sabato 12 dicembre 2020

“Conoscere l’operato della psichiatria per sapere a cosa si va incontro”

 

da: https://mad-in-italy.com

L’autore, Natale Adornetto, psicologo, dedica il suo libro a tutte quelle persone che sono state “danneggiate e traumatizzate dagli interventi della psichiatria”.

Le riflessioni, contenute nel libro, sono essenzialmente un riassunto della sua attività di clinico, di attivista e di divulgatore, che mette a fuoco quelle da lui evidenziate come i grossi difetti e pecche della psichiatria con tutte le sue contraddizioni e soprusi, in linea con la tradizione più illuminata del movimento dell’antipsichiatria che si rifà all’operato di Basaglia, Antonucci, Szasz, Laing, Cooper ed altri.

Il punto centrale della critica di Adornetto è sostanzialmente che la psichiatria, che ha cavalcato ormai da decenni l’ondata organicista, senza però dimostrarne la sua validità, abbia condizionato in maniera negativa le vite degli utenti, compromettendone il loro diritto ad una esistenza dignitosa.

Ma, in realtà, Adornetto ci suggerisce, anche, come questo orientamento biologico ed organicista, tradotto in termini sociopolitici, valichi i confini della psichiaria stessa, estendendosi e rafforzando le tendenze egemoniche presenti in maniera particolarmente virulenta nella realtà storica degli ultimi decenni. In questo contesto, il libro si colloca nella cornice del pensiero di Gramsci e di Foucult, senza peraltro sconfinare eccessivamente, in elucubrazioni teoriche, trascurando così l’impatto reale dell’operato della psichiatria nella esperienza quotidiana degli individui, i quali affrontano quotidianamente il disagio emotivo.

La descizione dell’impatto della psichiatria viene descritta in tutte le sue diverse declinazioni, che includono le conseguenze che scaturiscono dalle diagnosi psichiatriche, basate sul modello organicista, che intrappola i processi emotivi e cognitivi in un percorso di intervento farmacologico che, in realtà, affievolisce le capacità di affrontare il disagio emotivo e risolverlo con approcci più naturali e a misura d’uomo, come la psicoterapia e gli interventi psicosociali.

In questa cornice, Adornetto inquadra il problema dello stigma nei riguardi del “malato mentale”, scaturente dall’orientamento organicista, che considera il disagio emotivo come una entità biologica, ineluttabilmente cronica, e quindi relega l’individuo nella sfera dei disabili e degli incurabili. Di conseguenza, questa reificazione fallace della sofferenza psichica stimola dinamiche sociali che, in definitiva, spogliano gli utenti della loro dignità e spesso anche della loro libertà, tramite l’utilizzo ubiquitario ed irragionevole del TSO. Spiega anche, come questo processo di diminuzione e svilimento della dignità individuale venga esteso all’età infantile, tramite la “creazione” della diagnosi di ADHD (Sindrome da deficit dell’attenzione e iperattività) e dei conseguenti trattamenti farmacologici.

Parafrasando le stesse parole di Adornetto, il libro non si occupa solo degli aspetti tecnici e scientifici della cosiddetta cura psichiatrica, ma sottolinea gli aspetti umani, esistenziali e relazionali che definiscono l’individuo come tale, aprendo le strade ad una visione della salute mentale che si distanzia dall’approccio organicista per collocarsi in un contesto sociale, culturale ed esistenziale che restituiscono al disagio emotivo la necessaria umanità e dignità.

Ed infine, la narrazione, pur trattando un tema complesso è caratterizzato da uno stile e un linguaggio chiari e scorrevoli, di facile comprensione per utenti, professionisti e coloro che si interessano di tematiche riguardanti la salute mentale.

lunedì 23 novembre 2020

Erich Fromm – I Cosiddetti Sani: La Patologia Della Normalità

 E’ convinzione diffusa che un individuo “normale”, sicuro di sé, soddisfatto della propria vita e ben adattato alla società sia anche una persona sana, immune da depressione o nevrosi. Ma cos’è la normalità? Che rapporto ha con la salute dell’individuo? E’ davvero un baluardo contro la malattia psichica? Nel corso degli anni, Erich Fromm si è interrogato a lungo su questo problema: la miseria e la sofferenza umana lo hanno infine convinto che il rapporto tra individuo e società non è così semplice come vogliono far credere i tutori dell’ordine esistente, e che spesso l’uomo sacrifica alla soddisfazione delle necessità materiali la propria integrità personale. Esiste quindi anche una “patologia della normalità”, una disposizione alla malattia che nasce dal conformismo e dalla sottomissione alla struttura mercantile delle moderne società occidentali. Due sono i meccanismi perversi individuati da Fromm, sulla scia di Marx e Freud, quali possibili cause della malattia psichica: da una parte l’alienazione, che pervade tutti i campi dell’esistenza – dal lavoro ai rapporti interpersonali, dal pensiero al sentimento – e che inevitabilmente porta all’asservimento e all’apatia; dall’altra il narcisismo, individuale o collettivo, che spinge l’uomo a calpestare la dignità dei suoi simili e lo induce gradualmente alla “necrofilia”, al rifiuto della vita. Fromm non si limita, però, a una critica della società contemporanea, né a tristi riflessioni sul carattere perverso della natura umana. Attraverso un’analisi impietosa del consumismo e della crisi di valori che scuote la civiltà occidentale, egli rileva come l’uomo abbia finito per riporre tutte le sue speranza nella scienza, ammaliato da un’idea mitica del progresso che lo ha convinto dell’esistenza di un’oggettiva e inarrestabile evoluzione verso il meglio e, al tempo stesso, dell’inutilià di ogni tentativo di risolvere razionalmente e tempestivamente le questioni sociali e politiche più scottanti. E’ proprio in questa indolenza, in questa passività, che Fromm suggerisce di cercare le radici della depressione, ormai diventata una sortadi malattia “professionale” dell’uomo contemporaneo. Ma, a differenza di quanto molti sembrano ritenere, indolenza e passività non sono astratte caratteristiche psicologiche o morali dell’individuo odierno, né tantomeno vizi d’origine dell’essere umano, bensì il frutto molto concreto delle condizioni socio-economiche “disumane” in cui ciascuno di noi si trova a vivere. Solo prendendo coscienza di tale nesso si potrà pensare di superare il vuoto concetto di “normalità”, sempre più spesso sinonimo di omologazione, e di costruire una rinnovata “scienza umanistica” che, forte del bisogno di utopia, ovvero della tensione verso la verità e la giustizia, si ponga l’obiettivo di far scoprire, o riscoprire, all’uomo il piacere dell’azione libera e consapevole e l’amore per la vita.

fonte: https://greennotgreed.noblogs.org/

domenica 1 novembre 2020

TSO e trattamento coercitivo con depot – Storia di Alessandra

fonte:https://mad-in-italy.com

Questa è la storia di Alessandra (nome di fantasia) che ci racconta di come i contrasti sul lavoro e il mobbing possano avere come conseguenza il coinvolgimento dei servizi di psichiatria e di come, una volta segnalati come utenti, sia quasi impossibile uscirne.

Storia di Alessandra

A metà degli anni ‘90 cominciai a lavorare come barista presso il bar di una sede politica. Il lavoro procedeva bene e per una decina di anni non ho avuto alcun tipo di problema, dopodiché per uno scandalo che coinvolgeva le forze politiche che gestivano la catena dei bar cominciò per me un periodo di forte stress, di paura e di ansia.

Nel tentativo di conservare il posto di lavoro insieme ai miei colleghi denunciammo alcuni illeciti riguardanti la gestione del bar. Alla denuncia seguirono provvedimenti disciplinari come ritorsione contro di noi.

Iniziò così nei nostri confronti un duro mobbing con minacce, intimidazioni, gomme squarciate, macchine graffiate ecc.

Dato lo stress che stavo vivendo, un responsabile dell’esercizio in cui lavoravo mi consigliò di rivolgermi alla Asl e di farmi fare un certificato per mettermi in malattia.

Così andai alla ASL, ma la dottoressa a cui chiesi aiuto non fece nessun certificato medico, bensì mi riempì di psicofarmaci. Non mi ripresentai più e buttai via i farmaci, visto che la mia unica colpa era di aver denunciato gli illeciti.

Quella, a mio avviso, fu solo una tattica per potermi segnalare a vita. Scoprii solo in seguito che chi si rivolge alla psichiatria della Asl rimane segnalato e marchiato a vita.

Iniziai la mia causa per aver subito un licenziamento illecito mentre continuavano le minacce e le intimidazioni.

La causa, che vinsi, durò 4 anni. Nel frattempo, cominciai a lavorare per un’altra catena di ristorazione, ma fu sempre peggio, in quanto c’erano le votazioni di mezzo. Nel 2013 iniziarono a togliere voci dalla busta paga o a non pagare gli stipendi, fui declassata e minacciata verbalmente da parte di soggetti conosciuti alle forze dell’ordine. Denunciai i soprusi nuovamente ai carabinieri, alla guardia di finanza e all’ispettorato del lavoro.

Nel 2015 venni fermata a Roma dove ero giunta per trovare un buon avvocato disposto ad aiutarmi e fare emergere la mia storia, ma fui fermata da due poliziotti con due pistole puntate addosso. Questi mi parlano per più di tre ore, durante le quali io ero tranquilla e serena, non davo alcun segno di agitazione, spiegando che avrei denunciato quello che stavo subendo presso la caserma di via Genova, poco distante da Roma termini. Ma venni convinta a salire su un’ambulanza con l’inganno. Mi dissero che mi avrebbero fatto un controllo e che sarei poi stata rimandata a casa.

Ma così non fu, mi sedarono pesantemente tanto che mi risvegliai solo dopo essere stata trasporta in una stanza d’ospedale. Solo in seguito, si scoprirà tramite le cartelle cliniche che in un foglio fu dichiarato che ero in stato confusionale lungo una strada, mentre in un altro che venivo prelevata da un albergo di via Firenze. Affermazioni in contraddizione tra loro per giustificare il TSO.

Durante il TSO vieni pesantemente imbottita di psicofarmaci e lasciata sola. Non ti vengono spiegati tuoi diritti e non puoi difenderti in quel silenzio totale. Mi fecero così una diagnosi di mania di persecuzione. Una vera vergogna!

All’uscita dall’ospedale mi venne cambiata la terapia e iniziò la mia odissea: Tavor, puntura di Haldol (terapia depot), Clozapina e Depakin.

Iniziarono i problemi di tremore, svenimenti, collassi, sbavavo dalla bocca, movimento delle gambe come uno spastico e movimenti delle braccia incontrollabili.

Durante il TSO ero stordita dagli psicofarmaci, ma non stavo male, mentre con la nuova terapia dovevo uscire accompagnata e avevo tutti questi effetti collaterali fastidiosissimi e invalidanti.

Che necessità c’era di cambiarla? Mi dissero che il cambio di terapia era la prassi.

Stavo molto male e la dottoressa della Asl mi consigliò di fare la domanda di invalidità e accedere alle liste delle categorie protette.

Ai miei familiari, fratelli e marito, venne detto che la mia patologia era grave e ci sarebbero voluti anni per guarire.

Dopo avermi quasi resa invalida, sapendo che avevo una casa di proprietà, volevano che facessi domanda per avere un amministratore di sostegno, ma mi opposi insieme alla mia famiglia e la cosa per fortuna non andò in porto. Uno scandalo!

Posso ringraziare mio marito e mia sorella che fecero sospendere la puntura di Haldol se oggi sono qui a raccontate la mia storia, fatta di malagiustizia e malasanità.

Nonostante questo, sono tuttora costretta, contro la mia volontà, ad assumere Clozapina e Paliperidone in forma depot (al posto dell’Haldol). L’assunzione di questi farmaci mi ha procurato danni al cuore, in particolare un ispessimento della parete cardiaca, aritmie e la sindrome del QT lungo (alterazione dell’attività elettrica del cuore che può mettere a repentaglio la vita del paziente, NDR), tipici del trattamento attuale e che possono indurre un attacco cardiaco improvviso.

A tutt’oggi, dopo averne sentito più di 20, sono in cerca di un avvocato che si prenda a cuore la mia storia, ma tutti rispondono che non trattano i casi di TSO, che non vogliono correre il rischio di dover smettere di lavorare, che hanno dei figli e non vogliono perdere il posto di lavoro ecc.

È una pura e reale vergogna dalla quale non riesco ad uscire!!!

Mi auguro che la pubblicazione della mia storia serva a salvare e aiutare molte altre persone che come me stanno subendo situazioni come la mia.

Alessandra

mercoledì 21 ottobre 2020

PISA giovedì 29/10 “CICATRICI” al Caracol 2 PERFORMANCE POETICHE con Guido Celli e Elisabetta Cipolli

 

https://artaudpisa.noblogs.org/

 

Circolo Arci CARACOL in via Carlo Cattaneo 64

dalle ore 21 il Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud presenta

CICATRICI

perfomance poetica

“SCEMA (Poema)” di Elisabetta Cipolli  

“Scema, tenta di ripercorrere la storia, anche sonora, proprio di questa parola largamente usata, tentando di approfondire il ruolo svolto dal linguaggio nei processi di esclusione e di stigmatizzazione sociale.”

“I DUE LATI DELLA STESSA CICATRICE” di Guido Celli

In nido alla famiglia avviene la prima ferita che un figlio dovrà ricucirsi dentro, nascendosi ancora, ripetutamente, dall’utero delle proprie risorse.

ATTO I  ERA SOLO UN RAGAZZO [Sensibili alle foglie, Roma 2019]Il rapporto violento fra padre e figlio. Per una pedagogia dei padri.

ATTO II  MADRE MATERNO [Sensibili alle foglie, Roma 2020] Il materno indegno del figlio. Benedizione immeritata. Cosa resta della madre nel cuore avvoltoio di ciò che nasce.

il numero dei partecipanti è limitato a causa della normativa Anti-Covid quindi è necessaria e consigliata la prenotazione.

domenica 11 ottobre 2020

E’ ufficiale e lo dicono (finalmente) gli stessi psichiatri: gli antidepressivi provocano dipendenza

 

Fonte: http://mad-in-italy.com

Segnalazione: Collettivo Artaud 

In Inghilterra, il Royal College of Psychiatry pubblica l’opuscolo informativo degli Antidepressivi riportando i rischi legati alla sospensione dei farmaci e le linee guida per una loro dismissione sicura.

Le informazioni su di esso riportate sono in contrasto con quelle comunemente date da molti psichiatri, che sottovalutano la dipendenza generata dai farmaci e confondono le crisi di astinenza con le ricadute.

 

James Davies, psicologo inglese co-fondatore del Council for Evidence-based Psychiatry (CEP UK) e segretario del All-Party Parliamentary Group for Prescriptions Drug Dependence annuncia oggi che il Royal College of Psychiatry pubblica il nuovo opuscolo informativo per i pazienti, intitolato “Stopping Antidepressants”.

L’ opuscolo informativo sui farmaci antidepressivi, frutto di anni di lavoro di ricercatori, attivisti e delle comunità delle persone danneggiate dagli antidepressivi, è in contrasto con le descrizioni degli effetti di dismissione provocati degli antidepressivi visti come esperienza relativamente positiva per la maggior delle persone, data fino a poco tempo fa.

Il nuovo opuscolo informativo segue le linee guida NICE aggiornate, riconoscendo che mentre i sintomi di astinenza, quando si dismettono gli antidepressivi, possono essere lievi e relativamente di breve durata per alcuni, per molti altri possono essere gravi e protratti, per settimane, mesi o oltre.

L’opuscolo informativo riconosce anche che non è possibile prima dell’uso prevedere chi andrà incontro a gravi effetti di sospensione, pertanto tutti devono essere informati, prima di iniziare il trattamento, che potrebbero avere tali sintomi.

La comunicazione di questo rischio attraverso il Consenso informato è molto importante, in quanto la percentuale di persone che sperimentano diversi gradi di sintomi è alta, riguardando da un terzo alla metà delle persone che assumono antidepressivi.

Il nuovo opuscolo informativo indica anche che l’astinenza provocata dalla sospensione del farmaco può essere confusa con una ricaduta, soprattutto perché le reazioni di astinenza (come aumento dell’ansia o depressione) possono rispecchiare le stesse esperienze che hanno portato molte persone ad accettare una prescrizione di antidepressivi.

L’opuscolo informativo offre alcuni suggerimenti utili per distinguere l’astinenza da una ricaduta, ma soprattutto riconosce che questi non costituiscono scienza esatta, il che, sostiene Davies, implica che i medici devono ascoltare e rispettare le opinioni dei loro pazienti riguardo il significato dei sintomi che sperimentano durante la sospensione.

Nel nuovo opuscolo informativo la depressione non viene più descritta come la causa di uno squilibrio chimico che gli antidepressivi in qualche modo correggono (modello organicista o bio-medico, ndr).

Riconosce più cautamente, invece, che gli antidepressivi provocano un aumento dei livelli di alcuni neurotrasmettitori come la serotonina e la noradrenalina e che il cervello si adatta lentamente, nel tempo, ai nuovi livelli.

La conseguenza di ciò è che se un antidepressivo viene sospeso rapidamente, il cervello avrà bisogno di tempo per adattarsi alla sua assenza. Questo periodo di riadattamento, si suppone, è ciò che determina la reazione da sospensione.

L’opuscolo informativo, quindi, suggerisce che la sospensione del farmaco deve avvenire in modo molto graduale e ad un ritmo in linea con i bisogni e le esperienze della persona, cosa che gli attivisti chiedono da molto tempo. Offre, inoltre alcuni protocolli generici di sospensione come guida iniziale.

Le informazioni contenute nel nuovo opuscolo informativo riguardo ai potenziali rischi legati alla sospensione degli antidepressivi contrastano significativamente con quelle date da molti psichiatri dell’establishment fino a un paio di anni fa.

Davies ritiene che questo importante risultato sia anche il frutto dell’impegno dei membri del CEP, attraverso la loro ricerca e le pubblicazioni pertinenti, l’avvio della recente revisione della Public Health England sulla dipendenza da farmaci da prescrizione e la loro sospensione, e il lavoro come esperti consulenti sulla revisione, la collaborazione con il NICE nell’ottenere aggiornate le linee guida per la sospensione e il feedback dato al Royal College per quanto riguarda le questioni spinose relative alla sospensione degli antidepressivi più in generale.

Infine, continua Davies, una grossa parte del merito va soprattutto agli utenti dei servizi psichiatrici, agli enti di beneficenza per la sospensione degli psicofarmaci, ai membri dei forum di supporto on-line, ai membri delle comunità dei danneggiati da farmaci che si sono battuti con coraggio su questo tema e “A loro va la nostra più grande gratitudine e per loro dobbiamo tutti continuare la lotta per un adeguato sostegno e supporto nazionale per la sospensione degli psicofarmaci”.

qui articolo originale CEPUK

Carceri e pandemia: riduzione del sovraffollamento ma anche nuovi disagi psichiatrici

fonte: http://www.ristretti.org

di Monia Sangermano


 

"Il sovraffollamento degli Istituti Penitenziari è decisamente migliorato: si è passati dal 20,3% al 6,6%, per l'assenza di arresti nel periodo del lockdown". La pandemia di Covid-19 ha colpito anche le carceri, provocando diversi effetti. Fortunatamente i casi di Covid-19 sono stati sporadici e non particolarmente critici.

"Dopo le proteste iniziali e gli inevitabili timori che le carceri divenissero una polveriera, le norme previste dal Dpcm dell'8 marzo per gli istituti penitenziari hanno consentito di limitare i contagi: i casi sintomatici dei nuovi ingressi sono stati posti in isolamento; i colloqui si sono tenuti in modalità telematica; sono stati limitati i permessi e la libertà vigilata" evidenzia il Prof. Sergio Babudieri, Direttore Scientifico SIMSPe - Società Italiana di Medicina e Sanità nei Penitenziari - Tuttavia, con questa seconda ondata il virus si è diffuso in diversi ambiti, ben oltre ospedali e RSA che erano stati i principali incubatori del virus in primavera: di conseguenza, adesso qualsiasi nuovo detenuto va in un'area di quarantena e viene sottoposto a tutti i consueti protocolli, secondo un filtro analogo ai triage degli ospedali".

"Tra le conseguenze della pandemia emergono anche dati positivi - aggiunge il Prof. Babudieri - Il tema cronico del sovraffollamento, che costituiva una minaccia proprio per una potenziale diffusione del Covid, è invece andato incontro a un notevole miglioramento: si è passati dal 20,3% al 6,6%, poiché non vi è stato il normale turn over dovuto all'assenza di arresti nel periodo del lockdown. Più precisamente, al 31 gennaio 2020 nei 190 istituti penitenziari italiani vi era una capienza di 50692 (dati ufficiali del Ministero della Giustizia) e 60.971 detenuti presenti, con un surplus quindi di 10.279, pari al 20,3%.

Adesso a fronte di una capienza di 50.574 posti letto, i detenuti effettivi sono 53921, con un sovraffollamento sceso a 3347, ossia il 6,6%, mostrando dunque un calo radicale. Questo però deve imporci controlli sempre più accurati, perché la popolazione ristretta è praticamente tutta suscettibile al Coronavirus ed in più in questo ambito sappiamo come sia cronicamente elevata la circolazione di altri virus, in particolare epatici come HCV. Ne consegue che in questa nuova fase dell'epidemia Covid divenga mandatoria l'esecuzione dei test combinati Hcv/Covid nei 190 Istituti Penitenziari Italiani".

Il Covid-19 ha evidenziato, accanto alla pandemia, un'altra emergenza sanitaria: quella della salute mentale. Depressione, ansia e disturbi del sonno, durante e dopo il lockdown, hanno accompagnato e stanno riguardando più del 41% degli italiani. Le persone rinchiuse nelle carceri costituiscono soggetti particolarmente vulnerabili: secondo dati noti, circa il 50% dei detenuti era già affetto da questo tipo di disagi prima della diffusione del virus. Erano frequenti dipendenza da sostanze psicoattive, disturbi nevrotici e reazioni di adattamento, disturbi alcol correlati, disturbi affettivi psicotici, disturbi della personalità e del comportamento, disturbi depressivi non psicotici, disturbi mentali organici senili e presenili, disturbi da spettro schizofrenico.

"Il problema psichiatrico o quantomeno quello del disagio mentale è diventato una delle questioni più gravi del sistema penitenziario italiano - sottolinea il Presidente Simspe Luciano Lucanìa - In sede congressuale abbiamo avuto un confronto su questo tema delicato con i contributi di accademici, direttori di penitenziari, medici specialisti che lavorano alla psichiatria territoriale e operatori attivi nel sistema penitenziario stesso.

È evidente come la pandemia di Covid e soprattutto i primi mesi abbiano reso queste problematiche ancora più evidenti. Nelle ultime settimane la situazione è diventata ancora più complessa. Non esistono soluzioni pronte e preconfezionate, ma noi di Simspe crediamo che sia necessario per gli operatori, per la comunità carceraria, per i decisori politici, far presente limiti, problemi, prospettive e chiedere soluzioni. Da una parte si devono integrare i servizi del territorio e i servizi del carcere; dall'altra serve un sistema carcerario che sia in grado di affrontare autonomamente questo tipo di problemi".

Il ruolo dell'infermiere nell'ambito penitenziario è centrale, sebbene spesso non venga messo a fuoco a sufficienza. In virtù del Decreto 739 del 1994, l'infermiere è colui che si occupare dei servizi assistenziali. Tuttavia, rappresenta una figura chiave perché è insignito di una responsabilità che va oltre quella sanitaria, poiché coinvolge la sicurezza personale di tutti coloro che lavorano in carcere. Da una parte, infatti, lavora in equipe con i medici; dall'altra, ha rapporti anche con altre figure, come gli educatori, toccando così anche gli aspetti sociali oltre a quelle sanitari.

"Come gruppo infermieristico di Simspe stiamo sviluppando diverse ricerche che permettano di valorizzare la figura dell'infermiere e di ottimizzarne il contributo - evidenzia Luca Amedeo Meani, Vice Presidente Simspe - Uno studio riguarda l'azione del Covid sull'operatività dell'infermiere: il Moral Distress (Disagio Morale) degli infermieri era preoccupante e si è aggravato in questi mesi. I dati emersi mostrano un livello molto elevato rispetto ai parametri mediani di valutazione e spesso coinvolgono ragazzi che avevano solo tre o quattro anni di esperienza in servizio.

Da qualche settimana stiamo integrando lo studio con item che riguardano il Covid. In secondo luogo, stiamo portando avanti anche un'analisi che riguarda la gestione Rischio Clinico, che permette di determinare in modo scientifico quali potrebbero essere le misure correttive per abbassare i rischi da un livello potenzialmente elevato a uno standard accettabile. Questo lavoro del Gruppo infermieristico Simspe è iniziato prima della pandemia e ha aiutato molto nella prevenzione del Covid: l'assenza di casi gravi e il mancato diffondersi della pandemia in questi ambienti è stato anche grazie a questo sistema di prevenzione e di analisi del rischio".

domenica 4 ottobre 2020

“CONVERSAZIONI CON UN RIVOLUZIONARIO. AUTOBIOGRAFIA di MAURO DAMIANI” a cura di MAURO DAMIANI e GIULIA SPALLA

https://artaudpisa.noblogs.org/files/2020/09/cop-conversazioni.jpg 

CONVERSAZIONI CON UN RIVOLUZIONARIO

AUTOBIOGRAFIA DI MAURO DAMIANI di MAURO DAMIANI e GIULIA SPALLA

PREFAZIONE DEL COLLETTIVO ANTIPSICHIATRICO ANTONIN ARTAUD

EDIZIONI SENSIBILI ALLE FOGLIE

Giulia e Mauro si sono conosciuti quindici anni fa. Li ha uniti per lungo tempo un percorso dipsicoterapia e una profonda passione per la politica. Non si sono mai persi di vista e, recentemente,quando Mauro ha provato il desiderio di raccogliere la sua storia, ha trovato in Giulia la possibilitàdi realizzarlo. È iniziato un percorso durato alcuni anni, in cui i due si sono ritrovati per parlare,ascoltare, ridere, piangere e commuoversi insieme. Mauro desiderava raccontare al mondo le suesofferenze, il rapporto con lo stigma della malattia mentale, la paura, la solitudine, i fantasmi di unavita. Ma voleva parlare anche dei successi, delle amicizie, degli amori, dei percorsi di sostegnointrapresi per uscire dal dolore. E lo ha fatto senza vergogna, innamorandosi di quello che è stato,della capacità di cambiare, di quel Mauro fragile e forte al tempo stesso, che ha saputo con dolcezzae autenticità attraversare la sua vita e risollevarsi.

GIULIA SPALLA, psicoterapeuta, esperta in metodologie autobiografiche. Da alcuni anni dedica lasua professionalità alla scrittura autobiografica in svariati contesti.

MAURO DAMIANI, geometra; ha lavorato come portiere di un presidio sanitario, adesso è inpensione. Si dedica alle sue passioni: la lettura, la musica e la militanza nel movimento politico.

Il COLLETTIVO ANTIPSICHIATRICO ANTONIN ARTAUD, nato nel 2005 a Pisa, si proponecome un gruppo sociale che, costruendo occasioni di confronto e di dialogo, vuole sostenere lepersone maggiormente colpite dal pregiudizio psichiatrico. Nel 2014, per queste edizioni, hapubblicato Elettroshock.

 fonte: https://artaudpisa.noblogs.org/

domenica 27 settembre 2020

Neurodiversità & Polizia

Segnalato da: Senza Numero

Fonte: https://noncollettivoqueer.blogspot.com


Togliamo fondi alla polizia: la polizia spara numerosi colpi ad un bambino autistico/asperger di 13 anni durante un meltdown autistico.


Bambino autistico/Asperger di 13 anni ha un meltdown, la mamma chiama l'unitá speciale della polizia per gestire il meltdown del figlio e spiega che il bimbo é Asperger e sta avendo un meltdown. La polizia che dovrebbe intervenire senza usare la forza, quindi gli spara. Ora il bimbo é in ospedale in gravi condizioni dopo che gli hanno sparato a spalla, caviglie, intestini e vescica.

Perché desidero che vengano tolti fondi alla polizia ed investiti in supporto per salute mentale o neurodiversitá o qualsiasi altra necessitá? Per questo. Perché non é possibile trivellare di colpi un bambino di 13 anni disarmato durante un meltdown autistico, momento in cui da autisticx posso dire che non hai pieno controllo del tuo corpo e/o azioni, e aggiungo che la madre non riceveva supporto da parte dello stato, motivo per cui forse é meglio dare supporto a chi ne ha bisogno investendo fondi, anziché dare fondi alla polizia.

https://kutv.com/news/local/mother-of-child-shot-by-slcpd-officer-speaks-out-why-didnt-you-just-tackle-him

Nel Regno Unito, un report ha rilevato che quasi i due terzi delle persone che sono morte durante o in seguito all'aver avuto a che fare con la polizia nel 2018/19 sono state descritte come affette da "problemi di salute mentale" come il disturbo bipolare. Lo stesso report ha rivelato che tre quarti delle persone che si sono suicidate direttamente a seguito dell'aver avuto a che fare con la polizia hanno avuto disabilità, tra cui il disturbo bipolare o il disturbo borderline di personalità.Negli Stati Uniti, un rapporto del 2016 ha suggerito che metà delle persone uccise dagli agenti delle forze dell'ordine ha una disabilità mentale. Ancora più preoccupante é che avere una disabilità mentale veniva talvolta usato per incolpare le vittime della loro morte. Qui vediamo non solo l'uccisione di persone disabili, ma anche il successivo gaslighting abilista che consente alla pratica di continuare.

Anche le persone neurodivergenti sono incarcerate a un ritmo sorprendentemente alto. Ad esempio, le persone autistiche e quelle con altre disabilità dello sviluppo sono ampiamente sovrarappresentate nella popolazione carceraria. Mentre solo l'1% circa della popolazione è autistico, circa il 9% della popolazione carceraria lo è.Le persone dislessiche sono anche enormemente sovrarappresentate nella popolazione carceraria, come dimostrato da uno studio sui detenuti texani in prigione pubblicato nel 2000 e da un rapporto del 2012 sui detenuti in una prigione a Chelmsford, Regno Unito. Tuttavia, la dislessia è associata a molti punti di forza cognitivi e limitazioni - e non vi è motivo di pensare che le sue caratteristiche cognitive rendano più dannose le persone o che infrangano la legge. Allo stesso modo, nel libro del 2015 "Crime and Autism Spectrum Disorder: Myths and Mechanisms" di Brewer and Young ha concluso che "non ci sono prove consistenti per una conclusione che una diagnosi di ASD (spettro autistico) - da sola - significhi una maggiore probabilità di coinvolgimento nel crimine rispetto a quello di individui non ASD ”(p. 33).Dato che non esiste una predisposizione o correlazione, il maggior rischio delle persone autistiche e dislessiche di finire in prigione può essere meglio spiegato dalle caratteristiche sistemiche e strutturali di una società abilista, nonché dalle questioni istituzionali nel sistema giudiziario, nonché, per alcunx, una mancanza di privilegi societari di classe, etnia ed altri. Il problema non sono le persone neurodiverse, ma la mancanza di sostegno ed accorgimenti inclusivi per persone neurodiverse da parte dello Stato, specie quando non hanno nemmeno privilegi di classe, etnia, genere etc e appartengono quindi a piú minoranze oppresse.Ad esempio, gli autori di uno studio nel Regno Unito del 2016 hanno scoperto che le persone autistiche hanno subito alti livelli di discriminazione dalla polizia e che la polizia ha ricevuto una formazione inadeguata sull'autismo. Un altro recente report del Regno Unito ha rilevato che il sistema giudiziario limitava l'accesso alla giustizia non riuscendo a trovare accorgimenti adeguati richiesti da individui neurodivergenti.

Le persone neurodivergenti sono inoltre regolarmente escluse da lavori "in regola" a causa di aree di lavoro inaccessibili e mancati accorgimenti ed inclusivitá in luoghi lavorativi, con l'aggiunta che chi non ha privilegi di classe o etnia o genere etc, ha ancora piú difficoltá in questi contesti. Questo è probabilmente parte del motivo per cui molte persone neurodivergenti lavorano in "settori criminali e/o fuorilegge". Ad esempio, molt* sex worker sono autistic** o ADHD, esistono anche se ne si parla davvero poco (articoli allegati nelle risorse). Molte pratiche di lavoro sessuale sono comunque criminalizzate o messe fuorilegge nella società neurotipica. Sex worker sono anche particolarmente a rischio quando si tratta di interazioni con la polizia. 

In Italia non esistono report in merito a neurodiversitá e rapporti con la polizia e questo mi spaventa.

Al contempo, peró, esistono diversi atti di violenza e abuso da parte delle forze dell'ordine noti pubblicamente; per citarne alcuni:

Cucchi, Aldrovandi (additato come "vestito da centro sociale"), Guerra, Uva, le violenze al G8 di Genova, ed ora il caso della caserma di Piacenza. 

Durante la quarantena COVID19, sono girati in rete diversi video che mostravano abusi di potere da parte delle forze dell'ordine.

Io stessx sono statx fermatx e ho obbedito dicendo subito perché mi trovavo fuori casa; mi sono sentitx uno schifo e ho registrato tutto con un messaggio vocale per tutelarmi.

Io mi vesto in modo socialmente considerato "trasandato" , perché cosí sono comodx e mi piace, e frequento centri sociali. Indubbiamente do nell'occhio per questo.

In quei giorni ho vissuto con estrema angoscia per i seguenti motivi:

- ho dei cani e ho ricevuto minacce di morte nonché insulto perché portavo i cani fuori, rispettando le restrizioni.

- l'azione di cui sopra mi ha causato angoscia, perché mi sono sentita come se fossi additatx come un untore.

- nel paese accanto al mio, un ragazzo autistico di 15 anni si trovava a fare una passeggiata fuori, rispettando le restrizioni. Il ragazzo, essendo minorenne, era accompagnato dalla mamma. Persone dal balcone li hanno insultati chiamando le forze dell'ordine, una chiamata a vuoto perché essendo autistico poteva fare questa passeggiata sotto casa secondo i decreti legge.

- sono autisticx e so molto bene come funziono perché sono statx diagnosticatx due anni fa. 

Durante il lockdown uscivo di casa con la diagnosi in mano, ma essendo maggiorenne uscivo da solx, con la paura di essere fermatx dalle forze dell'ordine e sentirmi dire "ma tu non sembri autisticx" frase abilista che mi sento dire almeno una volta al giorno da sconosciutx. In quel momento ho avuto paura, paura di essere fermatx e trattatx come untrice. So che provando angoscia, una situazione ancor piú sovraccarica di emozioni negative mi avrebbe causato e portato ad un meltdown autistico (crisi di rabbia o di pianto, con urla e movimenti fisici fraintendibili). A quel punto cosa mi sarebbe successo? Le forze dell'ordine sono preparate a questo o avrei rischiato qualcosa?

Quanto le forze dell'ordine sono informate in merito alle neurodiversitá?

Siamo sicurx che non partirebbe un colpo di pistola o violenze?

E se la persona fosse neurodiversa e di un etnia oppressa, cosa succederebbe se la persona avesse un meltdown davanti alle forze dell'ordine?

Da persona neurodiversa, non economicamente abbiente che non gode di privilegi economici e/o di classe, non-binary, bisessuale/demisessuale, gradirei che quei fondi statali venissero impiegati in altre istanze per fornire reale supporto e sostegno a chi ne ha bisogno: sanitá decente accessibile a chiunque, scuola, diritto alla casa, servizi per giovani e per chi ne avesse bisogno ed investimenti in cause ambientali per la riduzione di inquinamento ed emissione di gas.


Qualche risorsa di fatti menzionati nel post:


https://www.queermajority.com/essays-all/autism-sex-work-and-empathy


https://anticapitalista.org/2020/05/09/forze-del-loro-ordine-gli-abusi-non-vanno-in-quarantena/


https://rudermanfoundation.org/wp-content/uploads/2017/08/MediaStudy-PoliceDisability_final-final.pdf


https://policeconduct.gov.uk/sites/default/files/Documents/statistics/deaths_during_following_police_contact_201819.pdf


https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/29291476/


https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/10876375/


http://www.lexion.co.uk/download/references/dyslexiabehindbars.pdf


https://books.google.co.uk/books?id=dn2wCAAAQBAJ&printsec=frontcover&dq=Crime+and+Autism+Spectrum+Disorder:+Myths+and+Mechanisms&hl=en&sa=X&ved=2ahUKEwio96D4qazqAhWGGuwKHQp1CFQQ6AEwAHoECAUQAg#v=onepage&q=Crime%20and%20Autism%20Spectrum%20Disorder%3A%20Myths%20and%20Mechanisms&f=false


https://link.springer.com/content/pdf/10.1007/s10803-016-2729-1.pdf


https://www.equalityhumanrights.com/en/ymchwiliadau-ac-archwiliadau/does-criminal-justice-system-treat-disabled-people-fairly


https://rootedinrights.org/sex-work-is-a-disability-issue-so-why-doesnt-the-disability-community-recognize-that/


https://narratively.com/secret-life-of-an-autistic-stripper/


https://www.huffpost.com/entry/disabled-sex-worker-destigmatize-sex-work_n_5b16d7a5e4b0734a99382480?guccounter=1&guce_referrer=aHR0cHM6Ly9yb290ZWRpbnJpZ2h0cy5vcmcvc2V4LXdvcmstaXMtYS1kaXNhYmlsaXR5LWlzc3VlLXNvLXdoeS1kb2VzbnQtdGhlLWRpc2FiaWxpdHktY29tbXVuaXR5LXJlY29nbml6ZS10aGF0Lw&guce_referrer_sig=AQAAABcJizQ0q676xce2yttutkC3Kk8AvrjuOnffOP2Kcjzp884iNekYF3iXwFEf19aFPgBGVLadqEQGgFfXIvlV3L9CTfSXU-3EF1sAptN2ILdB6Cw8NLZ27QR4g7l-kbeWdawqut7cBWBsrZMBPRzloATavopccHhUkl6QqdYvu6ct

venerdì 25 settembre 2020

IL TELEFONO CAMAP TORNA ATTIVO!

Riprende a funzionare con tutti i crismi il Telefono Camap e non possiamo che dirci felici all'idea di potervi dare questa comunicazione.

La sospensione del servizio è durata poco e ne siamo liete/i.

 


domenica 20 settembre 2020

Intervista a Giorgio Antonucci

 Circa 3 anni fa veniva mancare a Firenze Giorgio Antonucci, medico e psicanalista che per più di vent’anni si è occupato di psichiatria nelle istituzioni pubbliche. Antonucci ha iniziato nel 1968 a Cividale del Friuli, nel primo reparto di ospedale civile pensato in alternativa agli internamenti in manicomio. Nel 1969 ha lavorato a Gorizia, con Franco Basaglia (a differenza sua non ha mai praticato l'elettroshock sui propri pazienti). Dal 1970 al 1972 ha svolto la sua attività a Reggio Emilia. Infine è rimasto in servizio a Imola, sino a un paio di anni fa. Pubblichiamo questa intervista del 1997 che rimane, purtroppo, molto attuale.

Psicofarmaci

Intervista al Dott. Giorgio Antonucci

Domanda: "Mentre fino a trent'anni fa erano pressocchè sconosciuti, oggi gli psicofarmaci sono all'ordine del giorno, vengono prescritti sempre più frequentemente anche da medici generici e risulta quindi estremamente facile procurarseli. Cosa ne pensi?"

Dr. Giorgio Antonucci: "Direi che un primo punto comprensibile a tutti è che gli psicofarmaci sono sostanze chimiche dello stesso tipo delle droghe, anche se in generale si dà il nome di droga alle sostanze proibite e non agli psicofarmaci. Si tratta di sostanze che si dicono "neurotrope", cioè che agiscono elettivamente sulle cellule nervose e sulle cellule cerebrali; sia gli psicofarmaci che le droghe proibite hanno le stesse caratteristiche di "neurotropismo".
La chimica cerebrale è così complessa e fine che qualsiasi intervento grossolano, che venga definito droga o psicofarmaco, comporta delle conseguenze negative anche se certi effetti iniziali, sia delle droghe che degli psicofarmaci, possano sembrare favorevoli. A lungo andare si costituisce la tossicodipendenza, che significa che le cellule nervose e le altre cellule che si sono difese dalla sostanza tossica, ad un certo punto hanno elaborato delle situazioni chimiche per cui cercano di inglobare la sostanza estranea e allora poi, quando questa sostanza viene sospesa, avviene la dipendenza farmacologica, che è un fatto anche questo biochimico. Se giustamente si fa la campagna contro le droghe in quanto danneggiano il sistema nervoso, si dovrebbe fare anche la campagna contro gli psicofarmaci.
Il guaio più grosso è che le persone prendono queste sostanze su consiglio dei medici o su influenza della cultura medica, pensando che migliorino il funzionamento del sistema nervoso centrale. Se qualcuno si vuole avvelenare, ha il diritto di farlo, ma il brutto è se uno si avvelena pensando di farsi del bene perchè il medico gli ha dato dei consigli sbagliati: questo è grave. Un medico che consiglia delle sostanze dannose per il cervello e per l'organismo fà il contrario di quello che dovrebbe fare."

Domanda: "C'è quindi una subcultura che porta alla prescrizione di droghe dannose...."

Dr. Giorgio Antonucci: "Io non direi una subcultura, ma una cultura; io non faccio ora una considerazione qualitativa: è cultura perchè la medicina attuale nella nostra società non è una sottocultura. E' cultura nel senso che viene insegnata nelle università, viene applicata negli ospedali, viene accettata dalle Unità Sanitarie Locali, il Ministero della Sanità si attiene a questo tipo di pratica. Si tratta ovviamente, a mio giudizio, di una cultura sbagliata.
Proprio per questo succede che le persone si avvelenano con il Tavor credendo di farsi del bene. E' perchè glielo ha detto il medico, oppure, se non glielo ha detto il medico, è a causa di questa cultura medica in generale che è presente nella nostra società attualmente.
Più volte -e lo ripeto ora- ho attribuito alla medicina ufficiale l'uso delle droghe: è la nostra medicina che ha inventato la "pillola della felicità". Detto in altre parole: è la nostra medicina che ha inventato che con la chimica si può essere più felici che senza la chimica; per cui poi non c'è da meravigliarsi se le persone prendono le droghe per essere meno infelici o per risolvere dei problemi o per passare una serata. Quella della droga non è una cultura indipendente dalla medicina ufficiale.
Fin dall'antichità c'è il concetto che certe sostanze chimiche possano darci un prolungamento della giovinezza, un miglioramento della vita amorosa o una diminuzione dell'angoscia di vivere. Questa è una cultura che la medicina ha assimilato dentro di sé e che porta avanti con la psichiatria. La cultura che passa è che bastano alcune pilloline per risolvere un problema che riguarda l'intera esistenza.
Personalmente non sono proibizionista e penso che ognuno abbia il diritto di assumere la sostanza che più gli piace, ma i medici non hanno il diritto di consigliare delle sostanze che sono dannose.

Domanda: "Questo è un punto importante. Come è possibile che certi medici, anche accreditati, come per esempio Cassano, in televisione, affermino che gli psicofarmaci sono utili in innumerevoli casi? Ci possono essere delle situazioni in cui è necessario l'uso, o si tratta di medici sicuramente corrotti o incompetenti?

Dr. Giorgio Antonucci: "Si tratta ancora una volta del problema della cultura dominante attualmente nella nostra società. Nel 1600 c'era ancora la cultura della caccia alle streghe che comportava determinate conseguenze. Non era una sottocultura, ma una cultura di avvocati, giuristi, sacerdoti, scrittori e anche scienziati. Da una determinata cultura vengono determinate conseguenze.
Come ho detto all'inizio, le interconnessioni tra i neuroni sono delicatissime ed intervenire in modo da disturbarle è pericoloso. Questo è un dato di fatto, poi stà a Cassano rispondere perchè non tiene conto di questo dato di fatto.
Però devo dire, anche, che gli psichiatri non si preoccupano affatto di migliorare lo stato d'animo, la condizione psicologica o la salute in generale, delle persone.
Si preoccupano casomai, di mantenere l'ordine pubblico: lo psichiatra non viene chiamato quando uno sta male, ma quando uno fa una cosa che disturba gli altri nel loro moralismo e nella loro vita pratica. Non mi risulta che mai sia stato chiamato uno psichiatra quando uno sta male in tanti anni che sono in questo campo.
Specialmente quando si tratta di Trattamento Sanitario Obbligatorio, viene chiamato quando per esempio uno ha picchiato la madre o è uscito fuori in mutande, oppure per cose molto meno vistose come nel caso in cui uno si chiude in una stanza e non vuole più uscire o perchè non ha più voglia di lavorare. Tutti problemi che, comunque si vogliano vedere, sono problemi di comportamento e di rapporto, non probelmi medici, né probelmi di benessere psicologico. La psichiatria fà passare come malattia il comportamento che non corrisponde ai concetti generali delle persone che si trovano d'intorno e poi, dopo di ciò, fà degli interventi cosidetti di carattere medico, ma che invece non hanno niente a che vedere con la medicina e che sono per di più dannosi.

Domanda: "Ecco, vediamo proprio quest'ultimo aspetto di carattere tecnico: tu escludi quindi che ci possa essere anche un solo caso in cui la somministrazione di uno psicofarmaco possa essere beneficio per la salute...

Dr. Giorgio Antonucci: "Non dico questo. Dico più precisamente che un medico non deve somministrare psicofarmaci sapendo che questi sono dannosi al cervello e all'organismo.

Domanda: "Quindi è sicuramente un danno la somministrazione di qualsiasi psicofarmaco....

Dr. Giorgio Antonucci: "Si. Come c'è scritto nei fogli stessi delle case farmaceutiche che accompagnano queste sostanze.

Domanda: "C'è un principio in medicina che afferma: "Primum non nocere":

Dr. Giorgio Antonucci: "Esatto. A questo si deve aggiungere il fatto che essere tristi o allegri, pensare di essere ricchi mentre invece si è poveri, pensare di essere grandi come Beethowen mentre non si sà neanche la musica, aver paura di essere perseguitati anche quando non è dimostrabile che lo si è: tutte queste non sono malattie ma sono variazioni di comportamento e di pensiero nell'ambito di una vita sociale complessa.

Domanda: "A quanto ne sappiamo, la psichiatria afferma, e ultimamente dirige la sua azione sempre di più nei confronti dell'adolescenza e dell'infanzia, che un dato comportamento anomalo è il risultato di un difetto neuronale e il farmaco può riuscire a corregere in tempo questo difetto, salvando così la persona dalla malattia.

Dr. Giorgio Antonucci: "Escludo che possa trattarsi in ogni caso di un difetto, si tratta sempre di scelte che non vengono comprese o condivise dal medico. Comunque, poniamo che ci sia un difetto neuronale: con gli psicofarmaci lo si peggiora!
Se in una struttura così delicata come il cervello si interviene "bombardando"... Sarebbe come dire che la città di Firenze funziona male- il che è vero per diversi motivi (traffico, inquinamento, ecc)- e allora cosa si fà? La si bombarda e dopo vediamo come vanno le cose. Gli psicofarmaci agiscono nello stesso modo nei confronti del cervello.
Se io riduco una persona in condizioni tali che non è più nemmeno capace di pensare, non gli faccio certo cambiare idea, ma limito le sue capacità di scelta: con gli psicofarmaci ottengo precisamente questo.
La condizione umana è ricca e complessa e gli psichiatri la semplificano, tanto è vero che Cassano (che preferirei non citare nemmeno) parla di personaggi come Dante Alighieri e San Francesco dicendo che sono dei depressi o altre cose e, conoscendo le sue idee, se questi personaggi fossero vissuti ora, gli avrebbe certamente fatto l'elettroshock o qualcos'altro. Gli psichiatri in generale sono delle persone molto limitate, se no non farebbero la loro professione e probabilmente sono anche invidiosi delle persone che limitate non sono.

Domanda: "Ho conosciuto una persona che, per dei suoi problemi esistenziali, si è rivolta ad uno psichiatra famoso e quest'ultimo gli ha somministrato degli psicofarmaci. Ora questa persona non ha risolto in questo modo i suoi problemi, però vorrebbe avere un'alternativa. Ha discusso con me la sua situazione e, alla fine, la sua domanda era sempre: "cosa debbo fare?" Quale alternativa ci può essere alla psichiatria?

Dr. Giorgio Antonucci: "Certamente, se una persona esprime il suo stato di infelicità esistenziale, ci si domanda come si può aiutarla, ma non cosa si deve fare nel senso "questa è la malattia e questa è la cura". E' questo il grave errore! Se una persona è, come dicono gli psichiatri con un termine superficiale, depressa (sarebbe meglio dire infelice), io, come medico, non gli posso risolvere il problema. Gli psichiatri invece si presentano come quelli che risolvono il problema: è questa l'ipocrisia.
Quelli che vanno dallo psichiatra sperano nel miracolo: "sto male, lui mi dà la medicina e dopo sto bene", poi passano gli anni, non succede niente di buono, anzi uno si logora per delle speranze sbagliate e logora anche il proprio organismo. Non esistono soluzioni di questo tipo. Non si può risolvere il problema di un altro e non si deve neanche farlo.

Domanda: "Quindi lo psichiatra fa delle false promesse o, detto in altre parole, approfitta delle sofferenze degli altri...

Dr. Giorgio Antonucci: "E anche dell'ingenuità. Una persona che soffre è disposta a tutto.
Una persona che è disperata perchè si sente fallita, perchè invecchia, perchè ha paura della morte, perchè si innamora e non è corrisposta e così via, va dallo psichiatra e quando quest'ultimo gli dice "ti faccio l'elettroshock e dopo starai meglio", quella se lo fa fare. Resta il fatto che questa persona viene aggredita. Gli viene promesso un aiuto e la si aggredisce: peggio di così non si potrebbe fare.
Oppure ci potrebbe essere il caso di una persona che è confusa, che non ha le idee chiare. Con lo psicofarmaco ce l'avrà meno chiare di prima! Mettiamo il caso che una persona non abbia le idee chiare riguardo alla propria vita amorosa: ha certamente bisogno di aiuto. Ma se qualcuno gli dice "Ti dò questa medicina così poi risolvi tutto"; questa è una truffa.

Domanda: "Attualmente viene fatta molta pubblicità riguardo al cosidetto "Disturbo da Attacco di Panico"...

Dr. Giorgio Antonucci: "Questa è la situazione in cui, data una definizione a qualcosa, si costruisce una malattia. Come la 'sindrome di Stendhal'. Siccome Stendhal racconta che quando venne a Firenze, a Santa Croce, era emozionato ed ha avuto un momento come di estasi, hanno inventato ora questa malattia. Per cui quando un turista arriva a Firenze e, a causa dell'inquinamento, è asfissiato e viene ricoverato in ospedale dicono che ha la "sindrome di Stendhal". Se per ogni singola esperienza che facciamo si inventa una malattia, non se ne esce più. La paura è solo un singolo aspetto della realtà. In un mondo come quello in cui viviamo, avere delle crisi di panico è più che naturale. In certi momenti uno può essere terrorizzato, ma non è una malattia questo: è il fatto che ci possono essere delle cose che provocano paura e può succedere anche che sfuggano le vere cause che provocano questa paura. Discutendo con questa persona si può arrivare a capire da dove viene la paura e vedere se ci si può rassicurare, evitare i pericoli, eccetera. Non si può parlare di patologia: si tratta casomai di problemi psicologici, ma non di patologia. Ma poi, qual'è lo stato di salute della psiche, visto che si parla tanto di malattie psichiche? Qual'è l'uomo normale? E' l'uomo che non ha paura, quello che non fa errori, che non ha angosce, che non fa mai niente di stravagante,... E cos'è questo? E' morto!

Domanda: "Ho assistito ad una trasmissione televisiva in cui Cassano si è portato dietro una persona che soffriva appunto di questa "malattia" (disturbo da attacco di panico) e ha citato anche una statistica che afferma che in Italia circa 240.000 persone ne soffrono. Queste persone, improvvisamente e senza alcun motivo...

Dr. Giorgio Antonucci: "Non ha senso neanche continuare a discutere. Il solo fatto di dire "una persona ha paura senza alcun motivo" è un'affermazione stupida; se qualcuno afferma una cosa del genere non può altro che essere uno che non capisce niente. Innanzi tutto come si fà a stabilire che una persona prova paura senza alcun motivo; e poi al giorno d'oggi succede che siamo minacciati da tutte le parti...

Domanda: "Il fatto è che la persona, paziente di Cassano, diceva di se stessa di provare paura senza capirne il motivo...

Dr. Giorgio Antonucci: "Che ci siano molte persone che sono convinte che le loro paure, invece che essere parte della loro psicologia, siano una malattia, questo è reale. In manicomio, le persone di cui mi occupavo io erano tutte convinte di essere malate, ma questo non cambia niente.
Tra l'altro non è neanche una cosa corretta dal punto di vista deontologico. Portarsi dietro una persona che dice "Mi ha guarito bene" è anche ridicolo: è chiaro che non mi porterò dietro la persona che non dice quello che voglio io".

da Liberamente, dicembre 1997 
Fonte: http//:bipolari.it

mercoledì 16 settembre 2020

SOSPENSIONE TELEFONO CAMAP

Per tutte le persone interessate, in difficoltà o in cerca di supporto

 

Il Telefono Camap sarà temporaneamente sospeso per un periodo indefinito e ci dispiace molto. Fin dalla sua nascita è stata un punto di forza per il collettivo e individualità coinvolte. La persona che se ne occupava principalmente ha sempre dato sostegno ed aiuto a chiunque fosse in cerca di una mano, di un supporto, di un consiglio o anche solo di una voce.  

Per chi avesse bisogno di sostegno vi ricordiamo che  esiste sempre la mail dove scriverci ed eventualmente sentirsi poi su altri numeri. 

Ovviamente servirà pazienza da parte di tutti e tutte in questo periodo e ci dispiace per chi ne risentirà, ma cercheremo di non lasciarvi soli e sole.

Antipsichiatria è anche non sentirsi soli, antipsichiatria è non lasciare le persone sole. Antipsichiatria è sentirsi soli senza per questo sentirsi malati.

sabato 12 settembre 2020

IL REPARTO PSICHIATRICO DELL’OSPEDALE GIOVANNI XXIII DI BERGAMO DEVE ESSERE CHIUSO!

Pubblichiamo il documento dell’Associazione Dalle Ande agli Appennini
IL REPARTO PSICHIATRICO DELL’OSPEDALE GIOVANNI XXIII DI BERGAMO,DOVE ELENA CASETTO È MORTA BRUCIATA VIVA LEGATA MANI E PIEDI A UN LETTO DI CONTENZIONE,DEVE ESSERE CHIUSO!
Il reparto di psichiatria dell¹Ospedale Giovanni XXIII di Bergamo DEVE ESSERE CHIUSO!

https://artaudpisa.noblogs.org/

domenica 30 agosto 2020

“Il giorno più bello della mia vita io non c’ero” di Simone Bargiotti


Libro consigliato, anche se uscito diversi anni fa.
il giorno più bello
Questo libro non è un romanzo. È la storia di una psicoterapia, ed è dedicata a tutti i medici e professori – alcuni con tanto di cattedra universitaria – che si credono Dio e non hanno capito nulla di quello che è successo. Perché un ragazzo di ventiquattro anni a un certo punto sta male? Cosa è davvero successo nella sua vita? Quanto c’è di vero? Nulla, hanno fatto presto a sentenziare questi signori, liquidando il tutto come “non vero”. E invece un fondo di verità esiste. Un perché. Una causa.
Edizione “I libri di Emil”

fonte:https://www.autistici.org/mezzoradaria/

domenica 23 agosto 2020

Nessuna prova che l'ECT (Elettroshock) ​​funzioni per la depressione - nuova ricerca

Molte persone avranno familiarità con la terapia elettroconvulsivante (ECT) come trattamento storico per la "malattia mentale", in cui una corrente elettrica viene fatta passare attraverso il cervello per innescare le convulsioni, con l'obiettivo di curare in qualche modo la malattia. Infatti, l'ECT viene ancora somministrata a circa un milione di persone ogni anno per curare la depressione grave, di cui circa 2.500 in Inghilterra, sotto anestesia. La maggior parte sono donne e hanno più di 60 anni.

In una nuova recensione della ricerca, pubblicata su Ethical Human Psychology and Psychiatry, suggeriamo che non ci sono prove solide che l'ECT funzioni come trattamento per la depressione e l'impatto negativo sui pazienti, a fronte di qualsiasi potenziale beneficio, è così spaventoso che l'ECT non può essere scientificamente o eticamente giustificato.

La base delle prove

Nonostante il suo uso continuato, non ci sono stati studi ECT vs placebo per 35 anni. In realtà, ci sono stati - sorprendentemente - solo 11 studi di questo tipo, in cui un gruppo di controllo ha ricevuto l'anestetico generale ma non l'elettricità o, quindi, la convulsione - e anche questi studi sono stati profondamente difettosi.

Gli appassionati dell'ECT sostengono che la mancanza di nuove ricerche sul placebo è dovuta al fatto che non è etico negare un trattamento che è "noto" per essere efficace e che sicuramente "salva delle vite". Questo argomento, tuttavia, significa che il numero sempre minore di psichiatri che ancora utilizzano l'ECT lo fanno al di fuori dei parametri della scienza in generale e della medicina basata sull'evidenza in particolare.

Nel Regno Unito, il National Institute for Health and Care Excellence (NICE) raccomanda l'uso dell'ECT in alcuni casi di episodi maniacali prolungati o gravi o di catatonia in cui altre opzioni di trattamento si sono dimostrate inefficaci e/o quando la condizione è considerata potenzialmente pericolosa per la vita.

Anche se alcune persone che hanno ricevuto l'ECT credono che abbia salvato loro la vita, non ci sono ancora prove di studio che l'ECT sia più efficace del placebo per la depressione. Molti altri credono che abbia danneggiato irrimediabilmente le loro vite.

Altre recensioni e meta-analisi

Io e i miei colleghi abbiamo già pubblicato diverse recensioni degli 11 studi. Queste hanno dimostrato che in alcuni studi ci sono solo prove molto deboli, in alcuni di essi, solo per una minoranza di pazienti, che l'ECT può temporaneamente sollevare leggermente l'umore. Le revisioni hanno anche dimostrato che non vi è alcuna prova che un tale effetto duri oltre l'ultimo trattamento (l'ECT è tipicamente somministrato in una serie di circa otto trattamenti).

Non vi è inoltre alcuna prova che salvi vite umane o che prevenga i suicidi, nonostante l'affermazione di alcuni sostenitori dell'ECT che lo fa - un'affermazione che viene poi utilizzata per giustificare il rischio di danni cerebrali. Il danno cerebrale è stato liquidato come il termine sbagliato, ma non so come altro chiamare la perdita di memoria persistente o permanente segnalata tra il 12% e il 55% dei pazienti. A volte si sostiene che l'ECT "moderno" è più sicuro di quanto non fosse in passato, e che la perdita di memoria è causata dalla depressione piuttosto che dall'elettricità, ma non ci sono prove di ricerca per nessuna di queste due affermazioni.


L'elettroshock viene eseguito al Winwick Hospital, 1957.  Università di Liverpool, Facoltà di Scienze della Salute e della Vita, CC BY-SA
Alcuni hanno chiesto come mai altre recensioni e meta-analisi concludono che l'ECT è efficace e sicuro? Una domanda ragionevole che merita una risposta.

Il nuovo studio, co-autore insieme a Irving Kirsch, direttore associato degli studi sul placebo alla Harvard Medical School, forse il ricercatore leader mondiale sugli effetti placebo dei trattamenti psichiatrici, risponde a questa domanda.

Oltre ad analizzare gli 11 studi in modo più dettagliato che mai, dando a ciascuno di essi un punteggio di qualità basato su 24 criteri metodologici, abbiamo anche valutato le uniche cinque meta-analisi mai condotte su questo minuscolo, e profondamente imperfetto, corpus di letteratura.

Per evitare pregiudizi (e in effetti io sono di parte contro l'ECT, a causa della sua mancanza di prove e del danno che credo abbia causato a centinaia di migliaia di persone) le mie valutazioni degli 11 studi sono state confrontate con valutazioni cieche, secondo criteri accuratamente definiti, da una collega, Laura McGrath, che non aveva alcuna conoscenza o particolare interesse per l'ECT.

Le cinque meta-analisi comprendevano da uno a sette degli 11 studi e in ognuno di essi si prestava poca o nessuna attenzione ai molteplici limiti degli studi che includevano.
Gli 11 studi che abbiamo esaminato hanno avuto un punteggio medio di qualità di 12,3 su 24 - e otto hanno ottenuto 13 o meno. Solo quattro studi hanno descritto come hanno randomizzato i soggetti e poi li hanno testati. Nessuno ha dimostrato in modo convincente che erano in doppio cieco (dove né i partecipanti né gli sperimentatori sanno chi sta ricevendo un particolare trattamento). Cinque hanno riferito selettivamente i loro risultati. Solo quattro hanno riportato le valutazioni dei pazienti. Nessuno ha valutato la qualità della vita dei pazienti.

Ci sono stati altri difetti, tra cui piccole dimensioni dello studio, nessuna differenza significativa con un altro trattamento, risultati contrastanti (tra cui uno in cui gli psichiatri hanno riportato una differenza, ma i pazienti non l'hanno fatto). Solo due degli studi di qualità superiore hanno riportato dati di follow-up.

Abbiamo concluso che la qualità degli studi è così scarsa che le meta-analisi erano sbagliate per concludere qualcosa sull'efficacia.

Non sembra esserci alcuna prova che l'ECT sia efficace per il suo gruppo diagnostico di riferimento - persone gravemente depresse, o il suo target demografico - donne anziane (in questo caso si tratta di un insieme più ampio di problemi), o per persone con tendenze suicide, persone che hanno provato senza successo altri trattamenti prima, pazienti involontari, o adolescenti.

E dato l'alto rischio di perdita permanente della memoria e il piccolo rischio di mortalità, questa mancanza di lunga data nel determinare se l'ECT funziona o meno significa che il suo uso dovrebbe essere immediatamente sospeso fino a quando una serie di studi ben progettati, randomizzati e controllati con placebo hanno indagato se ci sono davvero dei benefici significativi rispetto ai quali si possono soppesare i rischi significativi dimostrati.

Come dice Kirsch: "Non credo che molti sostenitori dell'ECT comprendano quanto siano forti gli effetti del placebo per una procedura importante come l'ECT. Il fatto di non trovare alcun beneficio significativo nei benefici a lungo termine rispetto ai gruppi di placebo è particolarmente doloroso. Sulla base dei dati degli studi clinici, l'ECT non dovrebbe essere usato per individui depressi".

Segnalato dal Collettivo Artaud,articolo originale: https://theconversation.com/no-evidence-that-ect-works-for-depression-new-research-139938

giovedì 13 agosto 2020

Vibo Valentia: Suicidio paziente psichiatria, indagati il primario e quattro medici

Catanzaro, 4 ago – Il suicidio del 41enne di Gioia Tauro Rocco Caristena, ricoverato nel reparto di psichiatria dell’ospedale di Vibo Valentia e lanciatosi nel vuoto dalla scala antincendio il 30 luglio scorso, da un’altezza di circa 5 metri, ha portato la procura di Vibo Valentia a iscrivere nel registro degli indagati il primario del reparto di psichiatria dell’ospedale, Giuseppe Greco, e i medici Paolo Ravesi, Pasquale Mangone e Paola Staffa.
Il paziente era stato sottoposto a un Tso e non era la prima volta che veniva ricoverato nello stesso reparto. L’autopsia ha accertato che Caristena è morto poche ore dopo l’impatto al suolo per via delle lesioni riportate in varie parti del corpo, compresa la testa.

fonte: https://calabriaweb.net/

mercoledì 5 agosto 2020

PER L’ABOLIZIONE DELLA CONTENZIONE ! PER LA CHIUSURA DEL SPDC DI BERGAMO!

https://artaudpisa.noblogs.org/files/2020/08/Manifesto_No-contenzione-scaled.jpg

PER LA CHIUSURA DELL’SPDC (REPARTO PSICHIATRICO) PAPA GIOVANNI XXIII DI BERGAMO
31 dicembre 1974: Antonia Bernardini muore, dopo giorni di agonia, a causa di ustioni riportate da un incendio da essa provocato per attirare l’attenzione. Era legata al letto da 43 giorni, nel manicomio giudiziario femminile di Pozzuoli: voleva un bicchiere d’acqua nessuno le dava retta.

13 agosto 2019: nell’SPDC dell’ospedale Papa Giovanni XIII di Bergamo, divampa un incendio di cui non si conoscono le cause. Elena, una ragazza di 19 anni muore arsa viva nel letto al quale è tenuta legata. La contenzione non le ha permesso di fuggire.

La contenzione è una pratica diffusa e frequente in ambito psichiatrico. Corpi e menti vengono costretti, annientati, torturati. Ogni giorno molte persone vengono sottoposte a questo trattamento, sotto gli occhi indifferenti degli operatori e quelli inermi delle persone che gli sono intorno.
Noi non siamo e non saremo disposti/e ad accettare che questo accada ancora.

LA CONTENZIONE NON E’ UNA TERAPIA!
PER L’ABOLIZIONE DELLA CONTENZIONE !
PER LA CHIUSURA DEL SPDC DI BERGAMO!
Rete dei Collettivi Antipsichiatrici

sabato 1 agosto 2020

TRATTAMENTI SANITARI O SEQUESTRI DI PERSONA?


Il signor L. giovedì 16 luglio è stato prelevato dalla sua abitazione da
infermieri e vigili urbani con la forza senza nessun provvedimento di
TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio) nei suoi confronti, senza
nessuna notifica e senza nessuna visita psichiatrica. Il provvedimento
di TSO è stato firmato dal sindaco solo dopo che è stato ricoverato in
ospedale; infatti attualmente L. si trova da 2 settimane nel reparto
SPDC (Servizio Psichiatrico Diagnosi e Cura) dell’ Ospedale Le Molinette
di Torino.
Il signor L. vuole esercitare il proprio diritto di libera scelta fra
proposte terapeutiche differenziate e concordate col medico curante,
preferendo una somministrazione di tipo orale a quella per via
intramuscolare del farmaco neurolettico Haldol, da anni somministrato
con cadenza mensile. La somministrazione di tale farmaco provoca
indesiderabili effetti collaterali di danno neurologico di cui il signor
L. non è stato sufficientemente informato, ciò nonostante ha potuto
lavorare al CNR, all’Università, al comune di Torino, alla Regione
Piemonte, al MEPAEGE, al NeZZS, alla NASA-Astrobiology Istitute.
Poiché il consenso deve sempre essere personalizzato, basato sulla
valutazione dell'informazione, sulle possibili conseguenze di
trattamento e di non trattamento, e sempre attualizzato, e che il
paziente ha il diritto di decidere circa la propria salute, non
sussistono gli estremi che legittimino il ricorso al TSO, visto che non
viene minimamente espresso un rifiuto della terapia farmacologica. Il
consenso del signor L. al trattamento psichiatrico non è stato ricercato
in nessun modo e nessuna informazione gli è stata fornita circa i
farmaci somministrati per via intramuscolare ed orale all'interno del
SPDC. Il signor L., oltre a non aver mai rifiutato le cure, non è mai
stato trovato (né durante l'esecuzione del provvedimento da parte delle
forze dell'ordine, né in reparto) in uno stato di alterazione mentale da
rendere necessario il ricovero. Qualunque sia stato il problema che ha
fatto innescare il trattamento (ad esempio una mancata presentazione
alla mensile somministrazione di Haldol intramuscolare), lo si poteva
risolvere diversamente.
Giovedì 23 luglio è scaduto il primo provvedimento di TSO e ad oggi non
è stata né consegnata né firmata da L. nessuna richiesta di proroga del
provvedimento. Pertanto denunciamo che il signor L. è, ad oggi giovedì
30 luglio, trattenuto in modo coatto. Ci auspichiamo che non sia
ulteriormente trattenuto contro la sua volontà all’interno del reparto e
che possa far rientro presso la sua abitazione al più presto.
Negli ultimi giorni di degenza in reparto è stato prospettato al signor
L. il ricovero in una clinica privata convenzionata senza la sua
approvazione. Un vero e proprio ricatto che sempre più spesso viene
rivolto alle persone che dovrebbe essere invece dimesse senza
condizioni.
Se, in teoria, la legge prevede il ricovero coatto solo in casi limitati
e dietro il rispetto rigoroso di alcune condizioni, la realtà
testimoniata da chi la psichiatria la subisce è ben diversa. Con grande
facilità le procedure giuridiche e mediche vengono aggirate: nella
maggior parte dei casi i ricoveri coatti sono eseguiti senza rispettare
le norme che li regolano e seguono il loro corso semplicemente per il
fatto che quasi nessuno è a conoscenza delle normative e dei diritti del
ricoverato.
Perché molto spesso prima arriva l' ambulanza per portare le persone in
reparto psichiatrico (SPDC) e poi viene fatto partire il provvedimento?
Perché la persona non viene informata di poter lasciare il reparto dopo
lo scadere dei sette giorni ed è trattenuto inconsapevolmente in regime
di TSV (Trattamento Sanitario Volontario) ? Perché i pazienti che si
recano in reparto in regime di TSV sono poi trattenuti in TSO al momento
in cui richiedono di andarsene?
Perché i gravi danni dovuti alla somministrazione prolungata degli
psicofarmaci non vengono presi in considerazione a livello sanitario?
Diffusa è la pratica di far passare, tramite pressioni e ricatti, quelli
che sarebbero ricoveri obbligati per ricoveri volontari: si spinge cioè
l’individuo a ricoverarsi volontariamente minacciandolo di intervenire
altrimenti con un TSO. La funzione dell'ASO (Accertamento Sanitario
Obbligatorio) è generalmente quella di portare la persona in reparto,
dove sarà poi trattenuta in regime di TSV o TSO secondo la propria
accondiscendenza con gli psichiatri.
Il TSO è usato, presso i CIM (Centri Igiene Mentale) o i Centri Diurni,
anche come strumento di minacce quando la persona chiede di interrompere
il trattamento o sospendere/scalare la terapia; infatti oggi l' obbligo
di cura non si limita più alla reclusione in una struttura, ma si
trasforma nell'impossibilità effettiva di modificare o sospendere il
trattamento psichiatrico per la costante minaccia di ricorso al ricovero
coatto cui ci si avvale alla stregua di uno strumento di oppressione e
punizione.


Collettivo Antipsichiatrico Antonino Artaud
antipsichiatriapisa@???
www.artaudpisa.noblogs.org 335 7002669

lunedì 27 luglio 2020

Liberiamo la salute

Intervento del collettivo nell’ambito del Convegno CO.CO.CO “Convivi col Covid”, Tavole rotonde col virus al centro.

Chi siamo
Il collettivo raccoglie/unisce operatrici e operatori, educatrici ed educatori, infermiere e infermieri critici, individualità e sensibilità coinvolte e solidali, impegnate nel dibattito sull’antipsichiatria con la Rete NoPsichiatria, con la Rete Oltre i Recinti nel dibattito su relazioni e collettività fuori dallo spazio normativo dell’istituzione, e con la Rete di iniziativa anticarceraria, contro repressione, carcere e Cpr.
Siamo un collettivo di sostegno e auto-mutuo aiuto, non ci sono ‘esperti’ nel gruppo, piuttosto si condividono esperienze e saperi nell’ascolto reciproco, partendo da ciò che ognuna sa e da ciò che si è vissuto come persone coinvolte e solidali, e/o come tecnici critici all’interno delle istituzioni (sanitarie, socio-sanitarie, educative o di disagio sociale).
Quanto più saperi e vissuti sono resi accessibili tanto più le risposte possono essere efficaci, come collettivo è questo quello che ci anima.
Partendo dalle riflessioni del collettivo antipsichiatrico AltreMenti di Xm24 abbiamo deciso di portare avanti azioni e riflessioni comuni su salute, medicina, educazione, contro reparti,  strutture, carceri, CPR, istituzioni totali normalizzate dove il bisogno diventa profitto e controllo, e in cui si consuma la repressione di quantx vengono consideratx marginalx e/o non performanti rispetto alle necessità della società della prestazione, della produzione e del capitale.
Crediamo nella possibilità di creare legami nuovi liberi dal controllo in un’ottica di reciproca cura, ci sforziamo di sostenere tutte quelle realtà e individualità che rifiutano la coercizione come possibilità e lottano contro la repressione e l’oggettivazione dei bisogni delle oppresse e degli oppressi in questa società.
Il nostro sguardo è dichiaratamente libertario perché anti-autoritario, contro lo sfruttamento dell’unx sull’altrx.

Tecnico come addetto all’oppressione. Scienza, capitalismo e sfruttamento

Viviamo in una realtà dove ormai il “benessere” (di alcuni) e il “progresso” (del sistema capitalistico) hanno consentito l’istituzionalizzazione di ogni aspetto della vita e fatto collassare tutti i legami sociali.
Si va verso la società dell’algoritmo.
L’alienazione è funzionale all’ottimizzazione del profitto da parte di chi detiene il potere. Ridurre la fludità dei discorsi per separarli, renderli misurabili, prevedibili, quindi controllabili ai fini produttivo-capitalistici. Deresponsabilizzazione e frammentazione. Alienazione. Oggettivazione delle relazioni, mercificazione fin anche delle coscienze.
Gli anni ’80 hanno “asfaltato” tutto quel proliferare di cultura-pensiero collettivo emerso negli anni ’60/’70. La repressione dei movimenti sociali ha visto così anche la fine del movimento anti-istituzionale e relegato tutto il sapere prodotto dall’epoca in una sfera “utopistica”.
Siamo convint* che oggi, dato il sentimento di lotta che sta attraversando molte coscienze, abbiamo la responsabilità di riprendere e recuperare il discorso dov’era stato lasciato.
Oggi piu che mai dobbiamo lavorare ad una comunità critica se vogliamo demolire i paradigmi dello sfruttamento con cui ci tengono incatenatx tutti e tutte.
L’istituzione agisce a più piani: all’alienazione delle persone istituzionalizzate segue quella degli ‘operatorx-operax’: lavoratori ricattati dal salario e dalla gabbia istituzionale senza nessuna reale libertà “operativa”, oppure allineati al pensiero dominante spersonalizzante che vede professionalità sempre più normative al servizio di istituzioni sempre più oggettivanti e repressive. Lo abbiamo visto in molte, troppe, situazioni di abuso e omertà all’interno di reparti, strutture, istituzioni. 
“Se il tecnico professionale è il funzionario – consapevole o inconsapevole  –  dei  “crimini  di pace” che si perpetrano nelle nostre istituzioni, in nome dell’ideologia dell’assistenza,  della  cura,  della  tutela dei malati e dei più deboli, o in nome dell’ideologia  della  punizione  e  della riabilitazione,  può  essere  utile  mettere in piazza, non solo lo stato di violenza e  arretratezza  –  ancora  reale,  ancora pressochè identico – delle nostre istituzioni repressive quanto i meccanismi  attraverso  cui  la  scienza giustifica e legittima queste istituzioni? E queste conoscenze possono diventare patrimonio della classe subalterna, così che  fra  le  sue  rivendicazioni  essa  esiga una  scienza,  da  essa  controllata,  che risponda  ai  suoi  bisogni,  consapevole dei  modi  e  dei  meccanismi  attraverso cui la scienza borghese può continuare anon  rispondervi?”
“La posta in gioco è ora il rapporto tra il tecnico, la scienza e la sua pratica “di cui le masse sono l’oggetto”, una volta che il tecnico-   in particolare   quello delle scienze  umane  –  abbia  riconosciuto che il suo ruolo, in questo sistema sociale, è quello di manipolare il consenso attraverso  le  ideologie  che  egli  stesso produce e mette in atto.   Che gli intellettuali  e  i  tecnici  di  una  società borghese, così come tutte le sue istituzioni, esistano per salvaguardare gli interessi,  la  sopravvivenza  del  gruppo dominante e i suoi valori, è cosa ovvia. Ma non è altrettanto automatico riconoscere  e  individuare,  nella  pratica quotidiana, quali siano i processi attraverso  i  quali  gli  intellettuali  o  i tecnici continuano a produrre – ciascuno nel  proprio  settore  –  ideologie  sempre nuove che mantengono  inalterata  la  loro  funzione di manipolazione e di controllo. Il tecnico borghese vive una condizione di alienazione da cui può uscire rompendo la condizione di oggettivazione  in  cui  vive  l’oppresso.  Il modello che il tecnico rappresenta automaticamente nella logica del capitale  è  il  passaggio  dall’oppressione all’alienazione,  cioè  l’identificazione  da parte della classe oppressa nei valori che egli  esprime  e garantisce.  E’  quindi  solo dalla  ricerca  di  uno spazio reciproco di soggettivazione  che  possono  scaturire  i bisogni  e,  insieme,  il  tipo  di  risposte necessarie,  ed  è  nella  comune  ricerca  di una  liberazione  pratica  che  il  tecnico tradisce il   proprio committente.   In questo caso,   il   ruolo,   la classe di appartenenza,  il  prestigio  lo  tutelano relativamente agli occhi del committente tradito, perché egli smaschera i meccanismi attraverso cui le ideologie sono strumenti di manipolazione e di controllo, insieme alla stessa classe manipolata e controllata. Il  che  significa  mettere  in  piazza  i segreti di famiglia, quelli che di solito conosce  solo il  padre  e  che  neppure  i figli devono sapere,altrimenti avrebbero poco rispetto per il padre e per la famiglia.”*
Queste parole tratte dal libro “Ricerche sugli intellettuali e sui tecnici come addetti all’oppressione” a cura di Franco Basaglia e Franca Ongaro (1975) dove hanno preso parola ai tempi molti tecnici critici, sono tra le domande che hanno mosso la nostra riflessione fin dall’inizio.

Oltre la dicotomia salute/malattia

“Bisogna capire che il valore dell’uomo sano e malato, va oltre il valore della salute e della malattia; che la ‘malattia’  come  ogni  altra contraddizione  umana  può essere usata  come  occasione  di appropriazione  o  di alienazione di  sé,  quindi  come  strumento  di liberazione o di dominio.”
“La malattia,  nel  diventare  di  pertinenza esclusiva  di  una  medicina  organizzata come corpo separato, non è che l’espressione  dell’organizzarsi  del  corpo sociale   a partire   dalla divisione   del lavoro e dalla divisione in sfere separate di tutti i fenomeni umani.”
” ‘Salute’ e ‘malattia” non possono più essere  considerati  fenomeni  naturali, ma  sono  questioni  che  chiedono  – entrambe  – uno  sguardo  storico  e critico. 
Se  il  problema  della  malattia  mentale ha aperto la strada,   attraverso le trasformazioni   de-istituzionalizzanti, adesso la battaglia riguarda lo smontaggio del   paradigma di una società medicalizzata”.
Così scriveva Franca Ongaro nel suo ‘Salute/malattia, le parole della medicina nel 1982. 
Il sapere tecnico, l’industria della cura, oggi non si diversifica più dai prodotti industriali, la sua riduzione a merce segue le leggi del mercato, il corpo, così come il sapere, per passare il filtro istituzionale-accademico deve essere fruibile all’economia di Stato, quindi “spendibile” e perciò aproblematico.
Verrebbe da domandarsi cosa intendiamo per salute, malattia, collettività e se ci interessa prendere parola.
Ci interessa la salute di chi? La salute per chi? Per chi detiene il potere? Per gli oppressi e le oppresse?
Riconosciamo il nostro posizionamento? Privilegi di ognuna ognuno?
Che strumenti mettiamo in atto per proteggerla, sostenerla, quali lotte?
La coercizione in ambito sanitario diventa legittima?
Sappiamo interrogarci sul modo in cui le nostre società intendono gestire/controllare la nostra relazione con la vita, quindi con la salute, con la malattia, con la sofferenza, col dolore?
Ci accorgiamo oggi di non avere molte voci critiche, di avere difficoltà nel reperire informazioni corrette affidabili e non pregiudiziali, oltre che voci in grado di smascherare i piani di potere su cui si fonda il paradigma medico. Il controllo repressivo è piu forte dove l’istituzione viene messa meno in discussione dalla collettività. 
Non possiamo accettare che la salute delle oppresse e degli oppressi diventi un’occasione per sperimentare nuove forme di repressione e militarizzazione delle nostre città.
Crediamo che in questi mesi durante i quali tutti abbiamo sperimentato una qualche forma di isolamento imposto, abbiano messo in luce la necessità da parte dei movimenti o piu in generale di chiunque si opponga a questo esistente di affrontare temi quali la riappropriazione e l’autogestione della salute e dei corpi a fronte di una palese espropriazione delle capacità decisionale e di autodeterminazione del sé, il tutto con una delega assoluta e spesso non volontaria al potere del tecnico, dell’esperto, della scienza che mai come oggi mette in luce la sua assoluta parzialità, la sua fallibilità il suo essere, nell’attuale contesto socio economico strumento al servizio e plasmato dal potere.

Infantilizzazione/psichiatrizzazione del corpo sociale

Il processo di infantilizzazione delle comunità e degli individui che le compongono è palese.
In nome di una generale irresponsabilità collettiva, lo Stato nella sua peggiore veste paternalistica ha gestito a suon di decreti l’ennesima “emergenza”. Il tutto intriso dalla retorica patriottica e nazionalista, del ‘siamo tutti sulla stessa barca’, un’unità necessaria alla narrazione spettacolare

domenica 26 luglio 2020

Di botte, di farmaci e di morti al CPR di Gradisca

Fonte: https://evasioni.info
Tratto da https://nofrontierefvg.noblogs.org/post/2020/07/18/di-botte-di-farmaci-e-di-morti-al-cpr-di-gradisca/

DI BOTTE, DI FARMACI E DI MORTI AL CPR DI GRADISCA

18/07/2020

6 mesi dalla morte di Vakhtang, 4 giorni dalla morte di un’altra persona.

DI BOTTE, DI FARMACI E DI MORTI AL CPR DI GRADISCA
Anche questa volta, la prima versione della notizia della morte di un giovane di 28 anni nel CPR di Gradisca è quella di una rissa tra detenuti, seguita poi dalla versione più in voga al momento: la morte per overdose.
Fino a prima della lunga serie di rivolte dei detenuti nelle carceri italiane del marzo scorso, una delle versioni preferite da polizia e quindi dai media era “edema polmonare”, così per Stefano Cucchi, così per Vakhtang Enukidze, entrambi morti in seguito ai pestaggi dei loro carcerieri, nonostante il capo della polizia Gabrielli abbia trovato “offensivo” il paragone.
Le sommosse di marzo in oltre trenta carceri italiane vengono sedate al prezzo di 14 morti sul groppone dello Stato – i secondini circondano le carceri armi in pugno, a Modena i parenti hanno riferito di aver sentito distintamente spari – che si affretta a a comunicare che i decessi sono stati causati “per lo più” da overdose di psicofarmaci e metadone. Da quel momento è un continuo. Solo per rimanere qui da noi, il 15 marzo scorso dentro il carcere di via Udine muore Ziad, un prigioniero di 22 anni a seguito della somministrazione di metadone e psicofarmaci in dosi eccessive, una settimana fa muore nel carcere del Coroneo di Trieste Nicola Buro, ufficialmente per arresto cardiaco, “che potrebbe essere stato causato da un abuso di farmaci”.
Ora è toccato a un uomo albanese rinchiuso al CPR di Gradisca, morto tre giorni fa, quando anche a un suo compagno di stanza, poi ricoverato, stava per toccare la stessa sorte.
Si scatena subito tra i soliti media locali la gara a riportare la versione che dipinga al meglio la prefettura: prima una rissa, poi ogni sforzo viene devoto a creare l’immagine dei detenuti-tossici (si sa, il posto dei tossici dovrebbe essere la galera) e dello smercio di sostanze all’interno del CPR. Il Prefetto Marchesiello dice che va tutto bene e sotto controllo (e ci mancherebbe, tanto i migranti posso andarsene quando vogliono, come diceva a gennaio in un’intervista), la sindaca DEM Tomasinsig constata con la consueta retorica democratica che “in quella struttura ci sono numerose persone con alle spalle una storia di problemi psichici, o di dipendenze” (quindi è normale che finiscano dove sono), un ex dipendente del vecchio CIE racconta che “c’è chi ricorre ai farmaci puramente per “sballarsi” ed ammazzare il tempo” (tanto non hanno altro da fare) e, ciliegina sulla torta, la testimonianza anonima di un esperto poliziotto che parla di “sotterfugi”, “favori tra detenuti” e “mercati interni”. Al giornalista naturalmente sfugge il fatto che ognuna di queste figure è interessata e parte attiva del mantenimento del campo di deportazione di Gradisca.
Il punto non è se e quanti psicofarmaci ogni detenuto assume, il loro utilizzo non è mai stato un “mistero” all’interno delle strutture di reclusione.
Il problema semmai è l’esistenza di istituzioni totali di reclusione e annientamento quali sono le carceri e i CPR, con il loro portato di violenze, umiliazioni, abusi e morte.
Galere e CPR sono accumunati dall’uso di metodi “soft” come la somministrazione di farmaci, spesso all’insaputa dei detenuti o in dosi sproporzionate, utili alla sedazione di quegli individui più inclini a rivoltarsi.
Non ci stanchiamo di ripetere che tutto questo è materialmente realizzabile non solo grazie alla locale Prefettura, all’esercito e alle varie guardie in tenuta antisommossa sempre pronte a picchiare duro ad un fischio dei secondini-operatori della Cooperativa EDECO (ormai con tre morti nel pedigree, non si dimentichi Sandrine Bakayoko morta a Conetta nel 2017), ma anche grazie agli/le infermeri/e, alle operatrici legali, e tutti quei collaboratori indispensabili al funzionamento del lager.
Infine due parole sulla cosidetta Garante comunale dei detenuti Giovanna Corbatto: la notizia della sua visita al CPR viene diffusa su tutti i media diversi giorni prima della data da lei concordata con la Prefettura, quando – dato il suo ruolo – sarebbe potuta entrare nel CPR senza preannunciarsi, verificando così meglio le reali condizioni del campo. Di sicuro in questo modo non potrà vedere il sangue che ricopriva il cuscino e il pavimento vicino al letto sul quale è morto l’uomo albanese, e che i suoi compagni di cella volevano fosse visto, come non potrà vedere molti altri particolari non ripresi dagli “occhi” della videosorveglianza.
Ai rinchiusi/e va la nostra solidarietà.
Che i muri di tutti i CPR possano cadere!