mercoledì 27 giugno 2018

Marija Aleksandrovna Spiridonova: emblematico utilizzo della psichiatria per fini politici

Lotta ai radicali liberi

«Coloro che resistevano al regime andavano nascosti sia all'opinione pubblica internazionale, sia in patria per non fare emuli. Ma processarli tutti sarebbe stato troppo costoso, e fucilarli troppo scandaloso. Non restava che il manicomio»
Così scrive Alexander Podrabinek, autore dell'opera La medicina punitiva in cui si ripercorre l'uso della psichiatria da parte del regime sovietico per neutralizzare i dissidenti. Non a caso Marija Spiridonova, una leader dei Socialisti Rivoluzionari di sinistra,  già eliminatrice nel 1906 dell'ispettore di polizia governatore di Tambov, venne rinchiusa in manicomio nel 1921. E quarant'anni dopo, nella patria del bolscevismo, entrava in vigore la circolare Per il ricovero d'urgenza dei malati di mente che rappresentano un pericolo pubblico, che estendeva il concetto di «atti socialmente pericolosi che rappresentano un grande rischio per la società». Ma sì, son tutte cose da vecchi regimi totalitari...
Invece no. Il professor Richard J. Bonnie, ordinario di Diritto e direttore della Facoltà di Legge dell'Università della Virginia, sarà costretto a rivedere ed ampliare un suo vecchio saggio intitolato L'abuso politico della psichiatria in Unione Sovietica e in Cina. Pubblicato all'indomani dell'11 settembre, il suo testo si apriva con queste parole: «A un primo sguardo, l'abuso politico della psichiatria sembra rappresentare una questione semplice e senza complicazioni: lo sviluppo della medicina come mezzo di repressione. L'incarcerazione psichiatrica di persone mentalmente sane viene uniformemente percepita come una forma di repressione particolarmente pericolosa, perché usa i potenti mezzi della medicina come fossero strumenti di punizione, e reca un profondo attacco ai diritti umani usando l'inganno e la frode. I dottori che permettono a se stessi di venire usati in questa maniera (di certo come collaboratori, ma anche come vittime di intimidazione) tradiscono la fiducia della società ed infrangono i loro obblighi etici più fondamentali in quanto professionisti. Quando la questione è così semplice, l'abuso politico della psichiatria è universalmente condannato. Persino i regimi che sostengono la repressione psichiatrica trovano moralmente imbarazzante ammettere di essere coinvolti in una pratica così corrotta».
È bastata una strage di avventori francesi lo scorso novembre per fare strage anche di queste ipocrisie che vedono l'orrore sempre a distanza, assegnandogli una comoda lontananza storica e geografica.
L'Ordine Nazionale dei Medici di Francia ha appena diffuso un promemoria sulla Prevenzione della radicalizzazione in cui si legge:
«Definizione di radicalizzazione:
"Per radicalizzazione, s'intende il processo attraverso il quale un individuo o un gruppo adotta una forma violenta d'azione, direttamente legata a una ideologia estremista a contenuto politico, sociale o religioso che contesta sul piano politico, sociale o culturale l'ordine stabilito" (Farhad Khosrokhavar)
La radicalizzazione non deve essere confusa con il fondamentalismo religioso (islam rigoroso): i fondamentalisti sono praticanti che adottano atteggiamenti culturali inflessibili ma non ricorrono alla violenza mentre i radicali legittimano o praticano atti di violenza.
La radicalizzazione si definisce con tre caratteristiche cumulative:
1. un processo progressivo
2. l'adesione a una ideologia estremista
3. l'adozione della violenza».
Sì, avete letto bene. Il fondamentalismo religioso, lo si può capire e quindi tollerare. Ma il radicalismo… Contestare l'ordine stabilito con la forza! Solo un pazzo terrorista, di fatto o in potenza, può farlo. Una persona sana, equilibrata, pacifica — quindi dedita solo al lavoro, a fare soldi per consumare merci — se ha qualche rimostranza da fare la affida al suo candidato di fiducia, oppure scrive una lettera di protesta a qualche giornale. Nulla di più. 
Per chi sgarra, nel migliore dei casi c'è il braccialetto elettronico o la camicia di forza.

Le ribelli che affrontarono Lenin


di Valeria Palumbo

«Avete sì mostrato e dato al popolo un po’ di giustizia. Ma avete preso per voi un potere mostruoso e al pari del Grande Inquisitore avete assunto l’autorità assoluta sui corpi e le anime dei lavoratori. E quando il popolo ha iniziato a respingervi, l’avete messo in catene per contrastare una sedicente “controrivoluzione” in atto... Ma io rifiuto la vostra giurisdizione, non vi accetto come tribunale che si arroga il diritto di giudicare le nostre idee... Se deve esserci un tribunale per giudicarci, io faccio appello all’Internazionale e al verdetto della Storia»: così Marija Spiridonova, nel novembre 1918, si rivolse al tribunale bolscevico che, dimenticando la sua lunga , dolorosa e coraggiosissima lotta contro il regime zarista e poi a favore della rivoluzione (anche bolscevica), voleva condannarla.

Marija Spiridonova fatta passare per matta
Marija aveva allora 34 anni. Sulle spalle si portava anche un passato di (convinta) terrorista. Era una donna precocemente invecchiata per le sevizie, il carcere e i lavori forzati. Era scampata a una condanna a morte zarista. Era entrata nel governo bolscevico. E si era subito accorta di aver sbagliato. Ne aveva denunciato le violenze e come risposta (forse fu il primo caso), i nuovi padroni di Mosca tentarono di farla passare per una pazza isterica. Alla fine, tra ricoveri, carcerazioni ed esilio, fu giustiziata nel 1941 sotto Stalin. Non aveva mai smesso di credere nella rivoluzione e nei contadini. Ed era lucidissima.

domenica 24 giugno 2018

DI STATO SI MUORE ANCORA! BASTA TSO CON LE FORZE DELL’ORDINE!

Di pochi giorni fa è la notizia della morte di Jefferson Tomalà, un giovane 21enne di origini ecuadoriane, ucciso nel corso di un intervento effettuato dalle forze di polizia nella sua abitazione a Genova, a seguito di una chiamata da parte della madre del ragazzo, la quale ha chiesto aiuto perché Jefferson minacciava di togliersi la vita.  Non è chiaro se le forze dell’ordine fossero intenzionate a contattare i medici per valutare la possibilità di un TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio); quel che è certo è che l'unica ambulanza arrivata sul posto ha potuto solo raccogliere la sua salma, perché un agente della polizia ha esploso contro Jefferson ben cinque colpi. Infatti gli agenti, una volta intervenuti, hanno spruzzato sul viso di Jefferson dello spray urticante: comprensibilmente questo gesto, anziché calmarlo, lo ha agitato; con il coltello che prima impugnava minacciando di uccidersi, Jefferson ha allora ferito un poliziotto e per questo viene ammazzato, colpito più volte, ad altezza d’uomo, davanti alla madre, in una stanza in cui erano presenti 8 persone e in cui magari sarebbe stato possibile operare in modo diverso per tutelare il poliziotto ferito senza sparare ripetutamente a Jefferson. Il Ministro dell'interno si è dichiarato “vicino al poliziotto” che ha ucciso Jefferson, il quale avrebbe “fatto il suo dovere”; il capo della Polizia Gabrielli ha anche annunciato che presto i poliziotti avranno in dotazione i Taser (le pistole elettriche).
La morte di Jefferson –  perché, anche in assenza camici, è pur sempre la morte di una persona che aveva bisogno di calma e supporto, avvenuta per mano di persone che esercitano il proprio potere con forza e coercizione – ci ricorda ancora una volta quella di Mauro Guerra, ucciso con uno sparo da parte un carabiniere il 29 luglio 2015 a Carmignano di Sant’Urbano mentre cercava di fuggire per sottrarsi a un TSO, e quella di Andrea Soldi, strangolato su una panchina di piazzale Umbria dalle forze dell'ordine durante un TSO, il 5 agosto del 2015 a Torino. Per la morte di Andrea, si è concluso poche settimane fa il processo; sono stati condannati a un anno e otto mesi per omicidio colposo i tre vigili autori della cattura (Enri Botturi, Stefano Del Monaco e Manuel Vair) e lo psichiatra Pier Carlo Della Porta dell’Asl che ha richiesto il TSO Poco più di un anno e mezzo per aver ucciso un uomo. Basta fare un confronto con le pene di oltre 4 anni  che lo stesso tribunale ha inflitto ad alcuni imputati NO TAV che si opposero alla distruzione di un territorio per un progetto inutile quanto oneroso. La psichiatria da anni teneva sotto stretto controllo Andrea, assoggettandolo alle sue cure tramite depot (la puntura intramuscolo bisettimanale o mensile). Tante volte Andrea aveva cercato di liberarsi da questa trappola, di riprendere in mano la propria vita e le proprie scelte: per questo aveva subito una decina di trattamenti obbligatori, fino all’ultimo che l’ha portato alla morte.
Il regime terapeutico imposto dal TSO ha una durata di 7 giorni e può essere effettuato solo all'interno di reparti psichiatrici di ospedali pubblici. Deve essere disposto con provvedimento del Sindaco del Comune di residenza su proposta motivata da un medico e convalidata da uno psichiatra operante nella struttura sanitaria pubblica. Dopo aver firmato la richiesta di TSO, il Sindaco deve inviare il provvedimento e le certificazioni mediche al Giudice Tutelare operante sul territorio, il quale deve notificare il provvedimento e decidere se convalidarlo o meno entro 48 ore. Lo stesso procedimento deve essere seguito nel caso in cui il TSO sia rinnovato oltre i 7 giorni. La legge stabilisce che il ricovero coatto può essere eseguito solo se sussistono contemporaneamente tre condizioni: l'individuo presenta alterazioni psichiche tali da richiedere urgenti interventi terapeutici, l'individuo rifiuta la terapia psichiatrica, l'individuo non può essere assistito in altro modo rispetto al ricovero ospedaliero.
Subito ci troviamo di fronte ad un problema: chi determina lo “stato di necessità” e l'urgenza dell'intervento terapeutico? E in che modo si dimostra che il ricovero ospedaliero è l'unica soluzione possibile? Risulta evidente che le condizioni di attuazione di un TSO rimandano, di fatto, al giudizio esclusivo ed arbitrario di uno psichiatra, giudizio al quale il Sindaco, che dovrebbe insieme al Giudice Tutelare agire da garante del paziente, di norma non si oppone.
Per la persona coinvolta l'unica possibilità di sottrarsi al TSO sta nell'accettazione della terapia al fine di far decadere una delle tre condizioni, ma è frequente che il provvedimento sia mantenuto anche se il paziente non rifiuta la terapia. Se, in teoria, la legge prevede il ricovero coatto solo in casi limitati e dietro il rispetto rigoroso di alcune condizioni, la realtà testimoniata da chi la psichiatria la subisce è ben diversa. Con grande facilità le procedure giuridiche e mediche vengono aggirate: nella maggior parte dei casi i ricoveri coatti sono eseguiti senza rispettare le norme che li regolano e seguono il loro corso semplicemente per il fatto che quasi nessuno è a conoscenza delle normative e dei diritti del ricoverato.
Molto spesso prima arriva l' ambulanza per portare le persone in reparto psichiatrico e poi viene fatto partire il provvedimento. La funzione dell'ASO (Accertamento Sanitario Obbligatorio) è generalmente quella di portare la persona in reparto, dove sarà poi trattenuta in regime di TSV o TSO secondo la propria accondiscendenza agli psichiatri.
Il paziente talvolta non viene informato di poter lasciare il reparto dopo lo scadere dei sette giorni ed è trattenuto inconsapevolmente in regime di TSV (Trattamento Sanitario Volontario); oppure può accadere che persone che si recano in reparto in regime di TSV sono poi trattenute in TSO al momento in cui richiedono di andarsene. Diffusa è la pratica di far passare, tramite pressioni e ricatti, quelli che sarebbero ricoveri obbligati per ricoveri volontari: si spinge cioè l’individuo a ricoverarsi volontariamente minacciandolo di intervenire altrimenti con un TSO.
A volte vengono negate le visite all’interno del reparto e viene impedito di comunicare con l'esterno a chi è ricoverato nonostante la legge 180 preveda che chi è sottoposto a TSO "ha diritto di comunicare con chi ritenga opportuno".


Il TSO è usato, presso i CIM o i Centri Diurni, anche come strumento di ricatto quando la persona chiede di interrompere il trattamento o sospendere/scalare la terapia; infatti oggi l' obbligo di cura non si limita più alla reclusione in una struttura, ma si trasforma nell'impossibilità effettiva di modificare o sospendere il trattamento psichiatrico per la costante minaccia di ricorso al ricovero coatto cui ci si avvale alla stregua di strumento di oppressione e punizione. Per questo ancora una volta diciamo NO ai TSO, perché i trattamenti sanitari non possono e non devono essere coercitivi e affinché nessuno più debba morire sotto le mani di forze dell'ordine al servizio degli psichiatri.

La nostra più sincera e  affettuosa solidarietà alla madre e alla famiglia di Jefferson.

Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud-Pisa

antipsichiatriapisa@inventati.org
www.artaudpisa.noblogs.org 335 7002669

sabato 23 giugno 2018

FRA DIAGNOSI e PECCATO - LA DISCRIMINAZIONE SECOLARE NELLA PSICHIATRIA E NELLA RELIGIONE

A QUARANT'ANNI DALLA  LEGGE  180
I MANICOMI SONO ANCORA TRA NOI!

SABATO  23  GIUGNO

presentazione del libro

FRA  DIAGNOSI e PECCATO -
LA DISCRIMINAZIONE SECOLARE NELLA PSICHIATRIA E NELLA RELIGIONE

Approfondimento inedito e dettagliato del legame fra la disciplina psichiatrica e gli ambiti religiosi. Emerge una pianificata incoerenza fra gli intenti dichiarati e una prassi, sia storica che attuale, legittimata nell’amministrare un’esclusione sociale edificata sul controllo e sul profitto. Attraverso il labile concetto di “norma comportamentale” viene sancita ogni devianza, declinandola sui peccati e sulle diagnosi. Fra senso di colpa, paura, emarginazione, conformismo, paradossi filosofici, punizioni e sofferenza si collocano le esperienze eccezionali di chi ha saputo resistere, di chi non ha accettato l’annientamento della propria libertà. La volontà di ricostruire una memoria cancellata dai timbri maschili darà voce a un coro femminile che ridipingerà contesti storici e pensieri scomodi. Se l’umanità non temesse l’imprevedibilità, potrebbe non delegare le soluzioni a elaborazioni totalitarie. L’analisi è completata da un’intervista a un esorcista e dalle conversazioni con il medico Giorgio Antonucci e con l’antropologa Michela Zucca.

sarà presente l'autrice CHIARA GAZZOLA

ORE  18
presso lo spazio esterno della BIBLIOTECA DI STRADA
VIA SERRAVALLE - ZONA INFRANGIBILE - PIACENZA

A SEGUIRE
Buffet vegan di autofinanziamento

organizza  TELEFONO VIOLA di Piacenza
www.telefonoviola.org    www.telefonoviolapiacenza.blogspot.it  fb:telefonoviola.org

domenica 17 giugno 2018

Vite negate: in Italia si muore di Tso e lo Stato si autoassolve

fonte:https://www.dinamopress.it
Pazze, schizzati, sbroccate, fuori di testa, sciroccati!
Gli aggettivi e i sostantivi per descrivere persone che vivono situazioni di disagio psichico – più o meno intenso – sono tantissimi e tutti definiti da un minimo comun denominatore fatto di stigma, di etichettamento, di confinamento all’interno di una sola categoria: quella del matt* (ancora, nel 2018).
Esattamente 40 anni fa, a seguito di una lunga battaglia combattuta per lo più nei corridoi e negli angusti e chiusi spazi dei manicomi, veniva approvata in Italia la Legge 180 (meglio conosciuta come Legge Basaglia). Una legge attraverso la quale veniva riformata l’assistenza psichiatrica ospedaliera e territoriale, tramite il superamento della logica manicomiale coercitiva.
Di pochi giorni fa è invece la notizia della morte di Jefferson, giovane di origini ecuadoriane, ucciso nel corso di un intervento di TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio) effettuato dalle forze di polizia nella sua abitazione genovese, a seguito della chiamata della madre del ragazzo. La donna infatti, a fronte dell’inasprimento di una lite con il figlio, aveva chiamato il 118 perché fortemente impaurita per il suo comportamento aggressivo. Ma di cosa ci parla questo tragico evento e l’agghiacciante dibattito che ne è seguito?
Non si tratta, come vorrebbero farci credere le testate giornalistiche, di una “lite finita male” o della reazione scomposta di un ragazzo “ai margini”. Quanto accaduto nella periferia genovese rappresenta infatti la punta di un iceberg che sotto nasconde qualcosa di profondo e spesso indicibile: l’isolamento, la solitudine, se non la negazione di vite fatte di sofferenze psicologiche profonde. Vite che a volte valgono poco, se non nulla. Vite in cui i Trattamenti Sanitari Obbligatori diventano una ritualità: si entra e si esce ciclicamente dagli SPDC (Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura) senza soluzione di continuità. Lo dice bene Franca Ongaro Basaglia, quando scrive che la Legge 180 rappresentava una Legge “quadro” che, immediatamente inglobata dentro la Riforma del Sistema Sanitario Nazionale (nello stesso 1978), rimase bloccata in un limbo senza mai assistere alla definizione di un piano adeguato di finanziamenti, di articolazione territoriale, di ri-organizzazione complessiva dell’assistenza psichiatrica. Ciò ha significato, in molti casi, una mera applicazione tecnica della Legge e un forte ridimensionamento del portato critico-riflessivo che aveva accompagnato la sua realizzazione, determinando nuove forme di istituzionalizzazione diffusa dei pazienti psichiatrici e l’utilizzo di nuove e vecchie pratiche contenitive e coercitive. Accade così che, a fronte dell’insorgenza di un disagio psichico, il sostegno offerto dai presidi sanitari pubblici è ridotto all’osso (ora più che mai, dati i continui tagli inferti alla sanità pubblica). Si agisce per lo più in un’ottica di riduzione e contenimento dei “danni”, offrendo risposte e risorse del tutto insufficienti a una sofferenza in continuo aumento e che affonda le sue radici nelle strutture su cui si fonda la società.

mercoledì 13 giugno 2018

TSO e MORTE a Genova: ucciso Jefferson Tomalà

Genova, ragazzo ucciso da poliziotto durante Tso: "Sparati almeno 5 colpi"


Si tinge di giallo la morte di Jefferson Tomalà, il ventenne di origini ecuadoriane ucciso da un agente che gli ha sparato nel suo appartamento per evitare che il ragazzo accoltellasse un collega. I familiari della vittima chiedono infatti "giustizia" per il loro congiunto che, a quanto dicono, "era un bravo ragazzo, conosciuto da tutti". Secondo il fratello, Jefferson avrebbe impugnato il coltello soltanto dopo aver visto che uno degli agenti si toccava la pistola. Il giovane avrebbe chiesto:"Perché ti tocchi l'arma? Cosa vuoi fare? Farla finita?". A rincarare la dose c'ha pensato anche il legale della famiglia, Maurizio Tonnarelli, secondo cui sul corpo del giovane sarebbero stati sparati "5 o 6 colpi di pistola, con fori d'ingresso almeno uno sulla schiena ed un paio sulle spalle. Considerate che abbiamo all'interno di questo appartamento un dispiegamento di forze importante e dall'altra parte un ragazzo che aveva un banale coltello da cucina".

fonte:http://www.ilsussidiario.net

domenica 10 giugno 2018

Comunicati di solidarietà con il Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud per le denunce

fonte:https://artaudpisa.noblogs.org/
Sotto i vari comunicati di solidarietà con il Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud che ci sono arrivati in questo periodo. Ringraziamo tutti i singoli, i collettivi
e le strutture che ci hanno scritto parole solidali e di sostegno.

Care compagne e cari compagni del Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud,
come OfficinePeregrine Teatro vi scriviamo dalla Gallura per darvi tutta la nostra solidarietà e vi offriamo il nostro sostegno nella risposta che vorrete mettere in atto contro l’attacco costruito da potere medico e potere giudiziario.
Un abbraccio teatrantico e di forza,
OfficinePeregrine Teatro
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COMUNICATO CAMAP PER SOLIDARIETA’ AL COLLETTIVO ARTAUD
…’Le violenze’ dalla parte del manico…
Esprimiamo con queste righe la nostra solidarietà ai compagni del Collettivo Antipsichiatrico Artaud di Pisa accusati di violenza privata.Oltre ad appoggiare il comunicato scritto dai pisani ci sentiamo di aggiungere qualche parola sia perchè siamo fermamente certi della totale infondatezza delle accuse sia perchè altrettanto certi siamo dell’audacia e della bontà dei compagni da anni coinvolti nel perseguire l’attività volontaria contro gli abusi e le violenze (queste sì, reali) dell’istituzione psichiatrica. La riflessione alla base del nostro ragionamento ci fa pensare che le accuse oggi piovute sui pisani sarebbero potute arrivare a noi (avendo conosciuto, tra l’altro, direttamente l’accusatrice ed il suo modo di attaccare) così come su qualsiasi collettivo o realtà che si apre al debole, alla persona in difficoltà oppure in un momento di fragilità. Siamo pertanto ben consci che tale apertura può diventare un’arma a doppio taglio se, per qualsivoglia motivo, il soggetto coinvolto decide di cambiare bandiera e screditare in maniera inopinata le persone legate alla resistenza antipsichiatrica. Non abbiamo, volutamente, le spalle coperte da partiti ed associazioni pertanto siamo altresì facilmente attaccabili. Siamo attaccabili non solo con la menzogna, lo siamo anche in nome del bieco sfruttamento della propria condizione e del proprio personale. Il proprio tornaconto si appaga proiettando il proprio disagio nella direzione sbagliata…D’altra parte siamo pronti ad afferrare il coltello che ci viene puntato dalla parte della lama poichè non esiste vergogna delle nostre pratiche politiche e sociali, la nostra volontà e volontarietà  sono la spinta per fornire aiuto gratuito a qualsivoglia oppresso, disagiato, fragile. Non mancherà mai la nostra azione di libertà ed accoglienza, di aiuto e condivisione, di supporto ed ascolto nell’accettazione più completa. L’accettazione ci sarà sempre, la pazienza quasi. Solidarietà ad oltranza ai pisani, alla loro sensibilità ed alla loro storia fatta di accoglienze e non di violenze.
CAMAP – Collettivo Antipsichiatrico Camuno
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Cari compagni/e,
Ho appreso con grande dolore la notizia delle denunce rivolte a due di voi. Vi invio tutta la mia solidarietà. Se c’è qualcosa che posso fare per aiutarvi….ditemelo. Mi avete aiutato in momenti di grande difficoltà, e vorrei poterlo ricambiare. Soprattutto spero che insisterete nella lotta, perchè quello che fate è di vitale importanza per molti. Non scoraggiatevi! Cercherò di passare da voi nelle prossime settimane, e di nuovo: se posso aiutarvi in qualche cosa, lo farò volentieri.
Nella solidarietà e nella lotta
Fabrizio Cucchi – Empoli
_______________________________________________________________________Conoscendo direttamente da anni sia l’impegno svolto dal Collettivo antipsichiatrico “A. Artaud” che le persone inquisite, intendo manifestare lo stupore per le accuse loro rivolte riguardo presunte minacce che avrebbero rivolto nei confronti di chi stava cercando un aiuto.
L’approccio critico nei confronti del sistema psichiatrico che anima l’attività di base svolta dal Collettivo, senza alcuno scopo di lucro o di potere, verso persone che in primo luogo esprimono il bisogno di un ascolto sensibile e un sostegno paritario, si concretizza attraverso relazioni umane libere. Libere dallo schema che definisce come “malati mentali” quanti vivono disagi e sofferenze determinate in primo luogo da rapporti sociali, familiari e culturali tendenti a negare le diversità e i problemi individuali.
Tale impegno volontaristico è, a tutti gli effetti, l’opposto delle logiche coercitive – e quindi violente – con i quali “normalmente” si vogliono curare persone in difficoltà, sovente strette fra trattamenti sanitari obbligatori e psico-farmaci.
Per questo, l’ipotesi che alcuni aderenti al Collettivo abbiano esercitato una qualche forma di oppressione ai danni di una persona in difficoltà appare paradossale e il processo intentato assume connotazioni kafkiane.
Nel comune rifiuto di ogni discriminazione, esprimo la mia più affettuosa e incondizionata solidarietà.
Marco Rossi

giovedì 7 giugno 2018

ROMA: 8,9,10 GIUGNO - L38SQUAT

Programma:
VENERDI' 8 GIUGNO

16:30 Apertura sala tatuaggi e sala da tè
21:00 Cena vegan
22:00 Dj Set R'N'R a cura di Mary Muh
SABATO 9 GIUGNO

10:30 Apertura sala tatuaggi e sala da tè
13:30 Pranzo vegan e apertura birreria
17:00 DISCUSSIONE su ingegneria genetica, schedatura del DNA, genetica
forense. Conoscerli per resistere.

Discussione e confronto su le innovazioni che lo Stato sta portando
avanti nel campo della schedatura del DNA, dell'ingegneria genetica e
della genetica forense. Innovazioni che stanno già avendo gravi
implicazioni nell'ambito di procedimenti giudiziari specifici e più in
generale in quello che possiamo definire sistema di controllo e
repressione. Comprendere i meccanismi e gli interessi che muovono questi
processi, le regole che li governano e capire come e cosa si possa fare
per ostacolarli è un passaggio necessario. Sempre più a rischio sono la
nostra libertà e i nostri spazi di agibilità. Ne parleranno compagni e
compagne che da tempo studiano e approfondiscono il tema.

21:00 Cena vegan
22:00 CONCERTO con Devil's hand, Plutonium Baby e Kalashnikov Collective
DOMENICA 10 GIUGNO

10:30 Apertura sala tatuaggi e sala da tè
13:30 Pranzo vegan e apertura birreria
16:00 INCONTRO su Lager e gestione dei flussi migratori: le
responsabilità italiane in Libia

Partendo dagli accordi bilaterali tra i due paesi, approfondiremo la
situazione dei lager in Libia e come la copertura mediatica su stupri,
torture, compravendita di persone da sfruttare abbia creato consenso per
militarizzare ancor di più la gestione delle migrazioni e incrementare,
attraverso il coinvolgimento “umanitario” delle agenzie ONU e delle ONG,
il meccanismo delle deportazioni interne ai paesi africani e dei
respingimenti.
Discuteremo di come i corridoi umanitari, richiesti a gran voce dal
mondo dell'antirazzismo democratico, siano un ulteriore tassello del
processo di selezione delle persone migranti. Infine, evidenzieremo i
responsabili italiani della detenzione e della gestione dei flussi
migratori.

21:00 Cena vegan

https://www.tmcrew.org/l38squat/index.php/en/main-page/75-iniziative/thiz-week/2141-8-9-10-giugno-2018-tattoo-circus

domenica 3 giugno 2018

SENTENZA PROCESSO SOLDI - COMUNICATO COLLETTIVO MASTROGIOVANNI

Gio 31/05/18
Si è concluso ieri il processo sulla morte di Andrea Soldi, l'uomo ucciso il 5 agosto del 2015 durante un TSO. Sono stati condannati a un anno e otto mesi per omicidio colposo i tre vigili autori della cattura ( Enri Botturi, Stefano Del Monaco e Manuel Vair) e lo psichiatra Pier Carlo Della Porta dell'Asl to2 che ha richiesto il TSO. È stato fissato un risarcimento, da definire in sede civile, di 220.000 euro al padre e di 75.000 euro alla sorella.
Non crediamo nei tribunali e nella giustizia dello Stato: in galera non vogliamo vederci nessuno. Non possiamo non constatare che il collegio, pur aumentando di due mesi la condanna rispetto alle richieste del Pm, ha comminato una pena risibile. Poco più di un anno e mezzo per aver ucciso un uomo. Basta fare un confronto con le pene di oltre 4 anni  che lo stesso tribunale ha inflitto ad alcuni imputati NO TAV che si opposero alla distruzione di un territorio per un progetto inutile quanto oneroso.
Lo Stato assolve se stesso e condanna duramente chi lo contrasta!
Quello stesso Stato per molti anni ha imposto il suo potere su Andrea, prima che le forze del (dis)ordine lo strangolassero sulla panchina di piazzale Umbria. La psichiatria da anni lo teneva sotto stretto controllo, assoggettandolo alle sue cure e drogandone corpo e mente per renderlo più mansueto. Tante volte Andrea aveva cercato di liberarsi da questa trappola, di riprendere in mano la propria vita e le proprie scelte: per questo aveva subito una decina di trattamenti obbligatori (TSO), fino all'ultimo che l'ha portato alla morte.
La maggior parte degli utenti psichiatrici sono pazienti (in)volontari dell'istituzione psichiatrica, come dimostrano i dati sul numero dei TSO effettuati. Della loro vita scandita dal SSN non parla mai nessuno, della prigionia vissuta all'interno dei repartini per periodi prolungati, dei continui ricatti, del degrado fisico dovuto ai farmaci, della sedazione, dell'infantilizzazione, della perdita del controllo sulla propria vita, sul proprio corpo e sul proprio pensiero, dell'invalidità indotta, dei lavori a 2euro/h concordati dai servizi.
Andrea è morto perché rifiutava le "cure". Se pensiamo alla storia della psichiatria, costellata di atrocità, possiamo facilmente immaginare che in futuro la puntura di haldol, a cui cercava di sottrarsi,  verrà vista con lo stesso sdegno con cui oggi vediamo i vecchi manicomi, i manicomi criminali, la lobotomia, le terapie da shock.
Ma al di là di una storia che si ripete e di un'istituzione totale che nel tempo è sempre riuscita a ripulirsi degli orrori perpetrati e a "riformarsi" senza cambiare la sostanza, resta il fatto che senza consenso ogni cura è una tortura, e che tutti debbano poter rifiutare le cure, se ritenute lesive della propria integrità psico-fisica o contrarie ai propri convincimenti. Tutti, quindi anche gli utenti psichiatrici. Perché, come Andrea, non sono "malati", "schizofrenici", ma esseri umani come noi, «perché la pazzia, amici miei, non esiste. Esiste soltanto nei riflessi onirici del sonno e in quel terrore che abbiamo tutti, inveterato, di perdere la nostra ragione» (Alda Merini)

Collettivo antipsichiatrico Francesco Mastrogiovanni