La tendenza a leggere la realtà di bambini e bambine sempre più soltanto tramite la lente della diagnosi clinica sembra trovare nella pandemia un modo per rafforzarsi. Le scuole sono invase in questi giorni da screening neurodiagnostici, denuncia Daniele Novara: “È stato davvero un periodo duro per i piccoli e i più giovani. Tanti di loro hanno vissuto senza veri contatti sociali, con pochissimo movimento e sport, con la scuola a singhiozzo e sempre con la mascherina. Ma non è lecito trasformare quanto accaduto in processi di neurodiagnosi…”. Insomma, si tratta di mettere in discussione l’ossessione della ricerca di disturbi neurologici per consentire a genitori, educatori, insegnanti, amministratori locali di rispondere a bisogni educativi, come stare all’aperto e costruire relazioni .I bambini e i ragazzi hanno bisogno di normalità, non di neurodiagnosi. È stato davvero un periodo duro per i piccoli e i più giovani. Tanti di loro hanno vissuto senza veri contatti sociali, con pochissimo movimento e sport, con la scuola a singhiozzo e sempre con la mascherina. Non è lecito trasformare quanto accaduto in processi di neurodiagnosi, cercando disturbi neurologici che sono semplicemente la conseguenza di un arresto grave nella loro crescita e nel loro sviluppo. Le scuole sono invase in questi giorni da screening neurodiagnostici, alla ricerca di presunti disturbi che altro non sono che la legittima risposta dei bambini e ragazzi alla difficoltà del momento. Si tratta di evitare che i più piccoli vengano raggiunti da questi tentativi, proposti nelle scuole senza alcun quadro normativo, di realizzare screening per andare alla ricerca di questi disturbi. I bambini hanno bisogno normalità, non di neurodiagnosi. Il fenomeno degli eccessi di neurodiagnosi e di certificazione scolastica di disabilità che, negli ultimi dieci anni, si è letteralmente abbattuto su di loro, non lascia molti margini di interpretazione statistica. È un dato secco e inequivocabile. Nel report Istat relativo all’anno scolastico 2010-11, gli alunni disabili – secondo i criteri della legge 104 – erano 139 mila. Nove anni dopo, cioè nell’anno scolastico 2019-20, il dato è più che raddoppiato: 300 mila certificazioni di disabilità. La stragrande maggioranza di queste certificazioni – l’80 per cento circa – riguarda non più, come succedeva fino agli anni Novanta, disabilità fisiologiche, motorie e genetiche, ma quelle legate a deficit emotivi e comportamentali. In particolare, è cresciuta a dismisura la diagnosi di spettro autistico. Una valutazione che lo stesso Michele Zappella, decano dei neuropsichiatri italiani e fra i primi in Italia a studiare proprio l’autismo, ha definito una sorta di etichetta senza, il più delle volte, una precisa spiegazione diagnostica e che pertanto finisce con presentare una percentuale di cosiddetti falsi positivi elevatissima (40-50 per cento, se non di più). I rischi di medicalizzazione nella scuola Alain Goussot Zappella, nel suo ultimo libro Bambini con l’etichetta. Dislessici, autistici e iperattivi: cattive diagnosi ed esclusione (Feltrinelli, 2021), ricorda come l’80 per cento dei genitori che riceve questa diagnosi, o un suo sentore, con la parola autismo, cade in una depressione che può ancora essere presente a distanza di un anno, un anno e mezzo. Spesso, e del tutto incautamente, questa neurodiagnosi viene accompagnata da commenti come «Da questa malattia non si guarisce mai», «Ve lo dovete tenere così com’è», e simili. L’angoscia aumenta e va ad alimentare la grande fragilità genitoriale di quest’ultima generazione. Penso che il calo demografico non dipenda da motivi sociologici, quanto dalle tante problematiche educative. Ai genitori non si offrono sponde se non queste drammatiche diagnosi neuropsichiatriche gestite, il più delle volte, senza alcun riguardo verso i genitori e tantomeno privacy verso i bambini. Da ultimo, compare il fantasma degli screening precoci tra i due e i sei anni. Centri specializzati, senza alcuna cornice normativa, entrano nelle scuole, col consenso di dirigenti e di insegnanti mal consigliati, per cercare disturbi dell’apprendimento, dello spettro autistico e dell’iperattività. Fra i genitori si sta creando il panico. Anche nei miei studi continuo a ricevere madri e padri letteralmente terrorizzati. Già nel 2017 denunciai, sia col convegno nazionale “Curare con l’educazione”, che con il mio libro Non è colpa dei bambini. Perché la scuola sta rinunciando a educare i nostri figli e come dobbiamo rimediare (BUR-Rizzoli), la deriva verso cui si stava andando nell’indifferenza istituzionale. Occorre che i genitori non vengano abbandonati a se stessi e, specialmente, che si impedisca la patologizzazione dell’infanzia, il crescere di un’epidemia che non corrisponde a veri dati scientifici. Occorre rispettare la crescita e l’età dei più piccoli con la consapevolezza che la plasticità neurocerebrale sa recuperare sui momenti di inceppamento evolutivo. Bisogna cambiare pagina e offrire alle famiglie un supporto pedagogico per educare e crescere le nuove generazioni. I genitori meritano fiducia, non angosce. Nei mesi scorsi ho proposto un “bonus pedagogico” IL PROGETTO VADEMECUM E PATTI LA RETE FORMAZIONE ONLINE
Contatti Email: comunicazione@territorieducativi.it Per info sul progetto: info@territorieducativi.it Telefono: 06 6538261 Indirizzo: Via Del Casaletto 400, ROMA.
È meglio porre attenzione ai bisogni educativi delle nuove generazioni piuttosto che certificarne la disabilità.
Daniele Novara è direttore del Centro psicopedagico per l’educazione e la
gestione dei conflitti.
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