformate in novelli OPG.
L’OPG viene quindi abolito, ma solo per creare all’interno del carcere strutture adeguate alla cura dei disturbi mentali, reparti psichiatrici interni all’istituto penitenziario, così da aumentare il ruolo della psichiatria in carcere senza modificare la situazione attuale.
Attualmente in Italia gli OPG presenti sono sei e si trovano ad Aversa, Napoli, Barcellona Pozzo di Gotto, Montelupo Fiorentino, Reggio Emilia, Castiglione delle Stiviere. Ad oggi, in questi veri e propri manicomi criminali, ci sono rinchiuse circa 850 persone.
Entrando nello specifico, il Decreto prevede l’eliminazione del cosiddetto ergastolo bianco, che consiste nell’indeterminatezza della durata dell’internamento.Nelle future REMS la durata della misura di sicurezza non potrà essere superiore a quella della pena carceraria corrispondente al medesimo reato compiuto: ci preoccupiamo, pertanto, del fatto che le persone che hanno già scontato in OPG tale pena non finiscano nelle REMS, ma vengano liberati subito e senza condizioni.Tuttavia la legge prevede, al momento della dimissione dagli OPG, percorsi e programmi terapeutico-riabilitativi individuali, predisposti dalle regioni attraverso i dipartimenti e i servizi di salute mentale delle proprie ASL.
Alla fine di tale percorso, qualora venga riscontrata una persistente pericolosità sociale, è comunque prevista la continuazione delle esecuzione della misura di sicurezza nelle REMS.
Tradotto significa l’inizio di un processo di reinserimento sociale infinito, promesso ma mai raggiunto, legato indissolubilmente a pratiche e sentieri coercitivi, obbligatori, contenitivi.
Noi crediamo, invece, nel bisogno e nella costituzione di reti sociali autogestite e di spazi sociali autonomi, in grado di garantire un sostegno materiale, una casa senza compromessi di invalidità, nonché un reddito e un lavoro non gestiti dai servizi socio-sanitari, bensì autonomamente dal soggetto.
Una rete in grado di riesumare e coltivare quel legame unico, antispecialistico e non orientato a una cura protocollare che, in nome della scienza, non lascia spazio all’uomo.
Chiudere i manicomi criminali senza cambiare la legge che li sostiene vuol dire creare nuove strutture, forse più accoglienti, ma all’interno delle quali finirebbero sempre rinchiuse persone giudicate incapaci d’ intendere e volere.
La questione, insomma, non può essere risolta con un tratto di penna, non è sufficiente stabilire che quello che è stato non deve più essere, e pensare che il problema si risolva da sé. È vero che per troppo tempo gli Opg sono stati un territorio dimenticato in cui ogni dignità e diritto sono annullatati ma ci sono da più di un secolo e mezzo e la legge che gli regola è del 1904.
Questa nuova legge , però, non soddisfa l’idea di un superamento di un sistema aberrante e coercitivo, infatti permangono misure di contenzione svilenti per l’individuo e trattamenti farmacologici troppo debilitanti e depersonalizzanti per poter essere definiti positivi per la persona.
Uno concreto percorso di superamento delle istituzioni totali passa necessariamente da uno sviluppo di una cultura non segregazionista, largamente diffusa, capace di praticare principi di libertà di solidarietà e di valorizzazione delle differenze umane contrapposti ai metodi repressivi e omologanti della psichiatria.

TRATTO DA: www.radioblackout.org

domenica 14 dicembre 2014

Colpevoli di essere donne


di Giorgio Antonucci


Il primo reparto di cui mi occupai al manicomio di Imola era il reparto 14, quello delle “agitate”. Le pazienti erano ridotte in pessime condizioni da anni di immobilità, imbottite di farmaci, abituate a convivere con la camicia di forza. Alcune di loro avevano subito lobotomie ed elettroshock, non possedevano vestiti propri, non avevano oggetti personali o armadi. La loro era una vita solo a livello biologico, erano completamente aboliti i rapporti con loro. Solo ordini e repressione. Passare i giorni legati al letto, imboccato ad attendere iniezioni non è vivere, ci si scorda anche che cosa significhi.Entrando dissi che avrei cambiato tutto. Che non ammettevo metodi repressivi e ho incominciato ad instaurare un rapporto diretto con ogni singola persona. Restando con le pazienti giorno e notte, in attesa che passassero paure e incubi per trovare il momento giusto per poter parlare con loro. Incominciai a distribuire abiti, oggetti personali ed armadietti. Col tempo, cambiando atteggiamento verso di loro sono cambiate anche loro, hanno incominciato a uscire, hanno ripreso a vivere.
Anche le cartelle cliniche non dicevano nulla di queste donne, c’erano dati generici, origine sociale (quasi tutte povere) e altri dettagli che non corrispondevano alla loro vita. Quando hanno incominciato a uscire dal reparto, camminando in giardino e poi in città, è incominciato il dialogo con loro e con i loro parenti.Ho conosciuto le loro storie e ho saputo che i problemi erano spesso legati alla sfera sessuale. C’era la giovane donna che prima del ricovero aveva ricevuto le “attenzioni particolari” di un padre o di un altro membro della famiglia, altre erano stato ricoverate a seguito di una gravidanza “indesiderata”. I ricoveri erano spesso utilizzati per eliminare una testimonianza, per coprire la famiglia. Mi accorsi che troppo spesso proprio l’essere donne era alla base del loro ricovero.

D’altra parte, il termine isterismo significa che “viene dall’utero”, e ai tempi di Freud si discuteva se l’isterismo era una malattia o una simulazione.
Emblematico è il caso di Dora, studiato da Freud nell’autunno del 1900. La ragazza, 18 anni figlia di un industriale di Vienna era stata sottoposta alle attenzioni di un amico del padre che pare cercasse di avere rapporti con lei. A seguito dei baci di quest’ultimo, la ragazza ebbe nausee e mal di testa. Disse che non voleva saperne nulla delle attenzioni dell’amico paterno, ma il padre l’accusò di essersi inventata tutto. Perché il padre aveva una relazione con la moglie dell’amico e, come capita spesso, le donne erano merce di scambio per il piacere degli uomini.
Alla fine dell’analisi, Freud stabilì che la ragazza era isterica. Dora aveva mal di testa perché si era sentita attratta dall’amico del padre e questo le aveva scatenato un forte senso di colpa.
In pratica, la solita vecchia storia. La donna vittima di abusi se li sarebbe cercati. Freud finì per considerare la cura di Dora un fallimento terapeutico, perché la ragazza abbandonò la cura. La donna è la vittima, ma ad essere giudicata malata, a dover essere curata è lei. Quante volte succede ancora oggi? Quante ragazze si ritrovano dallo psicologo dopo le pesanti avances di pessimi uomini che continuano a vantarsene al bar sotto casa?
D’altra parte, la donna è sempre stata considerata biologicamente inferiore nella nostra cultura. Anche per Freud la donna è un mistero, e già questo significa collocarla in una posizione inferiore. Perchè si intende dire che tra uomini ci si può capire, non con le donne. Questo ha tenuto le donne per decenni in una condizione di inferiorità, e non è semplice ribellarsi. Come gli operai che si sono rivolti al fascismo, alcune donne accettano questa condizione di inferiorità e si trovano ad essere d’accordo con chi le perseguita.
Ma chi accetta il punto di vista dei dominatori, purtroppo perpetua questo tipo di società.
La donna raramente viene vista nella sua autonomia, da sempre. La Madonna è importante in funzione di Gesù. Non è mai considerata come fine in sè. Sono pregiudizi radicati in tutte le religioni monoteiste, dove le donne sono sempre raccontate in funzione di altro. Soprattutto dei desideri dei maschi.
Giorgio Antonucci 
fonte : http://centro-relazioni-umane.antipsichiatria-bologna.net

sabato 6 dicembre 2014

PROFILO STORICO DEI MANICOMI GIUDIZIARI E DEGLI OSPEDALI PSICHIATRICI GIUDIZIARI D’ITALIA

a cura del Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud

opuscolo STORIA OPG

Con l’entrata in vigore della Costituzione della Repubblica Italiana e con le succssive riforme, si può genericamente affermare che oggi la concezione del manicomio è molto cambiata e almeno in parte sono stati superati i gravi problemi di amministrazione e gestione dell’ Italia prerepubblicana , derivanti soprattutto dall’affollamento degli istituti manicomiali, dalla mancanza di una legislazione unitaria, dalle precarie condizioni igienico-sanitarie degli istituti, dalle grandi disparità di trattamento ed organizzative tra i diversi manicomi, nonché dall’inadeguatezza della direzione.
Eppure gli opg in Italia continuano a funzionare.

L’istituzione totale è sopratutto un “muro”.
Con questo scritto ci siamo chiesti  quando e perchè fossero stati costruiti gli odierni
Manicomi Criminali.

per info e contatti:
Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud
via San Lorenzo 38 56100 Pisa
antipsichiatriapisa@inventati.org
www.artaudpisa.noblogs.org / 335 7002669

martedì 2 dicembre 2014

Che cos’è l’antipsichiatria, Storia della nascita del movimento di critica alla psichiatria – Francesco Codato


Antipsichiatria copertina (2)E se la malattia mentale non esistesse?
È una domanda che mi sono sentita rivolgere e che mi sono posta spesso durante il mio percorso di studi di Psicologia. Aiutare le persone, sì, ma come?
Si sta assistendo ad una crescente medicalizzazione della vita quotidiana. Alcune condizioni umane, un tempo ritenute normali, sono oggi considerate patologiche. L’argomento si fa ancora più spinoso se si osserva che i disturbi mentali hanno registrato un incredibile aumento negli ultimi decenni, inducendo non pochi sospetti rispetto ai criteri diagnostici utilizzati e rispetto ai modelli di cura proposti, influenzati da interessi sociali ed economici.
In un’epoca quindi in cui la società è sempre più medicalizzata e in cui la psichiatria, nell’intento di essere sempre più disciplina scientifica, tenta di ricondurre il disturbo mentale alla stregua di un’alterazione biologica, si può capire come parlare di antipsichiatria oggi non sia affatto semplice.
Questo libro di Francesco Codato propone un’interessante riflessione ripercorrendo e indagando le basi culturali del movimento antipsichiatrico per arrivare a comprendere il nostro presente. In questo libro filosofia e psichiatria sono affiancate e dialogano tra loro per comprendere e riportare il soggetto malato nella sua dimensione umana costringendoci ad interrogarci sul valore delle pratiche medico-psichiatriche.
Codato presenta le radici culturali che hanno posto le basi per la nascita e la diffusione del movimento antipsichiatrico. Il processo di medicalizzazione della società ha trovato terreno fertile durante l’Illuminismo quando gli stati di sofferenza e di salute mentale vengono ricondotti alla dimensione corporea e la società conferisce alla psichiatria il compito di separare ciò che è normale da ciò che è anormale, ciò che è sano da ciò che è malato. Vi è una continua de-personalizzazione, o de-soggettivizzazione, del soggetto che soffre. La persona separata dal mondo è un esule. È in questo panorama che si è sviluppata l’antipsichiatria.
Ridotta a poche parole la malattia mentale rappresenta la diversità, e la paura di questa diversità fa sì che la società si difenda alzando dei muri di protezione che discernono ciò che è normale e accettabile, da ciò che deve essere allontanato. […] cosa succederebbe se qualcuno insorgesse contro tale visione e cominciasse a sostenere che le condizioni organiche non sono l’unico fattore di causa della patologia mentale, e che in realtà l’aspetto culturale e sociale sia il mezzo primario che determina la nascita di tale patologia?
L’autore quindi ricostruisce la storia del movimento antipsichiatrico partendo dalle singole teorie di Cooper, Laing, Szasz, Basaglia e Antonucci, mostrando bene come, seppur condividesse la premessa teorica della sociogenicità delle malattie psichiche, lasciasse ampio spazio alle individualità dei suoi esponenti costituendosi come movimento non unitario, quanto piuttosto come una vivace e varia attività sia teorica che pratica-politica.
Francesco Codato ci prende per mano e ci accompagna lungo un viaggio che ha inizio analizzando le radici culturali dell’antipsichiatria e che si conclude con un’analisi della psichiatria odierna, facendoci rendere conto di quanto in un’epoca come questa ci sia la necessità di rievocare le idee antipsichiatriche per poter dare al malato l’ascolto, la comprensione e la cura di cui ha bisogno; per poter riconferire, in altre parole, la dignità che gli spetta.
“l’andamento psichiatrico contemporaneo porta con sé l’urgenza di una continua valutazione del suo operato e di un continuo confronto che ricordi a tutti che i malati mentali sono primariamente degli uomini e che la pazzia costituisce un campo difficile di analisi, che non può prescindere dalle valutazioni e dalle esigenze etiche di una data società.”
Un libro che non rappresenta solo una memoria storica dell’antipsichiatria, ma ne mostra l’applicabilità nel contesto psichiatrico di oggi.
“La speranza è che, in un futuro non troppo lontano, parlare di antipsichiatria divenga una situazione totalmente inutile, poiché questo vorrebbe dire che psichiatria e antipsichiatria si saranno fuse in un’unica dimensione che permetterà un contatto autentico e di reale aiuto a chi soffre di una patologia mentale. “
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Francesco Codato
Francesco Codato collabora alla cattedra di Bioetica, di Etica sociale e Bioetica presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia, università presso la quale sta svolgendo un dottorato in filosofia. I suoi interessi di ricerca ruotano attorno alla bioetica e alla filosofia della medicina, con particolare riferimento alla relazione tra etica e cure psichiatriche. Ha svolto periodi di studio e ricerca presso l’Université Paris-Sorbonne e presso il CNRS (Centro nazionale di ricerca scientifica francese). È autore delle opere: Follia, potere e istituzione: genesi del pensiero di Franco Basaglia (2010), Figli di Prometeo: etica della responsabilità e ricerca scientifica (2012), Che cos’è l’antipsichiatria? Storia della nascita del movimento di critica alla psichiatria (2013), Thomas Szasz. La critica psichiatrica come forma bioetica (2013), Che cos’è la malattia mentale. Una prospettiva interdisciplinare (in uscita a dicembre).

Giordana De Anna
tratto da www.lachiavedisophia.com

sabato 22 novembre 2014

PERUGIA SAB 29 NOVEMBRE: presentazioni di "ELETTROSHOCK" e di "MEDICI SENZA CAMICE"


PERUGIA
SABATO 29 NOVEMBRE

c/o il Circolo Island in via Magno Magnini 
alle ore 17 la presentazione di 2 libri:

"MEDICI SENZA CAMICE. Pazienti senza pigiama"
socioanalisi narrativa dell'istituzione medica.
Autori vari
Edizioni Sensibili Alle Foglie

"ELETTROSHOCK"
La storia delle terapie elettroconvulsive e i racconti di chi le ha vissute."
a cura del Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud
Edizioni Sensibili Alle Foglie.
   
 A seguire dibattito con gli autori e Nicola Valentino di Sensibili alle Foglie e l'Associazione InclusoMe.

ore 20 cena vegana di autofinanziamento.

per info:
inclusome@yahoo.it
antipsichiatriapisa@inventati.org
www.artaudpisa.noblogs.org

giovedì 20 novembre 2014

PERUGIA: SAB 29 NOVEMBRE: presentazioni di "ELETTROSHOCK" e di "MEDICI SENZA CAMICE"


PERUGIA SABATO 29 NOVEMBRE

c/o il Circolo Island in via Magno Magnini 
alle ore 17 la presentazione di 2 libri:

"MEDICI SENZA CAMICE. Pazienti senza pigiama"
socioanalisi narrativa dell'istituzione medica.
Autori vari
Edizioni Sensibili Alle Foglie
Questo libro è il frutto di un cantiere di socioanalisi narrativa voluto da un gruppo
di studenti di medicina e di medici specializzandi per indagare e raccontare i limiti
dell'istituzione medica. .La raccolta narrativa e la riflessione collettiva hanno individuato
due grandi aree tematiche: i dispositivi della formazione medica e la forma istituita della
relazione medico-paziente. Ci si è soffermati perciò sulle modalità della formazione dei
medici al loro ruolo e all'identità di gruppo e ci si è interrogati sulla costruzione del paziente
come oggetto passivo, osservando come questa modalità relazionale sia fonte
di un malessere aggiuntivo per la persona ammalata. I partecipanti al cantiere, infine, hanno
provato a immaginare parole nuove e momenti formativi autogestiti, orientati a relazioni di
cura rispettose, paritarie e non passivizzanti. Relazioni che vedano protagonisti
medici senza camice e pazienti senza pigiama.

"ELETTROSHOCK"
La storia delle terapie elettroconvulsive e i racconti di chi le ha vissute."
a cura del Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud
Edizioni Sensibili Alle Foglie.
Questo libro propone un viaggio nella storia delle shock terapie, che precedono
e accompagnano l'applicazione della corrente elettrica al cervello degli esseri umani,
per provocare uno shock, ritenuto appunto "terapeutico". Il collettivo antipsichiatrico
Antonin Artaud documenta come l'elettroshock non sia un metodo desueto, ma come
esso continui ad essere utilizzato anche in Italia, dove lo si pratica in più di novanta
strutture pubbliche e private. Per sfatare il mito che le shock terapie, comprese quelle
elettroconvulsive, siano barbarie di altri tempi, gli autori propongono le testimonianze
di persone in carne ed ossa, vive e vegete, che sono state sottoposte all'elettroshock.
Inoltre ci informano che viviamo in un Paese nel quale vietare queste pratiche è stato
dichiarato incostituzionale. Questo lavoro vuole essere uno strumento per ampliare la
riflessione e il confronto sul delicato tema dei metodi terapeutici ai quali le persone,
soprattutto quelle vittime di etichette psichiatriche, vengono costrette, il più delle volte
senza esserne nemmeno informate.


A seguire dibattito con gli autori e Nicola Valentino di Sensibili alle Foglie
che ha curato le edizioni e l'Associazione InclusoMe.

ore 20 cena vegana di autofinanziamento.


Indicazioni stradali:

In auto:
Sia da nord che da sud
E45 Uscita Madonna Alta seguire direzione Stadio Renato Curi
proseguire per via Cortonese al semaforo andare a destra,
prima uscita della rotonda la prima strada in salita sulla sx è l'ingresso
del parcheggio del Circolo Island.
in alternativa parcheggiare la macchina nel parcheggio
antistante lo stadio e prendere il minimetrò.
Scendere alla stazione Madonna Alta.

Per chi viene in treno:
c'è la stazione del minimetrò vicinisssima.
 
per info:inclusome@yahoo.it
antipsichiatriapisa@inventati.org
www.artaudpisa.noblogs.org

mercoledì 19 novembre 2014

Contesto culturale

Breve estratto da una tesi di prossima pubblicazione.



La parzialità della visione psichiatrica viene messa in scacco dalla dipendenza culturale mostrata dalla diagnosi. Non è comprensibile infatti come uno sciamano africano e uno psicotico europeo, pur possedendo metaforicamente gli stessi sintomi (deliri, allucinazioni), vengano trattati in modo così diametralmente opposto dalle culture di appartenenza. Se lo sciamano è una figura di tutto rispetto al vertice della gerarchia di una qualsiasi tribù africana (poniamo ad esempio i Vatussi), l’individuo visionario e delirante che vive nelle nostre città è un cliente fisso dei CPS o del reparto di psichiatria, impegnati costantemente a monitorare quantità e qualità delle sue allucinazioni. Se la psichiatria vuole essere considerata una scienza medica, le sue diagnosi non dovrebbero essere così influenzate dalla comunità di appartenenza e dal pensiero corrente. Qualsiasi altro paragone con qualsiasi altra branca della medicina non regge e non può reggere il confronto. Ad esempio, un’insufficienza cardiaca è tale in qualsiasi contesto culturale; aver mangiato sano e condotto una regolare attività fisica può fare la differenza e ciò dipende dalla cultura di appartenenza, ma un infarto è tale in qualsiasi parte del mondo. Il richiamo costante alla neurologia, alle immagini diagnostiche di ultima generazione o al patrimonio genetico non risolvono la questione, sempre aperta, di una scienza medica costantemente impegnata nella ricerca di correlati biologici che dopo secoli di storia tardano ancora ad arrivare. Un imbarazzante segreto spesso ben celato dai discorsi degli psichiatri e dalla loro aura ammantata dall’ autorevolezza del camice bianco.  

Veronika

sabato 15 novembre 2014

Cie di Ponte Galeria: il medico e le iniezioni forzate di psicofarmaci


pgDue giorni fa un recluso del Centro d’identificazione ed espulsione di Ponte Galeria, davanti ad insulti e privazioni da parte del personale in servizio, ha scelto di rispondere verbalmente ai soprusi.
Polizia e carabinieri si sono quindi scatenati con un pestaggio in piena regola, così come raccontano gli altri reclusi presenti.
Il ragazzo è stato successivamente condotto in una cella separata dalle altre, in una sezione del lager lontana sia da quella maschile che da quella femminile.
Ciò che è avvenuto in questi due giorni d’isolamento è lontano dalla sua memoria; gli altri reclusi raccontano che dopo un’iniezione di psicofarmaci non ricorda nulla e lo descrivono come una persona ad oggi distrutta.
Sembra anche ricorrente la minaccia di iniezioni di psicofarmaci in occasione dei momenti di rabbia dei ragazzi rinchiusi nel campo d’internamento etnico alle porte di Roma.
Impossibile non ricordare un precedente episodio avvenuto nel maggio del 2013, quando un recluso, in seguito ad una puntura del medico in servizio, aveva iniziato a gonfiarsi, ad avere difficoltà respiratorie ed essere privo di ogni forza tanto da non riuscire ad alzarsi dal letto per giorni.
Questo episodio venne alla luce solo grazie ad una protesta messa in campo dai reclusi della sezione maschile che culminò con uno sciopero della fame compatto.
Dopo qualche giorno i media di regime celebrarono con la direzione del centro, affidata alla cooperativa Auxilium, le scuse da parte del medico in servizio nei confronti del ragazzo che ancora versava in pessime condizioni. Per mettere a tacere tutto, la direzione dichiarò anche un cambio di guardia del suddetto.
Le pratiche d’oppressione non sono cambiate, frutto di una lunga tradizione o degli stessi aguzzini in servizio.

martedì 11 novembre 2014

INTERVISTA AD ANTONUCCI

  tratto da http://kalashnikov-collective.blogspot.it/

[We talk about...antipsychiatry!]
Il pensiero antipsichiatrico di Giorgio Antonucci, un'intervista a cura di Rapa Viola, Camap e Kalashnikov collective (27 luglio 2014, Firenze)
[Sarta] “Lo scorso luglio ricevetti una chiamata sul cellulare: era Dani, voce degli Ebola nonché agitatore del Collettivo Antipsichiatrico Camuno (Camap), che mi disse di avere la possibilità di intervistare il noto medico e psicanalista Giorgio Antonucci, uno dei più importanti punti di riferimento per il movimento antipsichiatrico in Italia. Uh, bene! L'idea era di andare tutti a Firenze, fare questa chiacchierata con il Nostro e poi rovesciarsi tutti a Villa Panico (il celebre ex-manicomio ora occupato dai punx) per fare un concertone a tema antipsichiatrico e festeggiare tutti insieme. La proposta era ovviamente estremamente allettante, tuttavia avevamo già fissato per quel sabato un concerto a Carrara in un circolo di compagni anarchici, una di quelle situazioni un po' vetero che ci piacciono tanto. Che fare quindi? Ci pensa Peppus, il membro-ombra del nostro collettivo, che si aggrega all'allegra comitiva e porta a compimento la missione!
Il risultato di tutto ciò lo potete vedere qui sotto: una lunga chiacchierata di circa 40 minuti, dove Antonucci spazia in maniera estremamente lucida dai fondamenti della psichiatria (una disciplina che “si occupa del dissenso” e che non ha nulla a che vedere con “la scienza medica” ma si basa sul “giudizio del pensiero altrui”), alla critica di alcuni dei più importanti pensatori antipsichiatrici (da Thomas Szasz a Edelweiss Cotti, passando per l'analisi dei sociopoteri di Michel Foucault) fino all'interessante racconto di alcuni episodi della sua carriera professionale, che ben delineano il carattere aleatorio e repressivo della cosiddetta “scienza” psichiatrica. Dalla storia della suora rinchiusa in manicomio e sottoposta all'elettroshock perché, stanca di “essere sposa di Cristo”, voleva sposarsi sul serio, fino al crudo racconto delle più minuziose e terribili torture praticate sui “pazienti”, Antonucci disvela con estrema chiarezza il vero volto di questa pseudo-disciplina: lo stesso Sigmund Freud, eccellente neurologo prima di diventare il padre della psicanalisi, sostenne che per andare oltre occorreva diventare “biografi”, ovvero capire le singole storie delle persone per comprenderne i comportamenti. Da questo punto di vista, psicofarmaci, manicomi e lettini di contenzione non sono altro che strumenti repressivi di annichilimento degli individui che nulla hanno a che vedere con la cura e la scienza medica ma solo con la repressione e il controllo sociale: “se si è disposti ad ascoltare gli altri, non crollano solo i manicomi ma tutto il castello della psichiatria”. Nel ringraziare Rapa Viola, il Camap nonché Marky per le riprese, vi auguriamo buona visione!".

 

Bibliografia essenziale degli scritti di Giorgio Antonucci:
I pregiudizi e la conoscenza. Critica alla psichiatria (Cooperativa Apache, 1986)
Il pregiudizio psichiatrico (Eleuthera, 1989 e 1998)
La nave del paradiso (Spirali, 1990)
Aggressività. Composizione in tre tempi
in Uomini e lupi (Eleuthera, 1990)
Critica al giudizio psichiatrico (Sensibili alle foglie, 1993 e 2005)
Contrappunti (Sensibili alle foglie, 1994)
Il giudice e lo psichiatra in Delitto e castigo (Eleuthera, 1994)
Il Telefono Viola, insieme con Alessio Coppola (Eleuthera, 1995)
Pensieri sul suicidio (Eleuthera, 1996)
Le lezioni della mia vita. La medicina, la psichiatria, le istituzioni (Spirali, 1999)
Diario dal manicomio. Ricordi e pensieri (Spirali, 2006)

Altri testi di riferimento sul tema dell'antipsichiatria:
Thomas Szasz, Il mito della droga. La persecuzione rituale delle droghe, dei drogati e degli spacciatori (Feltrinelli, 1997)
Thomas Szasz, Il mito della malattia mentale (Spirali,2003)
Edelweiss Cotti, Roberto Vigevani, Contro la psichiatria (La Nuova Italia, 1970)
Franco Basaglia (a cura di), Che cos'è la psichiatria? (Dalai, 1997)
Franco Basaglia (a cura di), L'istituzione negata (Baldini e Castoldi, 2014)
Franco Basaglia, Conferenze Brasiliane (Raffaello Cortina, 2000)

martedì 4 novembre 2014

SABATO 8 NOVEMBRE


SABATO 8 NOVEMBRE
ORE 17:00
PSICHIATRIA: QUANDO LA VIOLENZA DIVENTA TERAPIA

Aperitivo benefit per Rapaviola e discussione: Carcere, Opg, Repressione, Psichiatria e Genere, Verso la Primavera.


Per contrastare ribelli e rivoluzionari un metodo migliore del carcere, è il manicomio. La prigione può creare un martire e rilanciare la lotta, la psichiatrizzazione riduce all'impotenza: "i martiri sono venerati. Dei matti si ride: e un uomo ridicolo non è mai pericoloso". (Lombroso)


per maggiori informazioni:
rosanera@autistici.org
rosanera.noblogs.org

Spazio Anarchico Occupato "Rosa Nera"
Via Ravenna 40, Quartiere Corvetto, Milano
Metro Gialla (M3) Fermata Corvetto - Bus 77-84-93-95

mercoledì 29 ottobre 2014

Antonin Artaud - Lettera ai primari dei manicomi

[...] Non staremo qui a sollevare la questione degli internamenti arbitrari, per evitarvi il penoso compito di
frettolosi disconoscimenti. Noi affermiamo che un numero dei vostri ricoverati, perfettamente pazzi secondo la definizione ufficiale, sono anch’essi internati arbitrariamente. Non ammettiamo che si interferisca con il libero sviluppo di un delirio, altrettanto legittimo, altrettanto logico, che qualsiasi altra successione di idee o di azioni umane. La repressione delle reazioni antisociali è, per principio, tanto chimerica quanto inaccettabile. Tutti gli atti individuali
sono antisociali. I folli sono per eccellenza le vittime individuali della dittatura sociale; in nome di questa individualità, che appartiene all’uomo, noi reclamiamo la liberazione di questi prigionieri, forzati della sensibilità perché è pur vero che non è nel potere delle leggi di rinchiudere tutti gli uomini che pensano e agiscono.
Senza insistere sul carattere perfettamente geniale delle manifestazioni di certi folli, nella misura in cui siamo
in grado di apprezzarle, affermiamo l’assoluta legittimità della loro concezione della realtà, e di tutte le azioni
che da essa derivano. Possiate ricordarvene domattina, all’ora in cui visitate, quando tenterete, senza
conoscerne il lessico, di discorrere con questi uomini, sui quali – dovete riconoscerlo – non avete altro
vantaggio che quello della forza. [...]


Info, approfondimenti: http://biografieonline.it/biografia.htm?BioID=3315&biografia=Antonin+Artaud

lunedì 27 ottobre 2014

Gioco d'azzardo patologico

Riporto un articolo scritto dal Professor Barbetta e apparso su DoppioZero.
Buona lettura!

Veronika

Gioco d'azzardo patologico
Pietro Barbetta


Il canto delle sirene costringe Ulisse a farsi legare, lo ascolta senza esserne inghiottito. Gli antichi conoscevano i pericoli dell'Aion, l’istante eterno. Finché si tratta di un fanciullo che gioca questa temporalità è necessaria e benevola, avviene dentro il legame, è un tempo circoscritto dai codici della flessibilità materna. Fuori dalla relazione, resistere alla potenza dell’Aion necessita ben altri legami, perciò l'uomo dalle personalità multiple – polytropos – si fa legare al palo con robuste corde. Vuole ascoltare senza perdere il principium individuationis. Nelle sale da gioco non ci sono orologi.

Personalità multipla è diagnosi caduta in disuso. Diffusa negli anni Novanta indicava la presenza di un disturbo mnesico importante: “A tratti, non ricordo più chi sono, sono altro”. Una donna rientra a casa con la borsa piena di pezzi di parmigiano e borsellini altrui, a volte è fermata dalla polizia che l’accusa di furto. Poi il ricovero psichiatrico. Quando la incontro mi rendo conto che fissarle il prossimo appuntamento sarà un problema. Il dionisiaco – perdita della memoria identitaria – ha bisogno dell'apollineo – il racconto; il fanciullo che gioca desidera ascoltare la voce materna che lo richiama e lo accoglie, esperienza fatica.

Il gioco d'azzardo è l’evento contemporaneo delle sirene, chi ode quei suoni è perduto, affoga prigioniero delle acque di un acquario; luci artificiali, vetri bruniti, senza richiamo alla realtà. Si dice che il problema è individuale, che si tratta di guarire la patologia individuale. Probabile che tra le ragioni del declino della personalità multipla nel nostro tempo ci sia una diffusione così capillare del fenomeno da renderlo normale: giochi finanziari, d'azzardo, giochi cibernetici, gente che non dorme la notte perché deve vendere le vacche nella fattoria virtuale, che non lavora più perché deve chattare, che si fa curare con un ansiolitico che ti fa temporaneamente scordare le vacche da vendere. Avere personalità multiple è diventato normale. È normale perdersi dietro le sirene, dimenticare il mondo. In questo clima culturale è normale perseguire il fine di mangiarsi fuori tutto, riscattare la miseria dell'anonimato per avere in cambio l’illusione di emergere dalla folla solitaria. Il mondo è in fase di dissociazione.

Quando ero in prima elementare, il primo giorno di scuola, davanti al ritratto di Gronchi, ci regalarono un salvadanaio a forma di libro, iniziativa della banca locale, forse anche questo era gioco d'azzardo. Ci spiegarono come la virtù principale del popolo italiano fosse il risparmio; scuola elementare di provincia, come vivere in un film di Pupi Avati. Quel tipo di cultura, crescendo, ci apparve meschina, egoista, familista. Contestavamo la normalità. Quel che non sapevamo era che quella condizione era del tutto eccezionale, si era nel bel mezzo di una pace perpetua che sarebbe finita precocemente. Negli stessi anni la dissipazione si stava manifestando dove lo spirito puritano del capitalismo si dissolveva.

 Secondo i dati forniti dai burocrati, i giocatori d'azzardo patologici sarebbero uguali al numero dei pazienti in cura per gioco d'azzardo patologico. Il presupposto di questi dati è che il gioco d'azzardo sia attività normale, come leggere libri, andare al cinema, bere il caffè, fare una passeggiata in montagna. Per ognuna di queste attività ci si può ammalare, se si leggono troppi libri si diventa miopi e si consulta l'oculista, se si va troppo al cine può venire il mal di schiena e si va dall'ortopedico, ecc. Invero la cura funzionale del gioco d'azzardo è funzionale alla ripetizione del gioco d'azzardo, funziona in questo senso. Senza starci su troppo a pensare, l'esperto di gioco d'azzardo patologico è chi cura, senza cultura, il gioco d'azzardo patologico. Serie di tautologie burocratiche.

Ancor più interessante è il fenomeno educativo. La playstation è entrata nelle scuole sotto le spoglie di tablet distribuiti a piene mani con i soldi trattenuti, da anni, agli insegnanti. Secondo questa prospettiva, gli insegnanti sono diventati obsoleti. La società futura, che è già qui, può farne a meno. Può fare a meno dell'altro, della famiglia, della scuola, della comunità, della società, della vita. Si impara da soli, con un tablet in mano, si produce da soli, con il tablet, si gioca nello stesso modo. S'ingurgita cibo ordinato con il tablet al supermarket, si fa sesso chattando, ci si può sottoporre persino a una visita medica o a una seduta psicoterapeutica col tablet, le uniche azioni irriducibili al tablet sono rimaste i bisogni corporali. Forse il momento della liberazione verrà quando useremo il tablet come latrina.

L'analisi del gioco d'azzardo è una delle chiavi maestre per comprendere le derive di questa vita offesa, senza minima moralia. Il tema va affrontato in modo interdisciplinare – termine, interdisciplinare, che indica una vecchia pratica di riflessione desueta. Da qualche tempo la disciplina si è sostituita al confronto. La disciplina di curare i giocatori d'azzardo patologici, di guarirli con tecniche behavioriste, sposta la sintomatologia verso altre patologie, oppure produce miglioramenti temporanei seguiti da ricadute maggiori, è del tutto funzionale all'industria del gioco d'azzardo, si tratta di sportelli rotanti, dentro-fuori. Si possono inventare nuovi farmaci per la cura del gioco d’azzardo, le compagnie farmaceutiche investirebbero nell’acquisto di sale da gioco.

Che il gioco d’azzardo stia diventando un fenomeno devastante lo testimoniano numerose iniziative: Venerdì 26 settembre mattina, in Piazza San Fedele, a Milano, ad Aggiornamenti Sociali, si è svolto un convegno sul gioco d'azzardo. Sono intervenuti Marco Dotti, Paolo Foglizzo, Luca Sossella (l’editore che sta pubblicando Natasha Schüll Addiction by Deisgn. Machine Gambling in Las Vegas) e tanti altri studiosi e critici. Il colloquio si è sviluppato intorno a diversi temi, dall’analisi critica dei dati pubblici, con Marcello Esposito, alle devastanti implicazioni finanziarie, con Luigino Bruni, fino al degrado culturale implicato dalla diffusione di macchine slot nei bar, nelle tabaccherie, dalla diffusione di sale gioco, dalla comicità delle norme sulla distanza dai punti sensibili, fino a quanto scritto sopra intorno all’idea che non esista gioco d’azzardo patologico, ma solo giocatori patologici. È stato pure annunciato che l'Università di Bergamo aprirà, l'anno prossimo, un corso sulle patologie del gioco d'azzardo e non un corso per guarire i giocatori d'azzardo patologici, per chi vuole approfondire l’argomento. Per queste attività accademiche non si guadagnano punti sulle riviste indicizzate, altra forma del gioco d’azzardo legalizzato.

lunedì 20 ottobre 2014

L'unicorno


Un mattino, un uomo annuncia a sua moglie che c'è un unicorno in giardino. Lei risponde: Sei un allocco,
e ti farò mettere in una gabbia per allocchi. I1 marito, al quale non erano mai
piaciute le parole 'allocco' e 'gabbia per allocchi,' dice: 'Vedremo.' La moglie manda
a chiamare la polizia e lo psichiatra. Costoro arrivano. Lei racconta loro la sua storia.
'Ha detto a sua moglie di aver visto un unicorno?' chiedono al marito. Naturalmente
non l'ho visto,' rispose il marito. 'L'unicorno è un animale mitico.' 'E tutto ciò che volevo
sapere' disse lo psichiatra ... Cosi la portarono via la moglie, che dava in urIa
e maledizioni, e la rinchiusero in un istituto. I1 marito da allora visse per sempre felice.

James Thurber "A unicorn in the garden"


Veronika

mercoledì 15 ottobre 2014

LE CASE FARMACEUTICHE SONO I CATTIVI.

(Articolo tratto dalla rivista Nihilismi curata e redatta da Valeria Disagio, cantante del Kalashnikov Collective ; da sempre i Kalashnikov si sono mostrati attivamente vicini alle tematiche antipsichiatriche con intenti di carattere controinformativo. Non a caso sul loro blog è presente un link tematiche che tratta tale tema con materiale scaricabile, recensioni, articoli, recensioni etc. Siamo ben felici di pubblicare contributi come questo e speriamo di riceverne ancora in futuro.
Per un approfondimento della rivista vi invitiamo a scaricarla da questo link: http://www.mediafire.com/view/48iknnxm2lvozu6/Nihilismi.n.1.pdf)

LE CASE FARMACEUTICHE SONO I CATTIVI (a cura di Pilade Fioravanti)
Indifendibili, è arcinoto, da svariati decenni incarnano alla perfezione tutti gli elementi negativi associati alle corporation. Come entità singole o come cartello (la famigerata Big Pharma), nel generale come nel particolare.
Peggio anche delle lobby di tabacco, armi e tonno in scatola, dato che il meccanismo del profitto è leggermente più astruso e, sulla carta, infinitamente più truce (anche se un filo più articolato dell’assioma canonico +malati+soldi).
Dalla creazione della gnugna alle varie porcate in Africa, materiale ce n’è.
Materiale che non troverete certo qui, è ovvio: la sede e gli spazi non sono adatti per uno storico dettagliato delle zozzerie compiute dalle case farmaceutiche, oltretutto non ho proprio voglia di imbarcarmi in una ricerca così titanica e il cecchino corporativo appostato sul tetto di fronte mi fa cenno di no quindi no, mi dispiace.
Poi si dovrebbero scremare le cazzate, e il mare magnum delle dietrologie e dei complottismi nel quale è inevitabile incappare in questa stronza contingenza storica è un forte deterrente.
Al limite c’è wikipedia (con Hrundi Bakshi che ringrazia in alto, namaste fratello), o un film non brutto come ‘The constant gardener’ (che vale più per le suggestioni, in realtà, ma quando è uscito molti papaveri di Big Pharma si erano già nascosti sotto il tavolo con uno scolapasta in testa, a titolo preventivo). No, qui si parla in modo parziale, impreciso e tendenzioso, senza alcuna competenza specifica. That’s the way I like it.
Superata la premessa metodologica, ecco il piatto forte – fortissimo cazzo, non sto più nella patta:
Un aspetto interessante e relativamente poco noto (ma non aspettatevi una verità inedita: con quello che avete pagato questo giornale ci mancherebbe pure) è quello del disease- mongering.
Che è poi, come dice la definizione, la commercializzazione delle malattie.
In soldoni: una casa farmaceutica ha lì un farmaco che vuole piazzare, per una patologia più o meno inesistente. Non proprio inesistente, dato che a monte c’è un’accurata osservazione di quelle che possono essere le ‘aree di interesse’, ovvero aspetti della salute ai quali le persone badano di più rispetto a prima: non esistono vere e proprie malattie ma si registra un incremento nel numero di disturbi, veri o presunti (presunti non nel senso che non fa male davvero, ma nel senso che forse non sono imputabili a quello), legati a quegli aspetti. C’è un margine, insomma. Per esempio – e la natura dell’esempio è piuttosto calzante – le varie magagne intestinali.
Siamo più nutriti, sedentari e piagnoni che prima: il cambiamento progressivo dello stile di vita ha fatto sì che i nostri pancini dessero più problemi. O forse no, ma siamo più ricchi e più mezzeseghe. L’inarrestabile tendenza a focalizzarci sul nostro ombelico ci porta spesso a riflettere su quello che c’è dietro (dietrologia+gastroenterologia =
robba forte), e dunque ci facciamo più caso rispetto a prima, quando toccava scendere in miniera all’alba per sfamare i nostri dodici figli e le nostri mogli quindicenni e di tempo per queste fregnacce proprio non ce n’era (e, per inciso, la gente non andava dal medico per un cagotto o per la mancata evacuazione, I suppose, ma forse sono un romantico passatista).
Allora la casa farmaceutica ti mette lì un nuovo prodotto, innovativo as fuck, e che cosa faccia questo mirabolante prodotto non è neanche così importante (mi avete preso per un foglietto illustrativo?): la questione è, a questo punto, inventarsi la patologia di riferimento. Ma non si può dire che la si sta inventando, la parola chiave è SENSIBILIZZARE (questa malattia c’è da una vita e miete più vittime dello scolo, come avete fatto a non accorgervene prima, babbi?).
Il procedimento è ben rodato. Si prendono un bel po’ di medici e li si invita ad un fondamentale convegno su un disturbo relativamente nuovo, la cui diffusione è in preoccupante crescita: la SINDROME DELL’INTESTINO IRRITABILE (in inglese IBS, che nei paesi sassoni se non hai un acronimo ma dove cazzo vai).
 Ovviamente, quelli sono gente studiata, quindi il convegno deve presentare qualche autentico elemento di interesse, qualche effettiva evidenza scientifica. E quali posti migliori per osservare le evidenze scientifiche, per esempio, delle isole tropicali (lo sapeva anche Darwin) o gli atolli corallini? Location comunque di pregio, dove il gotha della medicina mondiale non abbia nulla che lo distolga da un’accurata disamina di questa nuova, insidiosa sindrome - a parte il windsurf, lo snorkeling, i buffet e i cocktail con l’ombrellino.
Non è che sia corruzione – jeez, solo un pezzente in malafede la definirebbe corruzione - è una questione di stile, modi. Non è che puoi fare il convegno in una pensione al Lido degli Scacchi, con il catering a base di salama da sugo, nemmeno quello sull’unghia incarnita, perché i luminari (i cosiddetti KOL – Key Opinion Leader, quelli che rappresentano la scena insomma) non ci vengono mica.
And that’s the point.
La comunità scientifica è stata ora ‘sensibilizzata’, il materiale emerso nel corso del convegno (durante il quale un buon numero di cocktail con gli ombrellini sono andati anche ai più puri rappresentanti dei media) è stato diffuso, non resta che inondare di soldi un po’ di altra gente, mettere in piedi uno studio clinico e aspettare che il farmaco compaia sui migliori banchi del regno (augurandosi che, nel corso dello studio, qualche stronzo cagone non abbia il cattivo gusto di schiattarci, o che almeno non lo facciano in troppi).
Quindi, ricapitolando:
Abbiamo il nostro farmaco, che non è per cagare troppo né troppo poco. Regolarizza il dolore addominale, forse (responsabile, nel solo 1994 e nei soli USA, di un numero di decessi superiore a quelli causati dai morsi di anatra), o roba così.
Abbiamo fatto il nostro bel congresso alle Barbados, in seguito al quale la comunità medica si è finalmente resa conto del flagello rappresentato dalla SINDROME DELL’INTESTINO IRRITABILE, una patologia che ora esiste e affligge oceani di persone (dati proprio precisi è difficile trovarne, ma stai a guardare il capello).
Abbiamo messo in piedi, o foraggiato, associazioni di pazienti colpiti da IBS e forum su internet, inoltre numerosi giornalisti hanno, del tutto disinteressatamente, pubblicato una serie di articoli sulla faccenda. La comunità delle persone che, in tutto il globo, controllano a fatica lo sfintere e hanno spesso il mal di pancia ringrazia di cuore, con una festosa salva di peti (wink wink).
A questo punto non ci resta che salvare il mondo.
Per finire, un piccolo episodio, che all’epoca mi ha colpito (da allora bevo solo acqua distillata, mi lavo con acqua piovana e mangio solo fegato di agnello crudo. Ho anche messo la rete elettrificata fuori casa e pago un ninja per proteggermi, ma lo vedo poco):
C’è questo film dei Fratelli Coen, uno di quei passamano che i due simpaticoni cagano fuori a cadenza regolare. Anzi, è proprio un inutile e piuttosto scadente remake di un film più bello con attori più meglio, quasi mi dispiace parlarne e il titolo non ve lo dico, non ci arriverete mai.
Le differenze con l’originale sono parecchie ma abbastanza irrilevanti, e vanno tutte a discapito del remake. Tra queste, i personaggi e le loro caratteristiche.

Uno di loro – J.K.Simpson, sempre ottimo, il buonismo mi impone di segnalarlo – dà vita a una serie di travolgenti gag incentrate sul suo disturbo. Ne parla proprio un sacco, ne discute con gli altri affermando che si tratta di una malattia vera e che ha conosciuto la sua attuale compagna tramite un’associazione di pazienti affetti da quel disturbo, di cui soffre un’infinità di gente. È proprio una cosa che ti ricordi, alla fine del film, e non si capisce poi bene perché, dato che l’effetto comico è minimo e penosamente datato.
Beh, io lo so che non ci crederete mai ma proprio mai, quindi non ve lo dico neanche.
Un brutto mondo questo, comunque.
Pilade Fioravanti