Bra. Presidio No REMS Sabato 30 gennaio ore 15 in via Cavour (se piove
sotto i portici di via Principi).
Poi saluto sotto la REMS.
Mai più manicomi! No alle Rems né qui né altrove
A Bra, da qualche mese, c’è una nuova prigione. Si chiama REMS. In altre
epoche le chiamavano “gabbie dei matti”, i posti dove si seppellivano
vivi uomini e donne che avevano “perso la ragione”, che “non sapevano
quello che facevano”. Oggi i nomi sono cambiati ma la sostanza resta.
Le REMS sono posti dove ti chiudono,ti drogano e ti legano per farti
tornare “normale”. Per lo Stato italiano chi non è “normale” è
pericoloso. Al di là di quello che fa, ma per quello che è. Con questi
argomenti il terzo Reich giustificava lo sterminio dei folli. E di tutti
gli altri fuori norma.
Proviamo a capire di che si tratta.
La legge n. 81 del 2014 ha sancito la chiusura degli OPG (Ospedali
psichiatrici giudiziari) avvenuta solo formalmente il 31 marzo 2015 e il
loro superamento nelle REMS (Residenze Esecuzione delle Misure di
Sicurezza). Gli OPG sono stati per oltre 35 anni luoghi di segregazione
per tutti gli individui ritenuti pericolosi per la società, dimenticati
in queste discariche sociali in condizioni di disumano degrado come ben
mostrato nelle immagini dell’Inchiesta del Senato “Marino” del 2010 che
ha poi portato all’iter legislativo per la loro chiusura.
Oggi i 6 OPG (Castiglione delle Stiviere, Reggio Emilia, Montelupo
fiorentino, Napoli, Aversa e Barcellona Pozzo di Gotto) sono in via di
chiusura: gli internati non dimissibili dovrebbero essere spostati nelle
REMS della regione di provenienza. Ma questo sta accadendo molto
lentamente.
Nella pratica le REMS sono dei miniOPG (max 20 posti) presenti in ogni
regione e affidati a personale sanitario, più simili a residenze
psichiatriche che non agli ospedali-carceri del passato. Queste
strutture saranno gestite tramite un sistema di appalti di cui non è
difficile immaginare le sorti… al ribasso, cercando di spendere il meno
possibile sulla pelle dei “criminali-malati mentali” che subiranno
questo sistema tipico della sanità pubblica, dell’accoglienza per i
richiedenti asilo (CARA, CAS, SPRAR) e del sistema detentivo (CIE,
Carceri).
Le REMS vengono presentate come un passo avanti in termini di civiltà
rispetto agli OPG perché nuovi e perché non più gestiti dall’autorità
giudiziaria ma solo da personale sanitario. Nella realtà questi luoghi
assolvono la stessa funzione dei loro predecessori e anzi lo fanno in
maniera molto più capillare, perché presenti su tutto il territorio
nazionale, e molto più discreta e subdola, perché di piccole dimensioni
e molto più simili a residenze che a carceri.
Ma qual è la loro funzione? La funzione delle REMS coincide con la
funzione della Psichiatria Giudiziaria più in generale, ovvero quella di
mantenere in vita nella nostra società e nell’ordinamento giudiziario la
figura del “folle reo” ovvero di colui che infrange la legge non per
propria libera scelta ma perché malato di mente, quindi non capace di
intendere e di volere (le proprie azioni e le loro conseguenze), come se
la sua malattia agisse al posto del suo libero arbitrio. Tale
focalizzazione sul soggetto che compie il reato più che sul reato stesso
(infatti nelle REMS si può finire tanto per il furto di un portafoglio
quanto per omicidio) ha una diretta discendenza dal positivismo
ottocentesco che ha portato ad affermarsi il concetto di “pericolosità
sociale”, tutt’ora operante e alla base di queste moderne istituzioni
psichiatrico-giudiziarie, come di tanti altri luoghi e procedure: lager
nazisti, CIE (Centri di Identificazione ed Espulsione), campi rom,
misure di sorveglianza speciale…
Da questi esempi è facile capire come l’etichetta di “pericoloso
socialmente” venga affibbiata agli individui più per il loro status
(folle, ebreo, omosessuale, rom, handicappato, immigrato irregolare,
oppositore politico e sociale) che per le loro azioni concrete. In
particolare chi finisce nelle REMS non sconta un periodo di detenzione
con intenti punitivi come nella carcerazione ordinaria, ma viene recluso
per disinnescarne la pericolosità, riportando nella norma i suoi
comportamenti deviati.
I metodi usati per raggiungere questo scopo sono gli stessi utilizzati
dalla psichiatria nei reparti ospedalieri (SPDC) e nelle cliniche e case
di cura psichiatriche. L’unica reale differenza è che nelle REMS è più
difficile monitorare e raccontare quello che accade, perché sono
strutture detentive dove l’accesso di esterni e l’uscita di informazioni
è ancora più difficile rispetto ad ospedali e cliniche civili. Lo
strumento principe delle prigioni psichiatriche è la psicofarmacologia
che permette un controllo quasi totale sui movimenti e sui comportamenti
di chi vi è sottoposto attraverso l’assunzione orale o l'iniezione di
molecole psicoattive in grado di agire sui neurotrasmettitori inibendo o
alterando il loro funzionamento. Queste sostanze danno un fortissima
dipendenza e causano danni enormi all’organismo di chi li assume già
dopo pochi mesi, rovinando l’esistenza e la salute di chi è obbligato a
prenderli, riducendone l’aspettativa di vita. Altri strumenti ancora in
uso nei reparti come nelle REMS sono la contenzione fisica tramite lacci
che assicurano il “malato” al letto per molte ore se non per giorni e
giorni e l’elettroshock, terribile pratica psichiatrica che viene
tutt’ora utilizzata in diverse strutture pubbliche e private.
In molte regioni le REMS sono state da poco aperte e cominciano a
operare, ad oggi la Regione Piemonte, ente preposto alla loro apertura e
gestione non ha ancora aperto nessuna struttura ma si sta limitando ad
affittare dei posti nell’ex OPG trasformato in REMS di Castiglione delle
Stiviere ed a utilizzare provvisoriamente la clinica San Michele di Bra.
Questo posto è stato svuotato negli scorsi mesi per far posto ai
detenuti piemontesi in arrivo dall’OPG di Castiglione delle Stiviere. La
Regione Piemonte da ormai un anno sta prendendo tempo e non sembra
ancora aver trovato soluzioni definitive per collocare le sue due REMS.
Questo è il momento migliore per contestare e contrastare l’apertura di
queste strutture ma soprattutto la legge e il sistema sociale che le
prevedono e che non possono farne a meno.
Siamo tutti pericolosi socialmente se questa è la società in cui ci
obbligano a vivere! Contro tutte le REMS e tutte le carceri, solidarietà
a chi lotta contro la psichiatria, solidarietà a chi tenta di evadere…
Collettivo Antipsichiatrico “Francesco Mastrogiovanni” di Torino
Le riunioni del Collettivo antipsichiatrico “Francesco Mastrogiovanni”
si tengono presso la federazione anarchica torinese ogni martedì alle 21
in corso Palermo 46
telefono antipsichiatrico: 345 61 94 300
Per contatti: antipsichiatriatorino@inventati.org
venerdì 29 gennaio 2016
martedì 26 gennaio 2016
VOLTERRA SABATO 30 GENNAIO 2016
Ore 12 in Piazza San Michele
PRESIDIO/VOLANTINAGGIO INFORMATIVO SU REMS (Residenze Esecuzione Misura di Sicurezza)
e OPG (Ospedali Psichiatrici Giudiziari)
CHIUDERE TUTTI I MANICOMI! NO AI MINI-OPG per la CHIUSURA della REMS di Volterra e di tutte le altre!
IL MITO DELLA CHIUSURA DEI MANICOMI
La Legge n°81 dispone al 31 marzo 2015 il termine per la chiusura degli OPG(Ospedali Psichiatrici Giudiziari) e la conseguente entrata in funzione delle REMS (Residenze per l’Esecuzione Misure Sicurezza). Attualmente in Italia gli OPG sono sempre aperti,sono cinque e si trovano ad Aversa, Napoli, Barcellona Pozzo di Gotto, Montelupo Fiorentino, Reggio Emilia
Ad oggi, in questi veri e propri manicomi criminali, ci sono rinchiuse circa 230 persone.
A Castiglione delle Stiviere, dove sono internate 230 persone di cui 40 donne, hanno cambiato solo la targa all’ingresso, da OPG a REMS, ma sostanzialmente la vita delle persone recluse è la stessa di prima.
Circa 200 sono invece gli internati detenuti nelle Rems attive in alcune regioni, di cui 25 donne.
La popolazione complessivamente detenuta in misura di sicurezza detentiva è di 670 persone, mentre non è noto quante siano le persone destinatarie di una misura di sicurezza non detentiva.
A inizio ottobre 2015 sono 109 le persone internate che hanno fatto ricorso per detenzione illegittima, cioè per sequestro di persona, visto che gli OPG sono ancora aperti e funzionanti.
A Reggio Emilia sono 24 le istanze per detenzione illegittima, quasi la totalità dell'istituto se si considera che i pazienti in totale sono 27. 58 sono i ricorsi dall'Opg di Montelupo Fiorentino e 27 da quello di Barcellona Pozzo di Gotto. Mancano quelli di Aversa e Napoli, ma ad oggi in sole tre sulle cinque strutture ancora aperte è stata raggiunta quasi la metà del totale degli attuali 230 internati.
Come si finisce in un OPG? In Italia, in caso di reato, se vi sia sospetto di malattia mentale, il giudice ordina una perizia psichiatrica; se questa si conclude con un giudizio di incapacità di intendere e di volere dell'imputato, lo si proscioglie senza giudizio e se riconosciuto pericoloso socialmente, lo si avvia a un Ospedale Psichiatrico Giudiziario (articolo 88 c.p.) o in una struttura residenziale psichiatrica per periodi di tempo definiti o meno, in relazione alla pericolosità sociale.
Nelle future REMS la durata della misura di sicurezza non potrà essere superiore a quella della pena carceraria corrispondente al medesimo reato compiuto: ci preoccupiamo, pertanto, del fatto che le persone che hanno già scontato in OPG tale pena non finiscano nelle REMS, ma vengano liberati subito e senza condizioni. Infatti la normativa in vigore effettua questa equiparazione solo per la misura di sicurezza detentiva ma questo non vale per quelle persone che hanno la libertà vigilata con affidamento ai servizi di salute mentale che possono ancora oggi estendersi all’infinito.
La Legge 81/2014 mantenendo inalterato il concetto di pericolosità sociale, non cambia l'essenza della modalità di risoluzione della questione. Per abolire realmente gli OPG bisogna non riproporre i criteri e i modelli di custodia e occorre metter mano a una riforma degli articoli del codice penale e di procedura penale che si riferiscono ai concetti di pericolosità sociale del “folle reo, di incapacità e di non imputabilità”, che determinano il percorso di invio agli Opg.
Chiudere i manicomi criminali senza cambiare la legge che li sostiene vuol dire creare nuove strutture, forse più accoglienti, ma all’interno delle quali finirebbero sempre rinchiuse persone giudicate incapaci d’ intendere e volere.
Con le REMS viene ribadito il collegamento inaccettabile cura-custodia riproponendo uno stigma manicomiale. Ci si collega a sistemi di sorveglianza e gestione esclusiva da parte degli psichiatri, ricostituendo in queste strutture tutte le caratteristiche dei manicomi. La proliferazione di residenze ad alta sorveglianza, dichiaratamente sanitarie, consegna agli psichiatri la responsabilità della custodia, ricostruendo in concreto il dispositivo cura-custodia, e quindi responsabilità penale del curante-custode.
Tradotto significa l’inizio di un processo di reinserimento sociale infinito, promesso ma mai raggiunto, legato indissolubilmente a pratiche e sentieri coercitivi, obbligatori, contenitivi.
Questa legge non soddisfa l'idea di un superamento di un sistema aberrante e coercitivo, infatti permangono misure di contenzione svilenti per l'individuo e trattamenti farmacologici troppo debilitanti e depersonalizzanti per poter essere definiti positivi per la persona.
Il manicomio non è una struttura, bensì un criterio; la continua ridenominazione di tali strutture serve per riprodurre l’istituzione manicomiale e i meccanismi del manicomio. Il fine dell’istituzione REMS è l’esclusione e non l’inclusione, infatti, non può nascondere la medesima contraddizione di fondo: l’isolamento del soggetto dalla realtà sociale per la sua incapacità di adattamento nei confronti di un mondo su cui nessuno muove mai alcuna questione e che nessuno mette mai in discussione.
La questione non è solo la chiusura di questi posti: non si tratta solo di chiudere una scatola, per aprirne tante altre più piccole. Il problema è superare il modello di internamento, è non riproporre gli stessi meccanismi e gli stessi dispositivi manicomiali. Il problema non è se sono grossi o piccoli, il problema è che cosa sono. Il manicomio non è solo una questione di dove lo fai, se c’è l’idea della persona come soggetto pericoloso che va isolato, dovunque lo sistemi sarà sempre un manicomio.
Noi crediamo nel bisogno e nella costituzione di reti sociali autogestite e di spazi sociali autonomi, in grado di garantire un sostegno materiale, una casa senza compromessi di invalidità, nonché un reddito e un lavoro non gestiti dai servizi socio-sanitari, bensì autonomamente dal soggetto.
Uno concreto percorso di superamento delle istituzioni totali passa necessariamente da uno sviluppo di una cultura non segregazionista, largamente diffusa, capace di praticare principi di libertà di solidarietà e di valorizzazione delle differenze umane contrapposti ai metodi repressivi e omologanti della psichiatria.
Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud-Pisa
Spazio Libertario Pietro Gori-Volterra
per info e contatti:
Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud
via San Lorenzo 38 56100 Pisa
antipsichiatriapisa@inventati.org
www.artaudpisa.noblogs.org / 335 7002669
PRESIDIO/VOLANTINAGGIO INFORMATIVO SU REMS (Residenze Esecuzione Misura di Sicurezza)
e OPG (Ospedali Psichiatrici Giudiziari)
CHIUDERE TUTTI I MANICOMI! NO AI MINI-OPG per la CHIUSURA della REMS di Volterra e di tutte le altre!
IL MITO DELLA CHIUSURA DEI MANICOMI
La Legge n°81 dispone al 31 marzo 2015 il termine per la chiusura degli OPG(Ospedali Psichiatrici Giudiziari) e la conseguente entrata in funzione delle REMS (Residenze per l’Esecuzione Misure Sicurezza). Attualmente in Italia gli OPG sono sempre aperti,sono cinque e si trovano ad Aversa, Napoli, Barcellona Pozzo di Gotto, Montelupo Fiorentino, Reggio Emilia
Ad oggi, in questi veri e propri manicomi criminali, ci sono rinchiuse circa 230 persone.
A Castiglione delle Stiviere, dove sono internate 230 persone di cui 40 donne, hanno cambiato solo la targa all’ingresso, da OPG a REMS, ma sostanzialmente la vita delle persone recluse è la stessa di prima.
Circa 200 sono invece gli internati detenuti nelle Rems attive in alcune regioni, di cui 25 donne.
La popolazione complessivamente detenuta in misura di sicurezza detentiva è di 670 persone, mentre non è noto quante siano le persone destinatarie di una misura di sicurezza non detentiva.
A inizio ottobre 2015 sono 109 le persone internate che hanno fatto ricorso per detenzione illegittima, cioè per sequestro di persona, visto che gli OPG sono ancora aperti e funzionanti.
A Reggio Emilia sono 24 le istanze per detenzione illegittima, quasi la totalità dell'istituto se si considera che i pazienti in totale sono 27. 58 sono i ricorsi dall'Opg di Montelupo Fiorentino e 27 da quello di Barcellona Pozzo di Gotto. Mancano quelli di Aversa e Napoli, ma ad oggi in sole tre sulle cinque strutture ancora aperte è stata raggiunta quasi la metà del totale degli attuali 230 internati.
Come si finisce in un OPG? In Italia, in caso di reato, se vi sia sospetto di malattia mentale, il giudice ordina una perizia psichiatrica; se questa si conclude con un giudizio di incapacità di intendere e di volere dell'imputato, lo si proscioglie senza giudizio e se riconosciuto pericoloso socialmente, lo si avvia a un Ospedale Psichiatrico Giudiziario (articolo 88 c.p.) o in una struttura residenziale psichiatrica per periodi di tempo definiti o meno, in relazione alla pericolosità sociale.
Nelle future REMS la durata della misura di sicurezza non potrà essere superiore a quella della pena carceraria corrispondente al medesimo reato compiuto: ci preoccupiamo, pertanto, del fatto che le persone che hanno già scontato in OPG tale pena non finiscano nelle REMS, ma vengano liberati subito e senza condizioni. Infatti la normativa in vigore effettua questa equiparazione solo per la misura di sicurezza detentiva ma questo non vale per quelle persone che hanno la libertà vigilata con affidamento ai servizi di salute mentale che possono ancora oggi estendersi all’infinito.
La Legge 81/2014 mantenendo inalterato il concetto di pericolosità sociale, non cambia l'essenza della modalità di risoluzione della questione. Per abolire realmente gli OPG bisogna non riproporre i criteri e i modelli di custodia e occorre metter mano a una riforma degli articoli del codice penale e di procedura penale che si riferiscono ai concetti di pericolosità sociale del “folle reo, di incapacità e di non imputabilità”, che determinano il percorso di invio agli Opg.
Chiudere i manicomi criminali senza cambiare la legge che li sostiene vuol dire creare nuove strutture, forse più accoglienti, ma all’interno delle quali finirebbero sempre rinchiuse persone giudicate incapaci d’ intendere e volere.
Con le REMS viene ribadito il collegamento inaccettabile cura-custodia riproponendo uno stigma manicomiale. Ci si collega a sistemi di sorveglianza e gestione esclusiva da parte degli psichiatri, ricostituendo in queste strutture tutte le caratteristiche dei manicomi. La proliferazione di residenze ad alta sorveglianza, dichiaratamente sanitarie, consegna agli psichiatri la responsabilità della custodia, ricostruendo in concreto il dispositivo cura-custodia, e quindi responsabilità penale del curante-custode.
Tradotto significa l’inizio di un processo di reinserimento sociale infinito, promesso ma mai raggiunto, legato indissolubilmente a pratiche e sentieri coercitivi, obbligatori, contenitivi.
Questa legge non soddisfa l'idea di un superamento di un sistema aberrante e coercitivo, infatti permangono misure di contenzione svilenti per l'individuo e trattamenti farmacologici troppo debilitanti e depersonalizzanti per poter essere definiti positivi per la persona.
Il manicomio non è una struttura, bensì un criterio; la continua ridenominazione di tali strutture serve per riprodurre l’istituzione manicomiale e i meccanismi del manicomio. Il fine dell’istituzione REMS è l’esclusione e non l’inclusione, infatti, non può nascondere la medesima contraddizione di fondo: l’isolamento del soggetto dalla realtà sociale per la sua incapacità di adattamento nei confronti di un mondo su cui nessuno muove mai alcuna questione e che nessuno mette mai in discussione.
La questione non è solo la chiusura di questi posti: non si tratta solo di chiudere una scatola, per aprirne tante altre più piccole. Il problema è superare il modello di internamento, è non riproporre gli stessi meccanismi e gli stessi dispositivi manicomiali. Il problema non è se sono grossi o piccoli, il problema è che cosa sono. Il manicomio non è solo una questione di dove lo fai, se c’è l’idea della persona come soggetto pericoloso che va isolato, dovunque lo sistemi sarà sempre un manicomio.
Noi crediamo nel bisogno e nella costituzione di reti sociali autogestite e di spazi sociali autonomi, in grado di garantire un sostegno materiale, una casa senza compromessi di invalidità, nonché un reddito e un lavoro non gestiti dai servizi socio-sanitari, bensì autonomamente dal soggetto.
Uno concreto percorso di superamento delle istituzioni totali passa necessariamente da uno sviluppo di una cultura non segregazionista, largamente diffusa, capace di praticare principi di libertà di solidarietà e di valorizzazione delle differenze umane contrapposti ai metodi repressivi e omologanti della psichiatria.
Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud-Pisa
Spazio Libertario Pietro Gori-Volterra
per info e contatti:
Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud
via San Lorenzo 38 56100 Pisa
antipsichiatriapisa@inventati.org
www.artaudpisa.noblogs.org / 335 7002669
domenica 24 gennaio 2016
Camap a Mantova
Venerdì 12 Febbraio 2016
Presentazione del libro 'La Critica psichiatrica' di Gabriele Crimella e testimonianza diretta di Angelo del Collettivo Antipsichiatrico Camuno allo Spazio Sociale La Boje di Mantova
Presentazione del libro 'La Critica psichiatrica' di Gabriele Crimella e testimonianza diretta di Angelo del Collettivo Antipsichiatrico Camuno allo Spazio Sociale La Boje di Mantova
domenica 17 gennaio 2016
Articolo e replica Giuseppe Bucalo
Se si ha la bontà di andare oltre gli slogan e le frasi ad effetto (condite con il riferimento inevitabile al grande padre della psichiatria delle buone pratiche che, del resto, non può più replicare) ... il testo dell'appello appare del tutto diverso dalle premesse. L'abolizione della contenzione, che significa essenzialmente il varo di una norma cogente e vincolante per tutti che ne vieti l'uso e l'applicazione in ambito psichiatrico, si trasforma in una battaglia culturale per liberare gli psichiatri dal ruolo infame di custodi, per rimpolpare gli organici, per sperimentare nuove e più umane forme e strategie di applicazione dei trattamenti coatti, per invitare tutti a denunciare le cattive psichiatrie e osannare le buone ... tutto fuorché promuovere il riconoscimento del diritto soggettivo, esigibile direttamente e senza passare dalla concessione di carcerieri/liberatori di professione, a non essere coartati a "cure" (quali che siano) non richieste e per le quali non si è dato il consenso. La storia si ripete. L'appello ci dice fra le righe che la contenzione non va abolita, ma piuttosto abbandonata, non usata più, sostituita con altre e più efficaci (e socialmente accettabili) strategie di (in)trattenimento. Nel negarla se ne riconferma la natura di strategia di intervento, figlia di una concezione arcaica della psichiatria che va riformata e superata alla luce dei nuovi orientamenti terapeutici. La psichiatria delle buone pratiche non è interessata al riconoscimento della libertà di scelta dei suoi utenti (in)volontari, più di quanto lo sia quella delle "cattive" pratiche: legare e slegare le persone sono facce dello stesso esercizio di potere che esclude, sempre e comunque, la libertà di scelta dell'utente involontario e non ne riconosce il diritto naturale alla libertà di movimento e di espressione sancito e garantito per tutti.
Giuseppe Bucalo
venerdì 15 gennaio 2016
We're going to Hollywood for this
Ecco un servizio televisivo sulla serata del 4 gennaio a Borno (BS).
Direi che l'affluenza non era male!
Direi che l'affluenza non era male!
Veronika
domenica 10 gennaio 2016
ANCORA MANICOMI
R.E.M.S in via Terracini 31 – BOLOGNA
Nel 2011 la degradante situazione che vivevano gli internati dei sei ospedali psichiatrici giudiziari(O.P.G),è fuoriuscita da quelle mortificanti strutture “terapeutiche”,rompendo quell'agghiacciante silenzio imposto da gran parte della psichiatria e della magistratura,complice una società”civile” per lo più indifferente e ancora pronta a legittimare le innumerevoli atrocità che tuttora compie professionalmente la pseudo-scienza psichiatrica all'interno dei propri servizi manicomiali gestiti autonomamente dai D.S.M (dipartimenti di salute mentale)o da compiacenti cooperative sociali(tra cui comunità,reparti ospedalieri,centri diurni e ambulatoriali).
L'impatto mediatico ottenuto dalle riprese effettuate all'interno dei vari O.P.G ha certamente favorito l'approvazione della legge 81, la quale sancisce in data 31.3.2015 la chiusura dei sei manicomi giudiziari(cinque tuttora funzionanti) e obbliga ogni Regione a predisporre sul proprio territorio nuove strutture,le R.E.M.S(residenze per l'esecuzione della misura di sicurezza).
Ma fin quando non si avrà la volontà di cancellare dal codice penale la cosiddetta “pericolosità sociale”, i giudici sulla base dell'”incapacità di intendere e volere” definita da un perito psichiatra all'interno di un processo penale, applicheranno una “misura di sicurezza detentiva”, ovverosia un internamento nelle R.E.M.S o “non detentiva”(libertà vigilata) con la presa in carico troppo spesso vitalizia e asfissiante dei servizi psichiatrici territoriali.
Sostituire la targa esterna del manicomio(vedi“ex”-O.P.G di Castiglione delle Stiviere ora R.E.M.S), rimbiancare le pareti o le mura di cinta, sostituire le inferiate con vetri antisfondamento e capillari sistemi di sorveglianza, sostituire le porte blindate con alti dosi di psicofarmaci e l'uso dei letti di contenzione, diminuire il numero delle persone internate, sostituire l'”ergoterapia” ovverosia il lavoro imposto nei vecchi manicomi con le “attività occupazionali terapeutiche”(solo efficaci nel sopportare il misero e lento trascorrere del tempo),sostituire le divise della polizia penitenziaria con le divise della sicurezza privata,con i camici bianchi dei “medici” e degli operatori sanitari(oltre a un numero insignificante di figure educative troppo spesso appartenenti alla ciurma dei sorveglianti),sono tutte misure utili a mistificare la conservazione dello status quo.
Cambiare tutto per non cambiare nulla...
Anche a Bologna AUSL,magistratura di sorveglianza e compiacenti giornalisti,hanno il coraggio e l'arroganza di presentare il neo-manicomio di via Terracini come un luogo nel quale si concretizza un reale percorso di “superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari”.
Le testimonianze e le regole imposte dai vari responsabili/carcerieri, presentano una situazione ben distinta dall'immagine che in questi mesi si è forzatamente costruita. Purtroppo per loro ci sono persone che non si sottomettono a questo stato di cose e denunciano l'esistenza di regole di natura esclusivamente carceraria e manicomiale.
Le visite dei parenti possono essere effettuate solo una ogni due settimane(mentre nell'O.P.G di Reggio Emilia sono concesse sei visite ogni mese),ogni internato può ricevere ed effettuare solo una telefonata alla settimana e solo a numeri autorizzati dai responsabili i quali non sono certamente propensi a richiedere,al magistrato di sorveglianza,“permessi di uscita”dal neo-manicomio(all'O.P.G di Castiglione delle Stiviere si concedono “permessi di uscita” con più frequenza e per più ore o giorni).
Altro che superamento degli O.P.G...
Altro che reinserimento sociale...
In tale struttura l'approccio degli operatori non valorizza le diversità ma le patologizza secondo i loro ristretti parametri di giudizio. La loro misera e “indiscutibile” Normalità. L'autorità di chi si autoproclama “terapeuta”.
Le logiche manicomiali,in grado di creare stigma e isolamento dal mondo esterno sono ben radicate in questa struttura a loro dire“di cura e custodia”.Ma sappiamo bene che tutti i castelli di sabbia,presto o tardi crollano inesorabilmente.
Impediamo che i tentacoli asfissianti della psichiatria continuino ad allargarsi in ogni dove, violentando la sfera spirituale, umana, sociale, del disagio, della sofferenza, del proprio essere... della vita.
I Telefoni Viola con le realtà con cui collaborano, continueranno a porre impegno nel rendere sempre più agibili i percorsi di chi esprime la volontà di liberarsi una volta per tutte dalla morsa psichiatrica. Continueremo sempre con maggior tenacia ad offrire un concreto sostegno umano,medico e legale a chi lo riterrà opportuno in pieno rispetto della libertà e della dignità dell'individuo.
Telefono Viola di Piacenza,Reggio Emilia e Bergamo
Collettivo antipsichiatrico Antonin Artaud - Pisa
Centro Relazioni umane - Bologna
Collettivo antipsichiatrico Camap – Brescia
Proposte pratiche per un reale superamento dell'O.P.G/R.E.MS e dai servizi psichiatrici territoriali :
leggi il Comunicato:”Siamo tutti socialmente pericolosi”
http://telefonoviola.tracciabi.li/category/comunicati/o-p-gr-e-m-s/
1.1.2016 per contatti: antipsichiatriapc@autistici.org www.telefonoviola.tracciabi.li
Nel 2011 la degradante situazione che vivevano gli internati dei sei ospedali psichiatrici giudiziari(O.P.G),è fuoriuscita da quelle mortificanti strutture “terapeutiche”,rompendo quell'agghiacciante silenzio imposto da gran parte della psichiatria e della magistratura,complice una società”civile” per lo più indifferente e ancora pronta a legittimare le innumerevoli atrocità che tuttora compie professionalmente la pseudo-scienza psichiatrica all'interno dei propri servizi manicomiali gestiti autonomamente dai D.S.M (dipartimenti di salute mentale)o da compiacenti cooperative sociali(tra cui comunità,reparti ospedalieri,centri diurni e ambulatoriali).
L'impatto mediatico ottenuto dalle riprese effettuate all'interno dei vari O.P.G ha certamente favorito l'approvazione della legge 81, la quale sancisce in data 31.3.2015 la chiusura dei sei manicomi giudiziari(cinque tuttora funzionanti) e obbliga ogni Regione a predisporre sul proprio territorio nuove strutture,le R.E.M.S(residenze per l'esecuzione della misura di sicurezza).
Ma fin quando non si avrà la volontà di cancellare dal codice penale la cosiddetta “pericolosità sociale”, i giudici sulla base dell'”incapacità di intendere e volere” definita da un perito psichiatra all'interno di un processo penale, applicheranno una “misura di sicurezza detentiva”, ovverosia un internamento nelle R.E.M.S o “non detentiva”(libertà vigilata) con la presa in carico troppo spesso vitalizia e asfissiante dei servizi psichiatrici territoriali.
Sostituire la targa esterna del manicomio(vedi“ex”-O.P.G di Castiglione delle Stiviere ora R.E.M.S), rimbiancare le pareti o le mura di cinta, sostituire le inferiate con vetri antisfondamento e capillari sistemi di sorveglianza, sostituire le porte blindate con alti dosi di psicofarmaci e l'uso dei letti di contenzione, diminuire il numero delle persone internate, sostituire l'”ergoterapia” ovverosia il lavoro imposto nei vecchi manicomi con le “attività occupazionali terapeutiche”(solo efficaci nel sopportare il misero e lento trascorrere del tempo),sostituire le divise della polizia penitenziaria con le divise della sicurezza privata,con i camici bianchi dei “medici” e degli operatori sanitari(oltre a un numero insignificante di figure educative troppo spesso appartenenti alla ciurma dei sorveglianti),sono tutte misure utili a mistificare la conservazione dello status quo.
Cambiare tutto per non cambiare nulla...
Anche a Bologna AUSL,magistratura di sorveglianza e compiacenti giornalisti,hanno il coraggio e l'arroganza di presentare il neo-manicomio di via Terracini come un luogo nel quale si concretizza un reale percorso di “superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari”.
Le testimonianze e le regole imposte dai vari responsabili/carcerieri, presentano una situazione ben distinta dall'immagine che in questi mesi si è forzatamente costruita. Purtroppo per loro ci sono persone che non si sottomettono a questo stato di cose e denunciano l'esistenza di regole di natura esclusivamente carceraria e manicomiale.
Le visite dei parenti possono essere effettuate solo una ogni due settimane(mentre nell'O.P.G di Reggio Emilia sono concesse sei visite ogni mese),ogni internato può ricevere ed effettuare solo una telefonata alla settimana e solo a numeri autorizzati dai responsabili i quali non sono certamente propensi a richiedere,al magistrato di sorveglianza,“permessi di uscita”dal neo-manicomio(all'O.P.G di Castiglione delle Stiviere si concedono “permessi di uscita” con più frequenza e per più ore o giorni).
Altro che superamento degli O.P.G...
Altro che reinserimento sociale...
In tale struttura l'approccio degli operatori non valorizza le diversità ma le patologizza secondo i loro ristretti parametri di giudizio. La loro misera e “indiscutibile” Normalità. L'autorità di chi si autoproclama “terapeuta”.
Le logiche manicomiali,in grado di creare stigma e isolamento dal mondo esterno sono ben radicate in questa struttura a loro dire“di cura e custodia”.Ma sappiamo bene che tutti i castelli di sabbia,presto o tardi crollano inesorabilmente.
Impediamo che i tentacoli asfissianti della psichiatria continuino ad allargarsi in ogni dove, violentando la sfera spirituale, umana, sociale, del disagio, della sofferenza, del proprio essere... della vita.
I Telefoni Viola con le realtà con cui collaborano, continueranno a porre impegno nel rendere sempre più agibili i percorsi di chi esprime la volontà di liberarsi una volta per tutte dalla morsa psichiatrica. Continueremo sempre con maggior tenacia ad offrire un concreto sostegno umano,medico e legale a chi lo riterrà opportuno in pieno rispetto della libertà e della dignità dell'individuo.
Telefono Viola di Piacenza,Reggio Emilia e Bergamo
Collettivo antipsichiatrico Antonin Artaud - Pisa
Centro Relazioni umane - Bologna
Collettivo antipsichiatrico Camap – Brescia
Proposte pratiche per un reale superamento dell'O.P.G/R.E.MS e dai servizi psichiatrici territoriali :
leggi il Comunicato:”Siamo tutti socialmente pericolosi”
http://telefonoviola.tracciabi.li/category/comunicati/o-p-gr-e-m-s/
1.1.2016 per contatti: antipsichiatriapc@autistici.org www.telefonoviola.tracciabi.li
mercoledì 6 gennaio 2016
Ricordando Philip K. Dick
Spesso ci siamo chiesti cosa discrimina una allucinazione, un delirio, una psicosi da quella che soprattutto nell'antichità veniva considerata visione mistica, contatto con Dio o messaggio extraterrestre. In Dick la domanda perde senso, perchè il linguaggio non può spiegare pienamente ciò che è stata la sua esperienza. Fra i maggiori autori di fantascienza, durante la sua vita Philip K. Dick aveva spesso abusato di sostanze di vario tipo, sfociando in interminabili trip al limite del mistico.
Che si propenda per l'ipotesi psichiatrica o per quella mistica, l'autore ci ha consegnato alcuni fra i più bei romanzi di fantascienza del secolo scorso, grazie soprattutto a questa capacità di "viaggiare" e alla libertà di cui ha potuto godere durante la sua vita.
Probabilmente in un reparto psichiatrico non avrebbe scritto nulla e l'umanità ora si ritroverebbe sicuramente più povera.
di Antonio Lucci
Sono passati poco meno di 42 anni da quel febbraio del 1974 che segnò in maniera indelebile una svolta decisiva nella produzione letteraria e filosofica, ma soprattutto nella vita personale, di quello che è stato con ogni probabilità (assieme a Isaac Asimov) il più grande romanziere di fantascienza del secolo scorso: Philip K. Dick. Durante quel mese di febbraio, infatti, l’autore di romanzi di fantascienza forse più saccheggiato della storia del cinema (suoi i romanzi e racconti alla base di Blade Runner e Total Recall, ma pure di Minority Report, Next per fare solo qualche nome) avrà un’esperienza a dir poco straordinaria, che secondo le categorie linguistiche correnti potrebbe essere definita solo in due modi: illuminazione o psicosi. Nei giorni immediatamente successivi all’uscita del suo romanzo Scorrete lacrime, disse il poliziotto, Dick, provato dai postumi di un’estrazione di denti, si faceva prescrivere degli antidolorifici dal proprio medico. Qualche ora dopo aver fatto ordinare dalla moglie una consegna di farmaci a domicilio, sentendo suonare il campanello della porta di casa Dick andò ad aprire: ecco apparire l’ennesima “black haired girl” della sua vita, un’affascinante commessa della farmacia, andata a consegnargli le medicine. Per farla trattenere qualche minuto, e perché affascinato in maniera quasi innaturale dal ciondolo a forma di pesce stilizzato che pendeva dalla sua catenina, Dick domandò alla ragazza che cosa questo rappresentasse. Si trattava del pesce acrostico, il simbolo a forma di pesce stilizzato utilizzato dai primi cristiani per indicare il nome di Cristo in maniera criptata (IΧΘΥΣ, il nome “pesce” in greco antico, è, infatti, una parola le cui iniziali formavano l’acrostico Ἰησοὺς Χριστὸς Θεοῦ Υἱὸς Σωτήρ, Gesù Cristo Salvatore Figlio di Dio), all’epoca delle persecuzioni.
In questo preciso istante, mentre stiamo scrivendo, qualsiasi cliente della catena di supermercati italiana Iper può entrare in una delle filiali e acquistare un prodotto della linea VALIS. Barattoli di pomodori, calzini, pasta, jeans. Forse il mondo in cui viviamo è molto più dickiano di quanto chiunque di noi non sia disposto ad ammettere.
Che si propenda per l'ipotesi psichiatrica o per quella mistica, l'autore ci ha consegnato alcuni fra i più bei romanzi di fantascienza del secolo scorso, grazie soprattutto a questa capacità di "viaggiare" e alla libertà di cui ha potuto godere durante la sua vita.
Probabilmente in un reparto psichiatrico non avrebbe scritto nulla e l'umanità ora si ritroverebbe sicuramente più povera.
Veronika
Tratto dal sito Doppiozero:
"L'Esegesi: il vangelo secondo Philip K. Dick"
di Antonio Lucci
Sono passati poco meno di 42 anni da quel febbraio del 1974 che segnò in maniera indelebile una svolta decisiva nella produzione letteraria e filosofica, ma soprattutto nella vita personale, di quello che è stato con ogni probabilità (assieme a Isaac Asimov) il più grande romanziere di fantascienza del secolo scorso: Philip K. Dick. Durante quel mese di febbraio, infatti, l’autore di romanzi di fantascienza forse più saccheggiato della storia del cinema (suoi i romanzi e racconti alla base di Blade Runner e Total Recall, ma pure di Minority Report, Next per fare solo qualche nome) avrà un’esperienza a dir poco straordinaria, che secondo le categorie linguistiche correnti potrebbe essere definita solo in due modi: illuminazione o psicosi. Nei giorni immediatamente successivi all’uscita del suo romanzo Scorrete lacrime, disse il poliziotto, Dick, provato dai postumi di un’estrazione di denti, si faceva prescrivere degli antidolorifici dal proprio medico. Qualche ora dopo aver fatto ordinare dalla moglie una consegna di farmaci a domicilio, sentendo suonare il campanello della porta di casa Dick andò ad aprire: ecco apparire l’ennesima “black haired girl” della sua vita, un’affascinante commessa della farmacia, andata a consegnargli le medicine. Per farla trattenere qualche minuto, e perché affascinato in maniera quasi innaturale dal ciondolo a forma di pesce stilizzato che pendeva dalla sua catenina, Dick domandò alla ragazza che cosa questo rappresentasse. Si trattava del pesce acrostico, il simbolo a forma di pesce stilizzato utilizzato dai primi cristiani per indicare il nome di Cristo in maniera criptata (IΧΘΥΣ, il nome “pesce” in greco antico, è, infatti, una parola le cui iniziali formavano l’acrostico Ἰησοὺς Χριστὸς Θεοῦ Υἱὸς Σωτήρ, Gesù Cristo Salvatore Figlio di Dio), all’epoca delle persecuzioni.
Dopo questa breve chiarificazione, fornitagli dalla ragazza, Dick fu
colpito da quella che può essere definita solamente nei termini di un’illuminazione.
Come se il pesce acrostico fosse la chiave di un’anamnesi platonica in
senso letterale – del riconoscimento di una verità da sempre saputa,
eppure celata nei meandri della mente, della memoria e dell’inconscio –
Dick da quel giorno, per settimane, passò intere notti investito da
fasci di colori, da ricordi di un antico passato mai stato presente, da
frammenti di messaggi in lingue antiche (in particolare greco e latino),
da nozioni e dottrine prima di allora sconosciute. Dick cercherà
costantemente, per tutto il resto della sua vita, di dare un senso a
quegli eventi, arrivando a scrivere un enorme corpus di appunti,
riflessioni, considerazioni, lettere, aforismi, in cui egli stesso cerca
un’esegesi, un’autoesegesi, di se stesso e di quell’esperienza. I
documenti che i curatori del lascito di Dick hanno offerto nel 2011 al
pubblico internazionale in inglese sotto il titolo di Exegesis,
e che di recente l’editore Fanucci – che in Italia ha pubblicato tutta
la produzione romanzesca dickiana – ha meritoriamente fatto tradurre,
rappresentano la formidabile testimonianza di quell’esperienza
sconvolgente. Le paure, le ossessioni, le paranoie, le riflessioni, i
deliri di grandezza e la disperazione di Dick fuoriescono da questo
tentativo filosofico titanico di comprensione di un fenomeno che, come
detto, secondo le categorie interpretative proprie del nostro universo
linguistico e concettuale moderno può essere definito solo da due
parole-chiave: “illuminazione” e “psicosi”.
Dick stesso si trovò, nel suo tentativo di spiegare e di spiegarsi la
propria esperienza, sospeso su questo fragile ponticello teso tra
illuminazione e psicosi. Di questa oscillazione tra due poli recano
traccia molti luoghi delle Exegesis: qui spesso trovano spazio,
giustapposte, due consapevolezze incompatibili, ma al contempo
paradossalmente coesistenti: la consapevolezza tutta moderna – oggettiva
– di non poter fare altro che ascrivere a un disturbo psichico
esperienze di un certo tipo, e la certezza soggettiva del valore
veritativo della propria regressione all’epoca della tardoantichità.
Psicosi e illuminazione. Contro la logica dualista – bianco o
nero, si o no, vero o falso, giusto o sbagliato, innocente o colpevole –
su cui si fonda tutta l’onto-logica occidentale, l’esperienza di Dick
si pone su di un piano di impossibile compresenza. La tragica
consapevolezza di questa composizione di realtà contraddittorie
attraversa tutto il corpus delle Exegesis dickiane. Ed è forse
alla ricerca di una soluzione di questo dualismo espressivo che Dick ha
elaborato una duplice risposta ai propri interrogativi esistenziali: da
un lato la messa in forma narrativa della propria esperienza, attraverso
la scrittura di romanzi profondamente legati al Marzo ’74 (che
diventeranno poi la trilogia di VALIS, l’ultima grande opera di Dick),
dall’altro la continua autoesegesi privata, durata fino alla morte.
Ancora una volta: i limiti del nostro linguaggio sono i limiti del nostro mondo.
In un mondo profondamente segnato dalle ricorrenze calendaristiche
cristiane, pur nella sua frazione secolarizzata, il mese di Febbraio del
1974 rappresenta il possibile anno zero di una particolarissima
religione cosmica alternativa, con un testo sacro, le Exegesis,
un profeta, Philip K. Dick, una serie di testi divulgativi – di vangeli
– , i romanzi che compongono la trilogia di VALIS (sigla per Vaste Active Living Intelligence System,
il nome che Dick diede all’entità che secondo lui si era messa in
contatto con la sua mente) … e un solo fedele, lo stesso Dick. Se il
nome di Philip K. Dick oggi non affianca quello di Cristo, di Maometto o
di Gautama l’Illuminato è perché egli, nelle Exegesis, parla
un linguaggio a noi non più comprensibile, una lingua antica, troppo
antica, che forse agli abitanti dell’anno 100 d.C. sarebbe stata
comprensibile, e persino fonte di ispirazione, credenza e illuminazione,
ma che nel lettore contemporaneo suscita solo un moto di stupore, al
massimo di curiosità per la singolarità delle fantasie e le visioni di
una mente sconvolta, o tutt’al più – nelle branche più liberali delle
scienze letterarie e dei Cultural Studies – un interesse per le sorprendenti forme espressive e tournures filosofiche utilizzate.
Dick, per spiegare e per spiegarsi la propria peculiare esperienza, si riferisce in più punti della sua produzione letteraria ad un frammento del filosofo greco Eraclito, che recita: «La trama nascosta è più forte di quella manifesta». Il mondo che noi tutti vediamo, e in cui viviamo, sarebbe dunque solo un mondo apparente, un flusso illusorio, che cela la trama nascosta, quella vera, “più forte”, ma al contempo nascosta ai più. È questa la struttura del paradossale universo di VALIS: un universo in cui a una realtà immobile, immutabile, “più forte” e più vera, fa da schermo il mondo allucinatorio di un caleidoscopico divenire. È in questa struttura che possono andare paradossalmente insieme Eraclito e Parmenide, il divenire e l’essere, spesso accostati nel corpus delle Exegesis: immutabilità dell’essere ed eterno fluire vengono accostati in una costruzione monista, in cui il divenire è reale in quanto allucinatorio mondo in cui tutti viviamo, e al contempo è reale l’immutabilità dell’essere, ferma, atemporale, al di sotto del velo eracliteo. Ed è in questo universo profondamente monista, ma da cui non è affatto escluso il cambiamento, che ha luogo Il Vangelo secondo Dick. Questi si inserisce in questo universo in qualità di profeta, seguendone però le leggi messianiche del tutto peculiari: una rivelazione che si afferma nel rimanere nascosta, nel non affermarsi, nel non divenire universale religione aperta a tutti; questa è la «debole forza messianica» della rivelazione dickiana, per utilizzare una bella espressione di Walter Benjamin.
E questa debole forza messianica è del tutto organica al modo in cui si dà nell’universo ZEBRA, uno degli altri nomi di VALIS: come indica l’accostamento all’animale che vive nella savana, che fa della dissimulazione della sua presenza attraverso il mimetismo la propria caratteristica principale, la vera trama è mimetizzata, e così deve essere anche la sua rivelazione. Per questo di Eraclito parla anche il folle protagonista del romanzo Valis, che porta l’assurdo nome di Horselover Fat, una deformazione del nome e del cognome dello stesso Dick (Philip, che nella sua etimologia greca viene da filos, “amico” [lover], e hippos, “cavallo” [horse] e Dick, che in tedesco significa “grasso” [fat]) poco prima di finire rinchiuso in un ospedale psichiatrico. Dick, da buon profeta di ZEBRA, si nasconde in quanto apostolo dietro i suoi molti alter ego cartacei e dietro i loro patetici disturbi mentali (arrivando persino a sdoppiarsi, o meglio a tripartirsi, in Radio Libera Albemuth, dove compare egli stesso, col suo vero nome e cognome, come co-protagonista, ma dove anche il protagonista Nicholas Brady è in realtà Dick, come appare evidente confrontando le esperienze riportate nella prima parte del romanzo da Brady e quelle descritte da Dick nella sua corrispondenza privata nella sezione I delle Exegesis), dissimula il suo messaggio come una creazione di fantasia – di science fiction – e la sua credibilità dietro una dissacrante ironia di fondo (Fat finisce in manicomio), unita a una certa dose di cinismo narrativo. Ma, come detto, la trama nascosta è più forte della trama evidente, e Dick, come spesso sostiene nelle Exegesis, rilegge tutta la sua produzione, precedente e naturalmente successiva al Febbraio 1974, in funzione di quell’evento. In questo senso la diffusione dell’opera dickiana diventa un’opera apostolica, e la lettura dei testi dell’autore non un intrattenimento pop, come la letteratura di fantascienza ha sempre voluto essere, ma un’opera di evangelizzazione criptata, zebrata, destinata alle grandi masse. Come tutti i veri eroi dei suoi romanzi, da Joe Chip di Ubik a quel Timothy Archer che sarà il protagonista dell’ultimo volume della trilogia di Valis, Dick è un eroe debole, un profeta debole, che però, malgrado tutto, ci ha lasciato il suo messaggio, il quale, che noi lo decriptiamo o no, è comunque, tramite la sua scrittura, giunto al mondo, ha avuto effetti, ha prodotto una modificazione sulla trama manifesta.
L’esperienza di Dick del ’74 è un’esperienza-limite, e come tutte le esperienze-limite, tocca il confine del linguaggio, del dicibile e del possibile. È possibile – oggi – un’illuminazione? È possibile vedere e sentire Dio (o ZEBRA o VALIS)? Queste esperienze sono comunicabili? Esistono lenti interpretative non riduzioniste per questo genere di esperienze? Tutte queste domande, chiuse nel circolo argomentativo, nella relazione domanda-risposta, in una parola, nel linguaggio, sono destinate a restare senza una risposta soddisfacente. Per questo, forse, solo con la descrizione di un’esperienza è possibile suggerire una via che affianchi quella di Dick, e di chiunque volesse coglierla senza oggettivarla. Angosciato, in una lettera a Peter Fitting del 28 Giugno 1974, Dick esprime la sensazione che il mondo si stia trasformando in un suo romanzo: «This brings to my mind my strange and eerie feeling that my novels are coming true […] the word as come to rasemble a PKD novel […]. Other people have mentioned this, too, the feeling that more and more they are living in a PKD novel». La letteratura diventa mondo, il mondo è infettato dalla letteratura. L’opera di un autore cambia per sempre la trama della realtà, in maniera concreta, tangibile, pratica. In uno dei capolavori dickiani, Ubik, l’inafferabile sostanza-Ubik (Dio? Una delle manifestazioni di Valis? Una droga?) prende le forme più comuni, disparate, persino squallide: condimento per insalate, digestivo, deodorante, reggiseno. Ubik è il divino, il totalmente Altro che penetra nei meandri più quotidiani della nostra realtà, vero e proprio freudiano Unheimliche, cambiandola dall’interno attraverso uno spostamento minimo. È come se Ubik infettasse la realtà: una teofania minima, di grado zero, ma che come ogni teofania scardina per sempre il corso del tempo.
Dick, per spiegare e per spiegarsi la propria peculiare esperienza, si riferisce in più punti della sua produzione letteraria ad un frammento del filosofo greco Eraclito, che recita: «La trama nascosta è più forte di quella manifesta». Il mondo che noi tutti vediamo, e in cui viviamo, sarebbe dunque solo un mondo apparente, un flusso illusorio, che cela la trama nascosta, quella vera, “più forte”, ma al contempo nascosta ai più. È questa la struttura del paradossale universo di VALIS: un universo in cui a una realtà immobile, immutabile, “più forte” e più vera, fa da schermo il mondo allucinatorio di un caleidoscopico divenire. È in questa struttura che possono andare paradossalmente insieme Eraclito e Parmenide, il divenire e l’essere, spesso accostati nel corpus delle Exegesis: immutabilità dell’essere ed eterno fluire vengono accostati in una costruzione monista, in cui il divenire è reale in quanto allucinatorio mondo in cui tutti viviamo, e al contempo è reale l’immutabilità dell’essere, ferma, atemporale, al di sotto del velo eracliteo. Ed è in questo universo profondamente monista, ma da cui non è affatto escluso il cambiamento, che ha luogo Il Vangelo secondo Dick. Questi si inserisce in questo universo in qualità di profeta, seguendone però le leggi messianiche del tutto peculiari: una rivelazione che si afferma nel rimanere nascosta, nel non affermarsi, nel non divenire universale religione aperta a tutti; questa è la «debole forza messianica» della rivelazione dickiana, per utilizzare una bella espressione di Walter Benjamin.
E questa debole forza messianica è del tutto organica al modo in cui si dà nell’universo ZEBRA, uno degli altri nomi di VALIS: come indica l’accostamento all’animale che vive nella savana, che fa della dissimulazione della sua presenza attraverso il mimetismo la propria caratteristica principale, la vera trama è mimetizzata, e così deve essere anche la sua rivelazione. Per questo di Eraclito parla anche il folle protagonista del romanzo Valis, che porta l’assurdo nome di Horselover Fat, una deformazione del nome e del cognome dello stesso Dick (Philip, che nella sua etimologia greca viene da filos, “amico” [lover], e hippos, “cavallo” [horse] e Dick, che in tedesco significa “grasso” [fat]) poco prima di finire rinchiuso in un ospedale psichiatrico. Dick, da buon profeta di ZEBRA, si nasconde in quanto apostolo dietro i suoi molti alter ego cartacei e dietro i loro patetici disturbi mentali (arrivando persino a sdoppiarsi, o meglio a tripartirsi, in Radio Libera Albemuth, dove compare egli stesso, col suo vero nome e cognome, come co-protagonista, ma dove anche il protagonista Nicholas Brady è in realtà Dick, come appare evidente confrontando le esperienze riportate nella prima parte del romanzo da Brady e quelle descritte da Dick nella sua corrispondenza privata nella sezione I delle Exegesis), dissimula il suo messaggio come una creazione di fantasia – di science fiction – e la sua credibilità dietro una dissacrante ironia di fondo (Fat finisce in manicomio), unita a una certa dose di cinismo narrativo. Ma, come detto, la trama nascosta è più forte della trama evidente, e Dick, come spesso sostiene nelle Exegesis, rilegge tutta la sua produzione, precedente e naturalmente successiva al Febbraio 1974, in funzione di quell’evento. In questo senso la diffusione dell’opera dickiana diventa un’opera apostolica, e la lettura dei testi dell’autore non un intrattenimento pop, come la letteratura di fantascienza ha sempre voluto essere, ma un’opera di evangelizzazione criptata, zebrata, destinata alle grandi masse. Come tutti i veri eroi dei suoi romanzi, da Joe Chip di Ubik a quel Timothy Archer che sarà il protagonista dell’ultimo volume della trilogia di Valis, Dick è un eroe debole, un profeta debole, che però, malgrado tutto, ci ha lasciato il suo messaggio, il quale, che noi lo decriptiamo o no, è comunque, tramite la sua scrittura, giunto al mondo, ha avuto effetti, ha prodotto una modificazione sulla trama manifesta.
L’esperienza di Dick del ’74 è un’esperienza-limite, e come tutte le esperienze-limite, tocca il confine del linguaggio, del dicibile e del possibile. È possibile – oggi – un’illuminazione? È possibile vedere e sentire Dio (o ZEBRA o VALIS)? Queste esperienze sono comunicabili? Esistono lenti interpretative non riduzioniste per questo genere di esperienze? Tutte queste domande, chiuse nel circolo argomentativo, nella relazione domanda-risposta, in una parola, nel linguaggio, sono destinate a restare senza una risposta soddisfacente. Per questo, forse, solo con la descrizione di un’esperienza è possibile suggerire una via che affianchi quella di Dick, e di chiunque volesse coglierla senza oggettivarla. Angosciato, in una lettera a Peter Fitting del 28 Giugno 1974, Dick esprime la sensazione che il mondo si stia trasformando in un suo romanzo: «This brings to my mind my strange and eerie feeling that my novels are coming true […] the word as come to rasemble a PKD novel […]. Other people have mentioned this, too, the feeling that more and more they are living in a PKD novel». La letteratura diventa mondo, il mondo è infettato dalla letteratura. L’opera di un autore cambia per sempre la trama della realtà, in maniera concreta, tangibile, pratica. In uno dei capolavori dickiani, Ubik, l’inafferabile sostanza-Ubik (Dio? Una delle manifestazioni di Valis? Una droga?) prende le forme più comuni, disparate, persino squallide: condimento per insalate, digestivo, deodorante, reggiseno. Ubik è il divino, il totalmente Altro che penetra nei meandri più quotidiani della nostra realtà, vero e proprio freudiano Unheimliche, cambiandola dall’interno attraverso uno spostamento minimo. È come se Ubik infettasse la realtà: una teofania minima, di grado zero, ma che come ogni teofania scardina per sempre il corso del tempo.
In questo preciso istante, mentre stiamo scrivendo, qualsiasi cliente della catena di supermercati italiana Iper può entrare in una delle filiali e acquistare un prodotto della linea VALIS. Barattoli di pomodori, calzini, pasta, jeans. Forse il mondo in cui viviamo è molto più dickiano di quanto chiunque di noi non sia disposto ad ammettere.
lunedì 4 gennaio 2016
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