martedì 31 dicembre 2019

Bambini rubati e tso alle madri che si ribellano? Ma cosa succede a Milano?

fonte: http://www.cronacaossona.com segnalato da Senzanumero

Milano. Ospedale di Niguarda. Il 24 dicembre alle 11.00 i rappresentanti di diverse associazioni di genitori si sono dati appuntamento al reparto di psichiatria (padiglione 7) per sostenere M. R. e sua moglie C. A. R. La donna è ricoverata con un accertamento sanitario trasformato in Tso dallo scorso 19 dicembre, su ordine del tribunale dei minori. Lo stesso tribunale ha emesso un decreto per l’adottabilità del loro bambino di 13 mesi. Il bambino è affidato temporaneamente ai nonni. Ma i dubbi sulla necessità di questo ricovero e sul provvedimento emesso dal tribunale sono molti. Cercheremo di capire cosa sta succedendo, perchè ci sono troppi casi, ormai, in cui succedono fatti davvero incomprensibili.
I gilet gialli – movimento per i diritti umani di Milano, l’associazione Mamme Coraggio, l’associazione il Coraggio, l’associazione Dagli Appennini alle Ande e altri gruppi auto-organizzati di genitori di bambini illecitamente tolti si sono presentati, durante l’orario di visite, al reparto di psichiatria dell’ospedale di Niguarda per ottenere la dimissione dal Trattamento sanitario obbligatorio di C. A. R. 
8 persone erano all’interno del reparto dell’ospedale e circa un centinaio nei dintorni, ad attendere. Non hanno causato disordini anche se i medici del reparto hanno chiesto l’intervento del 112. E’ infatti intervenuta una pattuglia del commissariato Comasina che ha chiesto i documenti ai partecipanti al presidio. I documenti sono stati regolarmente presentati e controllati. Non ci sono state resistenze, i poliziotti non hanno ravvisato problemi e quindi sono andati via. I medici non sono stati in grado di produrre il documento del giudice tutelare che convalidava la leicità del TSO. Avrebbero dovuto averlo tassativamente entro le 48 ore dal ricovero della signora. Cioè il 21 dicembre. Però questo documento non è stato prodotto nemmeno durante il presidio. E’ arrivato, invece, solo alle 5 del pomeriggio. Non è dato di sapere al momento la motivazione del ritardo.

Cosa c’è dietro a questo ricovero e perchè è così allarmante?

Pare che a Milano sia troppo facile essere sottoposti a tso. I 4 livelli di controllo che dovrebbero essere la garanzia che il tso sia effettuato solo in casi estremi e di assoluta e improrogabile necessità sembrano essere superati con troppa leggerezza. Si tratta di una misura altamente coercitiva della libertà personale, che avviene non in base ad un reato, ma su una valutazione personale di medici, e il cui abuso è molto pericoloso per la democrazia. Quindi deve essere usato con consapevolezza, lealtà e coscienza.
Insomma, se si decide di riempire di psicofarmaci, che inebetiscono e sopprimono la coscienza di qualunque essere umano, sano o 'malato' che sia, deve esserci un motivo maledettamente serio, ampiamente evidenziato e Un ricovero di questo tipo rimane come un marchio negativo nei fascicoli e nei documenti di una persona e se questa ha un bambino piccolo diventa ancora più facilmente aggredibile. In questi casi, l’attenzione, e non solo quella delle istituzioni, deve essere massima per evitare abusi ed errori. Anche quelli dovuti alla troppa fretta, che sono i più pericolosi, senza dover pensare ad altro.

sabato 28 dicembre 2019

Pisa - 11 Gennaio 2020

Circolo Arci CARACOL in via 64 alle ore 18
Presentazione del libro:
“DIVIETO D’INFANZIA. PSICHIATRIA, CONTROLLO, PROFITTO”
di Chiara Gazzola e Sebastiano Ortu , Edizioni BFS.
Dialoga con gli autori Sabrina Pezzini.
Letture di Alessandro Benassi in collaborazione con il Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud

Inaugurazione Mostra DELIRIUM OF BEAUTY
Photographer Alessio Mariotti, in frame Federica Gado
A seguire APERICENA/DJ SET Disease & Rozza dalle 20

mercoledì 25 dicembre 2019

Il reparto di psichiatria dove è morta Elena Casetto deve essere chiuso

di Giorgio Pompa (fonte: https://www.ilcappellaiomatto.org/)



"Non è affatto vero che:
“il ricorso alla contenzione fisica è dovuta alla carenza di personale sanitario”.
È indecentemente vero, invece, che:
il ricorso alla contenzione fisica permette la riduzione di personale sanitario,indirizzandolo verso altri compiti assistenziali!
Come testimonia il Comitato Prevenzione Tortura ( CPT), la coercizione fisica è anche un mezzo pratico per distogliere personale sanitario dai pazienti difficili, ‘messi in sicurezza con la contenzione fisica’ (laddove, naturalmente,questa presunta sicurezza non riguarda certo quella fisica e psichica del paziente legato!), in modo da far eseguire a questo personale, così 'liberato' da tali incombenze, forse ritenute secondarie, lo svolgimento di altre, più importanti, attività! Oppure che sia anche un mezzo pratico per ridurre al minimo l’assistenza infermieristica notturna, quando la coercizione fisica viene frequentemente messa in atto in ore notturne! .
In molti istituti psichiatrici visitati dal CPT, l'applicazione delle restrizioni è utilizzata come mezzo di praticità per il personale; messa in sicurezza di pazienti difficili mentre vengono eseguite altre attività. La solita giustificazione fornita al CPT è che la mancanza di personale richiede un aumento del ricorso a mezzi di contenzione. Questo ragionamento non è fondato. L'applicazione dei mezzi di contenimento nel modo corretto e nell'ambiente adeguato richiede un numero maggiore, non inferiore, di personale medico, poiché ogni caso di contenzione richiede che un membro del personale fornisca una supervisione diretta, personale e continua. "
Giorgio Pompa - Associazione dalle Ande agli Appennini

domenica 22 dicembre 2019

Psicofarmaci e carcere

Di Agnese Baini.
«In un’azione di rovesciamento istituzionale, il rifiuto dell’istituzione potrebbe essere il primo passo comune a tutti i livelli, internati ed équipe curante».
Franca Ongaro Basaglia, 1968
Nell’episodio di novembre di Ghinea, una newsletter femminista, si accennava ad un articolo sul penitenziario femminile di Pozzuoli: Da qui il mare non si vede, ascoltare le donne del carcere di Pozzuoli, scritto da Luigi Romano e Gaia Tessitore, avvocati dell’associazione Antigone. Il carcere femminile di Pozzuoli è situato all’interno di un convento poi trasformato in manicomio giudiziario e ora – con un leggero e insignificante cambio di destinazione d’uso – un carcere. Una vera Istituzione, mal gestita, in cui ci sono poche regole di sopravvivenza: rispettare le gerarchie e non discutere.
Si scopre così che quando qualche detenuta ha qualche problema, per esempio non riesce a dormire (per l’umidità, per il riscaldamento rotto, per i rumori incessanti di sottofondo) vengono somministrati (regalati?) psicofarmaci. Benzodiazepine per risolvere problemi di gestione.
Benzodiazepine e ansiolitici sono quotidianamente somministrati in carcere, anche in mancanza di una specifica diagnosi. Alla mancanza di un percorso di sostegno psicologico, si sopperisce con la contenzione chimica continua, a bassa intensità. Molte donne ci raccontano di compresse di cui non conoscono neanche il nome, ma solo l’effetto: «Mi fa dormire». Quando chiedo se le usino anche fuori, quasi tutte dicono di no, non ne hanno fatto mai uso prima. «Ma basta che chiedi, ti danno quello che vuoi per farti stare tranquilla».

Una pillola per risolvere problemi

Questo è ciò che avviene. Si può tranquillamente chiamare contenzione chimica: non ci sono delle persone davanti, con i proprio bisogni, ma dei problemi che vengono risolti facilmente somministrando qualsiasi cosa venga in mente pur di non avere disturbo. A me questo fa schifo.
I problemi (causati da una pessima gestione) non si possono risolvere con un farmaco, non bisognerebbe nemmeno arrivare a pensarlo. Invece, viene fuori che una persona detenuta su due abusa di psicofarmaci e circa il 46% delle prescrizioni che avvengono dentro le mura del carcere riguarda psicofarmaci, soprattutto ansiolitici. Non ci si rende conto che una persona arriva in un ambiente disumano, privato di ogni suo bene, allontanato da qualsiasi relazione umana di amicizia o di amore, lanciato nel vuoto dove il tempo non passa e nessuno si occupa di lui/lei. Il supporto psicologico, come a Pozzuoli, non esiste e la soluzione è far sparire la sofferenza e il disagio – disagio che è lo Stato stesso a creare mantenendo vive queste istituzioni – riempiendo di psicofarmaci. Gli psicofarmaci non risolvono problemi, anzi è stato dimostrato che causano danni collaterali enormi: una persona che assume psicofarmaci ha un’aspettativa di vita di 15 anni inferiore alla media.
Per approfondire la questione dell’abuso degli psicofarmaci e di come siano diventati una nuova forma di contenzione, si può leggere Il manicomio chimico di Piero Cipriano.
[Per tornare sempre sul mio amato pop, sarebbe bello che nelle canzoni e nei film non si parlasse di psicofarmaci come fossero caramelle alla frutta, perché dalla mia piccola bolla sembra quasi che se dichiari di prendere ansiolitici tu sia fico: «Xananas / Vieni a rilassarti, gioia / Xananas / Ne prendo un po’ anche da sola / Xananas / Peccati di gola / Xananas / È sempre l'ora per un po’ di».]

Di cosa parliamo quando parliamo di carcere

Questa assurda situazione che si verifica a Pozzuoli e non solo, dovrebbe farci rimettere in discussione l’esistenza delle strutture carcerarie: per queste donne di Pozzuoli e per tutte quelle persone che l’Istituzione priva di dignità e di libertà.
In Italia ci sono 191 Istituzioni carcerarie. A marzo 2019 erano intrappolate al loro interno 60.0512 persone – su 46 mila posti disponibili. La regione con più detenuti è la Lombardia. Le donne sono 2.659 (4,4% del totale). Di quasi 200 istituti, solo 4 sono esclusivamente femminili (di cui uno è quello di Pozzuoli). C’è una media di quattro suicidi al mese. Non sto esagerando, questi sono i dati diffusi dalla Polizia Penitenziaria.
Altri dati sono elaborati dall’associazione Antigone, che dalla fine degli anni ’80 si dedica ai diritti delle persone detenute; ogni anno redige un “rapporto sulle condizione di detenzione” – qua si può trovare l’ultimo relativo al 2018. La Corte di Strasburgo ha stabilito che bisogna garantire ad ogni persona detenuta 3 metri quadri di spazio, se questo non viene rispettato si tratta di trattamento inumano e degradante. Si scopre però che solo 16 carceri in Italia garantiscono questi tre metri quadri di spazio (lo spazio occupato da un letto matrimoniale è leggermente più grande). La Polizia penitenziaria parla di 61 suicidi, Antigone di 67 – era dal 2009 che non c’era un numero così alto: si tratta di un suicidio ogni 4/5 giorni. Anche se ce ne fosse soltanto 1 all’anno sarebbe terribile.
Questi dati dimostrano l’insostenibilità dell’Istituzione carcere.

Facciamola rotolare questa testa del re!

Qualche settimana fa, intorno ad un tavolo parlando delle REMS, ho chiesto perché non riusciamo a riconoscere il carcere come un luogo di reclusione totale, un luogo che dimostra che con la detenzione non si risolvono i problemi ma li si alimentano, un luogo in cui il soggetto che vi entra perde il suo essere un soggetto. La risposta non arriva, non riusciamo a vedere il carcere come un’istituzione che va distrutta e fatta sparire dalla faccia della terra. E non ci riusciamo mentre discutiamo all’interno degli spazi del parco San Giovanni a Trieste, quello che è stato un manicomio per quasi un secolo e che ora è stato trasformato in uno dei posti più magici che io conosca. Anzi, non stiamo nemmeno mettendo in discussione l’esistenza del carcere e ogni tanto qualcuno se ne esce con qualche frase che sottolinea la necessità della pena detentiva. Questo un po’ preoccupa. Una persona mi ha detto di leggere un testo del 1984, Tagliare ancora la testa del re (qualche frase sparsa si può trovare qua):
Dal momento in cui l’internato entra in carcere, o poco tempo dopo, non ha più importanza il suo reato né tanto meno la sua storia. Assume l’abito dell’istituzione e da quel momento l’identità del carcerato. In ordine a questa nuova identità sarà giorno per giorno visto, osservato, giudicato. Perché quel che conta è che egli sia appiattito e riconvertito in una scheggia seriale di una istituzione normativa. A nessuno interesserà più il suo reato, il suo perché. A noi sì.
Dovremmo indirizzare lì le nostre forze, i nostri pensieri, il nostro agire: dove le vulnerabilità sono maggiori. Dove ci sono delle persone in carcere, trattenute in condizioni disumane, riempite di psicofarmaci per non dar fastidio. Non possiamo avere il lusso di pensare che queste persone siano Altro da noi, che siano detenute quindi criminali quindi pericolose.
Sempre qualche settimana fa, un’altra persona ha ripreso una frase potente, can the subaltern speak?, aggiungendo altri verbi: se le subalterne non possono parlare, possono almeno ballare? Cantare? Camminare? Io mi chiedo: possono le detenute di Pozzuoli, fare una qualsiasi azione?
La risposta è no, quindi facciamo subito rotolare la testa del re perché questa risposta va cambiata.

domenica 15 dicembre 2019

Bandi per ospedali psichiatrici...

“Le finestre dovranno avere una protezione adeguata.
Si raccomanda di mascherare le inferriate artisticamente per evitare al malato l’impressione di essere in una prigione”
(da un bando per la costruzione di un Ospedale Psichiatrico)

Segnalato da Giuseppe Bucalo

domenica 8 dicembre 2019

Conversazione con Giorgio Antonucci

tratto da: https://www.ilcappellaiomatto.org

“Penso che spesso, oltre alla pericolosità del
giudizio psichiatrico, la cosa più pericolosa
sia la resa che una persona fa alla propria
convinzione di essere malata”.


“Giorgio Antonucci non ha niente del medico tradizionale, indaffarato, autoritario, privo di abbandoni che siamo abituati a conoscere. La sua faccia triste esprime una dolcezza morbida, acuta, quasi dolorosa. I suoi occhi sono pieni di una timida assorta attenzione”.
E’ così che Dacia Maraini ritrae Giorgio Antonucci in un articolo di La Stampa, e del reparto autogestito di Imola fa la seguente descrizione: “Una volta aperta la porta del reparto mi trovo in una sala lunga e stretta affollata di gente. In fondo, sotto un affresco di mari ondosi su cui navigano barche dalle vele rosse, ci sono i ragazzi dell’Aquila venuti qui a suonare. Fra l’orchestra e la porta tante sedie con tanti ricoverati, donne e uomini.[...]

La musica di Mozart, con la sua armonia esplosiva dilata gli spazi, entra in queste facce contratte segnate dalle torture trasformando la bruttezza in bellezza, si fa liquido delicato piacere. I ragazzi dell’orchestra con le loro barbe, i loro blue jeans, i loro capelli lunghi suonano, impetuosamente brandendo i corni, i violoncelli, gli oboi. Alcuni dei degenti si mettono a ballare. Altri ascoltano a bocca aperta, facendosi cullare dalla meraviglia di quelle note. L’atmosfera rispetto ai reparti chiusi è diversa, c’è “confusione, vocio, disordine, colori. [...]Le pareti sono coperte di stampe colorate, disegni, fiori, stelle. Una ragazza in vestaglia va e viene portando dei dolci”.
Artisti come Luca Bramante e Piero Colacicchi hanno collaborato alle iniziative culturali e dipinto gli affreschi del reparto. Dacia Maraini chiede perché, visto il buon risultato ottenuto, non si fa lo stesso negli altri reparti: “Prima di tutto perché é molto faticoso - risponde Antonucci con la sua voce quieta, dolce - mi ci sono voluti cinque anni di lavoro durissimo per ridare fiducia a queste donne; cinque anni di conversazioni, di presenza anche notturna, di rapporto a tu per tu. Però non si tratta di una tecnica, ma di un diverso modo di concepire i rapporti umani. [...] “In che consiste questo metodo nuovo per quanto riguarda i cosiddetti malati psichici?”, continua con le domande la scrittrice. “Per me significa che i malati mentali non esistono e la psichiatria va completamente eliminata. I medici dovrebbero essere presenti solo per curare le malattie del corpo.


domenica 24 novembre 2019

PISA: Venerdì 6 Dicembre


Presso lo Spazio Antagonista NEWROZ in via garibaldi 72 alle ore 18
“ESCLUSI”
Presentazione dell’Agenda Scarceranda 2020 e del libro “ESCLUSI DAL CONSORZIO SOCIALE” con:
  • Salvatore Ricciardi, redazione RadioOndaRossa (ROMA)e autore del libro
  • Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud (PISA)

giovedì 21 novembre 2019

Intervista alla madre di Elena Casetto

Riceviamo e pubblichiamo l'intervista alla mamma di Elena Casetto, morta bruciata mentre era legata al letto nel reparto di psichiatria all'ospedale Papa GiovanniXXIII. Articolo tratto da un quotidiano. 

Morta a 19 anni nell'incendio: "In ospedale mia figlia stava male, voglio la verità"

«Mia figlia aveva una grandissima voglia di vivere. Se è successo che abbia voluto togliersi la vita, e non lo credo assolutamente, è stato perché soffriva troppo. Oppure c’è stato qualcosa che l’ha fatta desistere dalla vita. Qualcosa lì dentro, in ospedale. Non fuori». A tre mesi esatti dalla morte di sua figlia, ha deciso di parlare, di sfogare rabbia, dolore, domande. Lo fa in esclusiva con “Il Giorno”. Indiaxé Bahia Souza Venet, origini brasiliane, “mamma India” la chiamava sua figlia. Elena Casetto, 19 anni di Osio Sopra, nella Bergamasca, è morta a 19 anni in un incendio nel reparto di psichiatra dell’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, mentre era legata a un letto di contenzione. Era il 13 agosto.
Signora, è stato scritto che sua figlia aveva tentato due volte il suicidio: la prima l’8 agosto, da un ponte nella zona di Osio e la seconda la mattina del 13 agosto. Dopo questo episodio era stato deciso di contenerla...
«Mia figlia non ha mai cercato di uccidersi né in Italia né prima, quando viveva a Bahia, in Brasile. In quei giorni era nervosa per vari motivi. Con il suo amore per gli animali, voleva adottare un gatto che girava per il condominio. Il pomeriggio dell’8 agosto sono rincasata e l’ho trovata con il gatto. Dovevamo partire per l’Olanda. “Portalo fuori”, le ho ordinato. È uscita di corsa con il gatto. Verso le sei o le sette mi hanno chiamato i carabinieri che mia figlia era per strada e voleva buttarsi da un ponte. Sono sicura che fosse solo una ripicca per il gatto».
E viene ricoverata a Brescia...
«Lì era pulita, ben tenuta, allegra. Faceva il trucco alle altre ragazze ricoverate. La dottoressa mi ha detto che le davano delle pastiglie perché aveva degli sbalzi di umore».
L’8 agosto viene trasferita al Papa Giovanni di Bergamo.
«Elena mi diceva che lei e le altre si sentivano trascurate. Volevo parlare con qualcuno, ma non trovavo nessuno. Il pomeriggio dell’11 agosto sono entrata nella sua stanza. Vomitava, sbavava, aveva gli occhi chiusi e non mi riconosceva. La sua compagna di camera mi ha riferito che un altro ricoverato, un uomo, l’aveva malmenata e fatta cadere. Dopo l’avevano sedata. Era stordita. La chiamavo, le davo dei buffetti sulle guance, ma non rispondeva. Saranno passati venti minuti, mezz’ora. Ha allungato le braccia e ha incominciato a dire cose strane, sembrava delirasse. È riuscita a farmi capire che la trattavano male, che voleva andare a casa. Io e uno del personale l’abbiamo messa su una sedia e rotelle e portata in un’altra ala del reparto, dove ho visto persone che sembravano zombie».
Arriviamo al 12 agosto, il giorno prima della morte di Elena.
«Stava un po’ meglio. Mi ha detto che non le avevano fatto la flebo come avevo chiesto il giorno prima. Aveva vomitato. Non riusciva a mangiare il menu del reparto, come il pesce, che non le era mai piaciuto. Le avevo portato pizza, acqua, succhi, frutta. Nelle mie visite mi ero accorta che puzzava. Voleva fare la doccia il pomeriggio, le avevano risposto che si poteva di mattina. Comunque, sedata com’era, non avrebbe potuta farla né la mattina né il pomeriggio. L’ho portata al bar. Ha preso un gelato. Al momento di risalire, ho avuto l’istinto di fuggire con mia figlia. Non mi perdono di non averlo fatto. La sera le ho mandato un messaggio in Whatsapp per dirle di stare tranquilla. Ha risposto “Viu, viu”, “Sì, sì’ in un dialetto di Bahia”».
Signora, che cosa chiede?
«Voglio verità e giustizia. Giustizia e verità. L’unica cosa che m’interessa è che ho lasciato mia figlia viva e avrei voluto riaverla a casa viva. Elena non era malata di mente. Doveva essere portata a casa e non in ospedale senza il mio consenso. Oppure avvisarmi. Hanno sbagliato dal primo momento».

mercoledì 20 novembre 2019

Montecchio Maggiore (VI) - Circolo Mesa - Incontro con Camap

Serata Antipsichiatrica

Giovedì 21 novembre - Ore 21.00
Discussione antipsichiatrica
con il Collettivo Antipsichiatrico Camuno (CAMAP)

"(..)sequestrare un individuo, considerarlo malato e curarlo contro la sua volontà è sbagliato. In questo senso intendiamo l'antipsichiatria. Non si tratta di essere "contro" i farmaci o "contro" gli psichiatri. Ciò che rifiutiamo, contestiamo e combattiamo nel limite delle nostre possibilità è l'abuso di potere con cui uno stato può decidere di curare uno dei suoi cittadini, contro la sua volontà".

Circolo Mesa, Via L. Da Vinci, 50, 36075 Montecchio Maggiore, Vicenza

sabato 16 novembre 2019

Felicemente pubblichiamo...

COMUNICATO sulla SENTENZA del Processo a due compagni del Collettivo Artaud

I due compagni del Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud finiti sotto processo poiché ingiustamente accusati di violenza privata nei confronti di una persona che si era rivolta allo sportello di ascolto, sono stati assolti perché il fatto non sussiste. La nostra battaglia, per la difesa della libertà delle persone all’interno e all’esterno dell’istituzione psichiatrica, andrà avanti e continueremo a lottare contro tutte quelle forme coercitive della psichiatria come la contenzione meccanica, il TSO (trattamento sanitario obbligatorio), per l’immediata chiusura delle REMS (Residenze Esecuzione Misure di Sicurezza) e per l’abolizione dell’Elettroshock. Ringraziamo tutti i compagni e le compagne che ci hanno supportato, sostenuto e dato solidarietà in questi anni.

Il Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud – Pisa
antipsichiatriapisa@inventati.orgwww.artaudpisa.noblogs.org/ 3357002669

venerdì 8 novembre 2019

Intervista su morte Elena Casetto e contenzione

Intervista Collettivo Artaud su Radio Blackout:
Riprendendo l’orribile morte di Elena Casetto, ritrovata carbonizzata mentre era immobilizzata a un letto dell’ospedale Giovanni XXIII di Bergamo. Approfondiamo con Alberto del Collettivo Antipsichiatrico “Antonin Artaud” gli abusi della contenzione psichiatrica e il ruolo della coercizione e della patologizzazione come tecniche e strategie di gestione degli individui sofferenti e di deresponsabilizzazione della società.

https://radioblackout.org/podcast/polpen-at-the-power-contenzione-tdna-a-processo/

domenica 3 novembre 2019

Padiglione N°6

fonte: https://educattivi.noblogs.org

L’opuscolo intermittente di inform(A)zione e riflessione anti-istituzionale
(in onore al celebre racconto di Cechov, Reparto N°6 – o Corsia N°6)
 
Seguendo l’esempio di compagnx che ci ispirano e incoraggiano proviamo ad uscire con il numero 0 di un opuscolo intermittente che vuole raccogliere periodicamente le lotte, le riflessioni, i saperi, le letture e le testimonianze che ci attraversano, per il bisogno che abbiamo di socializzare analisi e avvenimenti che in qualche modo plasmano i nostri discorsi in quanto assemblea, per poter arrivare a compagnx, scetticx delle pratiche istituzionali, voci, teste disparate, per la possibilità di fare rete e di avvicinarci tra di noi.
Quanto più i saperi sono resi accessibili tanto più le risposte possono essere efficaci, come educ(A)ttivx è questo quello che ci anima.
Si tratta di resistere alle istituzioni totali ancora presenti oggi, da cui siamo pervasi.
A muoverci è la certezza che vi sia, in questa creazione di reti di informazione e controinformazione, un legame che si tesse tra chi scrive, chi legge, chi ha in mano il cartaceo,  chi gli lancia uno sguardo distratto, chi sente una necessità risvegliarsi. Ruoli tutti intercambiabili per tessiture fluide. Stampiamo opuscoli/creiamo periodici/raccontiamo ciò che abbiamo intorno per esserci più vicinx.
L’opuscolo sarà diffuso liberamente e gratuitamente

PADIGLIONE N°6 SCARICA E DIFFONDI

Letture, testimonianze, lotte, inform(A)zione, iniziative
Inform(A)zione e riflessione anti-istituzionale
“CRIMINI DI PACE,
RICERCHE SUGLI INTELLETTUALI E SUI TECNICI COME
ADDETTI ALL’ OPPRESSIONE”
Attuale più che mai, un invito ai tecnici del consenso alla ribellione, una disamina molto chiara al discorso anti-istituzionale che ci muove.
“SALUTE/MALATTIA
LE PAROLE DELLA MEDICINA”
Per contestualizzare la fabbrica della cura e relativizzare il concetto di “salute”.
“LA VITA QUOTIDIANA COME STORIA, SENZA PAURA E SENZA PSICHIATRIA”
Per l’esperienza concreta e la testimonianza così significativa e attuale dell’ATP, per la ricchezza che ha portato a tuttu noi conoscere il collettivo Bernardoni, per mutuare processi di consapevolezza, autogestione e solidarietà.
 
“DISCOLA,
DESCOLARIZZARE ANCORA LA SOCIETÀ ‘
Compagnx sovversivx che coraggiosamente riattualizzano le riflessioni di Illich sul paradigma scolastico offrendo una cornice  all’alienazione istituzionale attuale.
E ADESSO PARLIAMO NOI
TERAPIA AL BISOGNO PER I PREGIUDIZI
Un’esperienza originale di contaminazione e messa in discussione dove finalmente “l’utente” si ribella e riprende parola, racconti autobiografici, voci che si spogliano dai loro “abiti” e delle categorie per tornare al racconto autobiografico e alla propria umanità.
L’opuscolo prosegue con la testimonianza di una compagna operatrice in una struttura residenziale.
STORIA DI M.
Storia di un diritto negato, l’istituzione che espropria e annichilisce.
Segue la lotta di Jacopo:
LIBERATE JACOPO
Storia di un diritto negato, storia almeno di un diritto rivendicato. L’incredibile lotta di un educatore fiorentino contro  l’istituzionalizzazione e medicalizzazione dei bisogni e l’esproprio dei diritti delle persone vulnerabili.
COBAS SCUOLA DENUNCIA:
OSSESSIONE DIAGNOSTICA
La denuncia di Cobas Scuola alla medicalizzazione dell’infanzia e alla burocratizzazione dell’insegnamento.
Seguono poi le iniziative:
IL PRESIDIO, NO ELETTROSHOCK – NO ABUSI E MORTI NEI REPARTI!
Accanto ai compagni del collettivo Anonin Artaud , del collettivo Camap, del collettivo SenzaNumero e alla rete No Psichiatria, contro gli abusi nei reparti psichiatrici, contro la pratica dell’elettroshock e nel ricordo di Elena Casetto, morta bruciata a Bergamo legata al letto a 19 anni lo scorso agosto.
LABORATORIO DI TEATRO POPOLARE
L’iniziativa del Laboratorio Popolare di Teatro del Teatro Popolare di Bologna, compagnia Teatrale che fa politica attraverso il teatro offrendo la possibilità, a chiunque voglia, di avvicinarsi gratuitamente alla recitazione e alla drammaturgia.

lunedì 28 ottobre 2019

ROMA 02/11 2°CONCERTO CONTRO LE PENE CAPITALI ERGASTOLO E PENA DI MORTE


 

ROMA 2 NOVEMBRE 2019

2°CONCERTO CONTRO LE PENE CAPITALI ERGASTOLO E PENA DI MORTE

c/o Auditorium Spin Time Labs via Santa Croce di Gerusalemme 56



inizio alle ore 18  con Perfomance di Musica e Teatro

organizzato da Spin Time Labs, Nicola Valentino, Giulia Spada

Anche se in Italia la pena di morte è abolita, vige tuttavia la pena dell’ergastolo che non ne costituisce un’alternativa, in quanto essa è “pena fino alla morte”.

Nello spirito di promuovere una cultura abolizionista delle pene capitali sono stati invitati musicisti e artisti di teatro a comporre attorno al tema dell’ergastolo e pena di morte, affinché un movimento artisitco e porzioni di società sensibili a questi temi si incontrino, esplicitando la propria indisponibilità all’esistenza di una morte sociale da pena capitale. L’evento prevede sei performance teatrali e cinque esibizioni musicali.

Sabina Guzzanti (lettura)

Presentazione evento di Nicola Valentino

Giacomo Buonafede Alessandro Cicone Piergiorgio Maria Savarese “Chiusi Fuori” (teatro)

Salvo Ruolo e Massimiliano Gallo (musica)

Maurizio Castè  monologo “i Tardigradi” (teatro)

Collettivo antipsichiatrico Antonin Artaud “la stecca” letture con accompagnamento chitarra

Domenico Giglio, monologo “uccidete la speranza” (teatro)

Soumaila Diawara e Marco Cinque, con un brano composto da Giuseppe Natale (Musica)

Presentazione Spin Time/SpinOff

Women crossing (teatro)

Kerlox Dynamic 4et con Carlo Mascolo (musica)

Massimo Sconci:  monologo “Facciamo Pena” (teatro) Francesco Di Giovanni alla chitarra e Francesco Proietti alla voce recitante monologo originale scritto da Francesco Proietti: “Mastro Titta”, lo storico boia della Roma papalina

Orchestra a Plettro “Costantino Bertucci”: concerto per clavicembalo e orchestra a plettro di Francesco di Giovanni in quattro movimenti (Moderato, adagio, valzer moderato, allegro), direttore Alvaro Lopez e solista Gabriella De Nardo

domenica 27 ottobre 2019

Il Sesso Fra Gli Zombie

di Arthur Evans

[...]Nel corso della sua storia, il militarismo radicato nel governo americano ha avuto uninfluenza profonda sui valori dellAmerica. Ha inciso sul modo con cui gli americani considerano la natura, le altre persone, i loro corpi e i ruoli sessuali. Un effetto facile da notare lha avuto sul concetto che gli americani hanno di salute mentale, che si riflette nel movimento psichiatrico americano. Il padre delle psichiatria americana è stato Benjamin Rush, vissuto dal 1746 al 1813. Rush era il Generale Medico dellesercito continentale. Era un uomo che credeva nella disciplina severa, nelluso della violenza contro i pazienti malati di mente. Ha condannato sia la masturbazione sia la sodomia. Credeva che avere la pelle nera fosse una malattia. Ha rinchiuso il proprio figlio in manicomio per 27 anni. Oggi è tenuto in grande considerazione da molti psichiatri americani. 
LAssociazione Psichiatrica Americana pubblica periodicamente una lista ufficiale dei disturbi mentali, e come molti lettori sanno fino a tempi recenti comprendeva lomosessualità (lAPA è stata costretta a fare uninversione di rotta su questo argomento grazie allazione di attivisti gay). Questa lista, paragonabile allindice Vaticano (con la differenza che riguarda dei comportamenti invece che dei libri), ha delle origini militari. È stata sviluppata per primo dal Brigadiere Generale William C. Menninger, che era a capo della divisione psichiatrica dellufficio di Medicina Generale del governo USA durante la 2ª Guerra Mondiale. Prima che lAPA adottasse questa lista, veniva applicata da tutti i reparti delle forze dellordine. Il proposito era quello di eliminare gli uomini che non erano idonei al macello militare. Oggi almeno la metà di tutti gli psichiatri americani è impiegata nelle istituzioni. La stessa natura istituzionale dellAPA risale ai suoi inizi. Il suo nome originario era Associazione dei Sovrintendenti Medici delle Istituzioni Americane. La prima proposizione approvata pubblicamente da questo gruppo è stata la giustificazione delluso della violenza nel trattamentodei pazzi. In America molti manicomi sono governati secondo un modello militare (con gerarchie di comando, controllo centrale, la minaccia dellisolamento forzato, ecc.) 
Nel 1964 cerano più persone rinchiuse in manicomio che in prigione.In Unione Sovietica la psichiatria ha unidentica connotazione militaresca, e viene adoperata anche per sopprimere il dissenso. Nella Germania nazista il ruolo principale nella costruzione e nelluso delle camere a gas è stato ricoperto dagli psichiatri, e le loro prime vittime erano pazienti di manicomi. Un numero incalcolabile di gay e lesbiche sono state sterminate in queste camere a gas.Il militarismo americano ha influenzato il modo in cui gli americani consideravano la mascolinità, proprio come il militarismo dei romani aveva influenzato quella dei romani. 
Nel corso della loro vita tutti gli uomini americani sono stati condizionati a considerare laggressività disciplinata come mascolina e a disprezzare leffeminatezza, la giocosità, la passività e lemotività manifesta; ad ammirare la durezza negli altri uomini; ad avere paura di tutte le cose che vengono considerate da effemminato; ad apprezzare i rapporti di dominio e di obbedienza; a provare entusiasmo nel vedere del dolore inflitto ad altri; ad eccitarsi per le uniformi; e ad essere capaci di adattarsi a operare in grandi istituzioni impersonali e gerarchiche. Gli uomini che hanno interiorizzato questi valori sono considerati perfettamente sani di mente dalla società americana. Ma questo è un concetto di salute mentale che sostiene la guerra. Quando arrivano gli ordini, questi uomini sani sono pronti a uccidere altri uomini a comando. Sono completamente impreparati a interagire con altri uomini in modo apertamente amoroso, caldo e sessuale. Per loro questa è pura follia. Fino a tempi molto recenti la maggior parte degli psichiatri sarebbe stata daccordo.Gli StatiUniti sono una società presidiata. Lestensione del controllo del Pentagono e dei servizi segreti sulla vita degli americani è stato lequivalente materiale di un colpo di stato militare. Come quando Cesare Augusto ha preso il controllo di Roma nel 27 a.C. così è oggi: il Senato continua a riunirsi, i tribuni del popolo vengono eletti, le corti pronunciano i verdetti, nuovi presidenti entrano in carica e tutte le forme esteriori appropriate vengono osservate. Ma dietro lo spettacolo del governo manifesto incombe lopprimente potere istituzionale dellesercito e dei servizi segreti. È vero, cè ancora un grado di libertà di parola e pensiero, specialmente per la classe media e la classe privilegiata dei professionisti. Ma se un qualsiasi gruppo diventa una minaccia effettiva per il sistema -come nel caso del movimento nero negli anni 60 -presto si ritrova le sue organizzazioni infiltrate, le bombe piazzate negli uffici e i suoi leader uccisi.La storia del militarismo negli Stati Uniti, culminata nellimpero economico del Pentagono, non è un fatto sociale isolato. Il militarismo è collegato allindustrialismo. Inoltre, militarismo e industrialismo non sono presenti solo negli Stati Uniti. Fenomeni simili si possonoosservare in tutte le società “altamente sviluppate”, siano esse capitaliste o comuniste. Come il militarismo, lindustrialismo ha avuto un impatto devastante sulla nostra vita sensuale e sessuale. Fin dallinizio dellera cristiana è stata la singola forza maggiormente pervasiva nel mutilare la cultura gay. Non possiamo comprendere in modo adeguato loppressione dei gay nei tempi odierni senza aver capito il potere dellindustrialismo.Lindustrialismo è il processo secondo cui le persone smettono di produrre le cose direttamente per soddisfare i loro bisogni immediati. Al contrario, le cose vengono prodotte da istituzioni specializzate e centralizzate. Le istituzioni produttive possono essere alquanto diverse (ad esempio fabbriche, università, governi) a seconda delle cose prodotte (automobili, conoscenza, leggi e ordine). In ogni società data, ci sono dei gradi in cui queste istituzioni specializzate e centralizzate controllano la produzione. Tra gli indiani dAmerica, ad esempio, in pratica non esistono istituzioni. NellAmerica di oggi, invece, quasi ogni aspetto della vita è stato industrializzato. Quando la maggior parte della produzione di una società (di natura qualsiasi) è controllata da istituzioni specializzate, io definisco questa società industrializzata.Nella storia non esistono esempi documentati in cui un sistema di vita altamente industrializzato sia stato scelto liberamente da una società non industriale. In tutti i casi lindustrialismo è stato imposto alle persone dalla violenza delle istituzioni stesse. In Europa ledificio dellindustrialismo è stato costruito sul sangue e sulle ferite di secoli di violenza cristiana. In America ha ottenuto il potere attraverso lo sterminio degli indiani e la schiavitù dei neri. In Russia è stato il frutto della feroce campagna di terrore condotta da Stalin contro i contadini. Oggi nel terzo mondo sta prendendo ovunque il sopravvento grazie al conflitto tra le ambizioni imperiali di America, Russia e Cina. In tutti i casi, il militarismo è stato il mezzo con cui lindustrialismo ha trionfato. Perciò lindustrialismo non è solo un sistema di produzione. È anche un sistema di potere. [...]

fonte: https://istrixistrix.noblogs.org
Scarica qui il pdf completo ----> https://istrixistrix.noblogs.org/files/2017/06/EVANS-Il-sesso-tra-gli-zombie.pdf

domenica 20 ottobre 2019

7 ore barricato in bagno per non fare un TSO: intervengono le teste di cuoio...

Riportiamo un articolo del Corriere Del Veneto su un ragazzo che non voleva essere sottoposto ad un TSO e per evitarlo ha provato a barricarsi in bagno per ore.

PRAMAGGIORE (Venezia) È durata sette ore la trattativa tra un ventenne, che si era barricato nel bagno di casa dopo essere fuggito dal Centro di Salute Mentale di Pramaggiore, e i carabinieri che hanno deciso di sbloccare la situazione con un blitz. Il giovane è stato immobilizzato e affidato ai medici. Tutto è iniziato alle 16.45 di martedì ed è finito alle 23.50. Il giovane, che era in attesa di essere sottoposto a Trattamento Sanitario obbligatorio, è fuggito dal Centro rifugiandosi nella sua abitazione. A quel punto, non potendo escludere che il giovane, che portava uno zaino in spalla, potesse avere con sé armi o altri oggetti potenzialmente pericolosi, sia per la propria incolumità che per quella di terze persone, è stato adottato il protocollo per simili situazioni.

Innanzitutto è stata evacuata la villetta di proprietà della famiglia, dove c’era solo il fratello, poi è stata interrotta l’erogazione della corrente elettrica e del gas. Sul posto è arrivato un «negoziatore» del Nucleo Investigativo di Mestre e i carabinieri delle «Squadre Operative di Supporto» in forza al 4 Battaglione «Veneto», raggiunti dai vigili del Fuoco e da un’ambulanza del 118. È così iniziata la lunga ed estenuante trattativa tra il «negoziatore» e il giovane. Un colloquio a tratti drammatico, durato ore e che ha visto il negoziatore impegnato in una difficilissima trattativa, segnata da momenti di tensione elevata, nel tentativo di convincere il 20enne a uscire dal bagno e di persuaderlo a non compiere atti autolesionistici come aveva paventato nei messaggi inviati col telefono ai genitori. Quando si è capito che il giovane non si sarebbe mai arreso, le Squadre Operative di Supporto hanno deciso il blitz, con un’irruzione nel bagno, senza che nessuno rimanesse ferito.

domenica 6 ottobre 2019

NO ABUSI E MORTE NEI REPARTI! (Con Sabatino nel ♥)


 

SABATO 19 ottobre ore 15 a MONTICHIARI (BS) ingresso reparto Via G. Ciotti 154
PRESIDIO  INFORMATIVO CONTRO L’USO DELL’ELETTROSHOCK
ore 20.30 in Località Casella, Via Argine sinistro torrente Parma, 8 Sorbolo Mezzani (PR) Fermata Bus a TRAI
CENA BENEFIT CON PRESENTAZIONE + LIVE
Il collettivo SenzaNumero di Roma presenterà il suo aperiodico. A seguire live dei Gabriela Yankov, Vj Schnell e Dj Irene La Merdica.
DOMENICA 20 ottobre ore 10.30  a TRAI
ASSEMBLEA dei GRUPPI e dei COLLETTIVI ANTIPSICHIATRICI sempre a TRAI


Vorremmo chiamare a sostegno dell’iniziativa tutte le realtà che hanno a cuore la libertà della persona nel poter disporre della propria vita, dei propri ricordi e dei propri pregi e difetti. In questa iniziativa vogliamo inoltre dire basta a morte nei reparti ed agli abusi. Il recente caso di Elena Casetto, morta bruciata a Bergamo legata al letto, è solo l’ultimo di una lunga serie balzato alle cronache perchè era inevitabile essendo così eclatante. Molti casi di abusi indiscriminati e di morti rimangono nel silenzio come era emerso qualche anno fa con il ‘Caso Niguarda’, con 12 pazienti morti ed altri paralizzati con protocolli di supercontenzione fisica quali ‘lo spallaccio’. In quel caso la denuncia era partita dall’interno, ma nella maggioranza dei casi vige il silenzio e certi episodi vengono ritenuti ‘blandi effetti collaterali’ previsti dalla norma. Il taser nei reparti è divenuto la norma, gli abusi divengono la norma.

QUESTO SILENZIO DEVE FINIRE. QUESTA NORMA DEVE FINIRE.

Per dare continuità al presidio di Giugno a Pisa riproponiamo il testo informativo sulla TEC/ELETTROSHOCK dove si spiega bene in cosa consiste questa pratica:
”L’elettroshock oggi viene chiamato TEC (terapia elettroconvulsiva) ma rimane la stessa tecnica inventata nel 1938 da Cerletti e Bini. Si tratta di corrente elettrica che passando dalla testa e attraversando il cervello produce una convulsione generalizzata. Migliorandone le garanzie burocratiche, così come introducendo alcune modifiche nel trattamento, vedi anestesia totale e farmaci miorilassanti, non si cambia la sostanza della TEC.
A più di ottanta anni dalla sua invenzione, possiamo affermare che l’elettroshock è l’unico trattamento, che prevede come cura una grave crisi organica dei soggetti indotta a tale scopo, mai dichiarato obsoleto. Perché questo trattamento medico – che per stessa ammissione di molti psichiatri che lo hanno applicato e che continuano ad applicarlo – è stato utilizzato in passato come metodo di annichilimento dell’umano, come strumento di tortura, come mezzo repressivo contro la disobbedienza, non viene dichiarato superato dalla storia e dalla scienza? È sufficiente praticare un’anestesia totale per rendere più umana e dignitosa la sua applicazione? Basta chiamarla terapia per renderla legittima? Possono dei benefici temporanei, che per avere effetto devono comunque essere accompagnati dall’assunzione di psicofarmaci, essere un valido motivo per usare questo trattamento? Si possono ignorare gli effetti negativi dell’elettroshock?
In Italia negli ultimi anni si tende a incentivare l’utilizzo delle terapie elettroconvulsive, non solo come estrema ratio ma anche come prima scelta. Per esempio nel trattamento delle depressioni femminili entro i primi tre mesi di gravidanza, poiché ritenuto meno pericoloso degli psicofarmaci nei primi periodi di gestazione umana. Anche per quanto riguarda ipotetici problemi di depressione post partum la TEC viene addirittura pro-posta quale terapia adeguata e meno invasiva per le neo mamme rispetto agli psicofarmaci o ad un Trattamento Sanitario Obbligatorio.
Oggi i centri clinici dove si fa l’elettroshock sono 16 e i pazienti all’incirca 300 l’anno. [Montichiari è uno di questi].
I meccanismi di azione della TEC non sono noti. Per la psichiatria «rimane irrisolto il problema di come la convulsione cerebrale provochi le modificazioni psichiche» e «non è chiaro quali e in che modo queste modificazioni (dei neurotrasmettitori e dei meccanismi recettoriali) siano correlate all’effetto terapeutico» (G. B. Cassano, Manuale di Psichiatria). Ma per chi subisce tale trattamento la perdita di memoria e i danni cerebrali sono ben evidenti e possono essere rilevati attraverso autopsie e variazioni elettroencefalografiche anche dopo dieci o venti anni dallo shock.
Ciò che resta di certo, quindi, è la brutalità, la totale mancanza di validità scientifica e l’assenza di un valore terapeutico comprovato.
Ci teniamo, quindi, a ribadire che nonostante le vesti moderne l’elettroshock rimane una terapia invasiva, una violenza, un attacco all’integrità psicologica e culturale di chi lo subisce. Insieme ad altre pratiche psichiatriche come il TSO, l’elettroshock è un esempio, se non l’icona, della coercizione e dell’arbitrio esercitato dalla psichiatria. Il percorso di superamento dell’elettroshock e di tutte le pratiche non terapeutiche deve essere portato avanti e difeso in tutti i servizi psichiatrici, in tutti i luoghi e gli spazi di cultura e formazione dove il soggetto principale è una persona, che insieme ai suoi cari, soffre una fragilità.”
COLLETTIVO ANTIPSICHIATRICO CAMUNO – CAMAP camap@autistici.org
COLLETTIVO ANTIPSICHIATRICO ANTONIN ARTAUD PISA – antipsichiatriapisa@inventati.org
COLLETTIVO SENZANUMERO – ROMA – senzanumero@autistici.org

domenica 29 settembre 2019

LE PORTE SONO ILLUSORIE

il mito delle buone pratiche in psichiatria di Giuseppe Bucalo

una video testimonianza autoprodotta da un reparto psichiatrico a "porte aperte"
Si autodefiniscono Spdc "a porte aperte". Sono reparti di psichiatria (il 10% del totale) che affermano di operare senza contenzione e coercizione.
Fra questi quello di Caltanissetta.

Possiamo crederci ? Dobbiamo farlo ?
La "porta aperta" in psichiatria è solo un mito.
Intanto perché è il frutto di una concessione da parte dell'operatore (e non un diritto esigibile da chi è ricoverato). Con lo steso arbitrio con cui viene aperta, essa può essere chiusa, legalmente, in ogni momento.
Non dimentichiamo inoltre che la contenzione "meccanica" è solo una delle infinite strategie che la psichiatria usa per bloccare (e rendere innocui) i suoi utenti involontari.
Gli psicofarmaci da tempo, e in modo più efficace e accettabile, hanno sostituito le fasce di contenzione. Tanti dei sostenitori del superamento della contenzione meccanica (che definiscono come una vera e propria forma di tortura), non hanno da ridire invece sulla liceità del TSO o della somministrazione forzata di psicofarmaci. Al contrario.
Queste strategie, a differenza della contenzione meccanica, vengono considerati dagli psichiatri delle buone pratiche "atti medici" e, quindi, non sindacabili né catalogabili come forme di violenza, sopraffazione o abuso.
La "porta aperta" del reparto psichiatrico in realtà non è una via d'uscita. Una volta varcata la soglia e definita "malata", la persona non ha più alcun potere nel gestire la propria vita. Non ha più un fuori dove andare, uno spazio privato, un rifugio o un territorio inviolabile in cui vivere.
La contenzione non è una pratica: è un sistema che va aldilà dei servizi psichiatrici e coinvolge l'intero contesto familiare e sociale del "contenuto".
Non mi stupisce che gli utenti involontari di questi reparti no restraint, quando non sono rimbecilliti e bloccati dagli psicofarmaci, possano scegliere di non attraversare le porte tenute aperte dai propri carcerieri. Sanno, come ebbi a sentire da un ex internato molti anni fa, che "le porte sono illusorie. E che di là tu puoi trovare tre o quattro infermieri che ti fanno sei o sette fiale di serenase endovena o quasi".


domenica 22 settembre 2019

Montichiari 19/10/19 - No elettroshock - No abusi e morte nei reparti

 

SABATO 19 Ottobre a MONTICHIARI (BS) – alle ore 15 c/o ingresso reparto Via G. Ciotti 154, PRESIDIO INFORMATIVO CONTRO L’USO DELL’ELETTROSHOCK E CONTRO GLI ABUSI NEI REPARTI PSICHIATRICI STOP ELETTROSHOCK, STOP ABUSI E MORTI NEI REPARTI !


Vorremmo chiamare a sostegno dell’iniziativa tutte le realtà che hanno a cuore la libertà della persona nel poter disporre della propria vita, dei propri ricordi e dei propri pregi e difetti. Per dare continuità al presidio di Giugno scorso a Pisa riproponiamo il testo informativo sulla TEC/ELETTROSHOCK dove si spiega bene in cosa consiste questa pratica: ”L’elettroshock oggi viene chiamato TEC (terapia elettroconvulsiva) ma rimane la stessa tecnica inventata nel 1938 da Cerletti e Bini. Si tratta di corrente elettrica che passando dalla testa e attraversando il cervello produce una convulsione generalizzata.          
Migliorandone le garanzie burocratiche, così come introducendo alcune modifiche nel trattamento, vedi anestesia totale e farmaci miorilassanti, non si cambia la sostanza della TEC. A più di ottanta anni dalla sua invenzione, possiamo affermare che l’elettroshock è l’unico trattamento, che prevede come cura una grave crisi organica dei soggetti indotta a tale scopo, mai dichiarato obsoleto.
Perché questo trattamento medico – che per stessa ammissione di molti psichiatri che lo hanno applicato e che continuano ad applicarlo – è stato utilizzato in passato come metodo di annichilimento dell’umano, come strumento di tortura, come mezzo repressivo contro la disobbedienza, non viene dichiarato superato dalla storia e dalla scienza?
È sufficiente praticare un’anestesia totale per rendere più umana e dignitosa la sua applicazione? Basta chiamarla terapia per renderla legittima?
Possono dei benefici temporanei, che per avere effetto devono comunque essere accompagnati dall’assunzione di psicofarmaci, essere un valido motivo per usare questo trattamento? Si possono ignorare gli effetti negativi dell’elettroshock?
In Italia, sul finire degli anni novanta, i presidi sanitari dove era possibile praticare l’elettroshock erano nove – sei pubblici e tre privati. Venne presentata una campagna, “Sdoganare l’elettroshock”, dai più illustri psichiatri organicisti aderenti all’AITEC (Associazione Italiana Terapie Elettroconvulsive), che principalmente chiedeva due cose: un aumento dei presidi autorizzati tale che si potesse coprire la richiesta di una struttura ogni milione di abitanti e la promozione di iniziative culturali tese ad una rivalutazione di quella che era la percezione pubblica dell’elettroshock. Fu così che gli apparati politici italiani intervennero in materia predisponendo, per la prima volta, un percorso teorico e normativo che identificasse delle linee guida condivise tra apparati istituzionali pubblici e privati e le richieste della psichiatria.
In Italia negli ultimi anni si tende a incentivare l’utilizzo delle terapie elettroconvulsive, non solo come estrema ratio ma anche come prima scelta. Per esempio nel trattamento delle depressioni femminili entro i primi tre mesi di gravidanza, poiché ritenuto meno pericoloso degli psicofarmaci nei primi periodi di gestazione umana. Anche per quanto riguarda ipotetici problemi di depressione post partum la TEC viene addirittura pro-posta quale terapia adeguata e meno invasiva per le neo mamme rispetto agli psicofarmaci o ad un Trattamento Sanitario Obbligatorio.
Nel 2011 le strutture ospedaliere coinvolte, cioè quelle che hanno eseguito almeno una TEC in un anno, erano 91. Nel triennio che va dal 2008 al 2010, 1.406 persone sono state sottoposte a elettroshock. La maggioranza dei trattamenti riguarda le donne, 821 contro 585 uomini, e la fascia d’età va in media dai 40 ai 47 anni. Nel 2008 i pazienti over 75 che hanno subito la TEC erano 21, l’anno dopo 39.
Oggi i centri clinici dove si fa l’elettroshock sono 16 e i pazienti all’incirca 300 l’anno.
I meccanismi di azione della TEC non sono noti. Per la psichiatria «rimane irrisolto il problema di come la convulsione cerebrale provochi le modificazioni psichiche» e «non è chiaro quali e in che modo queste modificazioni (dei neurotrasmettitori e dei meccanismi recettoriali) siano correlate all’effetto terapeutico» (G. B. Cassano, Manuale di Psichiatria). Ma per chi subisce tale trattamento la perdita di memoria e i danni cerebrali sono ben evidenti e possono essere rilevati attraverso autopsie e variazioni elettroencefalografiche anche dopo dieci o venti anni dallo shock.
Ciò che resta di certo, quindi, è la brutalità, la totale mancanza di validità scientifica e l’assenza di un valore terapeutico comprovato.
Ci teniamo, quindi, a ribadire che nonostante le vesti moderne l’elettroshock rimane una terapia invasiva, una violenza, un attacco all’integrità psicologica e culturale di chi lo subisce. Insieme ad altre pratiche psichiatriche come il TSO, l’elettroshock è un esempio, se non l’icona, della coercizione e dell’arbitrio esercitato dalla psichiatria. Il percorso di superamento dell’elettroshock e di tutte le pratiche non terapeutiche deve essere portato avanti e difeso in tutti i servizi psichiatrici, in tutti i luoghi e gli spazi di cultura e formazione dove il soggetto principale è una persona, che insieme ai suoi cari, soffre una fragilità.”

COLLETTIVO ANTIPSICHIATRICO CAMUNO – CAMAP camap@autistici.org                            

COLLETTIVO ANTIPSICHIATRICO ANTONIN ARTAUD PISA – antipsichiatriapisa@inventati.org 

COLLETTIVO SENZANUMERO – ROMA – senzanumero@autistici.org