Riporto l'articolo integrale del professor Barbetta, comparso su "Il manifesto" e riguardante Freud e l'interpretazione dei sogni. Di sicuro interesse, oltre all'argomento trattato anche per la critica, più o meno velata, alle ultime tendenze psico-tecnologiche tendenti a ridurre il sogno ad un ammasso di connessioni neuronali senza senso.
Ma se così realmente fosse, perchè perderemmo tempo a creare un filo logico che le unisce? Non sarebbe molto più semplice sognare immagini a caso?
Buona lettura.
Veronika
La monografia botanica
Ciò che è stato scritto sul sogno - ben prima di Freud e dopo Freud - è tutto quanto ci si possa figurare. La prima caratteristica del sogno, e del discorso sul sogno, è la loro parallela proliferazione. L'eccesso che non può mai esser catturato.
Le considerazioni di Freud (L'interpretazione dei sogni) riguardano i modi dell'interpretazione (in tedesco, Deutung). Si è molto parlato di condensazione e spostamento, ritenuti, in un certo senso, essenziali. Invero Freud complica assai di più la questione, ma il resto è spesso trascurato. Condensazione e spostamento sono facilmente codificabili, possono essere resi essenziali. Resistere alla tentazione di proporre un mondo onirico semplificato, a misura di manuale clinico, è difficile.
A scuola impariamo che condensazione e spostamento si possono collocare rispettivamente nei meccanismi della metafora e nella metonimia.
Partiamo da un sogno di Freud: la monografia botanica. “Ho scritto una monografia su una specie (lasciata imprecisata) di pianta. Il libro mi sta davanti, sto voltando una tavola a colori ripiegata. All'esemplare è allegato un campione secco della pianta” (L'interpretazione dei sogni, p. 265.)
Nella condensazione si riconosce l'elemento più vistoso del sogno: la botanica. Freud sviluppa alcuni pensieri, partendo da associazioni con la propria biografia. Ricorda, tra le altre cose, il suo saggio sulla cocaina e fa una serie di considerazioni intorno al successo dei suoi colleghi che hanno saputo sfruttare meglio di lui le sue scoperte. Emerge un rimprovero verso la propria incapacità a usare le scoperte in senso applicativo, in virtù dell'abitudine a sacrificarsi troppo alle passioni teoriche.
La trama d’insieme va letta direttamente dal testo, si tratta di un intreccio narrativo complesso, che non è possibile riassumere in poche righe. Tuttavia, da una lettura semplificata, emergerebbe l’essenza, il significato vero: la controversia che ha permesso a Karl Koller, suo collega, di ottenere successo presentando una relazione sulla cocaina come anestetico oftalmico a un congresso. Questo parziale nucleo narrativo si sviluppa intorno ai nomi di altri personaggi, che hanno favorito l’esito di Koller: Gartner - Giardiniere, guarda caso - e la moglie di Gartner, donna florida.
Tuttavia l’aspetto essenziale emerge da un rimprovero dell’analista Freud al paziente Freud. Troppe passioni, per far carriera bisogna stare con i piedi per terra.
Lo spostamento avrebbe forma analoga alla metonimia. Il termine botanica sta al posto di qualcos’altro. E’ chiaro, scrive Freud, che la botanica non è una mia passione, mentre la controversia riguardo ai colleghi sì. Botanica sta per controversia, incapacità a sfruttare le applicazioni di una scoperta – diversamente è accaduto a Koller! – di nuovo, troppa passione teorica, poca concretezza.
Se seguiamo questa pista, così sicura, il rimprovero piccolo borghese di non stare coi piedi per terra proviene dal Freud psicoanalista, non dal Freud paziente. La tendenza a seguire le proprie passioni trascurando la carriera è, per alcuni seguaci della psicologia dell’Io, un sintomo di debolezza del funzionamento dell’Io. Questo si può imparare da una piccola lezione accademica. Il sintomo del paziente Freud consiste nella tendenza a concedersi troppo alle passioni speculative, senza tenere i piedi per terra, l’incapacità a sfruttare le vie del successo. Freud non è un self-made-man.
Sfortunatamente questa lezione è insufficiente. Come segnalatoci da Freud, nel sogno è sempre presente una quota di sovradeterminazione. Manca sempre qualcosa. A differenza di molti dei suoi successori, Freud è consapevole degli infiniti mondi possibili emergenti da questo, come dagli altri sogni. Che cosa intende Freud quando parla di sovradeterminazione? Leggiamo: “Non solo gli elementi del sogno sono più volte determinati dai pensieri del medesimo, ma anche i singoli pensieri sono rappresentati nel sogno da più elementi. Il percorso delle associazioni conduce da un elemento del sogno a più pensieri del medesimo, da un pensiero a più elementi.” (Ivi p. 267).
In senso stretto, è impossibile codificare e decifrare un sogno. Il sogno somiglia a una degenerazione surrealista.
Strutturalismo e neurofisiologia
Dal lato del cervello, in un saggio di Endel Tulivin e Martin Lepage - intitolato Where in the Brain Is the Awareness of One's Past? (Dove sta la memoria del passato nel cervello?) apparso nel libro (Memory, Brain and Belief, Harvard University Press, 2000) curato da Daniel Schacter (Psicologo) ed Elaine Scarry (Studiosa di Letteratura) – gli autori osservano: “É sorprendente come i due emisferi del cervello sembrino impegnati in una sorta di divisione del lavoro in cui la parte sinistra lavora molto per codificare, mentre la destra sembra esser più investita nel ritrovamento.” (p. 209).
Codificare un episodio - reale e, a maggior ragione, onirico - è un processo eterogeneo e differente rispetto a ritrovarlo. C'è asimmetria tra i due processi. Il ritrovamento è un tipo di attività eterogenea alla codifica, investe la costruzione del significato. Non ricordo esattamente ciò che è accaduto, lo esprimo raccontandolo all'altro. A rigore, seguendo Wittgenstein (“non esiste un linguaggio privato”) si potrebbe sostenere che il sogno è il racconto onirico, né più, né meno. Linea di derivazione senza un significato prestabilito, delirio, non metafora.
Ci sono almeno due modi di studiare i sogni, tra loro del tutto eterogenei. Il primo concerne la neurofisiologia del sogno - che giunge fino alla comprensione dei meccanismi di ritrovamento del ricordo onirico, prima della sua espressione significante – il secondo riguarda la costruzione della narrazione di fronte all’altro. L'alleanza tra una concezione di localizzazione delle funzioni cerebrali e la linguistica strutturalista ha fornito l'idea che i sogni si possano spiegare, o interpretare, in modo biunivoco. Così la relazione tra botanica e controversie tra colleghi dà vita al sintomo. Il paziente Freud è troppo passionale, non sta coi piedi per terra, non sfrutta le vie del successo.
L’ipotesi di Foucault
Al contrario di quanto riferito sopra, nel sogno si tratta di capovolgere il monito di Amleto a Orazio: ci son più cose nel sogno, che in cielo e in terra. Tutte queste cose si esprimono nella relazione. Perché ci sia racconto onirico - tutto ciò che si può immediatamente riconoscere nella relazione - è necessaria la presenza dell'altro. Inoltre l'altro cui è raccontato il sogno non è indifferente. A lei/lui il sogno è indirizzato. Il medesimo sogno si può raccontare a un terapeuta, in un gruppo, in famiglia, agli amici, a una persona amata, a un insegnante oppure a un censore, un capo, un aguzzino, un torturatore. Il racconto sarà diverso, i pensieri pure. Nell’espressione il sogno non è più soltanto mio, è un’esperienza terza che si colloca tra me e l’altro.
Nel 1954 Michel Foucault scrive l'Introduzione all'edizione francese del saggio di Ludwig Binswanger Sogno ed esistenza. Foucault rilegge il racconto onirico attraverso il confronto tra il piano linguistico e quello immaginario, propone un argomento che perdurerà durante l’arco della sua vita: tra linguaggio e immagine c'e una radicale irriducibilità, non esiste descrizione dell'immagine che possa esaurire la potenza espressiva di questa e, all’opposto, la potenza espressiva del linguaggio non sarà mai catturata interamente dalle immagini. Il sogno è immerso in un orizzonte semiotico la cui traccia si manifesta in forma immaginaria. Ciò che dico quando racconto un sogno è la descrizione di qualcosa di vago, opaco, poco decifrabile. Tolgo dall'ambiguità una sensazione, la trasformo in esperienza immaginativa - spesso enigmatica e oscura - cui cerco di dar senso davanti all’altro. Traccia, immagine, linguaggio non li trovo già separati, come nel triangolo semiotico. Mi si presentano come agglutinati e mutevoli, come una pellicola cinematografica deteriorata, da restaurare. Come dice Mastro Geppetto a proposito della vocina che esce dal pezzo di legno: “Si vede che me la sono figurata io”.
Foucault ci invita a passare da una linguistica strutturale del sogno (che considera essenzialmente condensazione e spostamento) a una semiotica del sogno, che comprende le effigi di raffigurazione, le analogie, i contrasti, le incoerenze, le premesse condizionali, i sogni nel sogno, i pensieri nel sogno, le elaborazioni secondarie, ecc.. In una parola le proliferazioni oniriche irriducibili all’interpretazione.
Perché? Perché se il sogno diventa codificabile, allora è materiale per la diagnosi e la semiotica si trasforma in semeiotica medica, diade referenziale. La connessione biunivoca tra l'elemento del sogno e il pensiero sul sogno diventa sintomo da decifrare al servizio di una finalità cosciente: comporre un quadro diagnostico per il trattamento. È lecito? Ci si accomodi, ma non si racconti che si tratta di psicoanalisi o di psicoterapia, a meno che non s’intenda inserirle nel campo della medicina che produce guarigione facendo sparire i sintomi.
Qui dunque si tratta di discutere questa tendenza diagnosi/trattamento/guarigione, presente in alcuni testi di Freud, quelli in cui cerca di stabilire la patologia dell’autore partendo dall’analisi dell’opera d’arte (noti come patografie), oppure nei tentativi di imporre alla paziente Dora interpretazioni da lei rifiutate. Nel caso Dora il sintomo isterico era codificato nel conflitto tra il desiderio del Padre e la censura che si manifestava nelle reazioni alle avances del signor K.
La relazione coinvolge entrambi
È chiaro che chi pensa a una corrispondenza strutturale, del tipo descritto sopra, avrà pure l’idea di un’interpretazione giusta, che qualcuno ha paragonato all’infallibilità del Papa. Ci si trova di fronte a teorie certe, a supposti saperi, ai quali il terapeuta attinge, per così dire, dall’esterno. Questa messa in sicurezza del sapere impone un confronto con la scienza - così com’è pensata nell’orizzonte positivista - in modo irrimediabilmente perdente. Se apparentemente il terapeuta infallibile sembra dominare la scena, in realtà, come il clown Augusto, si pone in una posizione strategica che gli impedisce la relazione con l’altro. Freud fu grande non perché infallibile, al contrario commise errori, e soprattutto attraversò spesso condizioni di radicale vulnerabilità. In primo luogo era un ebreo nell’Europa antisemita.
Michael Billig, in un’opera tradotta in italiano col titolo L’inconscio freudiano (Utet, 2002) propone una lettura politica della relazione terapeutica tra Freud e Dora: “Dora incontra Freud nel momento di maggior tristezza e isolamento, mentre sperimenta un amaro senso di rifiuto da parte della società austriaca tradizionale o cristiana” (p. 288). Si tratta degli anni in cui Karl Lueger è sindaco a Vienna con un programma dichiaratamente antisemita. Billig propone un’altra serie di possibili interpretazioni dei sogni di Dora (giovane ebrea) alla luce della questione assimilazione/differenziazione, che il mondo ebraico stava attraversando a cavallo tra i secoli diciannove e venti. Non c’è spazio per elencarle.
Tuttavia anche una rilettura del sogno della monografia botanica, come di moltissimi altri sogni di Freud, non guasta. La monografia botanica ci rivela anche che chi ha avuto il successo accademico e clinico sperato da Freud era cristiano, che Freud non aveva da rimproverare a se stesso di non essere capace di sfruttare il successo, bensì di non rendersi conto di cosa stava accadendo in Europa nel cinquantennio tra il 1894 e il 1945. È là che abita l’inconscio! Non nell’incapacità di adattarsi alle adulazioni piccolo borghesi. Là la psicoanalisi trovava una forte resistenza ad affermarsi, bollata come psicologia ebraica.
Una rilettura completa dell’Interpretazione dei sogni, alla luce della questione ebraica, ci sta dicendo qualcosa di nuovo sull’Inconscio freudiano. La psicoanalisi è debitrice al mondo classico –ebraico in particolar modo – dell’importanza di ciò che potremmo chiamare la tradizione onirica, cercare il senso della vita nei sogni. Gli attacchi contemporanei contro la psicoanalisi, per una tecnologia del cervello che si sbarazzi della filosofia, dell’antropologia, delle scienze sociali, somigliano, nella forma e nel contenuto, all’attacco subito dalla psicoanalisi come psicologia ebraica tra i due secoli passati, ma trovano argomenti forti di fronte a una parte della psicoanalisi così sprovveduta da non comprendere che la sua epistemologia è identica a quella dei suoi detrattori.
Ecologia del sogno
Il sogno è esperienza afinalizzata per eccellenza, come e più ancora del gioco infantile. Un’esperienza che, quando accade, s’impone, sta fuori dal controllo. Gregory Bateson ci insegnò che uno dei rischi maggiori per l’ecologia della mente - e del paesaggio - è la finalità cosciente. La convinzione, diffusa in Occidente, di poter operare sul mondo, interno o esterno, attraverso un progetto finalizzato è, sosteneva Bateson, antiecologica. L’idea di Bateson è che la vita sia caratterizzata dalla proliferazione di linee di derivazione imprevedibili, di derive. La vita si nutre della rêverie, (termine francese intraducibile, che non indica solo il sogno, in senso stretto) ove hanno posto le angosce, le inquietudini, i pensieri pericolosi, che scaturiscono da queste derive; di modo che la brutalità, il disgusto, la paura, il terrore trovino un luogo che impedisca loro di presentarsi nella forma dell’azione reale. L’arte, il gesto teatrale, la musica, l’incanto poetico stanno dentro la rêverie. Gli antichi ci hanno insegnato che mettere in scena ciò che è terribile significa creare la possibilità di prenderne le distanze. Questo effetto in letteratura si chiama ironia, che non deride, ma torce la legge e permette di rivelarne il lato osceno, non perché lo agisce, ma perché ne mette in questione l’ovvietà, la banalità. Oggi si sogna e immagina sempre meno, ciò dovrebbe creare una certa preoccupazione. Se non si sognerà più, dove andranno a finire le nostre inquietudini?
Pietro Barbetta