martedì 30 aprile 2013

Il TSO, trattamento forzato
 
Metodi di contenzione psichiatrici. Resoconto e raccomandazioni sul fallimento dei programmi di salute mentale. Pubblicato dal comitato dei cittadini per i diritti umani istituito nel 1969.
Scarica il libro da qui:
 

venerdì 26 aprile 2013

Quando le sbarre uccidono.

Tratto da "Corriere della sera.it" del 26/04/2013

 

Il rogo partito da una dependance di legno

Tragedia nella notte a Mosca
38 morti nel rogo all'ospedale psichiatrico

La causa un corto circuito. Solo tre sopravvissuti. Le vittime stroncate dal fumo nei loro letti. Non escluso il dolo

Trentotto persone sono morte nell'incendio di un ospedale psichiatrico fuori Mosca. Lo ha reso noto nella notte un funzionario del Ministero della Salute russo. 

CORTO CIRCUITO O DOLO? - Secondo le prime ricostruzioni della polizia, a causare l'incendio potrebbe essere stato un corto circuito, ma non è escluso nè un gesto doloso o una causa accidentale, come un mozzicone di sigaretta lasciato acceso. Gli investigatori hanno aperto un'inchiesta per violazione delle norme di sicurezza. Una fonte della polizia ha riferito inoltre che gran parte dei pazienti sarebbero morti nei loro letti inalando il fumo. Secondo un testimone citato da Interfax, l'infermiera sopravvissuta avrebbe detto che un giovane ricoverato ieri aveva manifestato l'intenzione di bruciare un materasso.

TRE SOPRAVVISSUTI - «Stando alle informazioni preliminari, 38 persone sono morte, compresi due medici», ha riferito il portavoce del ministero Oleg Salagay. «Tre persone sono sopravvissute: un'infermiera ha portato fuori dall'edificio in fiamme due pazienti», ha aggiunto. L'ospedale psichiatrico di Ramensky, ospitava anche alcolizzati e tossicodipendenti. Tre membri del personale erano di guardia per la notte e un'infermiera ha tentato di domare le fiamme con un estintore. I tentativi di fermare l'incendio sono stati inutili: il rogo è partito da una dependance di legno; pare che l'allarme antincendio abbia funzionato, ma che le fiamme si siano diffuse troppo in fretta e molti dei pazienti sono rimasti soffocati dal fumo mentre tentavano la fuga, ostacolati anche dalle sbarre alle finestre.


Veronika

mercoledì 24 aprile 2013

Un anno di internamento in più

Il 31 marzo scorso era la data in cui “ufficialmente” i sei OPG (Ospedali Psichiatrici Giudiziari) presenti in Italia, dovevano chiudere. Almeno secondo le disposizioni della legge 9/2012. Il termine chiudere forse può essere fuorviante. In realtà si stabiliva che gli attuali “ospiti” (1400 circa) avrebbero ricevuto le cure necessarie in strutture sanitarie. Alla fine è stato tutto rimandato al 1 aprile del 2014. Se ne riparla fra un anno. In fondo neanche tanto tempo considerando che gli uomini e le donne cui ci si riferisce sono da decenni reclusi in strutture disumane. Un anno in più o in meno che vuoi che sia! Bisognerebbe sentire i diretti interessati cosa ne pensano e magari organizzare un’evasione di massa da strutture disumane considerate non degne di un paese civile secondo il Comitato per la prevenzione della tortura del Consiglio d’Europa che le visitò nel 2008. Bisognerebbe chiedere il parere a tutti gli internati e a tutti coloro che subiscono o hanno subito la costrizione della propria libertà in quelle che, il sociologo Goffman, chiama istituzioni totali. Le istituzioni totali sono i conventi, le caserme, le carceri – in certi casi i collegi e gli ospedali – i manicomi e tutti quei luoghi dove sono ravvisabili le seguenti caratteristiche: uno stretto controllo dall’alto da parte di una componente della popolazione (staff) rispetto ad un’altra (ospiti); l’essere una società altra a se stante che ti può portare a vivere in totale esclusione/separazione da quella umana in generale; una organizzazione gerarchica formalizzata della struttura, dei tempi e della vita al suo interno (orario dei pasti, relazioni, divieti, etc.). Non bisogna certo dilungarsi per dire come tutto ciò vada rifiutato, ma è bene conoscerne caratteristiche e definizioni. In questo la triste sorte degli internati degli OPG diventa così l’esempio negativo di cosa siano questi luoghi di tortura e sofferenza, le cui normative fanno capo al fascista Codice Rocco del 1930, e che ancora si applicano nelle sei strutture che si trovano a Napoli, Aversa, Barcellona Pozzo di Goto, Castiglione delle Stiviere, Montelupo Fiorentino e Reggio Emilia. Ancora un anno dunque. Lungo, infinito, in cui tutto può accadere. Alla fine però ci sarà la fine di una pena senza fine? Forse. O si andrà in tanti piccoli manicomietti, gestiti da cooperative private? Qualcuno si è chiesto se le 1400 persone di questi sei lager di stato hanno una famiglia, potranno essere seguiti, sostenuti, aiutati da qualcuno? Chi li aiuterà? In che tessuto sociale verranno reintegrate? E come? Queste ed un milione di altre domande fra tecnicismo, retorica e profondo senso della dignità umana devono necessariamente accompagnarsi alla vicenda, al fine di avere il miglior esito possibile. Sarà difficile, molto. Anche perché la questione non riguarda solo i 1400 individui segregati, e le loro storie, i loro nomi, le loro vite negate, etc., ma interessa anche tutto il mondo che sta ed è stato loro attorno. Chi ha gestito questi OPG, con quali soldi, quali incarichi, progetti e obiettivi? Chi sono i professionisti che dirigono e lavoravano in queste strutture? Il pensiero che li riguarda assume un aspetto sociale e culturale che pone l’interrogativo di come e quanto il loro lavorare e vivere – magari senza accorgersene – sia presente nella società immediata che li circonda, sia testimonianza di questa e quanto venga alimentato da essi stessi, ingranaggi di un meccanismo stritolatore di cui inconsapevolmente, in qualche caso, sono i portatori cronici di un’infezione gerarchica pericolosa. E tutto ciò in una società malata come la nostra, non solo perché affetta dalle patologie veicolate dallo stato e dal mercato, ma perché impoverita di tutto il patrimonio difensivo (verrebbe da dire di anticorpi sociali) sviluppato dalle lotte antifasciste, sindacali, civili, di cui rimane solo un tenue e nebuloso ricordo in un quadro sociale italiano dove alla comunità viene contrapposto l’atomizzazione individualista, ai diritti vengono preferiti i privilegi, in una guerra fra poveri infinita. Pur stando nel paese della riforma basagliana della psichiatria, ancora c’è qualche ciarlatano che preferisce legare, imbottire di sedativi, bruciare neuroni con la TEC (Terapia elettroconvulsivante, meglio nota come elettroshock). Pur stando nel paese dove sono stati chiusi i manicomi, non è detto che tutte le loro caratteristiche non siano state traghettate per intero all’interno dei piccoli reparti di psichiatria. La vicenda Mastrogiovanni è esemplificativa in merito. E non basta. Si deve ricordare che quanto detto in merito all’essere vittima di una istituzione totale valga in generale anche per chi si ritrova impiccato in cella, o vola da una finestra di una questura (Giuseppe Pinelli), o viene massacrato di botte durante un fermo (Giuseppe Uva), o muore in un CIE (Fatih) o all’aria aperta, in una strada di Ferrara (Federico Aldovrandi) e … l’elenco non finirebbe più, ma quanto detto serve unicamente a contestualizzare il problema dei 1400 internati e della società che li circonda. E’ difficile dire come dare un aiuto a loro durante questo anno, in termini di calore umano, relazioni, vita dignitosa (dormire, mangiare, ridere, etc.), e così via. Di certo in termini politici e di informazione seguire le loro sorti, sostenere la loro liberazione, parlarne (ma non basta) sono le prime cose utili da fare.

Giordano (umanità nova, anno 93, aprile 2013)

martedì 23 aprile 2013

PER ABOLIRE IL TSO

  

Ecco le petizioni e/o campagne nazionali per abolire il TSO
(trattamento sanitario obbligatorio)

Campagna indetta dall ex telefono viola di Bologna ma ancora attiva

Il T.S.O. è il trattamento sanitario obbligatorio strumento di coercizione psichiatrica applicato a persone che NON hanno commesso reati.
Si basa su denunce di chiunque ha interesse a far sparire persone fastidiose.
Le denuncie vengono fatte a personale psichiatrico e deliberate dal sindaco in quanto responsabile sanitario del territorio, in un secondo momento viene convalidato dal giudice tutelare.
I sindaci hanno responsabilità giuridica sull'atto del trattamento sanitario obbligatorio.
La coercizione è bandita dalla costituzione italiana ed è una forma di tortura che trova applicazione con escamotage medico. In nessun altro ambito nè medico nè giuridico è legittima la coercizione fisica.
La truffa psichiatrica autorizza la violazione del principio fondamentale di libertà di espressione personale.
Creata da:
Telefono Viola di Bologna
Autore:
Christian Brogi
La petizione ABOLIRE IL T.S.O. è stata creata da Telefono Viola di Bologna e scritta da Christian Brogi.

  • campagna indetta dal gruppo Every One

    del Gruppo EveryOne - www.everyonegroup.com
  • Il Gruppo EveryOne, nell’àmbito delle sue campagne e delle sue azioni a tutela dei Diritti Umani, chiama a raccolta tutte le persone non ancora accecate dalla cultura del pregiudizio, dell’odio, dell’ostilità nei confronti di chi è debole e diverso, affinché diano il via a un movimento di opinione che si opponga alle nuove persecuzioni istituzionalizzate. Mai come oggi i diritti delle minoranze e dei diversi vengono calpestati, anche nei paesi che si ritengono civili. Mai come oggi gli abusi istituzionali vengono occultati dalla censura di stato. Una delle forme più gravi di violazione dei Diritti Umani è sicuramente il Trattamento Sanitario Obbligatorio, che ricorda da vicino i ricoveri e le terapie coatte applicate dal nazionalsocialismo e dagli altri regimi totalitari nei confronti di chi l’autorità ritenesse “asociale”. Igiene mentale e igiene razziale sono pratiche che violano ogni normativa internazionale a tutela dei diritti umani. La sola forma di medicina lecita è la cura dell’essere umano nel rispetto del moderno Giuramento di Ippocrate. Firmiamo la petizione contro il T.S.O. e le altre forme di medicina repressiva (negli USA, per esempio, il T.S.O. corrisponde al Fermo psichiatrico coatto – protocollo 5150) e diffondiamone il testo presso amici, conoscenti, siti Internet, media. La Campagna contro il T.S.O. in Italia sarà un’azione pilota contro gli abusi medico-psichiatrici che si verificano in tutto il mondo.

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    LINK : firma per l'abolizione del TSO: http://firmiamo.it/notso

    venerdì 19 aprile 2013

    Il reparto c’è ma non funziona. Bambini tenuti in struttura psichiatrica per adulti

    Articolo tratto da "Il fatto quotidiano" del 16/04/2013.

    Minorenni con problemi neuro-comportamentali ricoverati nel reparto di psichiatria per adulti, fianco a fianco con casi da Tso (trattamento sanitario obbligatorio) o altre gravi patologie. Con un rischio grave per possibili episodi di violenza. Tutto questo nonostante la struttura ospedaliera sia dotata di un reparto ad hoc, inaugurato nell’ottobre 2010, ma mai entrato in funzione. Succede all’ospedale San Paolo di Milano. Il caso, clamoroso e inquietante, è stato sollevato da una lettera, sottoscritta da diverse sigle sindacali, inviata, nei giorni scorsi, al tribunale dei Minori, alla giunta Regionale e al sindaco Giuliano Pisapia.
    La vicenda è tanto grave quanto paradossale. La richiesta di un reparto dedicato ai minori arriva, infatti, direttamente dall’amministrazione comunale. Palazzo Marino lo chiede alla Regione. E questo nonostante un reparto del genere a Milano già esista, ed è quello del San Paolo. Peccato, però, che pur esistendo i muri, la struttura non funzioni, fatto salvo per un piccolo spicchio dedicato ad attività ambulatoriale. E pensare che nell’ottobre 2010, a pochi mesi dalla tornata elettorale della primavera successiva, al San Paolo arrivò l’allora sindaco Letizia Moratti con tanto di forbici inaugurali. Ci fu il taglio del nastro, e solo questo. Consumato il siparietto di propaganda, il reparto è stato dimenticato. Di più: nel quartiere popolare del Corvetto continua a vivere una struttura fatiscente dedicata ai piccoli pazienti. Struttura che, nei progetti, doveva essere chiusa per dare vita al nuovo reparto del San Paolo. Nulla, naturalmente, è stato fatto.
    E così, ora, i sindacati suonano l’allarme. Perché quello che si poteva fare non è stato fatto. Naturalmente gli episodi registrati all’interno del San Paolo, episodi, gravi, di ordine pubblico, sono solo la punta di un iceberg che indica, ciò che a Milano oggi rappresenta una vera e propria emergenza: l’aumento esponenziale di richieste di ricovero di minori affetti da problemi neuro-comportamentali. Fino ad oggi, la storia è rimasta sotto traccia, visto che i vari casi venivano gestiti spostandoli nelle strutture di Monza, Pavia e Brescia, ospedali cioè dotati di reparti adeguati. Ora però la soglia di guardia è stata superata e i sindacati segnalano come da settimane ormai molti ragazzi (anche di età inferiore ai 14 anni) vengano smistati nel reparto psichiatrico per adulti.
    Un dato, si legge nella due pagine sindacali inviate alle istituzioni lombarde, che segna almeno tre emergenze: “L’inadeguatezza della struttura per adulti, la mancanza di personale dedicato ai minori, e un’adeguata integrazione terapeutica”. Quindi si fissa il punto “sull’aumento costante di richieste di ricoveri”. Tanto più che “non si può tamponare questa mancanza continuando a ricoverare il minore nelle strutture per maggiorenni” dove, per paradosso, “le tutele previste per la riduzione dello stigma del paziente psichiatrico adulto sono inadeguate per il minore”.
    Ad oggi, però, le cose stanno così e pare difficile che possano cambiare a breve. Il motivo è semplice: le caratteristiche ambulatoriali date al reparto non permettono ricoveri oltre le 24 ore. Ma c’è di più: la struttura attualmente è dotata di un primario e appena tre medici. Poco, anzi pochissimo. Anche per l’attuale direttore generale Enzo Brusini che poche settimane fa ha inviato una mail alla Regione chiedendo che il reparto venga dotato da almeno sette medici, dodici infermieri, uno psicologo e un educatore. Insomma, la direzione mette le mani avanti, ma ai sindacati risponde che l’attuale situazione è legata alla spending review. Si taglia. O altrimenti, la Regione non pone ostacoli all’apertura, a patto, però, che l’azienda sanitaria si faccia carico di tutte le spese. E questo nonostante “il reparto psichiatrico per adulti – scrivono i sindacati – è inadeguato dal punto di vista strutturale, ambientale, relazionale e strumentale”, perché “i minori devono essere messi in luoghi a loro dedicati, attenti ai loro bisogni e alla loro sofferenza”. Insomma, la città chiede aiuto, ma, come troppo spesso accade, la politica si gira dall’altra parte. E lo fa, anche quando di mezzo ci sono bambini e ragazzi.

    Veronika

    martedì 16 aprile 2013


    Thomas Szasz


    Un altro pioniere dell' antipsichiatria è Thomas Szasz. Il suo lavoro si pone il compito di demitologizzare e deideologizzare la psichiatria e la psicoterapia. Meno politicizzato rispetto a Laing, Cooper (per non parlare poi delle esperienze italiane di Basaglia) egli parte dalla tipica posizione democratico-progressista americana della necessità morale e sociale della tolleranza e dell'imperativo del rispetto assoluto dei diritti dell'individuo.


    Thomas S. Szasz, Il mito della malattia mentale. Fondamenti per una teoria del comportamento individuale, 1962, Il saggiatore.
    Thomas S. Szasz, Legge, libertà e psichiatria, 1984* , Giuffrè (*)
    Thomas S. Szasz, I manipolatori della pazzia. Studio comparato dell'Inquisizione e del Movimento per la salute mentale in America, 1972, Feltrinelli (*)
    Thomas S. Szasz, Il mito della psicoterapia . La cura della mente come religione, retorica e repressione, 1981, Feltrinelli (*)
    Thomas S. Szasz, Schizofrenia come simbolo sacro della psichiatria, 1984* Armando.(*)

    Ne Il mito della psicoterapia Szasz fa in introduzione un bilancio della propria opera:

    ''Ne Il mito della malattia mentale mostro perché il concetto di malattia mentale è erroneo e fuorviante, in Legge libertà e psichiatria perché molti degli impieghi legali della concezione e degli interventi psichiatrici sono immorali e contrari agli ideali di responsabilità individuale, ne I manipolatori della pazzia perché le credenze morali e le pratiche sociali basate sul concetto di malattia mentale costituiscono una ideologia di intolleranza.
    La credenza nella malattia mentale e la persecuzione dei pazienti psichiatrici hanno preso il posto della credenza nella magia e nella persecuzione delle streghe.
    Nella presente opera estendo questa prospettiva critica ai principi e alle pratiche della cura mentale, nello sforzo di mostrare che gli interventi psicoterapeutici non sono medici ma di carattere morale e quindi non sono veri e propri trattamenti ma solo metafore.''


    mercoledì 10 aprile 2013

    Equilibrium

    Film del 2002, Equilibrium è passato inosservato a critica e pubblico...e in effetti non è un gran capolavoro! A metà fra action movie e fantapolitica, la pellicola si svolge in un mondo futuristico dove la terza guerra mondiale ha obbligato l'umanità a rivedere ancora una volta il suo modo di organizzarsi: siccome sono le emozioni e l'incontrollabilità a creare odio e guerra, allora è meglio eliminarle. Ecco allora una ipotetica società futura dove si bruciano le opere d'arte e i libri (qui il richiamo a Fahrenheit 451), un grande padre governa serenamente (e qui torna alla mente 1984) e le persone prendono in massa il farmaco che permette di non avere emozioni. E' questa la parte più interessante di un film godibile, ma non troppo riuscito: se tutti i "normali" sono liberi da poter provare un qualsiasi sentimento, allora come vedranno gli altri? Peccato solo che la metafora sul controllo psichiatrico non sia stata adeguatamente affrontata. Credo che il regista abbia affrontato la questione del controllo sociale da più punti di vista, ma senza approfondire, risultando così in alcune parti della sceneggiatura estremamente vago.
    Vale comunque un plauso la citazione di Blade Runner, posta alla fine della pellicola, dove le esplosioni della città si riflettono nell'occhio del protagonista.


    Veronika

    martedì 2 aprile 2013

    Auto-Tutela

    Sportello consulenza on-line

     
    Con lo sportello di consulenza antipsichiatrica online si vuole fornire a tutti la possibilità di interagire direttamente con il collettivo per avere informazioni in tempo reale circa le forme e le possibilità di autodifesa dagli abusi psichiatrici.
    Lo sportello non fornisce alcuna consulenza "terapeutica". Compila il form nelle sue parti (il nome può rimanere anonimo nella richiesta iniziale).
    La risposta sarà via email dove potremo approfondire ed in seguito sostenere la richiesta d'aiuto.
    foxyform

    lunedì 1 aprile 2013

    DSM

    “4 dicembre 1998

    Loren R. Mosher, dott. in Medicina a Rodrigo Munoz, dott. in Medicina, Presidente della American Psychiatric Association (APA)

    Caro Rod,

    Dopo circa tre decadi che sono socio, con un misto di dispiacere e sollievo le invio la presente lettera di dimissioni dalla American Psychiatric Association. La ragione principale per questa mia azione è la certezza che con ciò mi sto dimettendo anche dalla American
    Psychopharmacological Association. È una fortunata coincidenza che le due organizzazioni, in verità identiche, abbiano anche lo stesso acronimo.
    Sfortunatamente infatti, APA riflette, e rafforza, a parole e a fatti, la nostra società farmaco-dipendente. E, anche, favorisce la guerra dei profitti sui «farmaci».

    Pazienti con una «doppia diagnosi» sono infatti un problema per la professionalità, ma non per questo noi non prescriviamo medicine sempre «buone». Sono «cattivi» farmaci, essenzialmente, solo quelli che non hanno bisogno di ricetta. Un marxista osserverebbe
    che dato che l’APA è una organizzazione capitalista, l’APA adotterà prevalentemente quei farmaci da cui può trarre guadagno – diretto o indiretto.

    L’appartenere a questo gruppo non fa per me. A questo punto della sua storia, secondo me, la psichiatria è stata pressoché completamente comprata dalle compagnie farmaceutiche. L’APA non potrebbe continuare senza il supporto di incontri, simposi,
    riunioni di lavoro, pubblicità sulle riviste specializzate, gran giri di pranzi, borse di studio a josa ecc. ecc., fornito dalle compagnie farmaceutiche. Gli psichiatri sono diventati i beniamini delle campagne promozionali delle compagnie farmaceutiche.

    L’APA, ovviamente, dichiara che la sua indipendenza ed autonomia non sono compromesse da questa situazione avviluppante. Una qualunque persona dotata di un minimo di senso comune assistendo ai meeting annuali osserverebbe invece che le esposizioni dei prodotti delle compagnie farmaceutiche e i «simposi sponsorizzati dall’industria» attirano folle di congressisti con le loro varie forme di allettamento mentre le sessioni scientifiche sono a malapena seguite. L’istruzione psichiatrica subisce ugualmente l’influenza dell’industria farmaceutica: la parte più
    importante del curriculum dei praticanti è l’arte e la quasi scienza di aver a che fare con gli psicofarmaci, cioè lo scrivere ricette.

    Queste limitazioni psicofarmacologiche al nostro essere medici completi limita anche il nostro orizzonte intellettuale. Non più cerchiamo di comprendere la persona nella sua interezza e inserita nel suo contesto sociale – piuttosto stiamo a riallineare i neurotrasmettitori dei nostri pazienti. Il problema è che è molto difficile avere un rapporto di relazione con un neurotrasmettitore - qualsiasi sia la sua configurazione.

    Così, la nostra acuta Organizzazione ci fornisce spiegazioni, basate sulla sua concezione neurobiologica di fondo, che ci tengono distanti da quei conglomerati di molecole che siamo arrivati a definire come pazienti. Promuoviamo il largo uso e ci perdoniamo l’abuso di sostanze chimiche tossiche nonostante sappiamo che producono seri effetti di lungo periodo – discinesia tardiva, demenzia tardiva e preoccupanti sindromi di astinenza.

    Ora, dovrei io essere succube delle compagnie farmaceutiche che trattano molecole nelle loro formulazioni? No, grazie tante. Mi dispiace che dopo essere stato psichiatra per 35 anni debba decidere di dissociarmi da questa Associazione. Ma essa non rappresenta affatto il mio interesse. Non sono capace di ottenere niente dall’attuale modello riduzionista medico-biologico strombazzato dalla ledership psichiatrica che ancora una volta ci sposa alla medicina somatica. Qui si tratta di moda, politica e, in quanto connessione con l’industria farmaceutica, soldi.