venerdì 25 dicembre 2015

04/01/2016

Anno nuovo, nuovo appuntamento col Camap.
Lunedì 4 Gennaio 2016
Presentazione del libro 'La Critica psichiatrica' di Gabriele Crimella e testimonianza diretta di Angelo del Collettivo Antipsichiatrico Camuno al Circolo Culturale La Gazza di Borno (BS)
(sala congressi ore 17 e 30)
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domenica 20 dicembre 2015

La ballerina di Ferrara

Il Tribunale di Roma ha revocato l'allontanamento dalla madre e le permetterà di studiare danza a Milano. CCDU: stop alle perizie psichiatriche e psicologiche nei tribunali.


ROMA. Dopo sei ore di udienza e l'ascolto della giovane promessa della danza e dei suoi familiari, il collegio dei giudici del Tribunale di Roma, presieduto dalla dottoressa Franca Mangano, ha revocato il provvedimento di allontanamento dalla madre e ha disposto che potrà studiare a Milano presso il Centro di Formazione AIDA, una scuola di alta formazione professionale che spazia dallo studio della danza classico-accademica all'apprendimento delle principali tecniche della danza contemporanea.
La giovane avrà pertanto l'opportunità di realizzare il suo sogno di diventare un étoile di livello internazionale.
L'annuncio è stato dato dall'avvocato Francesco Miraglia, legale della ragazzina aggiungendo:
"Una giustizia che tenga conto dei sentimenti oltre che del Codice, è possibile."
Il Comitato dei Cittadini per i Diritti Umani Onlus esprime piena soddisfazione, perché la decisione dei giudici ha ribaltato la perizia dello psichiatra consulente tecnico d'ufficio:
"I giudici hanno compreso come non sia possibile allontanare una ragazza dalla sua famiglia e dai suoi sogni sulla base di una presunta patologia inventata cui lo psichiatra non ha saputo neppure dare un nome.
Quando hanno dato ascolto alla voce della bambina, hanno potuto verificare come quella valutazione si scontrasse palesemente con la realtà dei fatti: si sono ripresi il loro ruolo istituzionale di "Perito dei Periti", ribaltando la sentenza.
Invitiamo i giudici e tutti gli operatori di giustizia a riflettere sull'implicita discrezionalità delle perizie psichiatriche.
Se vogliamo risolvere pienamente il problema degli allontanamenti facili dalle famiglie, è indispensabile riconoscere e comprendere l'incompatibilità tra le discipline psicologiche e psichiatriche e la giurisprudenza: contrariamente alle scienze mediche, nelle quali i margini d'incertezza sono assai più ridotti e dove esistono delle verità comunque accettate e riconosciute, sia pure in modo transitorio e sempre modificabile, nella psichiatria e nella psicologia le diagnosi sono caratterizzate da un altissimo grado di arbitrarietà e soggettività, e le certezze sono pressoché inesistenti."
La vicenda di questa giovane ballerina era nata nell'ambito di una separazione conflittuale.
Sfortunatamente, come spesso succede, il giudice aveva richiesto il parere di un Consulente tecnico d'ufficio, un neuropsichiatra infantile di Roma.
Secondo lo psichiatra, la bambina andava allontanata dalla madre. Il caso aveva suscitato un forte interesse mediatico e la formazione di un gruppo Facebook con oltre cinquemila iscritti. Inoltre, il 21 novembre in piazza del Municipio a Ferrara, il nostro comitato ha partecipato a una manifestazione in suo favore e contro le perizie psichiatriche nei tribunali con oltre 200 partecipanti.
Lo scorso 25 novembre la Questura di Ferrara, stante la ferma volontà contraria della minore, aveva preso atto dell'impossibilità di eseguire il decreto, e ha spinto il Tribunale di Roma ad acconsentire l'ascolto della ragazza in conformità con l'articolo 12 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo.
Auguriamo a questa ragazza di superare velocemente i traumi causati da questa vicenda, e di poter essere felice e realizzare in pieno i suoi sogni.

fonte: www.ccdu.org 

domenica 13 dicembre 2015

19/12/2015 - Pisa


 UNA GIORNATA CONTRO LE ISTITUZIONI TOTALI
 SABATO 19 DICEMBRE c/o S.A.Newroz in via Garibaldi 72 a Pisa


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 Lo Spazio Antagonista Newroz e il Collettivo Antipsichiatrico Antonin
 Artaud
 Presentano alle ore 18, con la presenza dell’autore, il libro
 “Che cosa è il Carcere. Vademecum di resistenza.”
 di Salvatore Ricciardi edizioni Derive e Approdi
 e la Nuova SCARCERANDA 2016 Agenda e quaderno contro il Carcere giorno
 dopo giorno.

 A seguire un Intervento/Aggiornamento sulla situazione degli OPG
 (Ospedali Psichiatrici Giudiziari) e delle REMS (Residenze Esecuzione
 Misura di Sicurezza) a cura del Collettivo Artaud

 Alle 20:30 APERICENA e SERATA MUSICALE Tecno Night
 BENEFIT per il Collettivo Antipsichiatrico

 per info e contatti:
 Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud-Pisa
 antipsichiatriapisa@inventati.org
 www.artaudpisa.noblogs.org / 335 7002669

mercoledì 9 dicembre 2015

di Marco Rossi: LA GRANDE GUERRA ELETTRICA


sotto un interessante contributo di Marco Rossi sulla psichiatria di guerra e sull'uso della corrente elettrica durante la prima guerra mondiale sulle persone considerate "simulatori" e "nevrotiche".


collettivo antipsichiatrico Antonin Artaud -⁠ Pisa



LA GRANDE GUERRA ELETTRICA (1914-1918)
                                                                                                            
Morire quando si è ancora giovani e si anno ancora delle speranze è follia,
ed io non sono folle affatto.
(Lettera del disertore Ernesto Premoli, dal campo di prigionia di Theresienstadt, 24 ottobre 1915)
L’elettroshock, ossia quel «trattamento psichiatrico con il quale viene applicata alla testa del paziente una corrente elettrica che, passando attraverso il cervello, produce una convulsione generalizzata»[1], è stato notoriamente ideato, sperimentato e introdotto ad opera di Ugo Cerletti e Lucio Bini nel 1938, tanto da essere celebrato dalla propaganda del regime fascista come invenzione «italianissima». Per cui, è improprio e anacronistico definire come elettroshock l’accertato utilizzo “terapeutico” di correnti elettriche su parti diverse del corpo, così come avvenuto durante la Prima guerra mondiale nei confronti di un certo numero di soldati appartenenti agli eserciti austriaco, tedesco, britannico, francese e italiano, per il trattamento delle nevrosi di guerra, oltre che per smascherare presunti «simulatori», ossia di soldati che cercavano scampo alla morte in trincea «facendo i matti»; ma comunque questo aspetto - anche se poco conosciuto - appartiene alla realtà del primo conflitto e anticipò quanto sarebbe avvenuto, sistematicamente, durante la Seconda guerra mondiale quando «l’elettroshock inventato da Ugo Cerletti diventò così la terapia usata per scovare le epilessie sospette ovvero la patologia, a detta di molti alienisti, prescelta dai simulatori»[2].
Anche questa «guerra nella guerra» tra «simulatori» e alienisti (simile a quella che abbiamo visto ingaggiarsi con gli autolesionisti), costituisce un capitolo di straordinaria importanza nella storia del conflitto. I compiti disciplinari si intrecciano con quelli terapeutici e li sopravanzano. Per i medici infatti non si tratta solo di «scoprire che un tale è un simulatore: il medico ha un compito più nobile, deve restituire all’esercito un soldato, alla Patria un cittadino»[3]. E, tal fine, il ricorso all’impiego di correnti faradiche o «correnti sinusoidali di gran forza» - secondo le teorie di F. Kaufmann - applicate a varie parti del corpo (arti, collo, gola, genitali) diventa pratica largamente diffusa.
D’altronde, nel ricorso a quella che si configura come vera e propria tortura psico-fisica, il confine tra indagine medico-legale e terapia appare davvero esile, dato che per curare disturbi di ordine «sensitivo-sensoriale e sensorio-motorio», il metodo suggerito da un autore francese consiste «nell’applicare a scopo suggestivo forti e brusche scariche di corrente faradica. Quando si vuole ottenere la guarigione di tali disturbi (afonie, tremori, paralisi, piegatura vertebrale, piede equino ecc.) bisogna agire precocemente e fortemente»[4].
Onde evitare residui scrupoli morali o incertezze deontologiche in relazione alla «dolorabilità del processo», il prof. Arturo Morselli, capitano medico della III Armata sul fronte isontino, precisava che bastava «un comune apparecchio portatile a pile, che non sveglia poi sensazioni troppo vive e che è sufficiente per suggestionare i soggetti; anzi, per conseguire meglio l’effetto, è utile esagerare prima agli esaminandi la sofferenza che andranno a sopportare. In molti simulatori questa prospettiva vale a farli cedere di buon’ora». A tale scopo Morselli si era fatto spedire dalla Clinica di Genova «un apposito strumentario elettro-terapico (faradizzazione a doppio rullo)» che sperimentò su soldati colpiti da qualunque tipo di problema neuropsichiatrico[5].
Dolore e terrore quindi - come sottolinea A. Gibelli - sono dunque parte delle pratiche mediche di investigazione e recupero, tanto che sempre Morselli confermava come «La pratica del Gilles è stata usata da me fin dai primi mesi della nostra guerra e mi ha dato sempre eccellenti risultati terapeutici e medico legali». In realtà, le rare testimonianze dei pazienti sono di altro segno, come quella del soldato Giovanni P. che scrive «C’era il professore, un capitano con la barba di cui non so il nome, e poi c’era il Signor Maggiore che mi ha straziato con la tortura elettrica ora».
Analogamente, in Germania, il metodo Kaufmann che combinava scariche elettriche, sempre più intense, con comandi urlati per l’esecuzione di determinati esercizi, se vantò alcune “guarigioni” evidenziò i suoi limiti per il carattere temporaneo di queste, l’elevato numero di suicidi dei pazienti sottoposti a tale cura e la morte di almeno di due di questi in sede di terapia.        
Nel Regno Unito, il più fervido propugnatore ed esecutore di elettro-terapie disciplinari fu Lewis Yealland che, tra l’altro, descrisse dettagliatamente l’atroce trattamento a cui sottopose un soldato che, dopo essere scampato alle numerose battaglie a cui aveva preso parte, era stato affetto da mutismo.
Il poveretto, quando venne consegnato a Yealland, era già stato sottoposto a inutili “sedute” di venti minuti di forti applicazioni elettriche al collo e alla gola, combinate a ustioni sulla lingua tramite sigarette e pinze roventi; da parte sua, il medico-aguzzino britannico vi aggiunse la segregazione al buio nella «camera elettrica» e un supplemento di inumano autoritarismo, accompagnato a scariche ad alto voltaggio applicate al collo, che lo avrebbero fatto tornare «sobrio e razionale»[6].
Non meno attiva fu la «scuola viennese» di psichiatria militare - duramente accusata dallo psicanalista Alfred Adler - che, per spiegare le sofferenze psichiche e le nevrosi belliche, sosteneva la predisposizione patologica o degenerativa dei militari vittime di stress o shock. In particolare, nell’esercito austro-ungarico ad essere sottoposti a terapie elettriche furono soprattutto i soldati semplici e, soprattutto, quelli di nazionalità-lingua non tedesca, dal momento che molti psichiatri militari, a fronte della molteplicità linguistica dei soldati ammalati, privilegiarono una terapia che non richiedeva scambio verbale. L’obiettivo primario rimaneva comunque, oltre che smascherare i «simulatori», recuperare e rinviare al fronte i soggetti colpiti da nevrosi di guerra[7].

sabato 28 novembre 2015

Pensieri divergenti


Vuoi rendere impossibile per chiunque opprimere un suo simile? 
Allora assicurati che nessuno possa possedere il potere
(Michail Bakunin)

Quello che è successo a Francesco Mastrogiovanni è un abuso ? Cioè un uso scorretto e incongruo di pratiche legittime perché previste da precise norme di legge (il TSO) e da raccomandazioni della conferenza stato/regione (la contenzione) ? Oppure è l'effetto ordinario di un'idea che trova legittimo, lecito e finanche necessario obbligare gli individui a modificare il proprio pensiero, le proprie idee sul mondo e il proprio comportamento quando questi risultino incomprensibili, intollerabili e/o semplicemente arrechino disturbo a chi sta accanto ?
Da essere umano e da anarchico, credo che Francesco Mastrogiovanni sottoscriverebbe l'idea che il TSO sia una forma di violenza e di oppressione legalizzata, esercitata dal potere psichiatrico sulla base delle leggi e del consenso collettivo. 
Non a caso ne rifiutava le "cure": cioè rifiutava la normalizzazione forzata fatta passare per terapia e il pensiero divergente fatto passare per malattia.
Anche nella morte e nonostante l'ondata di sdegno che si è levata in suo nome (e a sua memoria), Francesco resterebbe, con noi, dalla parte del torto, in posizione minoritaria, a rivendicare il suo/nostro diritto ad essere quelli che siamo.
La differenza fra la nostra/sua posizione divergente e il senso comune, sta nel fatto che noi da sempre avvertiamo e denunciamo la violenza insita nella cosiddetta "cura psichiatrica" , mentre la maggioranza convergente si attiva solo quando questa porta alla morte "fisica" di chi vi è sottoposto.
Viene da chiedersi: se non fosse morto Francesco, qualcuno avrebbe discusso sulla liceità o meno di quello che non è stato altro se non l'ennesimo trattamento sanitario obbligatorio emanato per garantirgli quello che chiamiamo ipocritamente "diritto alla cura" ? Se in quelle maledette 87 ore legato al letto fosse stato alimentato, idratato, controllato (così come prevede il protocollo) la sua contenzione sarebbe stata lecita, terapeutica, dignitosa ? Sono stati legittimi i suoi precedenti TSO ? E dignitose le contenzioni che lo hanno risparmiato ?
C'é tutta una retorica e una profonda ipocrisia dietro l'idea che il problema stia solo (o principalmente) in quelle porte chiuse dei reparti di psichiatria e che le cosiddette "porte aperte" possano essere un antidoto alla violenza, ai maltrattamenti o agli (ab)usi psichiatrici. E' certo vero che la cosiddetta società civile, in continuità con l'atteggiamento tenuto nei confronti dell'olocausto manicomiale,  finge di non sapere (o non vuole sapere),  ma è pur vero che i coatti psichiatrici continuano, senza soluzione di continuità, a denunciare, prima e dopo la 180, la violenza e l'oppressione di cui si sentono (sono) vittime. Inascoltati e considerati paranoici, così come sarà sembrato delirante Francesco Mastrogiovanni quando ha implorato i suoi "curatori" di non portarlo al reparto di Vallo della Lucania perché lì l'avrebbero ammazzato.
Pensare che ci siano degli psichiatri "cattivi" e poco coscienziosi, dediti a torturare i loro simili e una società civile pronta a intervenire per  tutelare i diritti delle sue vittime, è poco più che una mera illusione. La psichiatria è lo specchio delle nostre paure, dei nostri pregiudizi e gendarme del nostro ordine e della nostra normalità. Noi ne siamo i "mandanti" e, come tali, difficilmente possiamo davvero immedesimarci nelle vittime o garantirne il diritto a continuare a vivere, esistere e disturbare il nostro ordine mentale, familiare e sociale. Abbiamo bisogno di credere alla favola della "cura" psichiatrica; abbiamo bisogno di coprire la nostra intolleranza e la nostra violenza e di pensare che facciamo "tutto per il loro bene".
Pensare al contrario che ci siano psichiatri "buoni", capaci di imporre con il dialogo e il confronto "buone terapie" a chi non ritiene di essere malato e/o di averne bisogno, è una pura mistificazione. 
La legge 180, quando si tratta di cure psichiatriche e di persone diagnosticate come "malate di mente", deroga al diritto costituzionale del rifiuto delle cure garantito invece a tutti i cittadini. Non solo. La norma "obbliga" gli stessi operatori, al di là della loro sensibilità e/o convinzioni personali, a coartare la volontà degli individui e a limitarne la libertà se non vogliono essi stessi essere chiamati a rispondere di questa omissione. L'obbligo, non solo annulla qualsiasi velleità terapeutica, ma crea una spirale di violenza che lega indissolubilmente vittime, carnefici e mandanti.
L'art. 32 della Costituzione ("Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge"), garantisce i cittadini non tanto (o solo) da interventi sanitari invasivi, inutili o dannosi, ma anche (e soprattutto) da quelli ritenuti utili, efficaci e/o necessari. 
Pensare che vada abolita la contenzione meccanica, senza agire sull'obbligo delle cure, non cambia la sostanza della questione. Essere "legati" chimicamente, se pure ai nostri occhi sensibili può sembrare il "male minore", non sposta la natura e la condizione di soggezione e oppressione in cui gli utenti involontari sono costretti a vivere (e a morire socialmente, psicologicamente e fisicamente).
Fa una certa impressione pensare che alcuni fra quelli che appoggiano la campagna per rendere giustizia (ma soprattutto verità) a Francesco Mastrogiovanni, si riconoscano nella legge 180 e continuino a definire il TSO come un istituto di garanzia mirato a garantire a tutti i cittadini il diritto alle cure. Suona offensivo e irrispettoso della sua radicalità umana e ideale, che si continui ad invocare in suo nome trattamenti umani e porte aperte, invece di chiedere il riconoscimento della libertà di scelta come diritto soggettivo direttamente esigibile da ciascun individuo (e non come concessione liberale da parte dello psichiatra "buono"). 
Il problema non è, né può essere, quello o quell'altro psichiatra o reparto di psichiatria. Il problema è la psichiatria stessa o, per dirla con Bakunin, il potere che essa esercita senza controllo sulle nostre vite. 
Non dico, né credo, che Mastrogiovanni (o Andrea Soldi) avessero necessariamente ragione nel rifiutare le "cure". Credo che ne avessero tutto il diritto e credo, soprattutto, che se se ne vuole rispettare la verità e onorare il sacrificio (anch'esso involontario come il trattamento), allora bisogna disarmare la psichiatria dal potere di costringere le persone a sottoporsi alle sue diagnosi e alle sue cure (buone o cattive che siano). 
Giuseppe Bucalo
fonte: www.giuseppebucalo.com

mercoledì 25 novembre 2015

SABATO 5 DICEMBRE C.S.A KAVARNA -⁠⁠CREMONA

BENEFIT TELEFONO VIOLA
Linea d'ascolto contro gli abusi della psichiatria
Linea d'ascolto per liberarsi dalla morsa psichiatrica

La finalità di questo benefit è sostenere le spese legali di chi ha
recentemente intentato causa all'ospedale NIGUARDA(Mi), impugnando i
ripetuti T.S.0(trattamenti sanitari obbligatori) che vennero disposti a
suo carico, allo scopo di piegarne la resistenza.
Si rammenta che nel 2011 il Telefono Viola di Milano presentò al
procuratore della repubblica un esposto di denuncia riguardo a 18 casi
di persone morte o gravemente danneggiate a seguito di ricovero presso
il reparto psichiatrico di Niguarda.

CHI HA IL CORAGGIO DI ALZARE LA TESTA DIFRONTE ALLE VIOLENZE DELLA MORSA
PSICHIATRICA VA SOSTENUTO CONCRETAMENTE!
NON LASCIAMOLI SOLI!
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-⁠⁠ HOSTILITER  Crust da Viterbo
-⁠⁠ EBOLA       Brescia Ultracore Bastards
-⁠⁠ RAUCHERS    Gardaland Fastcore
-⁠⁠ ECO         Hc da Milano


materiale informativo e cibo vegan

presso il C.S.A KAVARNA -⁠⁠ via Maffi 2 -⁠⁠ CREMONA
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TELEFONO VIOLA -⁠⁠ Piacenza
www.telefonoviolapiacenza.blogspot.it

NUOVO SITO DEI TELEFONI VIOLA ATTIVI IN ITALIA
www.telefonoviola.tracciabi.li

domenica 22 novembre 2015

IL RICATTO ECONOMICO DELLA PSICHIATRIA...


"con il breve scritto che trovate sotto intendiamo aprire e stimolare una discussione sulla
necessità di sostenere a livello economico, legale, politico e sociale le persone che denunciano gli abusi subiti dalla psichiatria."
IL RICATTO ECONOMICO DELLA PSICHIATRIA
Richiesta di supporto economico a chi ha deciso di liberarsi dalla morsa psichiatrica.
Nel dibattito interno ai telefoni viola, da tempo si profila la necessità di affrontare con spirito critico i limiti oggettivi che il nostro intervento sul campo evidenzia. L'aspetto spinoso, del quale vorremmo parlare in questo documento, è un deficit strutturale di risorse utili ad affrontare con strumenti efficaci l'isolamento di chi è istituzionalizzato/a. 
Talvolta, la solitudine è una condizione che funge da sintomo per un certo interventismo psichiatrico, spesso ne è tuttavia un effetto collaterale. Riteniamo dunque, un passaggio fondamentale poter sostenere concretamente quanti/e intendano intraprendere un percorso di emancipazione dal giogo psichiatrico, attraverso la piena affermazione dei propri diritti.
Possibilità che sfuma in quei contesti in cui l'accessibilità ad un adeguato supporto legale diventa una chimera. 
Il dispositivo di cui si servono i servizi territoriali, per scoraggiare questi percorsi di liberazione, è il ricatto economico. 
Alla loro famigerata e parassitaria avidità, ben sintetizzata dalla figura dell'amministratore di sostegno, si somma il legame di dipendenza finanziario che intercorre tra servizi e pazienti, conseguenza concreta e diretta dei piani terapeutici approntati dai vari distretti. 
In tempo di crisi la psichiatria sembra offrire un lavoro e un'opportunità di reinserimento sociale. Peccato però che lavoratori e lavoratrici di questo committente non percepiscano un salario utile a sostenere il proprio percorso di autonomia, bensì un rimborso per comprarsi un pacchetto di sigarette...Trattasi evidentemente di sfruttamento lavorativo.
Alla luce di quanto sopra, occorre intraprendere battaglie legali orientate a: favorire delle ricadute positive nella quotidianità di chi sostiene e resiste alla pressione dei servizi psichiatrici; delegittimare la letteratura clinica quale strumento persecutorio rivolto a chi vive una quotidianità condizionata da uno stato d'eccezione permanente; promuovere una discussione pubblica che affronti l'argomento con un approccio multidisciplinare, capace di ispirare pensieri e prassi critiche nei confronti della cultura psichiatrica, da un punto di vista tecnico/professionale, quanto da un punto di vista politico e popolare. 
Crediamo inoltre che per corrodere l'architrave psichiatrica sia necessaria una "proliferazione batterica" della lotta, frutto di una consapevolezza diffusa a tutti i livelli del panorama sociale. 
E' necessario creare dei precedenti in ambito normativo, per aprire la strada ad altri percorsi di emancipazione ed accedere con più facilità a condizioni di vita migliori. La lotta contro la psichiatria riguarda tutte quelle persone che immaginano una società migliore, ma evidentemente per qualcuno/a il contenzioso è più stringente e dall'esito spietato. Diventa dunque un imperativo non lasciarli/e soli/e.
Non è una questione di visibilità, ma di concretezza.   
La cultura psichiatrica è molto più presente nel nostro immaginario di quanto si possa credere. Spesso sono i comportamenti, le scelte, le  parole che ne intensificano la sua operatività. Possiamo anche elaborarne una narrazione critica o farne la demonizzazione, ma per liberarcene definitivamente occorre  pensare come soggetti politici attivi quanti/e continuano ad essere definiti matti, psicopatici, utenti piuttosto che vittime. La psichiatria non è una minaccia che incombe su tutti/e, ma solo su coloro che quotidianamente ne sperimentano l'ingerenza nella propria quotidianità. Non essere indifferenti verso la psichiatria, vuol dire saperne intravedere l'insidia nelle singole esperienze personali e non su un piano astratto.
Con questo testo vorremmo lanciare, attraverso la rete informatica ed il passaparola, un appello rivolto a quelle realtà o singolarità politiche, volontaristiche e associative che affrontano il tema, affinché si possa condividere quanto fin qui trattato. Nello specifico, invitiamo ogni singolo destinatario di questo testo a collaborare come meglio crede per reperire competenze tecniche e artistiche, risorse materiali, economiche e organizzative utili ad invertire la tendenza registrata. 
"Un percorso di lotta intende realizzare le condizioni utili ad incidere socialmente e politicamente ad un mutamento collettivo e radicale di un determinato modo di operare delle istituzioni e della visione rispetto al modo di concepirle.
La battaglia non psichiatrica  comprende intervenire sull'operato istituzionale e sulle pratiche di violenza, detenzione, tortura e omicidio, come sulla realtà attuale di controllo sociale e stato di polizia, che ha assegnato alle istituzioni psichiatriche un potere enorme esercitato attraverso attività illegali, talune negate dai più e dalle istituzioni stesse, patrimonio dell'informazione scientifica e della stessa ricerca.
Intervenire in tale direzione comprende intentare causa alle strutture psichiatriche sgretolando tali istituzioni, le loro pratiche violente ed assassine ed al contempo modificare la visione collettiva e dello stesso detenuto di psichiatria rispetto al pregiudizio ed alla possibilità concreta di realizzare un percorso di lotta volta all'emancipazione individuale e collettiva. Intervenire sulle istituzioni per condizionarne l'operato di abuso, violenza inquisizione e tortura, nel senso di un'inversione dei rapporti di forza, al fine di una reale presa di coscienza rispetto al proprio stato, diventando da soggetto passivo a soggetto attivo.(...) Chiedo un sostegno economico, dato che in seguito ai T.S.O. subiti ho perso il posto di lavoro e di recente ho dovuto sostenere una nuova causa perché intendevano sfrattarmi, servendosi delle cattive condizioni economiche delle quali si sono resi causa."
Infine, vorremmo specificare la richiesta di aiuto a tutti/e quegli artisti che fossero interessati a collaborare per presentare al consiglio di zona di Milano, la richiesta di utilizzo di spazi pubblici, presso i quali organizzare eventi di autofinanziamento. 
Telefono Viola Bergamo
Telefono Viola Piacenza
Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud Pisa
Per info e contatti:
antipsichiatriapc@autistici.org

lunedì 16 novembre 2015

Mercoledì 18 novembre - Castiglione delle Stiviere - Arci Dallò

Presentazione libro "La critica psichiatrica nelle opere di Szasz e Foucault" con Crimella Gabriele


 La lettura delle opere di Foucault e di Szasz viene qui proposta per aprire una riflessione sulla teoria e soprattutto sulla pratica psichiatrica. L'attenzione è posta sulla critica delle basi epistemologiche di questa scienza, che a differenza delle altre branche della medicina opera in assenza di riscontri biologici nella maggior parte delle sue diagnosi, e sulle istituzioni psichiatriche. Di queste ultime, luoghi come i manicomi e gli ospedali psichiatrici giudiziari o dispositivi come il trattamento sanitario obbligatorio e la contenzione farmacologica, viene messo in evidenza il carattere meramente coercitivo, a partire dal "grande internamento" analizzato da Foucault. Si considera inoltre il ruolo della psichiatria, come denunciato da Szasz, nella tendenza a patologizzare l'intera gamma dei comportamenti umani a scopi di controllo sociale. A fronte di queste analisi, l'Autore prospetta una visione olistica del problema della malattia mentale, promuovendo all'interno della psichiatria un dialogo che apra ad una concezione bioetica dell'individuo.

Un momento di incontro e discussione proposto dal collettivo antipsichiatrico camuno

Inizio ore 21.00

https://www.facebook.com/events/865949520192780/
https://www.facebook.com/arcidallo/

sabato 7 novembre 2015

14 Novembre Villa Vegan


Il CAMAP (Collettivo Antipsichiatrico Camuno) propone nelle sue serate una riflessione teorica, affiancata al racconto diretto dell’esperienza di chi ha subito la violenza del sistema psichiatrico; non ultima l'oppressione femminile/omosex punta di diamante della psichiatria attraverso gli anni e tuttora presenti. Il tutto in un’ottica di serietà e competenza.

Siamo attivi ormai da tempo con un blog (collettivoantipsichiatricocamuno.blogspot.it), serate a tema, Telefono Camap in sostegno alle vittime della psichiatria, incontri, cortei, libri e produzioni artistiche di vario tipo. Siamo infatti convinti che se da una parte il requisito fondamentale per affrontare una materia così delicata è la preparazione teorica, dall’altra è necessario allo stesso modo dare libertà di espressione a quella parte del mondo che i più considerano folle, malata, matta, ecc. ecc.

Nella serata che vi proponiamo sarà dunque presente un momento di presentazione del nostro Collettivo, di quali sono i nostri obiettivi, delle basi teoriche da cui partono le nostre critiche (principalmente l’opera di Szasz e Foucault) e delle nostre produzioni artistiche (libri, dischi, fanzine, ecc.). Sarà presente alla serata anche chi ha subito in prima persona gli abusi del sistema psichiatrico, donandoci la testimonianza di uno spaccato di quella che è considerata medicina, ma in realtà è oppressione.

...VISTO DA VICINO NESSUNO E' PSICHIATRICO... 

Dalle 17 presentazione del libro ''La Critica Psichiatrica'' di Gabriele del Collettivo Antipsichiatrico Camuno (www.collettivoantipsichiaricocamuno.blogspot.it)
A seguire cene e dalle 22 benefit per Croce Nera Anarchica e Telefono Camap con

Contrasto (HC punk legends) www.contrastohc.com
Ebola (Ultracore Bastards) www.ebolaultracore.altervista.org
Rauchers (Fastcore Gardaland) www.rauchershc.bandcamp.com
NoChappi?Borgeois! (Militant Words) https://soundcloud.com/no-chappi-bourgeois
ECO (Parole Veloci) www.ecoparoleveloci.bandcamp.com

14 NOVEMBRE 2015 Villa Vegan Occupata, Milano

domenica 1 novembre 2015

Fra diagnosi e peccato - La discriminazione secolare nella psichiatria e nella religione

Un approfondimento del legame fra la disciplina psichiatrica e gli ambiti religiosi, che fa emergere la pianificata incoerenza fra gli intenti dichiarati e la prassi reale: l’amministrazione di un’esclusione sociale fondata sul controllo ed il profitto. Il concetto di “norma comportamentale” viene utilizzato per sancire ogni devianza, declinandola sui peccati e sulle diagnosi. Verranno illustrate le esperienze eccezionali di chi ha saputo resistere, di chi non ha accettato l’annientamento della propria volontà. La volontà di ricostruire una memoria cancellata dai timbri maschili darà voce a un coro femminile che ridipingerà contesti storici e pensieri scomodi.
http://www.mondadoristore.it/img/diagnosi-peccato-Chiara-Gazzola/ea978885752633/BL/BL/12/NZO/?tit=Fra+diagnosi+e+peccato.+La+discriminazione+secolare+nella+psichiatria+e+nella+religione&aut=Chiara+Gazzola
 
L’analisi dà rilievo alle esperienze femminili ed è completata dall’intervista ad un sacerdote esorcista e dalle conversazioni con il medico Giorgio Antonucci e l’antropologa Michela Zucca.

giovedì 29 ottobre 2015

Oliver Sacks

Oliver Sacks 

Fra i tanti meriti di Oliver Sacks c'è soprattutto quello di aver chiarito l'origine di alcune patologie, spostando l'attenzione dal campo psichiatrico di "contenimento" a quello neurologico di indagine e cura.
Riporto qui sotto parte di un brano dedicato al famoso neurologo, scritto da Pietro Barbetta per Doppiozero.

Veronika

"Maestri indiscussi di Oliver Sacks, per sua stessa ammissione, furono Alexander Romanovič Lurija (1902-1977) e Kurt Goldstein (1878-1965). Lurija fu tra i primi ad avere l'idea, ora in disuso, di fare il neurologo con competenze storico-culturali, che gli costò un'epurazione dall'Istituto dove lavorava da parte dei pavloviani. Di lui, tra le altre illuminanti indagini scientifiche, rimane il caso clinico del mnemonista, pubblicato nel 1968, ventiquattro anni dopo il racconto Funes el memorioso di Borges, a indicare di quanto la letteratura preceda la scienza. Goldstein fu il primo neurologo a mettere in discussione le semplificazioni pavloviane e a leggere la fenomenologia delle condotte umane patologiche come rivelatrici di un equilibrio sui generis, influenzando, tra l'altro, l'opera filosofica di Maurice Merleau-Ponty e quella medica di Georges Canguilhem.

Già nell'Uomo che scambiò sua moglie per un cappello, Sacks si occupa di una sindrome rara: la Gilles de la Tourette. Scrive, vado a memoria, di un uomo – Ray dei mille tic – che suona la batteria in un gruppo musicale, con eccellenti risultati, ma ha continui problemi lavorativi legati all'insistenza della sindrome, che produce coprolalie sporadiche di varia intensità e conseguenti licenziamenti. La diagnosi di sindrome di Tourette era da tempo caduta in disuso – il povero Tourette era morto in manicomio, ripudiato dalla famiglia – le persone con questa sindrome venivano erroneamente scambiate, sopratutto dagli psichiatri, come psicotiche. La nota farmacologia ex-adiuvantibus diceva che, poiché trattati con un noto neurolettico reagivano positivamente, e poiché lo stesso farmaco “funzionava” anche su pazienti con diagnosi di psicosi, allora si trattava di psicosi. Elementare, come spesso è l'ideologia psichiatrica.

Del resto la sindrome di Tourette è uno dei tanti Golem cui sta dietro il nome del medico che l'ha scoperta. George Albert Édouard Brutus Gilles de la Tourette (1857-1904) era alla Salpêtrière e lavorava con Jean-Martin Charcot (1825-1893), lo si ritrova nel noto quadro di Pierre Aristide André Brouillet (1857-1914) Una lezione clinica alla Salpêtrière. Per un lungo periodo fu ritenuta una forma isterica, quando molti disturbi neurologici, in Francia, venivano descritti sul piano della fenomenologia del comportamento, piuttosto che dal punto di vista strettamente neurologico. Poi, lentamente, la sindrome tese a scomparire dai quadri diagnostici, diventando un fenomeno raro, probabilmente coperta dalla falsa impressione, almeno nei casi più marcati, che fosse appunto un insieme di sintomi psicotici, tanto più dopo l'invenzione dei neurolettici. È noto il riduzionismo sanitario che sostiene l'esistenza di una cosa solo se ha un riscontro bio/farmacologico.

Sacks propone al suo paziente, Ray, di assumere il neurolettico in questione e Ray, da un certo punto di vista, migliora. Si comporta meglio, non perde più il lavoro, in famiglia tutto bene. Diventa un ottimo perbenista. Tuttavia non riesce più a suonare la batteria così bene, non è più così brillante, cambia identità. Penso, dati gli effetti di quel neurolettico, che alle otto di sera si addormentasse, e la batteria, come noto, si suona dopo le dieci. Questo, a volte, è l'effetto di un farmaco. Il medico gli chiede di scegliere, Ray rinuncia al farmaco per tornare come prima, senza alcuna obiezione, esitazione, preoccupazione del dottore. A volte ci vuole coraggio, e Sacks ne aveva.

A partire da quel momento, grazie anche al contributo di questo strano tipo neurologo e romanziere – che insegnò a distinguere clinicamente un tourettiano da una persona con un disordine psicotico – le diagnosi di Sindrome di Gilles de la Tourette aumentarono e il campo clinico di riferimento passò dalla psichiatria alla neurologia, evitando a molte di queste persone di subire quei trattamenti di contenimento ancora diffusi nel mondo delle ideologie psichiatriche.

Un contributo clinico forse ancora più importante di Sacks furono i suoi studi sull'autismo, supportati dal grande contributo di Temple Grandin. Fu lei a coniare il titolo del suo libro: Un antropologo su marte. Sull'autismo era calata una cappa di disperazione esistenziale alimentata da alcune interpretazioni mediche e psicologiche iatrogene, sia in campo psicodinamico, che in campo cognitivo-comportamentale. Su questa lunga vicenda storica, con Enrico Valtellina, abbiamo appena scritto un saggio che sta per venire pubblicato. Ebbene, Sacks fu tra i primi clinici ad affrontare l'autismo dal punto di vista di un soggetto autistico, piuttosto che di un paziente autistico. Di una persona, Temple Grandin, che insegna zootecnia in una università del Nord America.

Da lì in poi, la proliferazione di letteratura ad opera di persone autistiche, la diffusione mediatica di film, documentari, trattati scientifici e divulgativi, di ogni ordine e qualità, è stata enorme. Sopratutto nacque un movimento identitario definitosi Neurodiversity, fondato negli anni Novanta da Judith Singer. Un movimento che, appellandosi alla ricchezza e all'importanza della biodiversità, sosteneva che i neuro diversi – persone autistiche, ma non solo – hanno potenzialità e risorse diverse ma altrettanto valide delle persone “neuro tipiche”. Si giunse persino, sulla scorta dell'influenza di studiosi come Sacks, a formulare, da parte di questo movimento – in modo ironico e provocatorio – una classificazione diagnostica per la neuro tipicità: i neurotipici si guardano troppo a lungo negli occhi, ha una loquacità smisurata, fanno sempre tutto per un fine specifico."

mercoledì 21 ottobre 2015

Lettera di Sergio ai domiciliari per iniziativa antipischiatrica davanti al tribunale

Riceviamo e diffondiamo uno scritto di Sergio, prigioniero ai domiciliari a seguito di un'iniziativa antipischiatrica a Messina:



"In un mondo in cui lottare per la libertà è un crimine, l'innocenza è forse ciò che di peggio possa capitare ad un essere umano"
 
“La nostra esistenza è sotto il minimo che l'essere umano richiede. Impariamo il rischio del vivere e l'avventura del lottare: unica possibilità per non essere tombe viventi, pagine malscritte di una inutile storia”
(da un volantino comontista)

Credo sia giunto il momento di rompere il silenzio in cui sono rimasto, in attesa della fine del primo tempo di questa farsa giudiziaria. Dal 31 agosto sono agli arresti domiciliari per un'aggressione mai avvenuta ai danni di un vigile. Il 24 settembre il giudice ha così sentenziato: 10 mesi per me, senza benefici, e 6 mesi per Irene, pena sospesa.

Certo non sono in una cella, ho le comodità di una casa, non sento, tutte le sere, la chiusura della porta blindata e le gelide mandate di chiavi a monito della mia condizione. Ma il corpo subisce comunque le ristrettezze obbligatorie e l'amputazione del movimento.Tramite il controllo sui corpi il capitale aspira al dominio totale sulle vite degli individui, rendendoli sempre più automi e sempre meno autonomi. In questa prospettiva il carcere, la psichiatria, l'ideologia del lavoro, l'urbanistica, sono alcuni degli strumenti di cui esso si dota per realizzare il suo progetto di schiavitù.Si tracciano linee per indicarci dove e come vivere, come muoverci, cosa pensare, cosa dire. Bisogna chiedere sempre il permesso, uno spazio, un percorso, bisogna chiedere di avere in concessione una dignità. Viviamo in democrazia, si può parlare di tutto e pensare ciò che si vuole, purché tutto resti nell'ambito dello scambio d'opinione e del chiacchiericcio formale, ma quando le parole si sottraggono all'opinionismo e si trasformano in azione, quando i nostri desideri prendono forma, ma non sono i desideri che ci vengono concessi, quando il “sogno di mille cose” ci spinge ad agire, ecco che la repressione si abbatte, la catena viene tirata perché non dobbiamo varcare la soglia, il limite imposto. Per questo adesso subisco queste restrizioni, per aver tentato di varcare questa soglia.

Il 31 agosto eravamo davanti al tribunale, in presidio, per resistere, per opporci alla volontà repressiva di un consigliere comunale che chiedeva, a gran voce, l'intervento di polizia, psichiatria (T.S.O) e servizi sociali. Il suo intento era far sloggiare una donna accampata in un'aiuola, posta tra il tribunale e l'università, perché rovinava - a suo dire - il decoro di un luogo "prestigioso".I giornalisti pennivendoli locali, poi, hanno provveduto a far da eco agli anatemi.

Ma Il minimo per una persona senza casa è avere quantomeno una tenda sopra la testa.Certo, in una notte estiva puoi farne anche a meno e avere il piacere di dormire sotto un cielo stellato, ed ecco che il minimo può regalarti il massimo, se sai cogliere l'opportunità. Ma questa opportunità - un'aiuola e un cielo stellato- non puoi averla.Non è decoroso, non è civile.

C'è chi non sa guardare il cielo. “Vaglielo a spiegare che è estate, ma poi lo sanno ma preferiscono vederla togliere a chi va in galera”, o in un reparto psichiatrico, quei “decorosi” istituti dove l'uomo viene privato della dignità, l'umiliazione si chiama assistenza, gli abusi si chiamano cure e la segregazione ha il valore di riabilitazione fisica e morale.
Per tutta risposta, noi, che mal sopportiamo angherie e soprusi, abbiamo piazzato una tenda contro i T.S.O. e ogni autorità.Allora il consigliere e i giornalisti hanno gridato così forte da farsi sentire dalle solerti e "vigili" forze dell'ordine, che con la loro solita arroganza, tra minacce e intimidazioni, hanno tentato di sgomberare il presidio fino ad inventarsi un'aggressione pur di arrivare fino in fondo al loro intento repressivo.
La sentenza del tribunale è il sigillo posto su questo progetto di sopraffazione.Ad essere giudicata non è stata solo l'azione, ma tutto il nostro essere, lanciando un monito: ciò che fate, ciò che pensate, ciò che in sostanza siete, E' SBAGLIATO.Se qualcuno ancora pensa che da un'aula di tribunale possa uscire qualcosa di buono, una qualche giustizia, mi auguro si possa ricredere.

venerdì 16 ottobre 2015

Nuovi appuntamenti Ottobre

23 e 24 Ottobre altre due presentazioni del libro
"Elettroshock.La storia delle terapie elettroconvulsive e i racconti
 di chi le ha vissute.”
 a cura del Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud
 Edizioni Sensibili Alle Foglie.

 VENEZIA VENERDI’ 23 OTTOBRE
 c/o EX-Ospizio Contarini Occupato zona Santa Marta
 alle ore 21 Presentazione del libro

 PADOVA SABATO 24 OTTOBRE
 c/o MARZOLO OCCUPATA via Marzolo 4 quartiere Portello
 alle ore 18 Presentazione del libro


  per info:
 antipsichiatriapisa@inventati.org
 www.artaudpisa.noblogs.org 

sabato 10 ottobre 2015

Io sto con la pecora nera

Pubblichiamo uno scritto di Giuseppe Bucalo
“Ho partecipato qualche giorno fa a Bologna all’11° incontro di liberazione animale. Un’esperienza intensa ed emozionale di quelle che ti rappacificano con la specie umana.
Tante sono state le correlazioni e le scoperte reciproche che hanno sorpreso tanto me, quanto gli organizzatori dell’incontro, mostrandoci l’affinità e la contiguità fra le nostre lotte di liberazione.
Fra le tante somiglianze che ho trovato, mi ha colpito particolarmente sentire parlare,  nell’ambito della lotta contro la sperimentazione sugli animali, di un’antivivisezione “scientifica” e di una “etica”. Da quanto ho avuto modo di comprendere, la prima contesta essenzialmente con dati oggettivi e sperimentali l’efficacia e l’utilità della sperimentazione sugli animali come metodo di ricerca scientifica; la seconda rifiuta tout court ogni sperimentazione su/tortura/uso degli animali a scopi di studio indipendentemente dal fondamento scientifico o dell’utilità di tale pratica.
Qualcosa di molto simile succede nel campo della critica antipsichiatrica. Molte delle argomentazioni critiche portate avanti dal movimento antipsichiatrico al concetto di malattia mentale, di fatti, si muovono su un asse “scientista”. Si afferma in sostanza che “la malattia mentale non esiste” sulla base dell’evidenza che non esistono, ad oggi, prove di alcuna alterazione o base organica che determini i comportamenti, i modi essere e di pensare che la psichiatra diagnostica come “sintomi” di tale malattia. Ciò è certamente vero e, seppure a periodi riemerge una qualche teoria o “scoperta” del gene o delle cause biochimiche di quella o quell’altra “malattia mentale”, ad oggi gli studiosi più seri continuano a trattare la psichiatria come la cenerentola della moderna medicina scientifica.
Altri dicono chiaramente che, ove la psichiatria individuasse una o più cause organiche alla base di alcuni comportamenti indesiderabili e/o intollerabili, queste “malattie” finirebbero per uscire dall’ambito di sua competenza per passare a quella branca medica specialistica che è conosciuta come neurologia. Non sfuggirà che se l’ambito di azione della neurologia sono le “malattie del cervello”, gioco forza la psichiatria non si occupa di “malattie” che, nel senso classico, interessano quell’organo )o qualsiasi altro organo del corpo umano).
Ad essere “malato” in psichiatria non è il cervello ma la “mente”. Thomas Szasz molto argutamente sosteneva che parlare di “malattie mentali” come se indicassero dei fenomeni oggettivi o dei fatti concreti è come provare a tagliare il pane con delle “frasi taglienti”. Potremmo dire, come ho letto in un saggio sulla lobotomia in cui alcuni psichiatri definivano questa invasiva e distruttiva sperimentazione su esseri umani non consenzienti come un intervento chirurgico su tessuti cerebrali “apparentemente sani”, che la medicina psichiatrica agisca laddove non ci sia alcuna evidenza clinica di “malattia”.
L’evidenza che sembra interessare la psichiatria è essenzialmente quella del disturbo e del disordine personale, familiare e sociale che i suoi utenti rappresentano coi loro comportamenti e visione del mondo nell’ambito delle comunità sociali. Per questo la psichiatria e le sue pratiche assomigliano sempre più spesso alle pratiche carcerario-giudiziarie piuttosto che a quelle mediche. Per questo tutte le sue “pratiche” sono usate come strumenti di tortura nei paesi retti da regimi dittatoriali.
Negli anni, come tutti coloro che assumono e praticano l’idea che non ci sia alcuna malattia mentale, mi sono interrogato più volte sull’evenienza che la ricerca psichiatrica arrivi a descrivere i meccanismi cerebrali e biochimici che sottendono alle cosiddette “malattie mentali”. A differenza di altri io credo già, in maniera determinata, che ci siano certamente dei processi biochimici che permettono alle persone di vedere cose che altri non vedono e sentire cose che altri non sentono.
La questione dal mio punto di vista (che gli amici del movimento antispecista chiamerebbero “etico”) non è tanto confutare l’azione della psichiatria partendo dall’assunto, pur vero, della sua inconsistenza scientifica e dell’assenza del suo “oggetto”, ma quello di negare tout court qualsiasi azione coercitiva/curativa/repressiva che tolga senso e cerchi di controllare i pensieri, le emozioni e le scelte delle persone o che le releghi nel mondo del “patologico” piuttosto che in quello delle opportunità umane.
In altre parole si tratta di scegliere se vogliamo/possiamo fare a meno della nostra capacità di vedere attraverso, di sognare ad occhi aperti, di aprire le porte della percezione, di creare e continuare a stare laddove c’é il pericolo sapendo, con i poeti, che solo li nasce ciò che salva.

martedì 6 ottobre 2015

El Chivo

Chi ha a cuore il diritto all'autodeterminazione proprio di ciascun essere umano, sa che la strada maestra non è tanto rappresentarlo davanti ai poteri forti o, peggio ancora, come fa la psichiatria delle "buone pratiche", far passare tale diritto come una concessione benevola del tecnico illuminato che ne gestisce gli spazi di libertà.
Dovrebbe essere chiaro che dovremmo essere pronti, attrezzati e orientati piuttosto a sostenere materialmente chi autonomamente sceglie, in maniera più o meno condivisa dal suo contesto socio-familiare, di fare a meno della psichiatria e rivendicare il proprio diritto di scelta e la propria visione delle cose.
La "scelta" di Marcello è spesso una scelta obbligata per chi vuole rivendicare la propria autonomia di pensiero e il rifiuto di delegare altri nella gestione delle proprie relazioni e della propria vita. Negli anni abbiamo conosciuto decine di persone senza dimora che hanno "scelto" la strada pur di sfuggire al ricatto psichiatrico-familiare che attiva forme di sostegno sociale solo quale contropartita alla rinuncia da parte del soggetto della sua libertà di scelta e all'accettazione delle cure (e quindi della propria normalizzazione forzata).
La strada diventa scelta obbligata per chi rifiuta di "normalizzarsi" e non trova, nel contesto sociale, appoggi o risorse per poter vivere la propria vita a modo suo.
In questi lunghi anni di militanza antipsichiatrica mi sono convinto che le persone (in)seguite dalla psichiatria hanno bisogno certo di ascolto e di alleanza per far fronte al suo giudizio invalidante e alle sue pratiche repressive, ma soprattutto di risorse e opportunità per vivere da uomini e donne libere la loro vita senza sottostare a ricatti da parte dei propri "curatori" (sia che essi si presentino come "carcerieri" o come "liberatori").

Giuseppe Bucalo

domenica 4 ottobre 2015

In risposta al commento dell'altro giorno.

Il Camap nasce come strumento di divulgazione e informazione, dedicato alle persone che in qualche modo hanno subito o subiscono coercizione da parte della scienza psichiatrica.
Non usufruisce di contributi finanziari di nessun tipo da parte di chiunque. Non chiediamo nulla neppure per le nostre serate sull'antipsichiatria; al massimo gli organizzatori che ci ospitano decidono di conferire un rimborso spese per la benzina utilizzata per lo spostamento.
Chiunque può collaborare con noi ed è il benvenuto per qualsiasi contributo, consiglio o critica.
Chiariti questi punti, vorrei solo precisare che il nostro blog e tutte le attività collaterali da noi svolte (anche quelle che per svariati motivi non possono essere qui pubblicizzate) riguardanti psichiatria e antipsichiatria, non fanno parte in alcun modo di un contratto di lavoro. Il tutto si svolge in forma volontaria e spesso anonima, per rimarcare la nostra appartenenza a un collettivo e non per paura di "metterci la faccia". Tanto più che all'interno del collettivo c'è gente che letteralmente cammina sul filo del rasoio e rischia il posto di lavoro per le proprie lecite posizioni critiche.
Nel bell'incontro di ieri a Bergamo, a cui abbiamo avuto modo di partecipare, "anonimo" (non cito il tuo vero nome per rispetto della tua privacy, visto che non ti sei firmato neppure l'altro giorno) ha molto criticato il nostro modo di operare con chi vorrebbe avvicinarsi al Camap come volontario. E infatti di questo si tratta: di una persona che vorrebbe collaborare con noi e che non ha trovato la giusta serietà nel nostro modo di agire. Scusate l'ennesima precisazione, ma ci teniamo a rimarcare il fatto che noi rispondiamo SEMPRE alle richieste d'aiuto. Forse non saremo in grado di dare soluzioni (quanto ci piacerebbe!), ma una risposta tramite mail o cellulare quella sì che la forniamo. Non è molto, ma in molti casi fa la differenza.
Detto questo, faremo tesoro delle critiche che ci sono state mosse, un pò meno delle possibili soluzioni e degli insulti che abbiamo ricevuto. Sono anni che operiamo in questo modo e le persone che partecipano al nostro collettivo hanno carta bianca per fare ciò che vogliono, proprio perchè al contrario della psichiatria, noi ci fidiamo delle persone. Tanto più di chi collabora attivamente con noi e che ha molte più "palle" di chi lo critica (uso lo stesso termine che potete trovare nel commento).
In conclusione, come collettivo non abbiamo la minima intenzione di cambiare il nostro modo di operare o mettere in discussione le persone che fanno parte attivamente della nostra realtà. Se il nostro modus operandi non è di gradimento a qualcuno, fortunatamente esistono tante altre realtà antipsichiatriche, altre porte a cui bussare insomma.
Mi sembrava giusto rispondere, visto che è quello che facciamo sempre e comunque con tutti, ovviamente non alle offese.
Con queste righe spero di aver chiarito eventuali dubbi, soprattutto a chi da anni segue la nostra attività e si fida di noi.

E poi: non si può sempre piacere a tutti, no?
Ce ne faremo una ragione...

A nome del Camap,
Gabriele Crimella.

Giustizia: salgono a 109 gli internati Opg che hanno ricorso per "detenzione illegittima"

di Teresa Valiani

globalist.it, 29 settembre 2015

L'associazione "L'altro diritto" ha già raccolto 109 istanze dai pazienti di tre delle cinque strutture ancora aperte. "Violata la costituzione".
Raggiunge quota 109 il piccolo esercito di internati che dagli Ospedali Psichiatrici Giudiziari sta dichiarando guerra allo Stato. L'ultima ondata di ricorsi arriva dall'Opg di Reggio Emilia: 24 istanze per detenzione illegittima, cioè sequestro di persona. "Pressoché la totalità dell'istituto - commenta Emilio Santoro, presidente dell'associazione L'Altro Diritto - se si considera che i pazienti in totale sono 27 e che il giorno del nostro ingresso un internato era in ospedale e solo due persone non hanno voluto sottoscrivere le istanze".
Impegnata in una battaglia "contro la detenzione illegale dei pazienti ancora reclusi negli Opg", negli ultimi tre mesi L'Altro Diritto ha raccolto 58 ricorsi dall'Opg di Montelupo Fiorentino, 27 da quello di Barcellona Pozzo di Gotto e 24 a Reggio Emilia. Con tre sole strutture sulle cinque ancora aperte (Mancano Aversa e Napoli) è stata cioè raggiunta quasi la metà del totale degli attuali 226 internati.
"Dall'1 aprile 2015 gli internati non devono essere più ristretti negli Opg bensì nelle Rems, le Residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza - prosegue Santoro. Il cambio non è nominalistico: le Rems sono strutture senza polizia penitenziaria, senza un direttore appartenente all'amministrazione penitenziaria, insomma non sono carceri travestiti da ospedali, ma ospedali in senso proprio. La violazione dell'art. 13 della Costituzione è evidente e preoccupante". L'Altro Diritto ha investito della questione la magistratura di sorveglianza aiutando gli internati a redigere le istanze con le quali si denuncia l'illegittimità della detenzione.
"Per il nostro ufficio si tratta dei primi reclami - spiega il presidente del tribunale di sorveglianza di Bologna e Reggio Emilia, Francesco Maisto. Quello di Reggio Emilia è l'Opg più piccolo d'Italia nel senso che ospita il numero di internati minore rispetto alle altre strutture del territorio nazionale. La percentuale delle istanze è notevole, se si considera il totale della popolazione. Come capo dell'ufficio provvederò ad assegnare subito i casi ai magistrati competenti in modo che la loro trattazione avvenga nel più breve tempo possibile. È un'iniziativa lodevole quella dell'associazione L'Altro Diritto, sempre sensibile alla questione del trattamento delle persone recluse a qualsiasi titolo e attenta, soprattutto, alla tutela del diritto alla salute".

Che succede quando queste istanze arrivano sui vostri tavoli?
"Succede che il magistrato al quale viene assegnato il caso instaura un vero e proprio procedimento: da una parte c'è l'interessato, coadiuvato dal suo tutore e dal suo difensore, dall'altra c'è lo Stato, c'è l'amministrazione penitenziaria, che viene rappresentata dall'avvocatura dello Stato. Il procedimento inizia con una citazione in giudizio, si fissa l'udienza e, nel corso di questa, si sente l'interessato, si ascoltano le sue ragioni e il parere del pubblico ministero. Segue un'ordinanza che a seconda della situazione accoglie il reclamo o lo rigetta. Nel caso in cui l'istanza sia accolta, il giudice dispone che l'amministrazione penitenziaria abbia una certa condotta. Nei giudizi di questo tipo, se la parte che è inottemperante è una regione che non ha realizzato la Rems, il magistrato cita in giudizio anche la regione. Come esito del giudizio, il magistrato può condannare la regione a ospitare l'internato in una Rems. E se la Rems non c'è, la regione la deve realizzare. Per l'eventuale sequestro di persona, invece, procede la procura della Repubblica del tribunale competente per territorio".

Perché ci sono ancora internati negli Opg? Da dove arrivano i ritardi?
"C'è un ritardo non solo da parte delle regioni, per le Rems, ma anche a livello di amministrazione centrale, nel senso che la legge 81 ha indicato dei termini che sono stati abbondantemente superati. Non è solo una questione organizzativa, ma di tutela del diritto alla salute perché le Rems non sono la semplice alternativa all'Opg, ma realtà completamente diverse. Dalla legge vengono qualificate come strutture sanitarie. E non sono comunque la sola alternativa. L'obiettivo è sempre il programma terapeutico individualizzato e, dove possibile, il ricovero in vista di una sistemazione futura: in una famiglia, in una comunità protetta e così via".

Lei coordina il tavolo 10 degli Stati generali dell'esecuzione penale, proprio quello che si occupa di sanità e salute mentale. A quali conclusioni state arrivando?
"Abbiamo superato il primo step con la raccolta da parte di tutti gli esperti delle segnalazioni sulle criticità del sistema penitenziario. Ci ritroveremo il primo ottobre per fare la sintesi e indicare le prospettive di carattere organizzativo e normativo. È emerso un quadro molto deludente perché le aspettative che si erano create legittimamente con il passaggio al servizio sanitario nazionale risultano realizzate molto parzialmente. C'è poco movimento in avanti per assicurare maggiore tutela del diritto alla salute. Le maggiori criticità arrivano da quelle regioni in cui il passaggio non è stato mai realizzato, dalle regioni in cui non c'è alcuna parvenza di tele medicina, soprattutto dove gli istituti sono molto lontani dai centri ospedalieri".
fonte: www.ristretti.org

lunedì 28 settembre 2015

BERGAMO SABATO 3 OTTOBRE

c/o Kascina Popolare Autogestita in via Ponchia 8, zona Monterosso
alle ore 18 dibattito

''Cambiare tutto per non cambiare niente: due giornate di dibattito
aperto sull'attualità psichiatrica italiana, fra vecchie e nuove forme
di manicomio'' e presentazione del libro
"ELETTROSHOCK. La storia delle terapie elettroconvulsive e i racconti di chi le ha vissute."
a cura del Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud, ed. Sensibili alle Foglie.

Alle ore 20:30 Cena benefit Underground
Dopo cena proiezione video “Pietro” di A.Valente una lucida testimonianza sull’elettroshock

per info:
antipsichiatriapisa@inventati.org
www.artaudpisa.noblogs.org

giovedì 24 settembre 2015

Torino sab 26/09: CORTEO CONTRO SGOMBERI E MANICOMI

Torino Sabato 26 dalle 15 in Piazza XVIII dicembre
CORTEO contro sgomberi e manicomi 

NE' MANICOMI! NE' PSICHIATRIA!
DIFENDIAMO IL BAROCCHIO SQUAT

Il Barocchio squat, storica occupazione torinese che 24 anni fa ha strappato al degrado e all'abbandono un'antica cappella e una cascina nel comune di Grugliasco per renderla un'officina di pratiche libertarie, di autogestione e di condivisione, è a rischio di sgombero.  Secondo infatti un progetto della Regione, accolto dall'ASL TO3 e dal comune di Grugliasco, la Comunità psichiatrica omonima e ad esso adiacente sarà trasformata in REMS (Residenza per l'esecuzione delle misure di sicurezza), e tutta l'area limitrofa sarà bonificata in funzione del nuovo carcere psichiatrico. La legge n. 81/2014 che ha sancito la chiusura degli OPG  (Ospedali psichiatrici giudiziari) dal 31 marzo di quest'anno prevede proprio che questi vengano superati dalle REMS, ossia dei miniOPG (max 20 posti letto) in ogni regione affidati a personale sanitario. Non solo ad oggi i 6 OPG (Castiglione delle Stiviere,Reggio Emilia, Montelupo fiorentino, Napoli, Aversa e Barcellona Pozzo di Gotto),  teatro per anni di torture ed abusi di ogni genere, sono ancora aperti, ma si procede con l'apertura di nuovi manicomi criminali, magari più accoglienti, come se il manicomio fosse un luogo e non un concetto, quello del "folle" incurabile, pericoloso e irresponsabile da isolare dalla società e da rinchiudere per sempre. Tale focalizzazione sul soggetto che compie il reato, più che sul reato stesso, ha una diretta discendenza dal positivismo e dalle teorie di Cesare Lombroso, e diversi esempi nel corso della nostra storia, dai lager nazisti, ai moderni CIE, campi rom e misure di sorveglianza speciale.
Il concetto di pericolosità sociale, alla base di queste istituzioni, è uno strumento di repressione, segregazione ed eliminazione, volto da sempre a  preservare il potere e la comunità da comportamenti deviati, non conformi e antagonisti.  Se di riforma dei manicomi criminali si può parlare, così come negli anni dei manicomi "classici" e del sistema penitenziario, questa si inscrive in un programma sociale che il potere sta attuando sul territorio finalizzato ad un capillare controllo e ad una maggiore repressione, per il quale si serve - come da sempre nella storia - della psichiatria e del manicomio, e di una loro diffusione, grazie anche all'ausilio della moderna psicofarmacologia.
Rems, comunità terapeutiche, cliniche psichiatriche, case-famiglia, repartini sono i "nuovi" luoghi della psichiatria, dove continuano a perpetrarsi  lo stesso concetto di "malattia mentale", le stesse cure e trattamenti, e le stesse pratiche coercitive. E ad essi si aggiungono i CIE, in cui gli psicofarmaci sono addirittura nascosti nel cibo, al fine di controllare chimicamente i reclusi per ragioni di sicurezza; le carceri, all'interno delle quali vengono somministrati ansiolitici, sedativi e tranquillanti in maniera massiccia, e che vengono dotati  di reparti di osservazione psichiatrica; le scuole, attraverso test e screening per individuare preventivamente la "malattia" e indirizzare le famiglie verso una tempestiva "cura". La psichiatria infatti attraverso le sue diagnosi dice di "curare" i comportamenti "anormali", e, sulla base di un pregiudizio e di un parere del tutto arbitrario sul modo di pensare e di agire delle persone, ha la possibilità, attraverso l'obbligo delle cure e i TSO (trattamenti sanitari obbligatori), di sequestrare, rinchiudere e torturare le persone. A volte anche di ucciderle, come è successo ad Andrea Soldi, colpevole di non aver voluto sottoporsi alla mensile iniezione a lento rilascio di haldol - un potente e dannoso neurolettico, che provoca dipendenza e gravi effetti collaterali -, e di aver quindi preso una libera scelta su come volersi curare per stare meglio, e per questo brutalmente strangolato dalla squadra mobile dei vigili urbani il 5 agosto su una panchina di Piazzale Umbria, a cui si era aggrappato per sfuggire all'ennesima cattura e violenza farmacologica.
Come possono i comportamenti delle persone, siano essi "anormali" e non comprensibili, così come il dolore e la sofferenza, essere giudicati "malattia"? Cosa differisce la "follia" dalla "normalità", se "normale" è uccidere delle persone o drogare dei bambini? Come può essere considerata "cura", riabilitazione e reinserimento sociale, ciò che avviene in maniera coercitiva, senza il consenso, la volontà e la libertà degli individui?
Vogliamo difendere il Barocchio Squat e gli spazi liberati, liberi e autogestiti
Vogliamo liberarci dalla psichiatria, creando spazi relazionali di condivisione di pensieri ed esperienze tutte, di crisi, conflitti e difficoltà, affinché le persone possano vivere, relazionarsi e confrontarsi liberamente, e si possa diffondere una cultura di libertà, solidarietà e valorizzazione delle differenze.


Siamo tutt* socialmente pericolos*
Assemblea antipsichiatrica riunitasi il 12 settembre 2015 al Barocchio Squat

giovedì 17 settembre 2015

SIAMO TUTTI SOCIALMENTE PERICOLOSI...

    BASTA MANICOMI  vecchi o nuovi che siano...
Chiudere gli O.P.G (ospedali psichiatrici giudiziari o manicomi criminali) senza cambiare la legge che li sostiene vuol dire creare nuove strutture, forse più accoglienti, ma all’interno delle quali finirebbero sempre rinchiuse persone giudicate incapaci d’ intendere e volere. La questione, insomma, non può essere risolta con un tratto di penna, non è sufficiente stabilire che quello che è stato non deve più essere, e pensare che il problema si risolva da sé.

Per abolire realmente gli OPG bisogna non riproporre i criteri e i modelli di custodia ma occorre metter mano a una riforma degli articoli del codice penale e di procedura penale che si riferiscono ai concetti di pericolosità sociale del “folle reo, di incapacità e di non imputabilità”, che determinano il percorso di invio alle REMS regionali(mini OPG,definite REMS residenze esecuzione misure sicurezza)

Viene ribadito, oltretutto, il collegamento inaccettabile cura-custodia riproponendo uno stigma manicomiale; dall’altro ci si collega a sistemi di sorveglianza e gestione esclusiva da parte degli psichiatri, ricostituendo in queste strutture tutte le caratteristiche dei manicomi. La proliferazione di residenze ad alta sorveglianza, dichiaratamente sanitarie, consegna agli psichiatri la responsabilità della custodia, ricostruendo in concreto il dispositivo cura-custodia, e quindi responsabilità penale del curante-custode.

Tanti dei promotori della legge 81, appartenenti all'area della psichiatria che si autoproclama “democratica, alternativa e comunitaria”, pensano ancora che il manicomio sia esclusivamente una struttura chiusa ma in realtà il manicomio è una logica psichiatrica ben presente anche oltre alle pareti delle strutture, in ogni luogo dove la psichiatria è presente. La logica manicomiale può essere contrastata solo nel momento in cui si punti il dito sulla natura stessa della psichiatria, pseudoscienza finalizzata al controllo sociale e non certamente ad affrontare le cause delle numerose problematiche esistenziali che molti soggetti incontrano nella propria vita.
La psichiatria è professionalmente abile nel classificare tali condizioni esistenziali o vissuti
in sintomi di una fantomatica “malattia mentale” i quali a loro volta saranno oggetto della “terapia farmacologica”ovverosia sostanze psicotrope legalizzate in grado di cancellare il sintomo del disagio ma non ad affrontare la causa del conflitto con se stessi o con il mondo che ci circonda, troppo spesso indifferente e opprimente.
Sulla base dell' esperienza quotidiana dei Telefoni Viola, riteniamo doveroso smascherare quotidianamente le pratiche definite di “cura e riabilitazione” che in realtà sono escludenti, spersonalizzanti e coercitive. Per esempio il T.S.O(trattamento sanitario obbligatorio, ovverosia una delle pratiche più violente e traumatiche per chi lo subisce) è spesso adoperato come minaccia per i “pazienti” che hanno intenzione di allontanarsi dalle “cure” a loro abusivamente imposte.

Pensiamo che la critica radicale alla psichiatria debba affrontare l'argomento al lato pratico

Continueremo a sporcarci le mani nel rendere sempre più agibili i percorsi di chi esprime la volontà di liberarsi una volta per tutte dalla morsa psichiatrica.
Continueremo sempre con maggior tenacia ed impegno ad offrire un concreto sostegno umano,legale e medico a chi lo riterrà opportuno in pieno rispetto della libertà e della dignità dell'individuo.

Fin quando non si avrà la volontà di cancellare dal codice penale la cosiddetta “pericolosità sociale” i giudici sulla base dell'”incapacità di intendere e volere” definita da un perito psichiatra all'interno di un processo penale, applicheranno una “misura di sicurezza detentiva” ovverosia un internamento nelle REMS o “non detentiva”(libertà vigilata) con la presa in carico troppo spesso vitalizia e asfissiante dei servizi psichiatrici territoriali (collocati presso comunità psichiatriche o seguiti a livello ambulatoriale e centri diurni).

La psichiatria sta gradualmente mutando la sua immagine esteriore, affinché possa predisporre servizi, in primis le REMS, più accettabili dall'opinione pubblica ben contraria alle situazioni di estremo degrado riscontrate negli anni scorsi all'interno degli OPG.
Rimbiancare le pareti o le mura di cinta, sostituire le inferiate con vetri antisfondamento e capillari sistemi di sorveglianza, sostituire le porte blindate con alti dosi di psicofarmaci e l'uso dei letti di contenzione, diminuire il numero delle persone internate, sostituire l'ergoterapia ovverosia il lavoro imposto nei vecchi manicomi alle “attività occupazionali terapeutiche”(solo efficaci nel sopportare il misero e lento trascorrere del tempo) sostituire le divise della polizia penitenziaria con le divise della sicurezza privata,i camici bianchi dei “medici” e degli operatori sanitari (oltre a un numero insignificante di figure educative troppo spesso appartenenti alla ciurma dei sorveglianti), sono tutte misure utili a mistificare la conservazione dello status quò.

Emblematico è il caso dell'ex OPG di Castiglione delle Stiviere(Mn)...
Non sarà un cambio di targa all'ingresso del manicomio (sistema polimodulare rems provvisorie) a modificare sostanzialmente la vita dei soggetti reclusi in questi luoghi di sofferenza dove la sottomissione dell'individuo alle denigranti regole del manicomio sono obiettivi terapeutici...ma solo per chi li impone o li fa diligentemente rispettare.
Numerose sono le restrizioni di natura carceraria dettate per “motivi di sicurezza” incomprensibili e denigranti a cui sono quotidianamente sottoposti i reclusi, tra cui le perquisizioni che si verificano al rientro in “reparto” dopo un incontro con familiari/amici e la non possibilità di usufruire liberamente di un telefono, oltre alla totale assenza di predisposizione del personale a fornire un concreto supporto emotivo sulla base di un necessario ascolto e una reale comunicazione con la persona ormai da tempo declassata come “malata mentale”.

Purtroppo queste dinamiche si replicano in modo capillare anche nei contesti gestiti direttamente o indirettamente dai servizi psichiatrici territoriali.

Riguardo a una reale abolizione dei manicomi criminali, OPG o REMS che siano pensiamo che sia strettamente necessario definire un preciso percorso che prenda in considerazione alcuni passaggi che riportiamo:

obiettivi.generali
1. abolizione delle norme che regolano il proscioglimento per vizio totale di mente.
Ciascun individuo va ritenuto sempre pienamente responsabile delle sue azioni e ha diritto ad essere giudicato secondo le norme vigenti, mantenendo tutti i diritti propri della difesa.
2. superamento dell'uso, nell'ambito del processo penale, della perizia psichiatrica
3. abbandono, in quanto arbitrario, del giudizio di pericolosità sociale


obiettivi intermedi
1. Per i soggetti prosciolti per “vizio totale di mente”: equiparazione tempo massimo della misura di sicurezza (detentiva e non detentiva) in atto, al massimo della pena prevista per il reato di cui l'individuo è accusato. La normativa in vigore effettua questa equiparazione solo per quanto riguarda la misura di sicurezza detentiva per cui nessun soggetto internato in una Rems può permanere nella struttura per un periodo superiore a quello previsto come massimo della pena per il reato commesso.
Ciò non vale per quelle forme di controllo più “soft”(ma non per questo meno liberticide) come la “libertà vigilata”(con l'obbligo di domicilio presso la propria abitazione o presso strutture psichiatriche,il rispetto di prescrizioni che limitano la libertà della persona e obbligano a seguire le “cure” predisposte dal DSM (dipartimento salute mentale).
Ad oggi tale misura di sicurezza può estendersi all'infinito.
2. Uilizzo dei fondi individualizzati (budget di salute) previsti dalla normativa per facilitare la fuoriuscita dal circuito giudiziario, ad accesso diretto degli interessati, per la realizzazione di percorsi di reinserimento sociale proposti dagli stessi all'autorità giudiziaria.
I fondi dovrebbero essere gestiti dagli enti locali(Servizi sociali) invece che dai DSM.
Trasformazione dei “bugdget di salute” in "budget di vita indipendente" ed estensione degli stessi "aiuti" a quanti  sono in procinto di fuoriuscire dal circuito carcerario,in prospettiva di una piena e consapevole indipendenza dell'individuo riguardo le scelte terapeutiche.

Liberiamoci dai manicomi, liberiamoci dalla psichiatria !

Telefono Viola di Bergamo,Piacenza e Reggio Emilia
Centro di Relazioni Umane -Bologna
Collettivo antipsichiatrico Camap- Brescia

settembre 2015 per contatti: antipsichiatriapc@autistici.org