giovedì 22 luglio 2021

Testimonianza di Ang.

Ripubblichiamo uno scritto di uno dei nostri, testimonianza di violenza e repressione in terra straniera:

Vorrei tanto scrivere qualcosa di bello? Ancora non ci riesco, ho scene orrende in mente, a volte vorrei perdere la memoria o diventare una larva fatta di psicofarmaci inerme? Sò che non servirebbe a niente? Sono felice di essere costretto a ricordare.Scrivo da quando ho 17 anni: Prima a corrispondendere a disamore, sogni sedati in sere di luglio, desideri boicottati forse troppo sinceri?!...Provo a metter giù due righe in biro per i bambini e bambine di adesso : È non riesco comunque a mentire, non voglio eludere né deludere la loro fantasia...che fiaba nella inquinata magia, esaltata e nefasta che viviamo?!... Sento odore di sangue ovunque, il richiamo alla morte perenne, forse vivere è così difficile? Palazzi grigi mi osservano e mi chiedono perché? Persone senza cuore, beate e tristi, difendono ciò che sa di marcio ogni giorno. So di non essere il solo a provare malessere, la depressione ci può rendere artisti e artiste del nostro tempo, ma che male?...che bruciore?... Nel 2014 in un freddissimo febbraio tedesco per una goccia in più di Olaperidolo iniettato nel mio braccio sinistro, dall'unità di pronto soccorso di Waiden,il cuore si fermò per poco.Ambulanza chiamata dalla polizia, dopo un fermo in stazione, per incomprensioni verbali sul treno per Monaco con la controllore. Stavo in forte esaurimento, avevo bisogno forse delle mie pastiglie?...ma ciò non giustifica quello, che scesi dal treno io ed una amica, ci saremmo trovati ad affrontare. Un poliziotto già su quel treno, premendo il suo manganello sul mio petto, urlava:" Silence". Alla stazione di Waiden venimmo fermati appunto con il sospetto di essere drogati e disgraziati. Nessuno dei due lo era. Ricordo le parole che dissi mentre ci conducevano alla polfer in 6 o 7 agenti : "È finita Mari?! Ci hanno preso"... Poi per stizza prima delle scale lanciai giù lo zaino... Una spinta dietro la schiena mi fece volare sulle scale, me li ritrovai addosso tutti, mi tenevano, mi menavano, mi provarono pure a tappare la bocca... Morsi quelle mani con tutta la disperazione di questo mondo, e provai a dare pugni in testa ad un agente che mi bloccava, senza veder alcun risultato. Quasi svenuto mi trasportarono a forza, con la testa che sbatteva su quei gradini, che sembravano infiniti in una cella. Quindi da parte loro in poi, il percorso per il Tso alla tedesca diciamo. Ho sentito un fremito strano, dopo non so quante ore in quella celletta, metalicca e gelida?!... Prima di quel iniezione mi sono detto:" Andiamo? Andiamo!!!" Le lacrime erano finite...come la paura. Dopo poco la puntura, sentii il mio cuore esplodere, la vista che mi lasciava, e quel terrore di esclamare:"ohhhh ohhhh ohhhh!"... Buio. Mi fecero riprendere con un defibrillatore, sono qui a raccontarlo oggi... Non mi rende né vittima né migliore, forse più provato? Forse più Amante dei nostri respiri? Forse più empatico? Di certo molto più sensibile. Grazie a Mari tornai a casa. Mi ricoverarono in un reparto al nord della Baviera, entrando a brandelli e alla fine di quella giornata, mi svegliai sedato, calmo e legato al letto, con un' altra ragazza a fianco a me che urlò giustamente tutta notte, legata pure lei, mentre un' operatrice ci osservava da dietro un pc. Perché dico tutto questo? Andrea Soldi non lo riporta indietro nessuno, nessuno può dar da bere a Mastrogiovanni, nessuno può togliere i lividi da Stefano, nessuno ci ridarà indietro Carlo. Nomi, nomi, nomi?! Orrore e rivalsa, terrore e furore. Ciò che più mi preme dire o scrivere è che non importa quanti soldi, case o macchine hai? O che lavoro svolgi? Ti prego capisci sempre che il prossimo o la prossima potresti essere tu?! E ti auguro di non essere sol*. Non ci sono motivazioni, è assurdo certo. La follia per me rimane l'unica forma di intelligenza veramente sostenibile. La Ragione, La politica, la repressione poliziesca, rimangono la più grande sconfitta dell'essere umano. Grazie Mari, l' amicizia oltre ogni limite è per sempre. Gabryela mi da la forza, Gabryela mi regala ancora un sorriso. Polvere siamo e Polvere diventeremo, ma qualcun * nel proprio percorso personale avrà fatto la differenza per sé stess* magari?!! ... L' amore è fuoco indomabile e voi carogne non potrete mai provarlo, con il vostro cervello spero, intasato da voci e fantasmi che senza tregua vi seguiranno in ogni dove. Liber* noi siamo liber*... Nel vostro cancro... Nel nostro dolore. Ang. 21/07/21

In aggiunta allo scritto di ieri. Scusa il disturbo. P. S. Riuscii a tornare a casa grazie a Mari sì. Lei al momento dell' accaduto prese un foglio di via da Waiden e le chiesero di andarsene dal territorio tedesco. L' ex marito di sua sorella fortuna stava a Monaco con cittadinanza e quindi ci diede aiuto come mio referente e ci riportò in Italia finito il ricovero in psichiatria di una settimana (senza di loro, io sarei uscito dopo un mese e mezzo). La legge tedesca mi fece avere un traduttore per parlare con i medici. Mari poté quindi venirmi a trovare  in reparto già da subito con il traduttore. Un giorno e mezzo fui contenuto al letto, Mari fotografò il letto con l'urina dove venni legato. Grazie al traduttore che fece gli straordinari fu possibile, minacciare (lasciatemi il termine) di diffusione della foto la dottoressa che mi aveva in carico. Così ebbi le visite di Mari e gli diedimo la garanzia con il mio referente che sarei tornato a casa, dopo una settimana. Senza questi preziosi aiuti, fatto come una mina di farmaci appunto, sarei uscito senza un soldo dopo un mese e mezzo. Così dicevano?... Ultima cosa che mi sento di aggiungere... Prima del ricovero dopo la defibrillazzione, mi condussero in ambulanza in un pronto soccorso, dove venni abbandonato momentaneamente in corsia, non venni curato perché con le poche forze che mi rimanevano dissi che prendevo terapie di psicofarmaci. Mari seduta con a fianco due sbirri, guardava me con loro, io sul lettino, lei disperata, gli sbirri? Sì, tutto vero, si misero a piangere. Lacrime o no? Merde siete e resterete. Scusate, fine.

mercoledì 21 luglio 2021

''TANTO E’ UN MALATO MENTALE…'' Una testimonianza contro la contenzione

Riceviamo dal Collettivo Artaud e pubblichiamo una testimonianza contro la contenzione meccanica:

“Tanto è un malato mentale”
Due anni fa, nell’estate 2019, ero ricoverato a seguito di una mia richiesta (TSV) in un reparto psichiatrico fiorentino. Un pomeriggio, durante il ricovero, ho trovato una porta finestra del reparto che doveva essere chiusa (secondo la politica della struttura), completamente spalancata. Mi sono avventurato sul balcone per curiosità. In seguito ho riferito il fatto ad un operatore.
Lui si è consultato con lo psichiatra in turno, che ha preso una decisione risolutiva: ha stabilito che sarei stato trasportato d’urgenza in un altro reparto psichiatrico, legato a letto per tutta la notte. Una specie di punizione esemplare… Tanto è un malato mentale!
Così è avvenuto. Quando sono stato informato dallo psichiatra della sua decisione, ha sostenuto fermamente la tesi, davanti all’ operatore, che io avessi rotto con le mani i due lucchetti che chiudevano la porta.
Sarebbe interessante entrare in possesso del “verbale” con cui questi signori si sono liberati della loro responsabilità. Ma questo non può avvenire perché nessun tribunale autorizzerebbe una richiesta del genere senza valide prove… Tanto è un malato mentale!
Ho subito varie ingiustizie nella mia vita, e questo capita a molte persone. Ogni tanto, ma solo per fatti gravissimi, nel mondo psichiatrico avvengono delle inchieste. Nel mio caso il problema è soltanto una ferita difficile da rimarginare, una delle tante, che mi ritorna indietro come uno sputo in faccia. Non posso fare altro se non testimoniarlo. Rigorosamente senza fare nomi, per evitare ritorsioni.
Tanto è un malato mentale.
Anonimo

giovedì 15 luglio 2021

Contenzione psichiatrica: la vergogna del silenzio

 LINK INTERVISTA a Radio OndaRossa: CONTENZIONE PSICHIATRICA: LA VERGOGNA DEL SILENZIO

Sotto il link per ascoltare l’intervista fatta a Radio OndaRossa come collettivo Artaud sul tema della Contenzione in psichiatria.

Contenzione psichiatrica: la vergogna del silenzio

https://archive.org/details/ror-210708_1032-1104-contenzione

La contenzione si nasconde in quelli che dovrebbero essere luoghi della cura. Nel nostro paese, in gran parte dei servizi psichiatrici ospedalieri di diagnosi e cura, la contenzione è pratica diffusa,  La pratica della contenzione – meccanica e farmacologica – è ben conosciuta negli istituti che si occupano di persone anziane (rsa) e nei luoghi che accolgono bambini e adolescenti, nelle REMS, nelle carceri. In molti di questi luoghi si lega ma si fa di tutto per non parlarne. Salvo quando avviene qualcosa. Francesco Mastrogiovanni, maestro di cinquantotto anni, muore nel servizio psichiatrico di Vallo della Lucania (SA) ai primi di agosto del 2009, dopo 4 giorni di contenzione; tre anni prima, nel 2006, moriva nel Servizio psichiatrico dell’ospedale “Santissima Trinità” di Cagliari, Giuseppe Casu dopo che per una settimana era rimasto legato al letto. Elena Casetto, ragazza di 19 anni morta arsa viva dalle fiamme di un incendio sviluppatosi nel reparto di psichiatria del “Papa Giovanni” di Bergamo nel 2020 e che non ha potuto mettersi in salvo perché legata al letto. In occasione della Seconda Conferenza Nazionale sulla salute mentale del giugno scorso che ha tracciato la road map per rilanciare l’assistenza territoriale per la salute mentale allo scopo di “migliorare la qualità e la sicurezza dei servizi a beneficio di pazienti e operatori”, il ministro Speranza ha annunciato anche che è pronto l’accordo con le Regioni per “il superamento della contenzione meccanica nei luoghi di cura della salute mentale”. Eppure nel Pnrr di fragilità psichica non si parla. Ne parliamo con un compagno del collettivo antipsichiatrico Antonin Artaud.

sabato 3 luglio 2021

Ricoverato per un Tso, Salvatore D’Aniello muore in ospedale a Napoli. La famiglia denuncia

Salvatore D’Aniello, 39 anni, è morto il 18 giugno all’Ospedale del Mare di Napoli, dove era ricoverato per un Tso. Nei 10 giorni di degenza i familiari non sono mai riusciti ad avere contatti con lui, ma i medici li avevano rassicurati sulle sue condizioni fino a poche ore prima del decesso, arrivato all’improvviso. La famiglia ha sporto denuncia.
di Nico Falco , fonte fanpage.it

Un ricovero in Tso, le rassicurazioni continue dei medici sul suo stato di salute, poi l'ultima telefonata, all'improvviso, per comunicare l'avvenuto decesso. Una faccenda che presenta diversi punti oscuri, quella del 39enne Salvatore D'Aniello, morto il 18 giugno scorso nel reparto di Psichiatria dell'Ospedale del Mare di Ponticelli, a Napoli Est, dove era ricoverato e in cura per una polmonite non originata da Covid-19. In ospedale Sasà ci era finito l'8 giugno. Da quel momento, dieci giorni di vuoto. Telefono spento, nessun contatto, soltanto rassicurazioni: "Sta bene, non vi preoccupate, non rischia nulla".

I familiari, assistiti dall'avvocato Giuliano Sorrentino, hanno sporto denuncia alla Polizia, la salma è stata trasferita al Policlinico Federico II in attesa delle decisioni della magistratura; il sospetto è che si tratti di un caso di mala sanità, che il 39enne sia morto in seguito a una massiccia somministrazione di psicofarmaci. A ricostruire la vicenda a Fanpage.it è il cugino, Domenico Monaco. "Sasà viveva a Montesanto, era molto conosciuto nel quartiere – spiega – non aveva mai dato fastidio a nessuno, gli volevano tutti bene. Purtroppo aveva dei problemi di tossicodipendenza, aveva fatto un percorso di recupero presso una comunità a Vicenza e poi era tornato a Napoli, in affidamento al Sert. L'uso di quelle sostanze gli aveva causato dei disagi mentali ma fisicamente stava bene".

Salvatore D'Aniello ricoverato per Tso

La storia comincia l'8 giugno, quando Salvatore, come già aveva fatto altre volte, esce di casa in piena notte. Ha una crisi, è convinto che qualcuno voglia ucciderlo. E così chiede aiuto ai carabinieri della caserma Pastrengo, che si trova a due passi da Montesanto. I militari si rendono conto della situazione e allertano il 118, l'ambulanza arriva poco dopo. Viene disposto il Tso e il 39enne viene portato all'Ospedale del Mare di Ponticelli. "Quella notte anche la madre andò con lui – prosegue Monaco – e consegnò il telefono cellulare di Sasà chiedendo di farglielo usare quando si fosse calmato. Da allora, però, non siamo mai più riusciti ad avere contatti con lui. Ci abbiamo provato, tante volte: ci dicevano che stava bene, che stava riposando o che era proprio lui che non voleva accendere il telefono perché aveva paura. Nemmeno la madre, quando è andata in ospedale, è riuscita a vederlo".

"Sasà non rischia nulla". Poche ore dopo, il decesso

Pochi giorni prima del decesso, però, le condizioni di salute si sono aggravate. "Un medico mi ha detto che aveva una polmonite, ma che il tampone Covid-19 era risultato negativo – continua Monaco – ho chiesto perché non venisse trasferito in un altro reparto, invece che tenerlo in Psichiatria, e ci siamo proposti di provvedere noi a un trasferimento con ambulanza privata, ma anche allora ci hanno rassicurato: andava tutto bene, se fosse stato necessario spostarlo ci avrebbero pensato loro. Nella penultima telefonata, la sera del 17 giugno, intorno alle 22:30, una dottoressa ha detto al fratello che stavano facendo una cura farmacologica ma che non era in pericolo. "Assolutamente no, suo fratello non rischia niente", gli ha detto, e noi abbiamo tranquillizzato la madre, le abbiamo riferito che stava migliorando. La mattina dopo, la telefonata: Sasà era morto per embolia polmonare con arresto cardiaco".

La famiglia di Salvatore D'Aniello sporge denuncia

La famiglia D'Aniello ha sporto denuncia, tramite il legale Giuliano Sorrentino ha chiesto il sequestro delle cartelle cliniche. Si attende la decisione della magistratura per l'autopsia a cui assisterà anche il consulente di parte. "Quando l'avvocato è andato in ospedale – continua Monaco – Sasà era ancora nel reparto di Psichiatria e indossava un pannolone. Lui non ne aveva mai avuto bisogno, era autonomo. Pensiamo che possa essere stato pesantemente sedato per tutta la durata del ricovero. A noi sembra assurdo che fino a poche ore prima de decesso ancora ci rassicurassero, dicendoci che non c'era nessun problema. Vogliamo capire quello che è successo, lo dobbiamo alla madre, al padre e ai fratelli, oggi una famiglia distrutta che si sta logorando nel dolore di non sapere come è morto Sasà".