venerdì 29 maggio 2020

Per la libertà di Alice

Raccogliamo la denuncia di un padre che chiede giustizia per sua figlia. Ci sembra importante raccontare questa storia di abusi che va avanti da troppo tempo. È necessario attenzionare maggiormente ciò che avviene all’interno di alcune strutture psichiatriche private convenzionate che in Italia sono più di 3.500, spesso veri e propri luoghi di reclusione in cui è difficile entrare e verificare quali pratiche e terapie vengano attuate.
Ci preme sottolineare inoltre come il ruolo degli Amministratori di Sostegno diventa sempre più invasivo e determinante per la vita di persone vittime della psichiatria che di fatto non hanno commesso alcun reato. Vi chiediamo di pubblicare la storia di Antonio e sua figlia sui vostri canali e sui vostri siti, di inoltrarla il più possibile nella speranza che altri si uniscono alla sua battaglia per la liberazione di Alice.

Collettivo Antipsichiatrico Antonino Artaud



Racconto la mia storia e quella di mia figlia nella speranza che possiate aiutarmi a tirar fuori mia figlia da una situazione di oppressione fisica e psicologica che è costretta a subire da tre anni a questa parte a causa di malasanità e mal gestione della sua condizione da parte delle istituzioni.
Attraverso le vie legali non sono riuscito a cambiare la condizione di mia figlia. Il caso ha anche una valenza più generale, perché ritengo che possano esserci anche tante altre persone in questa situazione.

Il mio nome è Antonio Di Vita, sono residente a Montevarchi (AR) e mia figlia si chiama Alice Di Vita e ha 26 anni.
Tre anni fa Alice a seguito di un presunto arresto cardiaco fu ricoverata nel Reparto di Rianimazione di Careggi a Firenze. Dopo circa dieci giorni di coma indotto le viene eseguita una tracheotomia e le viene applicata una cannula a scopo precauzionale. Dopo gli esami strumentali (RM,TC e ECC) ripetuti ad otto giorni di distanza, le condizioni di Alice sono definite “incredibilmente ottime”. Nessuna conseguenza cerebrale, nessuna conseguenza motoria e psico-reattiva. I responsabili del Reparto di Terapia Intensiva danno disposizione al trasferimento di mia figlia da Careggi di Firenze al reparto di Riabilitazione dell’Ospedale del Valdarno (Alice era residente a Montevarchi). La prognosi indicata è di circa dieci giorni. Affermano anche che la cannula della tracheotomia dovrebbe essere rimossa entro tre giorni.

Inaspettatamente, per ragioni non chiare, Alice è invece trasferita all’Istituto Don Gnocchi di Firenze, dove rimarrà per più di un anno subendo le pene dell’inferno. Legata al letto o alla sedia, imbottita di psicofarmaci, con infezioni e piaghe causati degli escrementi non rimossi adeguatamente e frequenti attacchi di panico. La cannula della tracheotomia non viene rimossa e genera aderenze alle corde vocali, paralizzandole e granulomi all’interno della trachea (di natura incerta, benigna o maligna). Da subito, a mia insaputa, viene nominato un amministratore di sostegno (ADS) nella persona del fratellastro. A seguito di mia opposizione l’ ADS viene sostituito da un’avvocatessa la quale però si disinteressa totalmente di mia figlia. Avendo constatato di persona la mal gestione e le atrocità subite da mia figlia ho presentato diversi esposti alla Procura della Repubblica di Firenze. L’ADS, probabilmente spinto dall’Istituto Don Gnocchi stesso, presenta due istanze per trasferire Alice in altri istituti, prima Villa Le Terme dove la maggioranza dei degenti sono in stato vegetativo, e poi un altro nel quale avrebbe dovuto passare tutta la vita . Io richiedo al giudice di trasferire mia figlia in una struttura pubblica specializzata in otorinolaringoiatria e di sostituire l’ADS con la mia persona. Il giudice non acconsente che sia io ad occuparmi di mia figlia ma sostituisce la l’ADS con un altro avvocato.

Il nuovo ADS fa trasferire Alice dal Don Gnocchi all’Ospedale del Valdarno in un reparto chiamato Modica, dove viene scoperto che le diagnosi del Don Gnocchi non sono corrette o sono addirittura false. Viene verificato che, a dispetto di quanto affermato dal Don Gnocchi, Alice può deglutire e può essere alimentata in modo naturale e non più attraverso Peg allo stomaco. Si predispone un piano di recupero psico-fisico attraverso fisioterapia e riduzione/eliminazione degli psicofarmaci somministrati dal Don Gnocchi. Mia figlia ha da subito un grande recupero di forza e vitalità, anche espressiva. Riprende a camminare da sola, sente i bisogni fisiologici e tutto sembra finalmente andare per il meglio. Addirittura sembra che debba essere dimessa, ritornare a casa con me (essendo residenti nella stessa abitazione di Montevarchi) e proseguire la fisioterapia come paziente esterna. Mi viene detto che con venti sedute di tre ore e mezzo di riabilitazione. Alice recupererebbe completamente la postura e la tonicità muscolare. Però questo apparente lieto fine della storia viene bruscamente cambiato dal fatto che l’ADS per motivi non chiari predispone il trasferimento di Alice in un'altra struttura, stavolta privata, l’Istituto Agazzi di Arezzo. Perché?

Alice entra nell’Istituto Agazzi il 2 ottobre 2018. Fin dalle prime settimane mia figlia regredisce, sia fisicamente che mentalmente. Non sente più i bisogni fisiologici e non ricorda più le cose recenti. Da questi fatti e dalla sua espressione mi accorgo presto che le stanno dando di nuovo psicofarmaci. Probabilmente gli stessi del Don Gnocchi. Alice perde di vitalità ed autonomia di giorno in giorno mostrandosi sempre stanca e assente. Io ho faccio presente questa situazione all’ADS il quale non mostra alcun interesse al riguardo. Faccio notare che il principale problema di mia figlia, la rimozione della cannula della tracheotomia, non è stato minimamente affrontato. Richiedo e sollecito di far visitare mia figlia in centri specializzati per questa patologia, alcuni di essi da me stesso contattati e disponibili a visitare Alice. L’ADS mi risponde testualmente così “Decido io, dove, come e quando far visitare Alice”. Il problema che l’ADS non si pone è il fatto che in quelle condizioni Alice è sempre ad alto rischio di arresto respiratorio, come è poi avvenuto per almeno tre volte. L’ADS non ha provveduto neanche a far visitare mia figlia dal Reparto Otorino di Arezzo dove da anni ci sono eccellenti risultati per questo tipo di patologie. Perché???

A seguito dei rifiuti e dell’arroganza mostrata dall’ADS e a causa del continuo peggioramento di mia figlia scrivo al giudice tutelare facendo presente quanto accade e richiedendo espressamente di provvedere per far visitare mia figlia da medici e strutture competenti in materia a cominciare da ospedali di terzo livello dove ci sono reparti specializzati. Verbalmente la giudice dispone per queste visite e l’ADS fa ricoverare Alice a Volterra dove è sottoposta a broncoscopia (inutile perché già fatta e già a conoscenza della diagnosi). Da Volterra Alice è trasferita ad Empoli per visita, dove viene espresso timore nel sottoporre mia figlia ad operazione, ma si afferma anche che la cosa si potrebbe risolvere con multipli interventi in sette -otto mesi.
Io ricontatto quei centri specializzati per problemi alle corde vocali con i quali avevo già discusso, i quali mi richiedono prima di tutto la stessa cosa. “Sua figlia è capace di deglutire?” Alla mia risposta affermativa, a seguito di accertamento diagnostico in mio possesso che ho letto telefonicamente a loro, dicono che l’intervento operatorio sarebbe molto più semplice e rapido di quanto invece era stato affermato dall’Ospedale di Empoli. Mi chiedo perché Alice non viene fatta visitare in uno di questi centri specializzati, a partire proprio dall’Ospedale di Arezzo. Alice da Volterra è di nuovo riportata all’Istituto Agazzi dove nel mese di febbraio va incontro a due arresti respiratori con ricoveri immediati al Pronto Soccorso di Arezzo e con ripetute ostruzioni della cannula dovuti al muco (meccanismo di difesa per rigetto naturale della cannula). A seguito di questi eventi e del fatto che Alice è in pratica parcheggiata in questo istituto senza essere curata per il suo principale problema faccio un ulteriore esposto attraverso la Guardia Di Finanza di San Giovanni Valdarno nel 2019.

A inizio maggio 2019, ho richiesto tramite istanza al giudice tutelare di Arezzo di autorizzare la nomina di un CTP (Consulente Tecnico Di Parte) e la revoca dell’ ADS, in più di prendere atto della volontà di Alice di essere collocata presso la mia abitazione. In subordine chiedevo di poter disporre di nuove perizie mediche su Alice in merito alla possibile rimozione della canula. Ulteriore istanza è stata presentata con simili richieste il 6 febbraio 2020.

Il fatto principale è che a mia figlia viene negato il diritto alla cura. Come tutti i cittadini di uno stato democratico mia figlia ha il diritto di essere visitata non da uno, ma da quattro, cinque, dieci venti specialisti per cercare di risolvere il suo problema. Mi chiedo anche come può una persona recuperare da un problema se si tiene internata in un istituto, privata della propria libertà, delle amicizie, degli affetti e di tutti gli stimoli positivi che si hanno quando ci possiamo muovere nella natura e nei colori delle stagioni. Neanche se fosse una criminale pericolosa avrebbe un trattamento simile.
Richiedo gentilmente a Voi un aiuto per salvare la vita di mia figlia, in quanto ritengo che in pratica si tratti di una morte annunciata, e per portare alla luce questi fatti gravissimi che potrebbero accadere a chiunque di noi in un paese che si ritiene democratico, civile e di diritto. Vi ringrazio sentitamente.
Nell’attesa di un vostro interessamento, cordiali saluti
Antonio Di Vita

mercoledì 27 maggio 2020

Se lo dice anche lo psichiatra

Angelo Righetti, una vita in prima linea per la chiusura dei manicomi, lancia un allarme: “Sta vincendo la cultura della segregazione. Migliaia di vecchi negli istituti”

Siamo immersi nella logica della segregazione e non lo sappiamo. Le nostre città si sono riempite di piccoli lager. Piccole celle in cui rinchiudere gli anziani, i malati mentali, i deboli. E poi ci stupiamo della nostra solitudine, ci domandiamo il perché di certe tragedie familiari. Che altro può succedere, nel deserto di rapporti umani in cui viviamo?» è un fiume di pensieri corrosivi, Angelo Righetti. Psichiatra cresciuto alla scuola di Franco Basaglia, ha combattuto per la chiusura dei manicomi. E continua a farlo, ogni giorno, pagando di tasca sua, per dimostrare a tutti che il recupero delle persone malate e l’integrazione sociale non sono solo utopie da ex sessantottini. Per questo, dal lindo e funzionale dipartimento di Salute mentale di Parma si è fatto trasferire ad Aversa, in una delle zone con i parametri di benessere più bassi d’Europa, alla direzione del Dipartimento socio-sanitario. Vita: Parliamoci francamente, dottore: chi gliel’ha fatto fare? Angelo Righetti: Mi sono reso conto di vivere in una realtà dove ormai il benessere ha consentito di istituzionalizzare ogni cosa, e ha fatto collassare tutti i legami sociali. Niente più nonni, niente più malati, niente più bambini. Eppure, ho sempre pensato che almeno la vita non potesse diventare un optional da graduare a seconda delle nostre esigenze? Vita: Al Nord, insomma, è andata persa la cultura della vita… Righetti: Sono andate perse molte cose. Prima i valori, poi le persone. E di questa filosofia dell’esclusione non vediamo nemmeno i contorni, perché sono sfumati, ottimistici, funzionalistici. Basti pensare a cos’hanno fatto con i vecchi: ne sono stati messi via 28mila in Emilia Romagna, 60mila in Lombardia, 30mila in Piemonte. Stiamo lagerizzando centinaia di migliaia di persone, a costi pazzeschi, che nessuna comunità può sopportare. Quando si allontana un vecchio da un quartiere, si perde una biblioteca, si perdono centinaia di legami sociali, si desertificano i rapporti umani. Vita: Stessa cosa per i malati? Righetti: Peggio. Si comincia sempre da loro, dai matti. E non a caso: sono i più indifesi, i più dissidenti, incapaci di indossare le camicie strette dentro le quali noi viviamo. Nel ’68 noi abbiamo attaccato la violenza delle istituzioni che si concretizzava nei manicomi. Abbiamo cercato gli strumenti per disarticolarla e riconsegnare al corpo sociale le persone finalmente liberate. Oggi però abbiamo un altro problema, di fronte al quale siamo impreparati. Vita: Quale? Righetti: L’istituzionalizzazione della violenza, che risponde alla domanda di sicurezza dei cittadini. Cos’altro è, se non questo, la tolleranza zero? Un’espressione rassicurante e abusata, che significa forza, violenza, eliminazione della diversità, mancata accoglienza. E questo, non mi stancherò mai di ripeterlo, è un crinale pericolosissimo. Vita: Dove ci porterà? Righetti: Non posso guardare nel futuro, ma se guardo al passato vedo la spirale del nazismo. I primi a essere sterminati furono i matti, gli handicappati e i diversi, sulla base di una collocazione etico-scientifica che diceva che quelle persone non sarebbero mai guarite, e che erano un peso per la società. Quelle radici di non riconoscimento dell’altro sono le stesse di oggi. Mentre noi parliamo amabilmente di strutture protette, per evitare di usare la parola manicomi, connotiamo un gruppo di persone come incomprensibili, inguaribili, inutili. Continuiamo a blaterare sulla necessità di questi piccoli caravanserragli, e poco importa che siano da 50 o 20 posti, siamo all’istituzionalizzazione della sopraffazione. Vita: In tutto questo, come fa a dare un senso al suo ruolo professionale? Righetti: Ho due scopi nella vita, che mi hanno portato fino a qui. Uno è distruggere gli ospedali psichiatrici giudiziari. L’altro è aumentare il livello di presenza e integrazione dei bambini e degli anziani nella nostra società. E qui, nel Sud, dove la legalità è continuamente messa in discussione, trovo che esista ancora una radice di coscienza sociale, una cultura della vita e di solidarietà verso i deboli. Vita: Cosa pensa dell’idea di riforma del sistema psichiatrico? Righetti: La necessità di una nuova legge è una pura e semplice invenzione: abbiamo già tutti gli strumenti legislativi per gestire l’assistenza ai malati. E non c’è nemmeno questo allarmante aumento di situazioni connotate come “malattia mentale”. Il problema è che si tende a omologare la patologia con il disagio esistenziale, la tristezza con la depressione, anche se non hanno nulla a che spartire: la psichiatria ha invaso la vita delle persone, offrendo una risposta per tutti i problemi. è il grande sogno panpsichiatrico che durerà solo lo spazio del piazzamento dell’ultimo prodotto antidepressivo. Vita: Un business, insomma. Righetti: Il più grande del secolo. La produzione di antidepressivi ha reso più di qualsiasi altro affare e in Occidente ha un mercato gigantesco. E una spalla nella psichiatria di stampo psicofarmacologico. Vita: Perché dovrebbe essere più tranquillizzante avere una malattia psichica che gestire la propria tristezza esistenziale? Righetti: Perché questa nostra società è posseduta da una forma di psicologismo d’accatto, che dà le ragioni di ogni cosa. Ci fornisce schemi semplici di causalità con cui tranquillizzarci e convivere. Ormai qualsiasi disagio, da quelli giovanili a quelli femminili, quelli degli anziani, fino a tutte le categorie di malattie poco curabili, è diventato di pertinenza psichiatrica. E la psichiatria sta industrializzando i nostri bisogni e le soluzioni. […]
http://www.vita.it/it/article/2002/07/25/la-denuncia-di-un-grande-psichiatra-metti-via-il-matto/15209/

giovedì 21 maggio 2020

Uccisa dagli psicofarmaci in ospedale a Reggio Calabria

Due infermieri del reparto psichiatria dell’Asp, in servizio presso il Grande ospedale metropolitano di Reggio Calabria sono stati arrestati e posti ai domiciliari dalla Polizia di Stato con l’accusa di omicidio preterintenzionale, falsità in atto pubblico, peculato, truffa aggravata ai danni del Ministero della Sanità e false attestazioni della loro presenza in servizio. Giuseppe Laganà, di 52 anni, e Angelo Salvatore Tommasello, di 51, avrebbero somministrato un farmaco non prescritto in cartella clinica, né annotato nel diario infermieristico e né portato a conoscenza dei medici, compreso il medico di turno reperibile, ad una paziente di 41 anni, poi deceduta. Gli arresti sono stati disposti dal Gip del Tribunale di Reggio Calabria su richiesta della Procura. Le indagini svolte dalla Squadra Mobile, con il coordinamento del Procuratore Vicario Gerardo Dominijanni e del Sostituto Nicola De Caria sono partite dall’improvviso decesso della donna, ricoverata per sindrome bipolare, avvenuto il 24 febbraio 2018. Secondo l’accusa il decesso sarebbe stato causato da una dose massiccia di psicofarmaci, che gli infermieri avrebbero somministrato alla donna per riuscire a “gestirla” meglio, ma in assenza di qualsiasi consulto medico.

fonte: tgcal24