lunedì 27 maggio 2013

"Siamo stati traditi dalle industrie farmaceutiche" di Daniel B. Fisher

Alimentata dalle scoperte durante “il decennio del cervello” degli anni novanta, la prospettiva biologica sulla schizofrenia è diventata dominante. In questo articolo, il dott. Daniel Fisher, biochimico e psichiatra ammalato di schizofrenia, sfida l’approccio biologico riduzionistico a questa malattia e le industrie farmaceutiche che sembrano supportarlo.

Sono guarito dalla schizofrenia. Se questa dichiarazione vi stupisce, se pensate che la schizofrenia sia una malattia cronica del cervello da cui non si può scappare, siete stati fuorviati da un’eccessiva preoccupazione culturale che imprigiona senza motivo milioni di persone sotto l’etichetta di malattia mentale.
Negli ultimi vent’anni, le industrie farmaceutiche sono diventate le maggiori sostenitrici della tesi che la malattia mentale sia un disturbo cerebrale e che le vittime debbano assumere farmaci per il resto della vita. E’ un’intelligente strategia di vendita: se le persone credono che la malattia mentale sia puramente biologica, la tratteranno solo con una pillola.
Le industrie farmaceutiche hanno virtualmente comprato la professione psichiatrica. Traggono profitto dai fondi per la ricerca, dalle pubblicazioni e dai dipartimenti di psichiatria. Non sorprende che molti ricercatori abbiano concluso che solo i farmaci costituiscono il trattamento d’elezione per la malattia mentale. Malgrado recenti e convincenti ricerche che mostrano l’utilità della psicoterapia nel trattamento della schizofrenia, agli studenti di psichiatria viene ancora oggi detto “non puoi parlare con una malattia”. Questo è il motivo per cui gli psichiatri, al giorno d’oggi, passano più tempo a prescrivere farmaci che a conoscere a fondo le persone che li assumono.
Anch’io ho usato il modello biologico della malattia mentale. Trentun anni fa, come biochimico specializzato all’Istituto Nazionale per la Ricerca Mentale, ho fatto ricerca e pubblicato articoli sui neurotrasmettitori come la dopamina e la serotonina. Poi mi fu diagnosticata la schizofrenia, e la mia esperienza mi insegnò che i nostri sentimenti e sogni non possono essere analizzati sotto un microscopio.
Malgrado quello che molte persone presumono quando sentono parlare della mia guarigione, la diagnosi originaria non era errata e venne confermata da un’equipe di sei psichiatri della Marina Militare dopo il mio ricovero di quattro mesi all’Ospedale Navale di Bethesda. Ero devastato dall’essere marchiato come schizofrenico. La mia vita sembrava finita. Sei anni dopo, tuttavia, nonostante le aspettative contrarie di tutti, ero guarito. Gli elementi più importanti della mia guarigione furono uno psicoterapeuta che credeva in me, il supporto della mia famiglia, amici incrollabili e un lavoro significativo. E avevo un nuovo obiettivo: volevo diventare psichiatra. Il mio terapeuta convalidò questo sogno, dicendo “verrò alla tua laurea” (quando ricevetti la mia laurea alla George Washington Medical School nel 1976, lui era lì). I farmaci erano uno strumento che usavo durante le crisi, ma non li assumo più da 25 anni.
Non sono un’anomalia. Migliaia di altre persone sono guarite, ma hanno paura di rivelare il proprio passato a causa dello stigma della malattia mentale. Il definitivo studio longitudinale del Vermont, condotto da Courtenay Harding, ha seguito 269 pazienti diagnosticati schizofrenici gravi alla fine degli anni ’50. Tre decenni dopo, i due terzi di loro stavano vivendo e funzionando autonomamente; e di questi, la metà era completamente guarita senza farmaci.
Lo psichiatra svizzero Manfred Bleuler, il cui padre, Eugen, coniò il termine “schizofrenia” nel 1908, ottenne risultati simili. Suo padre aveva concluso erroneamente che le persone non guariscono dalla schizofrenia, perché aveva visto raramente i suoi pazienti dopo la dimissione. La nostra ricerca al National Empowerment Centre (NEC), fondato dal Servizio del Centro Federale per la Salute Mentale, mostra che il fattore più importante nella guarigione della malattia mentale è costituito da persone che credono nei pazienti e che danno loro speranza: i farmaci sono il fattore meno importante.
Ma non è quello che si dice agli psichiatri; recentemente mi è stato ricordato sotto quale stretto controllo sia il loro tirocinio. Ho contattato un collega in una delle più importanti scuole di medicina della West Coast, per cercare di farmi invitare a condurre una delle loro tavole rotonde. Mi ha detto scusandosi che non poteva: da quando aveva pubblicato una critica al modello biologico della malattia mentale, dimostrando che le persone potevano guarire dalla schizofrenia senza farmaci, lui stesso non era più autorizzato a parlare agli studenti in tirocinio, anche se si trattava della sua facoltà.
Le industrie farmaceutiche controllano anche l’educazione pubblica. Chi può evitare che le immagini televisive dell’uomo fobico che ha bisogno del Paxil per socializzare? Le ricerche e gli esperti sponsorizzati dalle industrie hanno un enorme impatto sui media. Infine, le industrie farmaceutiche traggono vantaggi da gruppi di benintenzionati che supportano il modello biologico della malattia mentale, dando a essi gran parte del supporto finanziario di cui hanno bisogno.
La schizofrenia è più spesso dovuta a una perdita di sogni che a una perdita di dopamina. Al NEC cerchiamo di uscire dal baratro del caos. So che in molte persone si sentono di aver fatto tutto quel che potevano, di aver combattuto contro la malattia mentale senza alcun profitto, e noi capiamo il loro dolore. Tuttavia crediamo che la guarigione sia possibile per tutti, anche se ci può voler molto tempo per disfarsi di tutti i messaggi negativi derivati da trattamenti passati. Possiamo offrire la speranza della nostra esperienza diretta.
Prendersi cura della necessità delle persone con malattie mentali richiede un ri-addestramento su larga scala di tutti gli operatori nel campo della salute mentale, dei politici, delle famiglie e del pubblico. Saranno necessarie ulteriori ricerche relative ai modi in cui la gente guarisce. Ci sarà necessità di più posti di lavoro, più loghi di ricovero, più supporto dei pari e auto-aiuto, perché questi sono i sentieri dell’autodeterminazione e dell’indipendenza. E c’è bisogno di un cambiamento culturale che vada incontro alle persone, piuttosto che di pillole per alleviare questa forma di sofferenza umana.

“The Washington Post”, 19 Agosto 2001

Veronika

mercoledì 22 maggio 2013

Metodologie emancipative nella ricerca sulla neurodiversità. Note sul fieldwork

Enrico Valtellina (enrico.valtellina@unibg.it)

I dont wanna classify you like an animal in the zoo
But it seems good to me to know that youre homosapien too
Pete Shelley


Abstract: In pochi anni le disabilità relazionali sono passate dal misconoscimento assoluto a

un’attenzione intensiva da parte degli apparati preposti alla gestione dei guai altrui. Autismo,

sindrome di Asperger, disturbi pervasivi dello sviluppo, categorizzazioni che hanno trovato una più

ampia ribalta nella produzione culturale, divenendo oggetto di film, libri e di un serrato dibattito,

prevalentemente in rete, che ne ha ridefinito i significati. L’autore riepiloga i presupposti di un
fenomeno culturale interessante, la genesi della nozione di neurodiversità, e il suo personale

percorso di consapevolizzazione seguito all’autodiagnosi. Evidenziando come la teorizzazione sulle

pratiche metodologiche nella ricerca sociale sviluppata all’interno dei disability studies, la ricerca

emancipativa sulle disabilità, possa costituire un quadro di riferimento adeguato per riepilogare

l’azione autoaffermativa del movimento (peraltro quanto mai problematico, eventuale e aleatorio)

della neurodiversità.

Parole chiave: Ricerca emancipativa, sindrome di Asperger, autismo, neurodiversità,

discriminazione, Disability Studies, Modello Sociale.



1. Una differenza manifesta

Uno spettro si aggira per l’Europa: lo spettro dell’autismo. Le potenze del mondo

psichiatrico, educativo e farmacologico si sono alleate in una caccia spietata a questo spettro.

L’autismo è ormai riconosciuto come potenza da tutte le potenze istituzionali. È ormai tempo che

gli autistici espongano apertamente a tutto il mondo il loro modo di vedere, i loro scopi, le loro

tendenze e che alle fiabe delle interpretazioni professionali contrappongano un manifesto della
neurodiversità”.


Invoco indulgenza,
essere seri è una delle cose che non ci vengono naturali. Forse però
talvolta, ciò che costituisce il valore della serietà, può trovarsi anche nell’al di là del serio, così, pur
nella sua patente idiozia, la parodia dell’incipit del Manifesto marxiano vuole raccogliere la
proposta che si viene qui ad esporre, in modo anche abbastanza puntuale.

La sindrome di Asperger è nel DSM da soli quindici anni, patologia giovane, eppure è già un

domenica 19 maggio 2013

IL MANICOMIO NON E’ UN EDIFICIO, IL MANICOMIO E’ UN CRITERIO. IL CRITERIO E’ QUESTO: CHE IL MEDICO POSSA, SULLA BASE DI UN GIUDIZIO SUL PENSIERO DI UNA PERSONA, PRENDERLA CON LA FORZA, PORTARLA DA QUALCHE PARTE E IMPORLE DEI TRATTAMENTI. QUESTO E’ IL MANICOMIO. NON CI SARA’ PIU’ IL MANICOMIO QUANDO OGNUNO POTRA’ ANDARE DAL MEDICO QUANDO VUOLE, SE VUOLE, E FARE SU CONSIGLIO DEL MEDICO QUELLO CHE GLI PARE. (G.Antonucci)
Bisogna esprimere un fermo e deciso ”NO” a tutte le forme di coercizione in psichiatria (auspicando e lottando per una modifica della normativa anche in tale direzione).
A rinforzare tale convinzione riporto le parole, attualissime, di Maccacaro, tratte dal suo intervento che si puo’ leggere nell’Allegato ”1976 Bologna…” stralcio da pag. 238 del libro ”Attualita’ del pensiero e dell’opera di G.A. Maccacaro”:
”…e’ la crisi di questa medicina contemporanea che, di giorno in giorno, si fa sempre piu assistenzialmente inefficace e socialmente repressiva.”
L’inefficacia dell’assistenza e’ dimostrata da:
1. progressivo deterioramento, statisticamente documentabile, della salute collettiva per l’incidenza crescente di tutte le malattie legate alla nocivita’ dell’ambiente di lavoro, di abitazione, di alimentazione e di vita che e’ il portato inseparabile del modo di produzione capitalistico;
2. ricorrenza – frequente e dilagante – di patologie infettive che si credevano e potevano essere state debellate;
3. vertiginoso incremento del consumo di farmaci in larga misura meramente sintomatici e concretamente tossici;
4. emergenza di un diffuso malessere, socialmente determinato e personalmente patito che investe larghi strati della popolazione indotta o costretta a vivere come ”disturbo mentale” ciò che e’ soltanto ”insopportabilita’ di vita”.
La funzione repressiva è dimostrata da:
1. crescente trasferimento dei problemi sociali e personali (conflittualita’, trasgressione dei limiti di ”norma”, domanda di soggettivazione, ecc.) in un’area di gestibilita’ istituzionale e di silenziamento terapeutico;
2. avanzante tecnicizzazione dell’atto medico fino all’estinzione dei suoi contenuti di rapporto interpersonale;
3. diffusione di false o inefficaci pratiche di prevenzione secondaria per deviare la domanda di conversione del modo di produzione;
4. attribuzione al medico di nuovi compiti repressivi nei confronti del comportamento infantile, se e’ un pediatra, del diritto di aborto se e’ un ostetrico, del rifiuto del lavoro se e’ un fiscale, dell’uso di droga se e’ un medico, della devianza se e’ uno psichiatra, della rivolta alla nocivita’ se e’ un medico del lavoro, e cosi via. ” (fine stralcio da Maccacaro)
Il Presidente Nazionale Medicina Democratica:
dr. d’Angelo Fernando Antonio (Tonino)

martedì 14 maggio 2013

Gregory Bateson

Oggi viviamo in un’epoca in cui le

profondissime cose di cui eravamo felicemente

inconsapevoli sono scosse dal rimbombo dei

cambiamenti. Penso che sia tempo che tutti

prestino attenzione a questo rimbombo.

Dobbiamo acquisire coscienza di quelle cose di

cui prima eravamo felicemente, e per il nostro

bene, inconsapevoli.


Veronika

mercoledì 8 maggio 2013

Psichiatria e Razzismo


Intervista girata da Christian Brogi al Prof. Piero Colacicchi, attivista per i diritti dei Rom e collaboratore storico del dott. Giorgio Antonucci.

martedì 7 maggio 2013

Effetti collaterali


Ottimo film di S. Soderbergh, Effetti Collaterali è uno dei migliori thriller degli ultimi anni. Preferisco non anticipare nulla della storia, ma la base su cui poggia è (come si può capire dal trailer qui sopra) la "cura" psichiatrica e le sue conseguenze. Ciò che non traspare da questo video, invece fortemente presente nel film, è la critica alla società americana farmaco-dipendente, all'abuso di potere degli psichiatri, al fallimento di questa disciplina "medica" nella soluzione dei problemi e il problema della simulazione dei sintomi da parte dei pazienti.
Molta carne al fuoco dunque, ma che accompagna la trama e la sostiene, senza mai cadere nel banale e senza voler far diventare il film una pellicola di denuncia a tutti i costi. Una storia avvincente che lascia molti spunti per pensare.

Veronika

domenica 5 maggio 2013

Segnalazioni e ringraziamenti.

Ieri sera al Kag di Pisogne si è svolto il DIY FEST 2 (vedi post precedente). Queste brevi righe sono solo per ringraziare tutti i presenti e chi, grazie al filmato proiettato e al materiale informativo presente sui tavoli, si avvicina sempre più al tema di questo blog.
E' stato un piacere parlare con persone realmente interessate, ricevere i complimenti, ma anche le critiche: quando costruttive, sono il miglior dono che si possa avere.
Sempre più persone ci chiedono cosa abbiamo intenzione di fare, dove vogliamo arrivare, quali saranno i futuri sviluppi del CAMAP.
Innanzitutto bisogna capire che questo blog non è proprietà di nessuno, ma chi collabora attivamente porta necessariamente avanti una linea di pensiero condivisa e proposta in quella che è la nostra dichiarazione d'intenti. Partecipare al blog, informarsi, impegnarsi a pubblicare per condividere e non per ricevere complimenti (o peggio ancora solo per essere "alternativo") è ciò che rende questo blog sempre più ricco e sempre più forte. Ciò che verrà in futuro dipende da quante persone avranno voglia di dare il loro contributo e condividere il sapere.
Concludo con un link ad un articolo presente su "Il fatto quotidiano". Parla di psicologia e territorio.
Ancora grazie a tutti.

Veronika

http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/05/04/difendere-territorio-per-salvare-psiche/582685/