martedì 26 settembre 2017

Generazioni da sedare...

Nell’ignoranza, nell’indifferenza o con l’attiva collaborazione degli istituti scolastici dove quotidianamente svolgiamo il nostro lavoro, una parte cospicua dei nostri allievi alla quale è stato diagnosticato un disturbo dell’attenzione e iperattività (ADHD secondo l’acronimo statunitense) viene trattata con psicofarmaci a base di principi attivi anfetamino-simili. L’atomoxetina (ATX), ma soprattutto il metilfenidato (MPH), contenute rispettivamente nei medicinali Strattera e Ritalin, sono sostanze riconosciute e classificate come stupefacenti per le loro pesanti conseguenze in termini di assuefazione e dannosità, da decenni nel mirino di medici, scienziati e organismi internazionali come l’Organizzazione mondiale della sanità e la statunitense Food and Drug Administration, solo per citarne alcuni. I quali insistono, attraverso studi, reports e prese di posizione, su un dato che dovrebbe essere chiaro anche ai non addetti ai lavori: la pericolosità a breve e a lungo termine degli effetti della somministrazione di stupefacenti a bambini e giovani in età evolutiva a partire dai 6 anni.
Sull’argomento esiste ormai una vasta letteratura, scientifica e non, accompagnata da un accesissimo dibattito pluridecennale: il sito giulemanidaibambini.org rappresenta in questo campo una delle fonti più aggiornate, e chi non conosce appieno i termini della questione può farsene un’idea dopo una rapida consultazione. L’elenco degli “effetti secondari” è lunghissimo: morte, disfunzioni cardiovascolari, “disturbi psichiatrici”, impulso al suicidio, solo per citarne alcuni. Reazioni avverse ormai provate perché sperimentate direttamente sulla pelle dei bambini in decenni di somministrazioni più o meno consensuali, più o meno controllate, più o meno imposte.
Non a caso in Italia l’uso del Ritalin era stato sospeso nel 1989 per scelta della stessa casa produttrice. Risale al 2007 lo sdoganamento e la nuova autorizzazione all’immissione in commercio del Ritalin e dello Strattera, in seguito a un gioco di sponda tra la Novartis (distributrice del Ritalin), il Ministero della Sanità e l’Agenzia italiana del farmaco. Nel 2003 il metilfenidato veniva declassato dalla Tabella I delle sostanze stupefacenti e psicotrope elaborata dal Ministero della salute (dove si trovava in compagnia di cocaina, LSD, eroina e oppiacei vari…) alla tabella IV, tra le sostanze sì stupefacenti e psicotrope ma “suscettibili di impiego” sotto stretto controllo.
Dal 2007 Ritalin e Strattera sono dunque disponibili e somministrati agli alunni delle scuole italiane. Tuttavia, anche come conseguenza dell’aspro dibattito che si era innescato, nel nostro paese sono stati stabiliti alcuni limiti rispetto alla liberalizzazione selvaggia di altri paesi occidentali, USA in testa: sono autorizzati alla prescrizione del farmaco unicamente i centri accreditati presso le Regioni; è stato inoltre istituito un “Registro nazionale dell’ADHD” per raccogliere i dati elaborati dai centri autorizzati e monitorare la sicurezza della terapia.
Il Registro è consultabile online [1], e passa in rassegna gli anni dal 2007 al 2016. Si tratta di un lavoro, per ammissione degli stessi compilatori, lacunoso e anche (si può capire) osteggiato. Non comprende gli adulti, anche essi trattabili con MPH o ATX. Comprende solamente i pazienti con quadro clinico di gravità tale da richiedere il trattamento combinato, farmacologico e psico-sociale: il Registro esclude quindi tutti i pazienti che, a causa di mancanza di fondi, di personale e di strutture hanno potuto far ricorso al solo rimedio farmacologico, anche se nelle sue pagine si afferma che «oltre alla terapia farmacologica sarebbe indicato effettuare anche interventi comportamentali». Allo stesso modo sono stati esclusi i pazienti di gravità medio-lieve anche se trattati con la molecola stupefacente.
Pur all’interno di questi limiti i dati che il Registro prospetta presentano un quadro allarmante.
  • Si stima che la diffusione del disturbo, nella popolazione italiana di età compresa tra 6 e 18 anni, sia di poco superiore all’1%: riguarderebbe dunque più di 75.000 ragazzi in età scolare.
  • La scuola, al pari di servizi territoriali di neuropsichiatria, centri accreditati e altri centri specialistici, è considerata una delle prime strutture coinvolte per l’intervento sull’ADHD; allo stesso modo lo sono, tra le figure professionali, i singoli insegnanti, insieme a pediatri, neuropsichiatri e psicologi.
  • Il quadro statistico è vasto e allo stesso tempo lacunoso per necessità: i centri autorizzati sono 110 e alcuni sono enormemente più attivi di altri, tanto che ci sono famiglie che emigrano da una regione all’altra per ottenere i farmaci. In 10 anni su 3696 pazienti trattati con MPH e ATX sono stati registrati 140 eventi avversi severi su 118 pazienti! Ciò significa che ogni 100 bambini e adolescenti, 3 di loro hanno subito “effetti collaterali” gravi, tra cui, secondo una tabella che ne elenca ben 20, disturbi cardiovascolari, allucinazioni, convulsioni, ideazione suicidaria, disturbi dell’umore, neurologici e psichiatrici, questi ultimi in netta prevalenza statistica.
Il Registro dunque non fa altro che ufficializzare, nel piccolo e nei limiti della situazione italiana, un quadro che anni di sperimentazioni più o meno ufficiali e uso diffuso a livello mondiale (un giro di affari spaventoso gestito dalle solite multinazionali farmaceutiche) aveva già abbondantemente chiarito.
Un tassello di non poca importanza negli anni della campagna pre-sdoganamento è stato a questo proposito il cosiddetto Progetto Prisma (Progetto Italiano Salute Mentale Adolescenti) che vale la pena citare perché riferito in gran parte a un ambito scolastico. Prisma è nato grazie alla collaborazione tra istituzioni private e statali, tra cui l’Istituto superiore della sanità. A partire dal 2002 ai circa 5600 studenti di 40 scuole italiane scelte tra 7 città campione è stato somministrato un paradossale questionario destinato alla raccolta di dati conoscitivi sul “disagio psichico” nella preadolescenza, in singolare concomitanza con la campagna di rilancio del Ritalin. Dietro autorizzazione del dirigente e firma di un “consenso informato” insegnanti e genitori collaboravano all’individuazione statistica del futuro mercato del Ritalin, chiamati a dare un giudizio oscillante da “per nulla” a “moltissimo” ad affermazioni del tipo: «spesso interrompe o si comporta in modo invadente; spesso litiga con gli adulti; spesso parla eccessivamente; spesso si agita con le mani o i piedi o si dimena sulla sedia; è spesso dispettoso e vendicativo; spesso sfida attivamente o si rifiuta di rispettare le richieste o regole degli adulti; è in continuo movimento o spesso agisce come se avesse l’argento vivo addosso; ruba delle cose», e a numerose altre dello stesso livello. Colpisce innanzitutto l’approssimazione di uno studio che basa la propria scientificità su un questionario così vago. Colpisce ancora di più la trasformazione in sintomi di una malattia da curare di quelle che come insegnanti eravamo abituati a considerare normali (anche se a volte difficili da gestire nel contesto-classe) tendenze caratteriali di studenti turbolenti, con cui interagire per mezzo delle nostre armi professionali – la pedagogia e la didattica, lo scambio e l’empatia, l’intervento autorevole e la sanzione educativa. Impressiona lo stigma dell’eccezionalità che andava a colpire bambini considerati al di fuori della norma accettata dalle convenzioni sociali. Il Progetto Prisma probabilmente rappresenta, e forse per la prima volta, la volontà di sovrapporre e imporre al sistema di istruzione italiano la funesta pratica dell’intervento medicalizzante esterno come panacea sostitutiva dell’attività educante della scuola.
Nel momento in cui è chiaro il quadro di fondo medico-sanitario e legislativo è possibile avviare un ulteriore ragionamento che riguardi più da vicino le conseguenze che ricadono sul nostro lavoro quotidiano, sulla nostra professionalità, sulla deontologia che la sostanzia. Come insegnanti non possiamo più permetterci di non sapere, far finta di non vedere o renderci complici, sopraffatti dall’oggettiva difficoltà a rapportarci con studenti particolarmente vivaci. Cedere alla sirena della pillola-che-risolve-i-contrasti ha per noi un significato in più: abdicare dalla nostra missione educativa, scendere in consapevole contraddizione con la nostra deontologia professionale. Come insegnanti siamo forniti di un bagaglio enorme di esperienze teoriche e pratiche da mettere in gioco. La pillola può risolvere momentaneamente un sintomo: è questo un dato ormai appurato e argomento principe di chi propugna l’uso degli stupefacenti per i bambini prescindendo dai comprovati danni fisico-psichici. Ma un’ulteriore problematicità, alla quale siamo chiamati direttamente a rispondere come insegnanti, sorge nel lungo termine nel momento in cui non si tiene conto che proprio quell’ampia fascia di età che il farmaco vorrebbe coprire è quella in cui il bambino e l’adolescente ha l’opportunità di fare le giuste e a volte amare esperienze per imparare a controllare l’attenzione, l’impulsività, le tendenze oppositorio-provocatorie. La pillola blocca il sintomo e con esso, negli anni più cruciali, la individuale motivazione a intraprendere il percorso di questa crescita, di questa maturazione. Surroga, attutisce e elimina lo sviluppo di una personalità autonoma in formazione, e con essa l’azione mediatrice del contesto: genitori, gruppo dei pari, scuola. È nel lungo periodo e spesso con sofferenza, dall’imperscrutabile sinergia di fattori diversi e non riducibili, che può avvenire la maturazione profonda della persona. Noi insegnanti abbiamo un ruolo importantissimo in questo processo. Da cui non dobbiamo abdicare. In cui dobbiamo sapere come inserirci senza ricorrere a facili scorciatoie medicalizzanti.

fonte: http://www.giornale.cobas-scuola.it

Processo Andrea Soldi

Cento testimoni in tribunale per la morte di Andrea Soldi

Mercoledì la prima udienza: la famiglia si costituirà parte civile In Tribunale ci sarà anche l’ex-sindaco Piero Fassino
 
 Ci sono anche i nomi dell’ex sindaco di Torino Piero Fassino e dell’allora assessore alla Polizia municipale Giuliana Tedesco nel lungo elenco di testimoni che sfileranno in tribunale nel processo sulla morte di Andrea Soldi, il 45enne torinese malato di schizofrenia paranoide deceduto il 5 agosto 2015 durante un trattamento sanitario obbligatorio. La prima udienza dibattimentale è fissata per mercoledì prossimo.  
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ALLA SBARRA
Alla sbarra ci sono i tre agenti della polizia municipale e lo psichiatra, medico dell’Asl To2, che intervennero quella mattina di due anni fa in piazzetta Umbria: l’accusa è di omicidio colposo. Imputati anche Asl e Comune, in qualità di responsabili civili. Nei giorni scorsi gli avvocati difensori Stefano Castrale, Anna Ronfani, Gino Obert e Gian Maria Nicastro hanno depositato le rispettive liste testi. Altrettanto hanno fatto il pm Lisa Bergamasco e l’avvocato di parte civile Giovanni Soldi, che assiste la sorella della vittima, Maria Cristina, e il padre Renato. Complessivamente sono 106 i testimoni del processo. Tra questi spuntano i nomi istituzionali dell’ex sindaco Fassino e dell’assessore Tedesco, oltre a quelli dell’ex comandante della Polizia municipale Alberto Gregnanini e del suo vice Marco Sgarbi: dovranno spiegare, per quanto di loro competenza, le procedure in caso di Tso e le regole d’ingaggio dei civich. Nel lungo elenco di persone che verranno invitate a sedersi sul banco dei testimoni, però, ci sono soprattutto esperti e periti. Il processo, infatti, si preannuncia incentrato sulle consulenze medico legali. È su queste che accusa e difesa si daranno battaglia.


ACCUSA E DIFESA
Per i consulenti del pm la presa dei vigili avrebbe causato uno shock da compressione. L’esperto nominato dal pm, nella sua relazione conclusiva, ha scritto che Andrea è deceduto per «morte asfittica da strangolamento atipico», sottolineando come il paziente fosse stato «afferrato e cinto al collo da un braccio». Insomma, Andrea Soldi sarebbe stato strangolato. Inoltre il trattamento non era urgente, avendo dato il paziente la sua disponibilità a riprendere la terapia.
Diversa la posizione delle difese, secondo cui non solo il Tso era urgente e indispensabile, ma sarebbe stato eseguito correttamente. In particolare, secondo i consulenti di parte il decesso sarebbe stato causato da una sorta di spavento eccessivo, o di alterazione, dovuto alla situazione di forte stress in cui l’uomo, malato da tempo, si trovava in quel momento.

LA FAMIGLIA
I familiari di Andrea Soldi si costituiranno parte civile. In questi mesi gli avvocati di Comune e Asl hanno cercato di raggiungere un accordo sul risarcimento con il legale della famiglia, offrendo 480 mila euro. Ma la proposta è stata rifiutata dai parenti della vittima, che ne hanno chiesti 700 mila. Una differenza di 200 mila euro che terrebbe conto della sofferenza provata da Andrea in quei momenti. In giurisprudenza si parla di «danno catastrofale» e viene riconosciuto quando la vittima si rende conto che sta per morire. E ieri Maria Cristina Soldi, dal suo profilo Facebook, ha invitato «tutti coloro che vogliono giustizia per Andrea» a presentarsi in tribunale per il processo. «E quando dico tutti, penso anche ai malati come Andrea e alle loro famiglie. Perché non accada più», ha scritto la donna. Un appello già raccolto dall’Associazione per la lotta contro le malattie mentali, che si costituirà parte civile con l’avvocato Francesco Crimi.

fonte: http://www.lastampa.it

domenica 24 settembre 2017

30 Settembre - Camap a Treviso

https://xevent.it/images/jem/events/21317783_1442681602483563_8031470501189901983_n.jpg 
iniziativa culturale che mira alla sensibilizzazione in materia di tematiche psichiatriche
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CONCERTO PUNK HARDCORE A SEGUIRE

Gruppo di discussione gratuito e aperto a tutta la cittadinanza per rivolgere uno sguardo più consapevole alla pratica psichiatrica.
Il Dott. Crimella (laureato in Scienze dell'educazione, Scienze Psicologiche e in Psicologia Clinica) presenterà il libro "La critica psichiatrica nelle opere di Szasz e Foucault".
Sarà presente il collettivo CAMAP che da tempo si impegna per l'abolizione della coercizione psichiatrica e mette a disposizione una voce amica a chi ha bisogno di supporto.


La discussione (libera e aperta a tutti ) si svolgerà all'esterno del locale e non sarà soggetta alla richiesta della tessera da parte del locale
il concerto si svolgerà all'interno con conseguente richiesta di tessera ARCI ...

a seguire .....

Suoneranno per voi
HOBOS
https://www.facebook.com/hobosband/

A NEW SCAR
https://www.facebook.com/AnewSCAR/

WITHOUT WHISTLE
https://www.facebook.com/withoutwhistle/
FIERCE
https://www.facebook.com/nobeastssofierce/

CUORE MATTO
www.facebook.com/siamomegliodel69/

EBOLA

DOMINIO DELLA TECNICA

ingresso 5 euro

sabato 9 settembre 2017

Muore in reparto dopo il Tso

RICOVERATO in Tso (Trattamento Sanitario Obbligatorio) all'ospedale Villa Scassi di Sampierdarena, è morto qualche ora dopo nel reparto di psichiatria. E sul decesso, quantomeno poco chiaro per la magistratura, il pm Alberto Landolfi ha aperto un fascicolo, iscrivendo il reato di omicidio colposo al momento a carico di ignoti. Anche se, ovviamente, nelle attenzioni della Procura della Repubblica sono entrate le ore intercorse tra il Trattamento Sanitario Obbligatorio peraltro chiesto dal papà dello sventurato - e la morte di Fabio Tozzi (di 48 anni), avvenuta nel primo pomeriggio di domenica scorsa.
E già, perché la famiglia del deceduto avrebbe presentato una dettagliata denuncia sull'accaduto, lamentando e ventilando responsabilità da parte dei medici che hanno visitato ed avuto in cura il figlio per alcune ore. Ad iniziare dalla chiamata arrivata al Sert da parte del papà di Tozzi e dall'intervento di una psichiatra, che poi, di fronte allo stato di agitazione ed alterazione di Fabio, ha disposto il Tso. Presso l'abitazione di Tozzi sono intervenuti sei vigili urbani, che hanno obbligato l'uomo al ricovero al "Villa Scassi". Secondo quanto spiegano dalla direzione sanitaria dell'ospedale di Sampierdarena, l'arrivo al pronto soccorso intorno alle 10,40. Qui il paziente, "in evidente e pericoloso stato di alterazione", è stato trattato dai medici di guardia. A quanto pare, prima gli sono state medicate le ferite e le piaghe alle gambe. Inoltre, per calmarlo, gli sarebbe stato somministrato un ansiolitico, la classica benzodiazepina.
Dopo pranzo Tozzi è stato trasferito all'Spdc (Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura) per il ricovero. Secondo quanto trapela, in reparto sarebbe stato sedato ulteriormente con Talofen (ma è da verificare), altro farmaco mirato per la cura di tutte le sindromi mentali e psicotiche. Nel primo pomeriggio, due ore dopo, lo sventurato è stato trovato ormai privo di vita. A nulla sono servite le pratiche rianimatorie effettuate dai medici psichiatrici e dai rianimatori arrivati da altri reparti.
Cosa è accaduto in quelle ore è tutto da accertare. Tanto che il pm ha fatto sequestrare la cartella clinica e ha disposto gli esami autoptici sul cadavere. Una parte di accertamenti è stata fatta dal medico-legale Sara Candusin, ma al momento si escluderebbero eventi traumatici visibili ad occhio nudo e che avrebbero potuto determinare il decesso. Sicché, non è presa in considerazione l'ipotesi di eventuali azioni di immobilizzazione da parte dei vigili urbani. In ogni modo, sono stati disposti ulteriori accertamenti tossicologici e istologici, i cui risultati però si potranno conoscere fra qualche giorno. L'obiettivo del magistrato è di accertare e valutare la terapia somministrata e l'eventuale influenza di questa sul decesso. Inoltre, se vi sia stata carenza di assistenza in reparto. Va detto che Fabio Tozzi era già in cura al Sert come tossicodipendente e faceva uso quotidiano di metadone. È pur vero che in alcuni periodi si sottraeva alle terapie e le sue condizioni di salute erano piuttosto precarie.
I primi esami autoptici escluderebbero eventi traumatici conseguenti al Tso da parte dei vigili.

Fonte: http://ricerca.repubblica.it

lunedì 4 settembre 2017

Fugge in auto per evitare il ricovero. Forza il blocco, lo ferma un proiettile

Brianza, folle inseguimento: paziente da tso ferito dai carabinieri

Monza, 2 settembre 2017 - Vuole evitare il ricovero coatto in psichiatria. Prende l’auto, fugge e alla fine di un inseguimento da cinema, lo ferma uno dei due proiettili esplosi dai carabinieri, che se lo sono visto piombare addosso. Centrato al collo, il fuggiasco ora è in ospedale. Ma in rianimazione. Otto chilometri di corsa disperata, sulle strade della Brianza, per un 48enne. Da Tregasio, piccola frazione di Triuggio, fino al centro storico di Macherio. E.B. abita nel piccolo centro in provincia di Monza. Negli ultimi giorni ha dato più volte in escandescenza con la compagna con cui condivide la casa. I servizi sociali lo seguono da tempo e la situazione poco alla volta è diventata insostenible. Per questo il sindaco del paese, Pietro Cicardi, è costretto a mettere la firma al provvedimento che impone il trattamento sanitario obbligatorio. Il mandato della ricerca viene comunicato alle forze dell’ordine.

Ieri, alle 10 del mattino, i militari si avvicinano all’abitazione dell’uomo. E.B. li vede dalla finestra e capisce che sono lì per portarlo in ospedale. Il triuggese non perde tempo. Sale a bordo del suo suv, una Dacia Duster bianca, e ingrana la marcia. La pattuglia dei carabinieri mette la sirena e si accoda, cercando di raggiungerlo. Pochi minuti di curve a tutta velocità e incroci bruciati. Da Triuggio, fino al centro storico del paese vicino. Via radio, si chiedono rinforzi. Pochi istanti dopo, una seconda pattuglia di militari, arrivata in supporto ai colleghi, si mette di traverso per sbarrare la strada al fuggitivo, nel tentativo di bloccarne la corsa ed evitare che potesse travolgere i passanti. Il 48enne non accenna a frenare. Al contrario, dà gas e punta diritto sulla gazzella, cercando di speronarla. I militari, stando alla ricostruzione successiva, devono decidere in un istante come reagire. Esplodono due colpi dalle armi di ordinanza, mirando agli pneumatici del suv, per bloccarlo. Uno dei proiettili, però, va a finire nell’abitacolo. La pallottola centra il 48enne fra la spalla e il collo, mentre la vettura finisce contro le auto in sosta. Sono gli stessi carabinieri a prestare i primi soccorsi. Il 118 spedisce a Macherio i mezzi disponibili e un ambulanza porta il 48enne all’ospedale San Gerardo di Monza. Non in psichiatria, come previsto, ma in codice rosso al pronto soccorso. Ora, sarebbe fuori pericolo.

Fonte: Il Giorno