mercoledì 31 luglio 2013

ABUSI DELLA PRATICA COERCITIVA IN USO NEI 3 REPARTI GROSSONI DELL’OSPEDALE DI NIGUARDA

DAL COMUNICATO STAMPA DEL TELEFONO VIOLA DI MILANO:
Mohamed M.
a causa delle contenzioni patite al Grossoni 1 subisce la paralisi bilaterale del plesso brachiale, ovvero ha entrambe le braccia paralizzate Mohamed M. ha subito lo “spallaccio”?
Mohamed M. è un cittadino marocchino che viene ricoverato al Grossoni 1 l’11 giugno 2005 e dopo qualche settimana viene trasferito a Medicina 2 da dove viene dimesso il 27 luglio 2005. Nel portale dei reparti non esiste nessuna documentazione del ricovero al Grossoni 1! Esiste, invece, la relazione alla dimissione da Medicina 2, in cui nel motivo del ricovero si dice:
il paziente viene ricoverato in psichiatria Grassoni 1 e contenuto per imponente stato di agitazione.
Successivamente comparsa di rabdomiolisi imponente (cpk >22000) per cui viene ricoverato in medicina II dove diviene sempre più evidente una paralisi flaccida bilaterale degli arti superiori con totale impotenza funzionale
La rabdomiolisi è “la rottura delle fibre muscolari con conseguente rilascio del contenuto di fibra muscolare (mioglobina) nel flusso sanguigno … legata a traumi con schiacciamento muscolare.”
Il trattamento che in una persona contenuta porta ad una imponente rabdomiolisi è il famigerato “spallaccio” prolungato nel tempo. Appena al Grossoni 1 si sono accorti che Mohamed aveva perso l’uso delle braccia lo hanno trasferito di corsa a Medicina 2, ed hanno fatto sparire tutta la documentazione del reparto.
La diagnosi alla dimissione è: “paralisi bilaterale del plesso brachiale”.
Rita F.
A causa di una lunga e insensata contenzione patita al Grossoni 1 subisce ulcere da decubito, una tromboembolia polmonare, una trombosi venosa profonda, una infezione alle vie urinarie
Rita F. il 3 marzo 2006 viene ricoverata al Grossoni 2. Durante il ricovero la paziente si era dimostrata oppositiva alla terapia del medico curante e rimaneva a letto con le sponde. Per i suoi tentativi di scavalcare le sponde è stata legata a letto, ed è rimasta in contenzione per un tempo lunghissimo.
La lunga contenzione ha provocato:
piaghe da decubito , infezione delle vie urinarie da enterococco, trombosi venosa profonda arto inferiore dx, tromboembolia polmonare.
La povera Sig.ra Rita, ridotta in fin di vita dalla insensata lunghezza della contenzione, trasfigurata in una specie di manifesto vivente delle gravi lesioni provocate dalle contenzioni, in giugno viene trasportata d’urgenza all’UCIC, che è il reparto di terapia cardiologica di urgenza, e, dopo, a Medicina 2, dove le curano le piaghe da decubito. La Sig. Rita viene dimessa da Medicina 2 il 31 luglio 2006.

lunedì 29 luglio 2013

Lo stato degli O.P.G. italiani

Il filmato che potete vedere qui sotto è tratto dalla trasmissione televisiva "Presa diretta". Ovviamente è necessaria una premessa: l'intervista al politico presente in studio e certe promesse, naturalmente mai mantenute, non ci trovano d'accordo. In questo blog manteniamo una linea di pensiero non allineata, di qualsiasi partito politico si tratti. Detto ciò, bisogna comunque considerare il filmato in questione una testimonianza della tortura a cui vengono sottoposti dei cittadini italiani innocenti. Si tratta infatti di un "ospedale", ma l'attività di "cura" relegata ad una visita psichiatrica mensile della durata di 30 minuti susciterebbe molte risate, se non stessimo parlando di persone sequestrate illegittimamente da uno stato sovrano.
Un'ultima particolarità: osservate il filmato alla fine del 2°minuto. In quel momento un uomo sta parlando della sua condizione e del fatto che in carcere le guardie mantengono un comportamento abbastanza discutibile. Nel giro di pochi secondi compare un poliziotto che invita l'intervistatore a proseguire e abbandonare l'interlocutore. Io credo avesse altre cose interessanti da raccontare...

Veronika

mercoledì 24 luglio 2013

Still Crazy After This Year

(Ancora pazzo dopo tutti questi anni)

Jeanette De Wyze, reporter


In uno di questi prossimi mesi, il Journal of Nervous and Menthal Diseases pubblicherà un articolo che descrive una non-tradizionale sperimentazione con schizofrenici di nuova diagnosi. Questa sperimentazione assegna casualmente giovani con tale diagnosi ad una o l'altra di due differenti forme di trattamento. Alcuni entrano in un ospedale psichiatrico dove ricevono psicofarmaci che reprimono i loro deliri psicotici. Gli altri vanno in un posto conosciuto come "Casa Soteria". Qui vivono per alcuni mesi insieme ad un piccolo gruppo di altri schizofrenici e un gruppo di supporto di uomini e donne (non medici) che danno aiuto emozionale per tutto il tempo ai disturbati. Lo studio ha seguito i soggetti della ricerca per due anni. Secondo questo articolo, gli schizofrenici che hanno vissuto nella casa terapeutica e non hanno ricevuto farmaci, sono riusciti meglio di quelli che hanno ricevuto trattamenti medicali nell'ospedale. Anzi, ha detto Loren Mosher,"Quelli che sono riusciti meglio sono quelli a cui era stata predetta una prognosi cattiva".

Mosher, uno psichiatra di San Diego, è stato il principale architetto della sperimentazione Soteria. Quel che si è dispiegato durante gli anni in cui Moher ha operato (dal 1971 al 1983), ha seguito i contorni della sua concezione della schizofrenia, una condizione che affligge da 1 a 2 americani su 100. Diversamente dalla maggior parte dei suoi colleghi nella professione, Mosher non è mai stato persuaso che il comportamento psicotico fosse dovuto ad anormalità del cervello. Egli perciò è giunto a ritenere che se la schizofrenia non è una malattia di organo deteriorato, allora è sbagliato costringere gli schizofrenici a prendere farmaci che cambiano il loro cervello. Egli è a conoscenza che le potenti medicazioni prescritte oggi per la schizofrenia spesso sopprimono i sintomi della pazzia e rendono le persone disturbate più agevoli da controllare. Ma Mosher argomenta che ci sono vie migliori per aiutare la maggior parte degli schizofrenici a riacquistare la sanità -- concedergli dignità, più umanità e rispetto della libertà, meno devastazioni del corpo e dell'anima.
Il dottore ora 69-enne dichiara che poiché sostiene queste convinzioni, "Sono del tutto emarginato dalla psichiatria americana. Non sono mai invitato ai grandi congressi. Non sono mai invitato a esporre le mie idee. Non sono mai invitato quale relatore di parte a meetings negli Stati Uniti". Tuttavia dal 1968 al 1980, che è l'arco di anni in cui le sue poco ortodosse convinzioni raggiunsero l'apice, Mosher ha occupato una posizione preminente nella comunità della ricerca psichiatrica statunitense. E' stato il direttore del Centro di Studi sulla Schizofrenia al National Istitute of Mental Health di Washington DC. Ha fondato il Schizophrenia Bullettin, di cui è stato il capo editore per dieci anni. La storia di come e perchè è diventato un reietto dalle organizzazioni della sua professione, rivela molto di quanto è cambiata in profondità la concezione della pazzia in America negli ultimi 40 anni.
...
Per approfondimenti:
http://www.nopazzia.it/LRMosher/pazzo.htm

martedì 23 luglio 2013

Test on-line!

A chi vuole perdere 10 minuti e fare un  test on-line, consiglio oggi questo sito piuttosto interessante:

http://www.psicologi-psicoterapeuti.it/psychofun/

Naturalmente è solo un modo per divertirsi, non  per effettuare delle auto-diagnosi...in quelle siete già bravissimi da soli!

Veronika

giovedì 18 luglio 2013

Fumare le canne rende pigri!

Sia che siate a favore o contrari all'utilizzo delle droghe leggere, questo articolo tratto da "Il fatto quotidiano" del 5 luglio scorso dovrebbe farvi riflettere su come vengono condotti gli esperimenti medici in ambito neurologico-psichiatrico. Soprattutto le considerazioni che ne vengono tratte...allucinante!
Buona lettura.

Cannabis, “fumare le canne rende pigri”. Marijuana altera produzione di dopamina

Gli studiosi dell’Imperial college di Londra hanno analizzato il cervello di 40 persone, 20 consumatori abituali e 20 individui che invece non fumano. Nel primo gruppo sono stati rilevati anche sintomi e caratteristiche della "sindrome amotivazionale", ossia la mancanza di sensibilità verso gli stimoli esterni

Stanchezza, apatia, talvolta – se c’è la predisposizione – persino schizofrenia. Ma ora la scienza dà un’altra colpa alla cannabis, quella di renderci pigri e svogliati. Secondo gli studiosi dell’Imperial college di Londra, uno degli istituti di ricerca più famosi al mondo, a pochi passi dal quartiere dei musei e dal rinomato museo della Scienza, la cosiddetta “erba” sarebbe responsabile della pigrizia e della svogliatezza dei consumatori abituali. Questo perché, sempre secondo gli studiosi, la marijuana altererebbe la produzione di dopamina nell’area del cervello responsabile per la motivazione, rendendo così chi ne fa uso insensibile a ogni stimolo. Alcuni ricercatori la definiscono “sindrome amotivazionale”, ma non vi è accordo fra gli scienziati sulla reale esistenza di questa condizione patologica. Ma ora il dottor Michael Bloomfield, che all’Imperial college ha guidato la ricerca, dice: “La dopamina è utile perché dice al cervello che qualcosa di interessante sta per accadere. Senza o con poca dopamina nulla ci interessa più, che sia sesso, divertimento o rock ‘n roll”.
I ricercatori dell’istituto – dove un master costa anche decine di migliaia di sterline e dove le selezioni all’ingresso sono rigidissime – hanno studiato il cervello di 40 persone, 20 consumatori abituali e 20 individui che invece non fumano le “canne”. E proprio nel primo gruppo di persone è stato riscontrato un livello molto anomalo di dopamina e sono stati anche rilevati anche sintomi e caratteristiche della sindrome amotivazionale. Che esista o meno, gli studiosi dell’Imperial College sono convinti comunque che la pigrizia dei consumatori abituali ha un motivo ben definibile, così come in passato è stata provata la relazione fra marijuana e certe forme di apatia. Secondo alcuni scienziati, inoltre, la cannabis sarebbe in grado di far esplodere episodi di schizofrenia in soggetti predisposti, ma anche su questo punto non tutti sono d’accordo. La mancanza di motivazione, comunque, sarebbe molto probabilmente legata al principio attivo della marijuana, che andrebbe a influire sul corpo striato del cervello.
“Una cosa, comunque, va detta – ha aggiunto Bloomfield – e cioè che abbiamo studiato consumatori di cannabis che avevano già presentato episodi psicotici”. Quindi, suggerisce il ricercatore, in futuro andrebbero indagati anche fumatori abituali apparentemente senza problemi mentali. I cervelli delle quaranta persone sono stati studiati tramite analisi PET, la tomografia a emissione di positroni – e nei consumatori il livello di dopamina era assai ridotto rispetto ai non fumatori. Ma c’è anche qualcosa di positivo: innanzi tutto, ha detto lo studioso, “gli effetti paiono reversibili. Basta smettere e la dopamina torna a livelli normali”. Inoltre, proprio l’analisi dei livelli della sostanza potrebbe consentire alla medicina di diagnosticare una eventuale dipendenza – altro punto molto dibattuto e spesso contestato. Una parte della scienza parla infatti di dipendenza, almeno psicologica, mentre una parte maggioritaria la esclude. Però Bloomfield avverte: “Questo studio dimostra chiaramente che la cannabis ha effetti sul cervello. Quindi, ogni consumatore potrà essere messo di fronte a una scelta consapevole”. Come a dire, sapete quello che fate. E se siete pigri, spesso non è certo colpa dello stress della vita moderna.

Veronika

martedì 16 luglio 2013

Un lager italiano: quei matti da slegare

RECLUSI ANCHE PER REATI LIEVI
La legge 180 del 1978 puntava all'abolizione dei manicomi e a creare "Servizi di diagnosi e cura" ma anche "appartamenti protetti" e altre strutture d'appoggio per ex degenti manicomiali o per nuovi utenti dei servizi psichiatrici. Osteggiata in mille modi e mai finanziata, la legge 180 e' stata applicata, piu' o meno bene, solo in alcune zone d'Italia. Ancora peggiore la situazione dei vecchi "manicomi criminali" ora ribattezzati Ospedali psichiatrici giudiziari (Opg): le riforme li hanno solo sfiorati, lasciandoli sostanzialmente immutati. Probabilmente si e' convinti che chi finisce in un Opg sia quasi sempre un pericoloso assassino. Non e' cosi': ci si puo' trovare qui anche per un furto o per avere procurato lesioni guaribili in dieci giorni. Impedendo il ricovero coatto in manicomio, la "180" ha avuto l'effetto paradossale (e non voluto) di incrementare l'ingresso nei manicomi giudiziari per reati particolarmente lievi e anche per vicende che palesemente non hanno a che vedere con turbe psichiche (qualunque cosa si intenda con questa definizione): tanto per capirsi, l'ubriaco che insulta gli agenti o chi vuole spacciare assegni falsi. Vista la lentezza della giustizia italiana (piu' volte condannata per questo in sede europea) si puo' rimanere per molti mesi in Opg aspettando la perizia ordinata dai giudici. Qualcuno potrebbe dire - con un misto di cinismo e rassegnazione - che rispetto al passato e' comunque un piccolo progresso. Infatti, negli anni Settanta il giudice di sorveglianza di Firenze effettuo' alcuni controlli sul manicomio criminale di Montelupo e scopri' che molti detenuti erano stati dimenticati li', senza nessuna condanna: come P. P. arrestato ne??l 36 per omicidio e liberato nel 71 per non avere commesso il fatto, o come F. M. imputato nel 1923 per omicidio e mai processato che venne messo in liberta' provvisoria nel 1973, dopo cinquanta anni di carcerazione preventiva.
LA STORIA DEI MANICOMI CRIMINALI
DOVE LA RIFORMA NON E' MAI ARRIVATA Negli anni 1970 occorse la tragedia di Antonietta Bernardini - che si bruciava viva su un letto di contenzione a Pozzuoli - perche' si rompesse la cortina del silenzio che circondava i "manicomi criminali". La denuncia piu' dura e documentata venne ancora una volta dall'interno: fu Alfredo Bonazzi prima con il libro "Ergastolo Azzurro" (Todariana, 1970) e poi con "Squalificati a vita" (Gribaudi, 1975) a raccontare cosa succedesse in riformatori, carceri e manicomi criminali. A Reggio Emilia, nella vecchia sede di via dei Martiri, Bonazzi rimase al letto per sessantotto giorni consecutivi: "C'erano persone con la museruola, uno era stato con le caviglie legate per diciotto anni". Nel 1978 fu varata la legge 180: i manicomi criminali rimasero, mutando solo il loro nome in Ospedali pschiatrico giudiziario. Quello di Reggio Emilia era un convento medioevale, in pieno centro. E' rimasto li' fino al 1992. Fino a quando gli internati cominciarono a lanciare fogli di carta appallottolati. Qualche cittadino incuriosito li prese e lesse: "Ci picchiano e ci legano ai letti". La denuncia fece scalpore e accelero' il trasferimento. La nuova sede e' nell'isolata via Settembrini. L'ospedale ospita centottanta persone (invece delle cento previste), ancor piu' nei mesi estivi quando alcune Usl - soprattutto lombarde - dirottano qui i casi piu' scomodi. Nell'ospedale ogni sezione ha un suggestivo nome di costellazione: Andromeda, Centauro, Pegaso, Fenice, Orione e Antares. Quest'ultima e' l'unica priva di letti di co??ntenzione. Basta poco per essere legati: un urlo, una porta sbattuta, uno sputo. Regnano abbandono e pratiche umilianti, nonostante l'impegno di alcuni volontari. Corridoi blindati e telecamere. Per smantellare questo lager occorre prevedere misure alternative alla detenzione psichiatrica. E' quello che ha proposto il circolo Chico Mendes (051-229208 begin_of_the_skype_highlighting 051-229208 GRATIS  end_of_the_skype_highlighting) che punta sull'adozione di singoli internati da parte di associazioni e gruppi territoriali per definire insieme le politiche di ri-accoglienza. Un primo passo per iniziare lo smantellamento di questa istituzione totale che sopravvive a ogni riforma.
REGGIO EMILIA: O.P.G Un uomo che vive legato, mani e piedi, a un letto da venti mesi. Un altro che e' morto di polmonite, "pieno di lividi e imbottito di psicofarmaci". Uno psichiatra che denuncia "l'uso improprio della contenzione". E una direttrice sanitaria che afferma "di non potere seguire i casi diversamente, per mancanza di personale". Tutto questo accade in un posto chiamato "ospedale psichiatrico giudiziario". Ma i metodi usati ricordano il suo vecchio nome, quello abolito dalla legge 180: manicomio criminale. In Italia ci sono cinque prigioni di questo genere. Ecco le testimonianze da un lager dimenticato
E' legato a un letto di contenzione da venti mesi. Il 13 agosto del 1994, il suo caso arrivo' per la che contano. In quell'occasione Valeria Calevro, direttrice dell'Ospedale psichiatrico giudiziario (Opg), dichiaro': "Non abbiamo operatori e personale sufficiente per seguirlo diversamente". Da allora nulla e' mutato. Di quest'uomo si conosce il nome, ma qui lo chiameremo con le sole iniziali: G. P. Per quel rispetto che finora ben pochi gli hanno mostrato. La prima denuncia che lo riguarda venne, quasi di sfuggita, dal radical??e-verde Carduccio Parizzi quando racconto' ai giornali l'incredibile vicende di un altro uomo, Carmine Cascella, finito dentro l'ospedale - invece che in carcere - per ragioni misteriose e senza che i parenti ne fossero informati. I familiari di Cascella denunciarono di averlo trovato pieno di lividi e imbottito di psicofarmaci. Lui disse al fratello Luigi: "Mi picchiano". La direttrice replico': "Psicofarmaci, puo' essere, ma botte non mi risulta". La vicenda di Carmine Cascella si chiuse nel novembre 1994: i quotidiani locali riferirono che era morto di polmonite, appena uscito dal manicomio. "Forse sarebbe accaduto comunque, ma da quando era uscito da quel lager non era piu' lui", commento' il fratello. Si spensero cosi' i riflettori che, per un attimo, avevano gettato un po' di luce su uno dei cinque "manicomi criminali" (questa la vecchia definizione) italiani. Cosi' quasi tutti dimenticarono che, a margine della denuncia su Cascella, l'allora consigliere regionale Parizzi aveva raccontato di G.P. che da otto mesi viveva legato, mani e piedi, al letto d'una cella.
LETTO DI CONTENZIONE
Parizzi torno' alla carica in dicembre, rivelando che per G.P. nulla era mutato, nonostante che la sua storia fosse stata portata all'attenzione dell'allora ministro di Grazia e Giustizia Alfredo Biondi e di Tiziana Maiolo, presidente della Commissione Giustizia alla Camera. Dunque, e' l'inizio del 95, G.P. da un anno viveva inchiodato a un letto di contenzione. Il caso riesplose in aprile - ma solo sui giornali dell'Emilia Romagna - grazie allo psichiatra Giuseppe Cupello, consulente all'interno della struttura reggiana. "La contenzione viene usata con leggerezza, gli internati vengono legati mani e piedi con fascette di stoffa, per tempi prolungati e usi impropri", dichiaro' Cupello in una conferenza stampa, ricordando l'esistenza di una persona imprigionata in un?? letto da oltre quindici mesi, "ufficialmente per motivi medici, di fatto senza un perche' davvero consistente. I tentativi di affrontare questo caso in altri termini sono stati molto scarsi, quasi nulli". La denuncia di Cupello avviene all'indomani di un episodio significativo: "il 10 aprile mi e' stato impedito l'ingresso nell'istituto con un provvedimento della Direzione sanitaria senza alcuna motivazione o contestazione". Perche' questo improvviso provvedimento? L'unica spiegazione - azzardo' lo psichiatria estromesso - "e' nelle mie proteste, nella mia perplessita' a prendere misure coercitive. Trovano scandaloso che io discuta la terapia con i pazienti e che li sleghi dopo sola mezza giornata di contenzione". Lui non lo dice espressamente ma forse ha pesato la sua richiesta di un'ispezione per l'uomo legato da quindici mesi.
DIMENTICATI DA TUTTI
Per qualche giorno - ma solo a livello regionale - le accuse di Cupello hanno fatto discutere. Poi e' tornato il silenzio. Spezzato, solo per qualche ora, giorno 8 luglio quando, davanti all'Ospedale psichiatrico e' svolta una manifestazione di protesta, promossa dal circolo Chico Mendes di Bologna, dalla Reggiana resistenza verde e dal Telefono Viola di Bologna (051-34200 begin_of_the_skype_highlighting 051-34200 GRATIS  end_of_the_skype_highlighting) che raccoglie le denunce "contro gli abusi della psichiatria". Un centinaio di persone ha fronteggiato uno sproporzionato schieramento di polizia. Nella sua beata ingenuita' un bimbo di tre anni si e' avvicinato a un ufficiale e ha chiesto: "Signore, perche' non mi aiuta a liberare le persone che tengono li' dentro legate?". La sua domanda e' rimasta senza risposta. Qualche giorno fa, dall'interno di questo lager e' uscita una nuova, terribile testimonianza. Ne pubblichiamo alcuni frammenti e in particolare quelli che raccontano di G.P. L'autore di questa ennesima denuncia e' un "detenuto-paziente" del?? quale non faremo il nome. "Qui siamo dimenticati da tutti. Come si finisce in manicomio criminale? Non e' vero che ci sono solo delinquenti pericolosi come tutti pensano. C'e' chi e' finito qui solo per reati tipo aver dormito una notte in una macchina non sua. Quell'uomo (G. P. ndr) e' ancora legato. Lo fanno mangiare bendato, con una specie di passamontagna. Lo imboccano insomma. Vede solo l'infermiere che gli copre la faccia ma lui non ce l'ha con loro (con gli infermieri cioe') ma solo con i carcerieri, le guardie. Qui e' normale essere legati, pero' nessuno cosi' a lungo come lui. Siamo noi stessi a volte a chiedere di essere legati, per ventiquattro ore o per una notte: quando siamo molto nervosi e abbiamo paura di farci del male. Io soffro d'insonnia ma quando ero fuori dormivo bene e non commettevo quei gesti che chiamano autolesionisti". L'ultimo passaggio di questa denuncia necessita di un chiarimento. Proprio i comportamenti autolesionisti vengono spesso citati dai seguaci della psichiatria tradizionale per giustificare la contenzione. Molti altri psichiatri pero' rovesciano il ragionamento, spiegando che questi sono quasi sempre modi disperati per richiamare l'attenzione su di se': in parole povere meglio essere considerati pericolosi che nullita', fantasmi. Di persone legate da anni purtroppo in Italia se ne trovarono a centinaia, quando nel 1978 la legge 180 entro' in vigore. Si puo' immaginare le difficolta' di chi voleva liberare questi sequestrati, carichi di rabbia, o di irrefrenabili paure, per essere stati trattati in modi cosi' disumani. Eppure a Trieste, ad Arezzo, a Imola, insomma la' dove si e' voluto lavorare bene - si sa che in altri luoghi la legge 180 non e' ancora arrivata o fu solo un tragico "scaricabarile" di responsabilita' - anche gli internati definiti "ingestibili", i "contenuti a vita", sono stati inseriti positivamente in progetti di riabilitazione e di risoc??ializzazione. E' certamente possibile studiare un progetto per sciogliere le catene che da venti mesi imprigionano G.P., tanto piu' che la stessa direttrice ammette che la causa principale di questo assurdo sequestro di persona e' la mancanza di personale. E certamente si puo' e si deve ridiscutere l'utilita' di questi luoghi che non sono ne' carceri ne' ospedali psichiatrici ma riescono a sommare il peggio di queste due istituzioni. Negli ultimi trenta anni in Italia sussulti di civilta' - con grande fatica, spesso in un'altalena di successi e passi indietro - hanno comunque scosso prigioni e manicomi. I cinque Ospedali psichiatrici giudiziari invece resistono, immutati: istituzione totale, pozzo nero, lebbrosario dove finiscono persone private d'ogni diritto. Fino a quando?
Nota: Questo articolo di Daniele Barbieri è tratto da AVVENIMENTI del 20 settembre 1995
Nota2:Quest'anno il parlamento ha deciso di rinviare al 1° aprile 2014 la chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (OPG), dove sono ancora internate più di mille persone delle quali centinaia sono rinchiuse “in proroga” e attendono finalmente di essere dimesse.
Nota3: http://www.youtube.com/watch?v=A535K-IjVjg

lunedì 15 luglio 2013

Credere nel paranormale.





Mi sono appena imbattuta in un interessantissimo articolo di psychologytoday.com e voglio condividerlo con i "malati" che visitano costantemente questo blog.
Innanzitutto eccovi il link:
http://www.psychologytoday.com/blog/psychology-yesterday/201307/stop-making-sense

Riassumendo, nella prima parte del testo si afferma che le neuroscienze e le neuroimmagini (credo si riferiscano alla tanto idolatrata PET) hanno dimostrato che il cervello umano è predisposto biologicamente a credere nel sovrannaturale. Hanno scoperto un'altra volta l'acqua calda praticamente...ma la domanda a cui cercano di dare risposta è molto più interessante: "Perchè qualcuno ha delle visioni, delle allucinazioni, delle credenze più o meno mistiche e altri no? Perchè il mio vicino di casa è convinto di essere spiato dagli alieni, mentre io mi deprimo nella mia "normalità" di ateo disilluso?" La risposta è come al solito elegantemente scientifica. Il neuroscienziato Peter Brugger ci spiega che è colpa della dopamina: il mio vicino avrebbe un eccesso di dopamina, io invece ne sono quasi sicuramente carente. Ma allora possiamo fare una classifica di chi ha più o meno dopamina! Al primo posto chi potremmo mettere? Il papa, il mago di Benevento, l'equipe del programma televisivo "Mistero"...difficile decidere.
Ancora più elegante però l'aggiunta data dalla scrittrice Sharon Begley: "belief in the paranormal reflects normal brain activity carried to an extreme." ovvero "se credi in qualcosa di impossibile da dimostrare, è una normale attività del cervello, basta che la tua credenza non si spinga oltre certi livelli, non meglio specificati". Ricapitolando: posso credere che il vero dio sia un panda verde con le ali, posso costruire monumenti con la sua effige, diffondere il suo vangelo, dire che ha fatto dei miracoli, ma non posso vederlo o sentirlo "realmente" perchè in quel caso sarei pazzo...eh sì, non fa una piega...

Veronika

sabato 13 luglio 2013

W i Ramones!

La canzone narra dello stato d'animo di quando si è in tour, ma fra testo e video credo sia possibile ricavare molte altre metafore.


 

"I Wanna Be Sedated"
Twenty-twenty-twenty four hours to go I wanna be sedated
Nothin' to do and no where to go-o-oh I wanna be sedated
Just get me to the airport put me on a plane
Hurry hurry hurry before I go insane
I can't control my fingers I can't control my brain
Oh no no no no no
Twenty-twenty-twenty four hours to go....
Just put me in a wheelchair, get me on a plane
Hurry hurry hurry before I go insane
I can't control my fingers I can't control my brain
Oh no no no no no
Twenty-twenty-twenty four hours to go I wanna be sedated
Nothin' to do and no where to go-o-o I wanna be sedated
Just put me in a wheelchair get me to the show
Hurry hurry hurry before I go loco
I can't control my fingers I can't control my toes
Oh no no no no no
Twenty-twenty-twenty four hours to go...
Just put me in a wheelchair...
Ba-ba-bamp-ba ba-ba-ba-bamp-ba I wanna be sedated
Ba-ba-bamp-ba ba-ba-ba-bamp-ba I wanna be sedated
Ba-ba-bamp-ba ba-ba-ba-bamp-ba I wanna be sedated
Ba-ba-bamp-ba ba-ba-ba-bamp-ba I wanna be sedated
 
Veronika

martedì 9 luglio 2013

Il caso Sabattini

A proposito del problema del dissenso politico sottoposto attualmente in Italia a persecuzione psichiatrica riferirò del caso, già accennato, Carlo Sabattini, di cui mi sono occupato come perito
della difesa.
Nell'estate del 1985, quando Carlo Sabattini era internato nel manicomio giudiziario di Castiglione dello Stiviere, in seguito a denuncia pretestuosa del sindaco di Modena e per ordine del pretore Persico, appoggiato dalla perizia di tre psichiatri, che avevano dichiarato Sabattini malato di mente pericoloso, in qualità di perito della difesa andai più volte a trovarlo, con lo scopo di conoscerlo e preparare con lui gli strumenti della difesa.
In quel periodo la stampa nazionale italiana parlava molto del caso Sacharov e poco o nulla di Sabattini, capolista dei Verdi nel Comune di Modena, una persona che godeva la fiducia dei cittadini, oltre che degli amici e collaboratori, tanto che era stato eletto con il maggior numero di preferenze. Le sue iniziative per denunciare le condizioni ecologiche e altri aspetti della vita modenese, erano molto ponderate e precise, frutto di convinzioni profonde. Sabattini era diventato un punto di riferimento non solo per i Verdi ma per chi voleva cambiare le cose. Così l'hanno fatto passare per matto, sono andati a prenderlo a casa e l'hanno internato in un manicomio.
Sono andato a trovarlo, ho parlato con lui e l'ho trovato persona estremamente consapevole e cosciente di quello che era accaduto. Con serenità mi ha detto: "Non guardate chi è Sabattini. Stando qui dentro al manicomio giudiziario potrebbe anche innervosirsi. Guardate piuttosto i documenti delle vertenze giuridiche di cui mi sono occupato". Così mi ha fatto vedere i documenti con i quali ha formato un "libro bianco", mandato alla Federazione provinciale del Partito Socialista di Modena, che a sua volta lo ha trasmesso al presidente Pertini perché lo sottoponesse all'esame del Consiglio Superiore della Magistratura.
Sabattini ha infine ribadito: "Guardate i documenti e decidete, invece di mettere da parte me con dei pretesti."
Non è una novità che la psichiatria si serva dei suoi strumenti per eliminare i cittadini che dissentono: tutti lo sappiamo bene perché si parla molto in Italia, e in tutto l'Occidente, della psichiatria come repressione in Unione Sovietica e in altri Paesi a socialismo reale, giustamente criticando quello che vi accade. Ma la verità è che queste cose accadono anche da noi. Anzi storicamente è proprio in Italia che è nata la psichiatria come strumento repressivo del dissenso. Si deve a Lombroso l'elaborazione di queste teorie, che in Unione Sovietica vengono usate magari con qualche perfezionamento.
Chi conosce la storia del movimento anarchico italiano sa che in Italia molti dissidenti sono stati eliminati grazie alle teorie sociologiche e psichiatriche lombrosiane. Così Sabattini non è un caso nuovo. Per non dire di tutti quelli che vengono eliminati giorno dopo giorno, senza che se ne abbia notizia, perché non hanno rilievo presso l'opinione pubblica. (...) Se per ipotesi Sabattini fosse stato uno che diceva sciocchezze, forse non sarebbe stato internato, perché non ci voleva molto a smentirlo. Ma proprio perché era difficile smentirlo, l'unico modo era internarlo in manicomio e farlo dichiarare pazzo dagli psichiatri che svolgono appunto questo compito al servizio del potere.
Quelli che mi conoscono, o che conoscono il mio lavoro, sanno che ho sempre sostenuto e sostengo che la psichiatria non è una scienza. Secondo me la psichiatria è stata costruita apposta per eliminare le persone scomode: la persona scomoda può essere il dissidente il cui pensiero è in conflitto con le autorità, ma anche il disoccupato o il mendicante.
Dicono che Sabattini avrebbe, per usare le loro parole, un "delirio rivendicazionista". Questo significherebbe che una persona che come il Sabattini fa delle precise, documentate rivendicazioni, non è un cittadino che difende i suoi diritti, come penso io e come pensano i suoi elettori, ma è uno che ha il difetto di protestare: così si vede che per i periti psichiatri del giudice il protestare contro le autorità è un difetto, che finisce per diventare una malattia.
Dicono ancora i periti del giudice che Sabattini soffrirebbe di "altruismo morboso": sfiderei chiunque a spiegare il contenuto di questo concetto. Anche la capacità di Sabattini a formarsi una cultura giuridica da autodidatta sarebbe secondo loro un sintomo di malattia. Infine lo accusano di proselitismo: vale a dire di farsi dei proseliti, come fa ogni politico e ogni cittadino che si occupa dei diritti collettivi.
Come si vede, ogni caratteristica positiva viene trasformata in un carattere negativo. Ma non basta: i caratteri negativi così arbitrariamente ottenuti vengono raccolti in un concetto immaginario di malattia.
In ogni modo anche se Sabattini si sbagliasse nelle sue critiche e nelle sue denunzie, sarebbe un cittadino che fa degli errori nel difendere i diritti della collettività, non certo uno da definire matto e da mettere in manicomio giudiziario. (...) Sabattini è stato liberato dopo circa tre mesi d'internamento, con una modifica, da parte del tribunale, della formula con cui era stato internato. Ma ha dovuto aspettare più a lungo per essere liberato dal marchio che gli hanno applicato gli psichiatri.
 
Tratto da "Il pregiudizio psichiatrico" di Giorgio Antonucci, ed. Eléuthera

sabato 6 luglio 2013

Il sit-in di Lucia Uva

2 Luglio 2013

Una maglietta a due facce: da una parte un'immagine di Ruby sorridente, dall'altra il volto di Giuseppe Uva, morto in ospedale il 14 giugno del 2008 dopo che era stato fermato dai carabinieri ubriaco per strada e trattenuto in caserma a Varese per alcune ore. A indossarla è Lucia Uva, sorella di Giuseppe che, lunedì mattina, ha protestato davanti al Tribunale di Milano. Il motivo del sit-in è spiegato sui due lati della maglia: «Alla giustizia interessano le Olgettine di Berlusconi, ma la morte di Giuseppe non interessa alla giustizia».

«VOGLIAMO VERITA' E GIUSTIZIA» - Lo scorso 14 giugno, la Corte d'Appello di Milano ha confermato l'assoluzione dello psichiatra Carlo Fraticelli dall'accusa di omicidio colposo in relazione alla morte dell'uomo, che aveva 43 anni. Oltre allo psichiatra erano stati assolti, in primo grado, gli altri due medici dell'ospedale di Varese accusati di errori nelle cure e di aver somministrato una dose sbagliata di farmaci a Uva, che era stato ricoverato con trattamento sanitario obbligatorio. La sorella di Uva, però, col presidio davanti al Palazzo di Giustizia di Milano vuole «denunciare», in particolare, che «per tre volte la Procura Generale ha respinto» la richiesta di avocazione delle indagini (presentata dal legale della donna, Fabio Anselmo) sulla morte del fratello, di cui è titolare il pm di Varese, Agostino Abate. «Il pm - afferma la donna - non ha indagato sui carabinieri e ora tutto sta andando in prescrizione e il paradosso è che sulla morte di mio fratello non ci sono più inchieste nè processi e io sono l'unica indagata per diffamazione nei confronti del pm». E chiarisce: «Noi non vogliamo fare la guerra ai magistrati, vogliamo verità e giustizia, vogliamo sapere perchè un uomo di 43 anni è morto di botte».
SOLIDARIETA' FEMMINILE - Accanto alla donna c'è Domenica Ferrulli, figlia di Michele, 51 anni, morto il 30 giugno 2011 a Milano per arresto cardiaco mentre quattro agenti lo stavano arrestando. «Nel nostro caso le indagini sono andate avanti - spiega la giovane - e ora è in corso un processo agli agenti, noi siamo soddisfatti, ma siamo qua in solidarietà a Lucia». E Lucia Uva aggiunge: «Io, Ilaria Cucchi, Domenica Ferrulli e Patrizia Aldrovandi e tante altre siamo tutte una grande famiglia». Giuseppe, conclude, «è stato vittima delle forze dell'ordine e oggi è vittima ancora una volta della giustizia, io andrò in Procura a Roma e a Brescia e tornerò ancora qua, perchè voglio giustizia anche per i cittadini normali».

Mr. Wiggles e le benzodiazepine




 http://www.internazionale.it/strisce/mr-wiggles/2013/07/05/202304/

Veronika



giovedì 4 luglio 2013

Edvard Munch


 
150 anni fa nasceva Edvard Munch. Sulla sua opera di pittore e sui suoi quadri non credo ci sia bisogno di scrivere nulla. Anche sulla sua triste esistenza sono stati scritti libri e articoli a volontà. Ma tramite questo blog ci piace ricordare l'esperienza da lui provata in una casa di cura e di come la pittura abbia ribaltato i ruoli di potere esistenti fra medico e paziente. Nel 1908 infatti entra in una clinica di Copenhagen, dove passerà otto mesi della sua vita tentando di risolvere quelli che vengono generalmente definiti come episodi di estrema ansia, paralisi e abuso di alcol.
 Ecco il dottor Jakobsen al lavoro, mentre "si prende cura" di Munch. Si potrebbe pensare che stia praticando un elettroshock, ma in realtà si tratta di non meglio specificata "elettroterapia". “Professor Jacobsen is electrifying the famous painter Munch, and is bringing a positive masculine force and a negative feminine force to his fragile brain.” Questo è ciò che recita la didascalia sopra il disegno.
Ma i ruoli, come scritto sopra, si sarebbero ben presto invertiti. Munch sfuggiva alle (inutili) cure dell'ospedale con la sua arma migliore, la pittura naturalmente. Ovviamente è proprio il dottor Jakobsen a diventare uno dei suoi soggetti preferiti.
 
Munch descrive il suo medico e il loro rapporto: “Jacobsen was a fine physician. He walked around like a pope among white nurses and pale patients. The food was white too—everything was white except Jacobsen. I wanted to say something too, so I asked him to pose for me…I have put him in the flames of hell. He stands looking down as a pope upon his white-clad nurses and us, the pale, sick ones…When I was painting him, Jacobsen begged for mercy and he became as gentle as a dove.”

Alla fine Munch seguirà le prescrizioni del medico (“tobacco-free cigars, alcohol-free drinks, and poison-free women.”) e abbandonerà la casa di cura, ma chiaramente non guarirà. Guarire per Munch avrebbe significato abbandonare la sua stessa natura, essere un altro, perdere la propria identità...e questa non può essere chiamata guarigione.

“My sufferings are part of my self and my art. They are indistringuishable from me, and their destruction would destroy my art.”

Veronika



lunedì 1 luglio 2013

Il lavoro oggettivante.



Vi propongo la lettura di un articolo, tratto dalla rivista on-line "In-mind", sul lavoro oggettivante. E' un campo in perenne fase di esplorazione, visto che finora la psicologia si è occupata prevalentemente dell'oggettivazione riferendosi alle differenze sessuali e a come la donna venga oggettivata nella nostra società. Innegabile che al giorno d'oggi la situazione economica abbia portato un cambio di prospettiva nel mondo lavorativo e all'accettazione di condizioni impensabili fino a qualche anno fa. Dal peggioramento delle condizioni lavorative al peggioramento della salute mentale, come ben sappiamo, il passo è breve...


Veronika