lunedì 31 dicembre 2018

"Le case farmaceutiche hanno un ruolo nell’epidemia degli oppioidi"

Una sostanza, una droga, è considerata moralmente buona o cattiva a seconda di chi la produce e ne trae benefici economici. Se produco oppioidi, va bene; se produci cocaina, va male. Quando i britannici producevano oppio nelle loro colonie, quella sostanza era una cosa così buona che se l’imperatore della Cina decideva di vietarne l’ingresso nel paese gli si dichiarava la guerra per costringerlo a legalizzarne il commercio. Le “guerre dell’oppio” dell’ottocento puntavano a obbligare la Cina a consentire l’ingresso e la vendita dell’oppio sul suo territorio.
La “guerra contro le droghe”, in cui siamo impelagati da decine di anni, riflette un atteggiamento coloniale simile, non più da parte della regina d’Inghilterra ma da parte del presidente degli Stati Uniti.
Il 26 ottobre Donald Trump ha dichiarato che la crisi degli oppioidi negli Stati Uniti è “un’emergenza sanitaria”. Per non dover spendere soldi per i tossicodipendenti ha deciso di stracciarsi le vesti, evitando però di dichiarare che la morte di decine di migliaia di suoi concittadini è “un’emergenza nazionale”, nel cui caso sarebbero automaticamente state stanziate delle risorse per combattere l’epidemia. In questo modo il presidente ha fatto una dichiarazione a costo zero facendo più o meno una bella figura con le sue parole sentimentali.
Responsabilità analgesiche
Trump ha approfittato del suo discorso per ricordare che urge costruire una specie di “muraglia cinese” che separi il suo paese pulito, morale e integro dagli sporchi messicani, su cui ovviamente ricade la colpa di avvelenare la gioventù statunitense.
Ma se si guardano i dati diffusi dalle stesse autorità sanitarie degli Stati Uniti e dai suoi giornali più prestigiosi, la crisi degli oppioidi (droghe sintetiche con effetti simili all’eroina o alla morfina) non è cominciata a causa di prodotti importati illegalmente. Molte delle persone che stanno morendo di overdose non sono vittime dell’eroina messicana o della cocaina colombiana, ma di farmaci legali prescritti dai medici statunitensi e venduti nelle grandi catene farmaceutiche come Cvs. I nuovi tossicodipendenti e i morti per overdose degli Stati Uniti, in maggioranza bianchi, cadono nel vizio perché i medici gli prescrivono dei “painkillers”, analgesici molto forti, oppiacei sintetici, molto più potenti dell’eroina e della morfina.
Grandi industrie farmaceutiche producono pillole che sono il primo passo sulla strada della dipendenza
L’epidemia di oppioidi che sta colpendo gli Stati Uniti e che sta uccidendo più persone dell’aids nel suo peggior momento è associata a diverse droghe legali: in particolare al fentanil, ma anche al Vicodin o all’ossicodone, che sono venduti in farmacia o su internet e che a volte sono rivenduti come se fossero eroina. Il fentanil è cinquanta volte più potente dell’eroina. Poi c’è un’altra droga sintetica ancora più letale, il carfentanil, che si usa come sedativo per gli elefanti, e che è cento volte più potente del fentanil. Bastano pochi granelli di carfentanil sulla lingua per uccidere un essere umano.
Camici bianchi e cappelli di paglia
Alcuni stati come l’Ohio e il Mississippi hanno citato per danni le grandi industrie farmaceutiche (McKesson, Purdue Pharma, Johnson & Johnson e altri) che producono e mettono in commercio senza controllo pillole che sono il primo passo sulla strada della dipendenza o l’ultimo per la morte da overdose. La cosa triste è che poco tempo fa l’agenzia federale antidroga statunitense (Dea) non è riuscita a far approvare una legge che avrebbe reso più facile accusare questi grandi produttori di droghe legali che creano dipendenza e provocano la morte: i repubblicani alleati dell’industria farmaceutica sono riusciti a mettere un veto sulla legge.
L’articolo continua dopo la pubblicità
Insomma: se una sostanza che crea dipendenza e uccide è elaborata negli Stati Uniti, la produzione e il commercio sono legali e assicurano dei benefici economici. Ma se altre cose che uccidono (anche se uccidono meno) sono prodotte in Colombia o in Messico, allora siamo costretti a dichiarare una guerra inutile e spietata contro i narcotrafficanti. Perché non fare piuttosto una guerra e una serie sui narcotrafficanti in giacca e cravatta degli Stati Uniti, che uccidono più dei nostri? Forse perché i narcotrafficanti degli Stati Uniti sono dei chimici in camice bianco, e i nostri sono contadini con gli stivali e il cappello di paglia.
(Traduzione di Francesca Rossetti)
Questo articolo è uscito sul quotidiano colombiano El Espectador.
Tratto da: https://www.internazionale.it
Segnalato da : Collettivo Antipsichiatrico Artaud

sabato 29 dicembre 2018

"DIVIETO di INFANZIA. Psichiatria, controllo, profitto"

https://wombat.noblogs.org/2018/12/25/stampa-rassegnata-048-17-23dic/

QUESTO è il link per sentire la seconda parte della trasmissione "Stampa Rassegnata" fatta a Radio Wombat, come collettivo Artaud, sul libro "DIVIETO di INFANZIA. Psichiatria, controllo, profitto".

Continua la discussione sul Libro "DIVIETO di INFANZIA" con il collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud e con il coautore della nuova edizione Sebastiano Ortu. La medicalizzazione ed il continuo ricorso ad approcci psichiatrici mettono alla prova insegnanti ed operatori della formazione stretti tra le richieste sempre più pressanti delle istituzioni educative e la spinta etica-empatica della proprie coscienze.

Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud-Pisa
antipsichiatriapisa@inventati.org
www.artaudpisa.noblogs.org 335 7002669 Via San Lorenzo 38 56100 Pisa

martedì 25 dicembre 2018

Fanzine Antipsichiatrica: La bussola nel caos

 
La bussola nel caos è una fanzine partecipativa di ispirazione antipsichiatrica, ideata per avere uno strumento per navigare attraverso le crisi, i brutti periodi, o anche solo le difficoltà che capitano a tutt*.
E’ un piccolo tentativo di empowerment ed autonomia nella gestione psico-emozionale, per andare oltre alla delega e alla patologizzazione, ma soprattutto per riflettere su di sé, sul concetto di cura, su che vuol dire stare bene al di là di cosa è considerato “sano” o “normale”. E’ un invito concreto a liberarci tra di noi e liberare il mondo che ci circonda, perché anche la cura è una questione politica.


Scarica versione lettura: La bussola nel caos
Scarica versione stampa: La bussola nel caos stampa
Booklet edito da Distrozione: https://www.autistici.org/distrozione/

domenica 23 dicembre 2018

Effetti Collaterali: Uso ed Abuso di psicofarmaci

“EFFETTI COLLATERALI. Uso e abuso di psicofarmaci.”
a cura del TELEFONO VIOLA di MILANO edizioni Nautilus 1998

Scarica qui il libro-----> effetti collaterali

Caricato e segnalato dal Collettivo Artaud di Pisa

giovedì 20 dicembre 2018

UN GIOVEDÌ DI DICEMBRE



"Con il nuovo servizio psichiatrico restituiamo alle persone con fragilità mentali un luogo di cure adeguato rispettoso delle necessità, oltre che della dignità dei pazienti."

Questo è quello che il presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti dichiarava lo scorso 22 febbraio, inaugurando l'attesa riapertura del SPDC (Servizio di Prevenzione Diagnosi e Cura) dell'Ospedale San Giovanni Addolorata.

Capita invece che, in un grigio giovedì di dicembre, alcuni di noi si rechino nel suddetto reparto a trovare un caro amico, ricoverato in regime di Trattamento Sanitario Obbligatorio dalla domenica precedente. Ebbene entriamo nella stanza da lui occupata e lo troviamo legato al letto e profondamente sedato. Alla domanda “Da quanto stai legato al letto?” segue la risposta “Da domenica, da quando sono arrivato”.
Circa 84 ore. Il nostro pensiero corre a Franco Mastrogiovanni, morto in regime di contenzione dopo 82 ore.
Ci si precipita dai medici chiedendo con calma spiegazioni e veniamo mandati dal primario. Il medico risponde alle domande invitandoci a gran voce ad uscire dal reparto e ordina, letteralmente, a medici e infermieri di fare altrettanto, dopo aver constatato, suo malgrado, che eravamo stati testimoni delle condizioni nelle quali veniva tenuto il nostro amico. Veniamo allontanati, tra urla e provocazioni, e decidiamo di uscire dal reparto soltanto per parlare con un parente nel frattempo sopraggiunto.
Nessuno dei medici presenti è stato in grado di motivarci il perché di quel trattamento inumano, non giustificato né giustificabile da nessun criterio  medico.
Dal canto nostro, non vediamo nella psichiatria né tanto meno nel Trattamento Sanitario Obbligatorio uno strumento di cura e quanto e’ accaduto, sotto ai nostri occhi, accade tutti i giorni negli ospedali e nelle cliniche specializzate in trattamenti psichiatrici. Sedare, legare, rinchiudere e ammansire non sono strumenti di cura, piuttosto di contenimento, allontanamento e repressione.
Nessuna attenzione per la sofferenza: negazione sistematica del vissuto individuale. Non c’è ascolto, quindi nessuna reale presa in carico di un problema o di un grido di aiuto.
La persona, considerata patologica, viene inserita in reparti sicuri, inutili e spogli, etichettata a causa di sintomi e comportamenti nonché  espropriata della propria personalità. Il personale medico e infermieristico, forte del suo ruolo di normalizzatore e del potere sulla persona che da esso ne deriva, ne azzera le coscienze, ne annulla i desideri e la rende schiava di psicofarmaci di cui, la stessa scienza, ammette la dannosità nell’uso a lungo termine.
Il TSO, sempre più di frequente, diventa il primo passo coatto per assicurare “clienti” all’industria farmacologica. Il trattamento consisterà nell’intervenire chimicamente sul sintomo ignorandone la causa e mettendo le basi, quindi, per future ricadute nella sofferenza. A chi non accetta le cure gli saranno imposte attraverso la contenzione e l’iniezione a lento rilascio.
E’ allarmante osservare quanto il numero di TSO sia in crescita, di anno in anno.
Siamo convinti e convinte che fare i conti con ritmi sempre più frenetici, competitivi e alienanti possa condurre a momenti di crisi e/o di netto rifiuto della realtà. Una fuga dalla violenza del dover stare sempre al passo con i tempi, per sentirsi parte di qualcosa, riconoscersi in un ruolo socialmente accettato.
Ciò nonostante rifiutiamo con forza la speculazione sulle persone e i loro corpi, e il pregiudizio che giustifica la sopraffazione e la violenza della così detta “Prevenzione Diagnosi e Cura”.

Collettivo “Senzanumero”
senzanumero@autistici.org
senzanumero.noblogs.org

sabato 8 dicembre 2018

NO AL TASER! NO AI TSO CON LE SCOSSE ELETTRICHE!!!

Dal 5 settembre 2018 in Italia il Thomas A. Swift's Electronic Rifle (
TASER ) è in fase di sperimentazione in dodici città italiane: Milano,
Torino, Padova, Reggio Emilia, Bologna, Genova, Firenze, Napoli,
Caserta, Catania, Palermo e Brindisi.

La pistola elettrica è stata usata la prima volta il 12 settembre a
Firenze dai carabinieri per fermare un giovane musicista turco di 24
anni disarmato in stato di agitazione. Il ragazzo, in seguito al fermo,
è stato ricoverato in TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio) presso il
reparto di psichiatria dell’Ospedale S. Maria Nuova di Firenze.

Il Taser è considerato un dispositivo utile a garantire la sicurezza
degli agenti. L’arma spara due dardi collegati alla pistola da cavi
sottili. Quando il dardo colpisce il bersaglio, una scarica di corrente
elettrica a impulsi provoca una paralisi neuromuscolare che concede agli
agenti alcuni secondi per immobilizzare il soggetto. La pistola può
anche essere premuta contro il corpo, causando dolore intenso. Le
pistole in dotazione ai carabinieri non hanno bisogno di essere
ricaricate e quindi possono sparare due colpi, ossia quatto dardi.

La dotazione del Taser viene giustificata dalla non mortalità dell'arma,
nonostante venga considerata dall'ONU uno strumento di tortura. Il
Governo Italiano per mantenere la sicurezza dei cittadini, piuttosto che
ridurre i casi di applicazione della violenza, preferisce dare alle
forze dell'ordine la possibilità di sparare di più facendo meno vittime.
Il Ministro dell'Interno Salvini, nel DDL Sicurezza ha inserito
l'estensione dell'arma anche ai vigili urbani e alla Polizia ferroviaria
oltre che alle altre forze di Polizia.

Nella ricerca “Shock tactics” della Reuters, su 1005 casi di morte
legati all’uso del Taser, ben 257 vengono ricondotti all'uso dell'arma
su soggetti con “disturbi psichiatrici e malattie mentali”; mentre in
153 casi il Taser è indicato come causa o come fattore che ha
contribuito alla morte.

Il fatto che il primo uso della pistola elettrica in Italia sia stato su
una persona in stato di agitazione è perfettamente in linea con le
intenzioni dell'azienda produttrice dell'arma, Taser International, ora
AXON, che già nel 2004 riteneva la pistola elettrica “lo strumento più
adatto a gestire persone emotivamente disturbate”.

Ci preoccupa e allarma molto il fatto che si cominci ad usare il Taser
su persone in difficoltà, in stato di agitazione o di crisi, per poi
ricoverarle nei reparti psichiatrici. Ad oggi il TSO è un metodo
coercitivo che obbliga il soggetto ad un trattamento farmacologico
pesante e sradica la persona dal proprio ambiente sociale,
rinchiudendola in un reparto psichiatrico, ignorando la complessità
delle relazioni umane e sociali e molto spesso ledendone i diritti.

Noi ci opponiamo a tutto ciò! Il superamento delle crisi individuali
passa attraverso un percorso comunitario e non attraverso l’utilizzo di
metodi repressivi e/o coercitivi che risultano dannosi alla dignità
dell'individuo. Ci chiediamo perché non viene attribuito alla rete
sociale il giusto valore.


Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud
www. artaudpisa.noblogs.org
335 7002669 via San Lorenzo 38 56100 Pisa

mercoledì 5 dicembre 2018

Brescia - Domenica 9 dicembre - Camap al Circolo Anarchico Bonometti: E noi folli e giusti… Marini e Mastrogiovanni

E noi folli e giusti... 

Domenica 9 Dicembre

Una storia di anarchia, di carcere e psichiatria

“I folli impazziranno solo quando saranno normali, chiamerete tra di voi nel deserto, solo autorizzati alla solitudine e alla paura” (Giovanni Marini)
1972. Un’aggressione fascista. La pronta reazione dei compagni e l’accanimento dello stato nei loro confronti…
ore 19 – Lettura di alcune poesie di Giovanni Marini sulle immagini di “87 ore”, film sulla morte di Franco Mastrogiovanni.
ore 20 – aperitivo/cena
ore 21 – presentazione del CAMAP (Collettivo Antipsichiatrico Camuno).
A seguire dibattito.

domenica 2 dicembre 2018

Massimiliano Malzone - Morte in psichiatria dopo il Tso: sette medici rischiano il processo

Sette sanitari, tra cui tre medici già condannati per il caso Mastrogiovanni, rischiano il processo per la morte di Massimiliano Malzone, il 39enne di Montecorice deceduto l’8 giugno del 2015 nel centro di igiene mentale dell’ospedale di Sant’Arsenio. L’uomo si trovava ricoverato a seguito di un trattamento sanitario obbligatorio. Il caso rischiava di essere archiviato, così aveva deciso la Procura della Repubblica di Lagonegro, ma grazie all’opposizione presentata dall’avvocato Michele Capano, legale della famiglia Malzone, le indagini sono proseguite. Nel registro degli indagati sono finiti sette sanitari che ebbero in cura il 39enne durante i giorni di ricovero nella struttura sanitaria del Vallo di Diano. Per tutti è arrivata la richiesta di rinvio a giudizio. A febbraio si terrà l’udienza preliminare.
fonte: il mattino.

domenica 25 novembre 2018

Milano, taser e mass media...

Sui vari articoli dei giornali si legge di un egiziano fermato col taser la scorsa notte a Milano dato che stava danneggiando con un martello alcune auto vicino ad una pensilina. A seconda della convenienza dei media la cronologia è differente, ovvero nei giornali ai quali conviene scrivere in un certo modo viene fatto notare come l'utilizzo del taser sia successivo al morso della mano del poliziotto. In realtà pare che il taser sia stato utilizzato in precedenza e solo in seguito per 'disarmare dall'accendino che stringeva nel pugno' il 34enne abbia poi morso il poliziotto staccandogli un dito..Tra l'altro pare che più di una pattuglia sia stata impiegata per l'operazione.Ovviamente la chiusa finale, in tutti gli articoli a prescendere, è che l'egiziano avesse conclamati problemi psichiatrici e ciò mette il cuore in pace a lettori, pennivendoli,perbenisti, paladini del benessere vari.

Per chi avesse voglia cercate pure in rete le varie versioni con cronologie differenti con parole chiave: egiziano taser milano.

venerdì 23 novembre 2018

IL PASSAGGIO DI FRONTIERA PRIVO DI PORTE

di Giuseppe Bucalo

“Una linea è stata tracciata fra se stesso e se stesso
e fra se stesso e gli altri.
Si nega che questa linea sia stata tracciata.
Non c’è nessuna linea.
Ma non provate ad attraversarla”.
(R.D. Laing)

E' un errore tragico (a cui non sembra sfuggire neanche il più avvertito dei rivoluzionari) continuare a pensare alla "questione psichiatrica" come alla ricerca del modo più efficace e terapeutico di rispondere ad una malattia, alla sofferenza o al disagio degli individui.
La maggior parte delle critiche alla psichiatria sembrano nascere (e nascono) quando l'opinione pubblica, non senza un pizzico di ipocrisia, si avvede che la stessa "tradisce" questo nobile scopo.
Ci si indigna, si organizzano campagne, si denunciano abusi e pratiche inumane, ma si resta ancorati al "che fare ?" in alternativa, invece di.
Al di là di qualsiasi nefandezza sia stata e sia commessa a suo nome, il dovere di "prendersi cura" delle persone che si afferma soffrano, siano malate o esprimano un disagio mentale, rimane un obbligo morale ed etico da assolvere, indiscutibile e indiscusso.
Se non la psichiatria, si dice, forse la psicoterapia, la naturopatia, il dialogo aperto, l'agopuntura, l'astrologia, la dieta ...qualsiasi cosa pur di non "abbandonare" o "lasciare a se stesse" le persone.
Il tutto può funzionare (e sembra funzionare) se e quando le persone condividano di "stare male" e di avere necessità di un aiuto; se e quando le persone che ritengono di aver bisogno di un aiuto, condividono l'aiuto che siamo disposti ad offrire.
Diversamente, quando le persone si oppongono o ritengono di non aver bisogno di alcun aiuto, la "cura" si trasforma d'incanto in una "pena" e "il prendersi cura" in una "tortura".
Non c'è "buona" pratica o intenzione che tenga.
Nel momento in cui l'opinione di "chi cura" diverge da quella di chi "deve essere curato", la psichiatria o il prendersi cura si rivelano per quello che sono: la negazione del valore, della libertà di scelta e dell'esistenza stessa dell'altro.
Ha un bel dire Franco Basaglia che la follia «è una condizione umana. In noi la follia esiste ed è presente come lo è la ragione. Il problema è che la società, per dirsi civile, dovrebbe accettare tanto la ragione quanto la follia», quando i Basagliani e la gente di buon senso continuano a pensare che è preferibile essere (considerati) normali e che dalla follia bisogna "guarire", essere curati o, come si usa dire adesso, "riaversi" (recovery).
Il fatto o la necessità che si debba "guarire", essere curati o riaversi dalla normalità, non sembra all'ordine del giorno e il solo porre la questione ci accomuna al popolo dei deliranti divergenti bisognosi di "cure".
Su cosa basiamo tutte le nostre certezze sul primato della "normalità" ? Non tanto, o non solo, sulla convinzione che nessuno potrebbe "davvero" dire, fare, pensare o credere le cose che chi è definito "folle" dice, fa, pensa o crede; ma piuttosto sul fatto che nessuno di noi potrebbe mai desiderare di essere trattato come matto.
Se, a rigor di logica, non possiamo dire che la follia sia una condizione di umana sofferenza, infatti, possiamo certamente affermare che l'essere trattati come folli, certamente fa soffrire e ci lascia in balia del giudizio e del potere altrui.
Potremmo dire che la "follia" non è tanto una condizione umana, quanto un'etichetta sociale che si applica, a seconda dei luoghi e dei tempi, ad alcune condotte e modi di essere umani e che produce la progressiva perdita da parte della persona cosi designata del suo potere e della sua libertà di scelta.
Questa progressiva perdita della propria autonomia personale e sociale, non è tanto o solo dovuta a scelte individuali, ma è il frutto del sistematico disconoscimento del punto di vista del "bisognoso di cure", primo fra tutti l'affermazione di non avere bisogno di cure.
Il "rifiuto delle cure" rimane in sé un tabù e la cartina di tornasole dell'ipocrisia e della mistificazione del pensiero psichiatrico.
Finché le persone accettano la normalità come norma e condizione naturale dell'uomo e cercano di adeguarsi alle aspettative dei "curatori", tutto può apparire sensato e finanche "terapeutico". Non appena i "pazienti designati" rivendicano il valore e il diritto a sentire ed essere quello che sono, ecco che scatta la coartazione fisica, chimica o sociale con l'invalidazione, anche giuridica, dei propri diritti e la "presa in carico" della propria esistenza da parte dei "curatori".
E' chiaro che chi è definito "folle" ha un'unica e sola alternativa: accettare il punto di vista di chi intende, ha il dovere o l'obbligo di curarlo. Egli deve smettere di fare quello che fa, pensare quello che pensa, dire quello che dice. Deve fare abiura pubblica del suo credo e convertirsi alla fede psichiatrica.
Chi non lo fa, quando riesce a sfuggire all'internamento o all'intrattenimento psichiatrico, rimane imprigionato in quello che i buddisti chiamano "il passaggio di frontiera privo di porte".
Un non luogo che sta fuori dalla realtà condivisa e che non è segnato sulle mappe. Impossibile da trovare ma su cui ci si ritrova senza sapere "come" ma conoscendo bene tutti i "perché".
E allora forse non servono "curatori", ma esploratori capaci di raggiungerci e compagni di viaggio capaci di accettare il rischio di perdersi o di ritrovarsi (perché come dice Horderlin "La dove c'é il pericolo, cresce anche ciò che salva").

domenica 18 novembre 2018

MODENA SABATO 24 NOVEMBRE - La Scintilla

https://artaudpisa.noblogs.org/files/2018/11/24novembre1.jpg 

c/o  La SCINTILLA in strada Attiraglio 66, Zona Mulini Nuovi alle ore 18:30 presentazione del libro:
“ELETTROSHOCK. La storia delle terapie elettroconvulsive e i racconti di chi le ha vissute”. a cura del Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud. Edizioni Sensibili alle Foglie
A seguire CONCERTI: Marnero, Lleroy, Niet e Dysmorfic + DJ SET
Per info: la scintilla@autoproduzioni.net

domenica 11 novembre 2018

FIRENZE VENERDI’ 16 NOVEMBRE

c/o CPA FI SUD in via Villamagna alle ore 19
La Libreria Majakovskij presenta:
“Storia di Antonia. Viaggio al termine di un manicomio”
di Dario Stefano Dell’Aquila e Antonio Esposito
edizioni Sensibili Alle Foglie

Parteciperà al dibattito con gli autori
il Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud

venerdì 9 novembre 2018

Riccardo Rasman

Riccardo Rasman è stato ucciso nel 2006 durante un tentativo di ricovero coatto da poliziotti in collaborazione con i vigili del fuoco che hanno contribuito con l'irruzione e l'incatenamento con il fil di ferro.Ad aprile 2015 il tribunale di Trieste condanna il Ministero dell'interno e i tre agenti già riconosciuti responsabili a risarcire un milione e duecentomila euro ai famigliari di Rasman. Il legale della famiglia presentò ricorso ritenendo l'importo insufficiente.
 Risultati immagini per rasman riccardo


di Mario Di Vito (conduttore di Radio Città Aperta)
I poliziotti lo ammanettarono, usarono filo di ferro per le caviglie e un bavaglio: dopo le botte i suoi polmoni si fermarono. Per la Cassazione si è trattato di un omicidio "pacificamente evitabile".
Nel gergo grigio e gelido delle sentenze vuol dire che sarebbe bastato molto poco perché le cose andassero diversamente. Riccardo Rasman aveva 34 anni quando entrarono a prenderlo, la sera del 27 ottobre 2006, nel suo appartamento di via Grego 18, a Trieste.
I vicini avevano chiamato il 113 perché lui stava ascoltando la musica a volume troppo alto e poi si era affacciato - completamente nudo - dal balcone per lanciare due petardi nella corte interna al condominio in cui viveva.
Riccardo durante il servizio militare aveva subito diversi episodi di nonnismo che, successivamente, avrebbero portato a una diagnosi di schizofrenia paranoide. Quella sera era felice, molto felice, troppo felice, almeno per i suoi vicini di casa, ai quali non è mai piaciuto: il giorno successivo, comunque, Rasman avrebbe cominciato a lavorare come operatore ecologico. Alle 20:21 arrivò una pattuglia del 113 sotto casa sua, alle 20;34 ne arrivò un'altra di rinforzo, accompagnata dai vigili del fuoco.
Rasman non voleva aprire: si era steso sul letto e aveva spento le luci. C'è da capirlo: nel 1999 Riccardo aveva già avuto a che fare con le forze dell'ordine, ne era uscito malconcio e lo denunciò, senza grosse conseguenze. Da allora, ogni volta che vedeva una divisa, aveva paura. Per questo si era rintanato e aveva spento tutte le luci e si era rintanato a letto quando aveva visto le luci blu delle volanti dalla sua finestra.
Alla fine i poliziotti riuscirono a entrare a casa sua, ne nacque una colluttazione e Rasman venne ammanettato a terra, immobilizzato, con le manette strette intorno ai polsi, del filo di ferro a tenere ferme le caviglie, addirittura un bavaglio per non farlo urlare.
Messo così, in posizione prona, cominciò a respirare in maniera sempre più affannosa, fino a che i suoi polmoni non si sono fermati; le perizie dicono che gli agenti esercitarono "sul tronco, sia salendogli insieme o alternativamente sulla schiena, sia premendo con le ginocchia, un'eccessiva pressione che ne riduceva gravemente le capacità respiratorie". Morte per arresto respiratorio avvenuta tra le 20:43 e le 21:04, si leggerà dopo nei referti. Sul tavolo c'era un biglietto, scritto proprio da lui, un attimo prima dell'arrivo della
polizia: "Per favore, per cortesia, vi prego, non fatemi del male, non ho fatto niente di male". Sul muro c'erano macchie di sangue; Riccardo era stato pure picchiato, probabilmente con un manico d'ascia e con il piede di porco che i pompieri usarono per forzare la porta del suo appartamento.
"Noi siamo entrati in quell'appartamento soltanto in marzo - racconta Giuliana Rasman, sua sorella, era un disastro: c'era sangue dappertutto e una chiazza di sangue verso la cucina. Poi dalle fotografie mi sono resa conto che l'hanno spostato con la testa verso l'entrata così da nascondere la chiazza di sangue che c'era lì. C'era una frattura, i capelli erano tutti pieni di sangue, c'era una frattura anche dietro il collo.
C'era sangue sul tavolo, sui muri, sulle lenzuola, dietro il letto per terra, c'erano chiazze di sangue sul tappeto sotto il quale abbiamo trovato persino dei pezzi di carne nascosti, Riccardo era martoriato di botte sul viso, gli avevano rotto lo zigomo. Poi c'era il segno dell'imbavagliamento, sangue dalle orecchie, dal naso, dalla bocca, si vede proprio molto bene". Il pm triestino Pietro Montone aprì un'inchiesta su questi fatti e - incredibilmente ma fino a un certo punto, visto che è sempre così - affidò tutto agli stessi poliziotti che quella notte irruppero in casa di Riccardo. Nell'ottobre del 2007 Montone chiese l'archiviazione per gli agenti che, a suo giudizio, avevano solo fatto il suo dovere, anche se era certo anche a lui che Rasman fosse morto per "asfissia posturale" dovuta proprio all'intervento della forza di pubblica sicurezza.
Il gip, però, non accolse la richiesta del magistrato che, dopo essere entrato a conoscenza delle indagini fatte dagli avvocati Giovanni Di Lullo e Fabio Anselmo, cambiò decisamente orientamento sul caso. Il fulcro del ragionamento è la prova provata del fatto che gli agenti Francesca Gatti, Mauro Miraz, Maurizio Mis e Giuseppe Di Blasi erano perfettamente consapevoli dei problemi mentali di Riccardo e questo avrebbe - quantomeno - dovuto indurli a usare una maggiore cautela nell'intervento.
Tra l'altro, fu posta anche una domanda fondamentale: che necessità c'era di sfondare la porta quando era palese che Rasman non stesse più causando pericoli, visto che era dentro il suo letto e non stava più lanciando petardi dal balcone? I quattro uomini in divisa vennero rinviati a giudizio per omicidio colposo.
Il processo di primo grado fu celebrato con rito abbreviato e si concluse con la condanna a sei mesi di carcere (pena sospesa) per tre dei quattro agenti, più il pagamento di una provvisionale da 60mila euro e 20mila euro di risarcimento per danni morali alla famiglia.
La quarta agente, Francesca Gatti, fu assolta con "formula dubitativa", ovvero: lei all'azione ha partecipato, e questo è certo, ma, mentre gli altri stavano legando Riccardo per terra, era in contatto via radio con la Questura. Era il 29 gennaio del 2009. Un anno e mezzo dopo la Corte d'Appello del Tribunale di Trieste avrebbe confermato tutte le sentenze del primo grado. Tutte le parti in causa - i poliziotti e la famiglia Rasman - presentarono ricorso alla Cassazione.
La sentenza definitiva è arrivata il 14 dicembre del 2011: conferma della sentenza d'Appello e epitaffio: la morte di Rasman "era pacificamente evitabile qualora gli agenti avessero interrotto l'attività di violenta contestazione a terra, consentendogli di respirare". Quello stesso giorno, i familiari di Riccardo chiesero formalmente le scuse da parte del ministero degli Interni (mai arrivate) e annunciarono la propria intenzione di procedere anche in via civile contro i poliziotti e lo stesso Viminale.
Da alcune foto, uscite fuori quando ormai era tardi per il processo" si vedano segni anche dagli angoli della bocca fino alle orecchie di Rasman: ci vorranno altre perizie per chiarire se è vero che l'asfissia non è arrivata solo per lo schiacciamento sotto il peso degli agenti, ma anche per il soffocamento dovuto al bavaglio. Sembra un dettaglio, ma la causa civile di risarcimento si gioca tutta qui.
Del caso se ne tornerà a parlare presto: nell'aprile del 2013, infatti, la procura di Trieste ha nuovamente chiesto l'archiviazione del caso. L'avvocata Claudio De Filippi, che adesso segue la vicenda per conto della famiglia della vittima, ha detto che, a suo parere, tutto questo "si colloca tra il caso Sandri, per il quale lo Stato ha pagato tre milioni e mezzo, e il caso Aldrovandi, per il quale ha pagato due milioni di euro".
Resta, in mezzo a quel complesso e lunghissimo caos di carte e di cavilli che è la giustizia civile, la storia di un ragazzo che è morto per poco, praticamente per niente. E che tutto voleva fuorché dare fastidio: "Riccardo non ha mai fatto un Tso - conclude la sorella Giuliana, non era violento né aggressivo, voleva farsi ben volere da tutti, anche per dimostrare questo abbiamo messo nel nostro dossier testimoni che descrivono come era Riccardo. In 3 anni che aveva quel monolocale non ci avrà dormito neanche cinque volte, anche il padre conferma che Riccardo andava lì qualche volta per farsi sentire e faceva andare la lavatrice, allora la vicina cominciava a battere la porta e Riccardo per farsi ben volere le portava la verdura della nostra campagna e le scrisse una lettera per favorire il buon vicinato".

fonte: http://www.ristretti.org

domenica 4 novembre 2018

Per L'Abolizione Assoluta del Trattamento Sanitario Obbligatorio

articolo originale

di María Teresa Fernández Vázquez (Mexico)

Sommario dall'inglese:


In questo testo cerco di sostenere il mio supporto alla campagna da tre approcci diversi. In primo luogo, dal punto di vista umanistico e sociale, che vede la persona umana come un essere unico e irriducibile, la cui "inesauribile potenzialità dell'esistenza" [1] si sviluppa e può realizzarsi in infiniti modi ed espressioni, che sono tutti ugualmente importanti e preziosi. Per secoli, tuttavia, le persone con disabilità in generale, e le persone con disabilità psicosociali In particolare, sono state denigrate e messe da parte, e le loro espressioni sono state raramente riconosciute o approvate dalla grande maggioranza. Sia per ignoranza, che per paura, negligenza, sete di potere e di controllo, ecc, i governi e la società sono pronti a reprimere quei comportamenti umani che non si adattano ai parametri socialmente condivisi, già incorporati nelle norme indiscusse, nelle abitudini, nei simboli e negli stereotipi culturali. Quindi lo status quo viene mantenuto. Dovremmo considerare ogni tentativo di reprimere l'espressione umana come una forma di oppressione sociale e politica che non dovrebbe essere tollerata. Invece, la società dovrebbe essere aperta alla diversità umana e procedere insieme a tutti coloro che sono diversi; creare - mano nella mano con loro - nuove forme di interazione sociale e di convivenza.

In secondo luogo, parlo dalla mia esperienza personale come sorella di un uomo a cui in adolescenza hanno diagnosticato l'epilessia e che più tardi nella sua vita è diventato un alcolizzato. Mio fratello era confinato in comunità, "fattorie" e ospedali psichiatrici su raccomandazione dei suoi medici curanti. Posso testimoniare il crescente deterioramento subito da mio fratello dopo ogni collocazione, che è culminato con la sua morte dolorosa e prematura. I suoi ricoveri erano assolutamente intollerabili e nefasti: per lui, per la sua famiglia e per tutti noi. Deploro profondamente il fatto che non abbiamo avuto accesso alle informazioni, ai consigli, al sostegno adeguato o ai servizi che avrebbero permesso a mio fratello di vivere la sua vita in modo diverso, secondo le sue necessità e potenzialità, in sostanza, umanamente. La cosa peggiore è che oggi - quarant'anni dopo - le cose non sono cambiate molto. C'è ancora la stessa mancanza di informazioni, consigli, sostegno e servizi adeguati. Le persone con disabilità psicosociali continuano ad essere maltrattate e ricoverate, anche contro la loro volontà; anche se è provato che tali trattamenti non funzionano, ma, al contrario, provocano danni profondi e irreversibili. Sia i governi attraverso leggi, politiche e mancanza di volontà politica, sia i professionisti della salute e la società nel suo insieme continuano a condannare le persone con disabilità psicosociali all'oblio e alla morte, e lo fanno con assoluta impunità. Anche questo è inaccettabile e deve essere cambiato. La Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità ci dice come.



Il terzo motivo per cui sostengo la Campagna per la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, è che essendo io stessa una persona con una disabilità fisica, sono attivamente coinvolta in questo processo. Rispettare la Convenzione significa rispettare la dignità e l'autonomia individuale di tutte le persone con disabilità, nonché rispettare il loro diritto all'uguaglianza e alla non discriminazione, alla libertà personale e alla sicurezza. Come dichiarato dal Comitato CRPD: "Il trattamento sanitario obbligatorio da parte di psichiatrici e di altri medici e di personale sanitario, costituisce una violazione del diritto di uguaglianza di riconoscimento davanti alla legge (articolo 5) e una violazione dei diritti all'integrità personale (articolo 17); libertà dalla tortura (articolo 15); e libertà dalla violenza, dallo sfruttamento e dall'abuso (articolo 16). Questa pratica nega la capacità legale di una persona di scegliere un trattamento medico ed è quindi una violazione dell'articolo 12 della Convenzione" (Par. 42). [2] Il Comitato afferma inoltre che segregare le persone con disabilità nelle istituzioni, viola un certo numero di diritti garantiti dalla Convenzione (paragrafo 46).



Ai sensi della Convenzione, è assolutamente inaccettabile non rispettare la dignità delle persone con disabilità psicosociali, o sottoporli a esami minuziosi e a giudizi autorevoli grossolani, né è ammissibile per nessuno attribuirsi la facoltà di decidere secondo il proprio parere cosa sia il meglio per loro, o di tenerli in luoghi in cui perdono tutto: la loro autonomia, la loro libertà e persino la loro dignità. Luoghi in cui rimangono - assoggettati e impotenti - sotto il controllo assoluto della volontà di altre persone - mai la loro - e dove la loro integrità viene lacerata. Come il Comitato CRPD dichiara chiaramente, tali pratiche sono in aperta violazione della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità e devono essere sradicate.

traduzione a cura di Sansi Erveda
tratto da: Il Cappellaio Matto

domenica 28 ottobre 2018

Villa Vegan sotto sgombero


Riceviamo e pubblichiamo il comunicato per fornire sostegno e solidarietà a Villa Vegan. Oltre alle numerose e pregevoli iniziative citate nel comunicato vogliamo ricordare che, nel tempo, hanno ospitato anche le nostre iniziative per persone vittime della morsa psichiatrica, controinformazione teorica e pratiche di resistenza antipsichiatrica. Per questo e per tutti i motivi sottocitati esprimiamo pieno supporto ed invitiamo chiunque possa a muoversi per andare in sostegno concreto contro l'ennesimo sgombero.
Camap


VILLA VEGAN SOTTO SGOMBERO
Nei giorni scorsi è giunta voce che vogliono sgomberare Villa Vegan
martedì 30 ottobre.
Riteniamo  sia un’informazione di fiducia e siamo determinat* a
resistere, quindi facciamo una chiamata a tutte le persone solidali a
raggiungerci per preparare insieme la resistenza e la mobilitazione
contro lo sgombero. È benvenut* chiunque abbia voglia di supportare il
posto, chi lo ha attraversato negli anni, chi ha portato avanti le lotte
che qui hanno trovato complicità, tutte le compagne e i compagni che
pensano che se vogliono sgomberare uno spazio anarchico occupato da 20
anni gli deve costare caro.
In tutti questi anni di occupazione Villa Vegan ha ospitato compagni e
compagne da tutto il mondo, ha dato supporto logistico a tanti progetti
autogestiti, in particolare quelli della scena punk hardcore, e a
tantissime lotte, tra le quali quelle anticarcerarie e la solidarietà
alle prigioniere e ai prigionieri, ecologiste e per la liberazione
animale, contro il razzismo ed i CIE (rinominati poi CPR),
transfemministe queer e contro la violenza di genere, antifasciste;
lotte che rifiutano i rapporti con le istituzioni e sempre in
opposizione al sistema capitalistico e allo Stato.
Con gli sgomberi degli spazi occupati, l’interminabile cementificazione,
le retate contro le persone migranti, irregolari e indesiderate di ogni
tipo, la “riqualificazione” dei quartieri, la crescente militarizzazione
e sorveglianza delle strade, vogliono trasformare i luoghi in cui
abitiamo in città-vetrine utili solo per fare girare l’economia e in
dormitori per chi è inserit* nel ritmo di produzione e consumo,
chiudendo sempre più ogni spazio possibile di resistenza. Per questo
motivo ogni sgombero non riguarda soltanto il posto specifico che viene
attaccato ma il piano più generale di controllo sociale da parte del
potere politico ed economico, e va contrastato.
Sabato 27 ottobre dalle 21,30: assemblea antisgombero in Villa Vegan,
via litta modignani 66, milano.
Domenica 28 ottobre dalle 12: pranzo e giornata di lavori.
Invitiamo chi può a passare e fermarsi -anche a dormire- in Villa Vegan
in questi giorni.

mercoledì 24 ottobre 2018

Alfredo

segnalato da Giorgio Pompa

Sabato 13 ottobre alla Cascina Autogestita Torchiera Senzacqua è stato
ricordato Alfredo, storico abitante della Cascina.
Alfredo è morto tragicamente un mese fa alle 5 di mattina, investito da un
tram davanti all¹ingresso dell¹Ospedale Sacco.
Alfredo faceva parte di un gruppo molto particolare: tra le persone
sottoposte fin dall¹adolescenza al giogo della psichiatria, egli faceva
parte di quella minoranza che si è ribellata con forza, con perseveranza,
con coraggio alla schiavitù del controllo manicomiale, riuscendo addirittura
a sfuggirne: tra tutte le persone che abbiamo conosciuto, Alfredo è stata
quella che, in assoluto, si è battuta di più in difesa della propria
libertà.
Una frase, tratta da uno degli articoli di giornale usciti il giorno della
sua morte, ci è apparsa come una sintesi appropriata, quanto involontaria,
della straordinarietà degli ultimi due decenni della vita di Alfredo:
Viveva per strada, mai censito dalla rete d'assistenza dedicata dal Comune
ai senza fissa dimora. Un fantasma, sprovvisto di documenti o tessere di
mense e dormitori: è stato identificato dalle impronte digitali, unica
traccia rimasta negli archivi di polizia per un vecchio foto segnalamento².

L'unica modifica che ci sentiremmo di fare a questa sorta di epitaffio,
riguarda il suo inizio che dovrebbe cominciare così: Viveva al Torchiera.
Nella cascina davanti al cimitero Maggiore, per due decenni
l¹apolide-psichiatrico Alfredo ha trovato riparo dal destino, immanente
della sua condizione di ex Œresiduo manicomiale¹, di vedersi, di nuovo,
privato della sua libertà, di essere, di nuovo, soggetto al brutale e
stolido annientamento psico-farmacologico caratteristico dell¹armamentario
psichiatrico-assistenziale.
Era riuscito a creare una propria rete di relazioni familiari e solidali che
l¹hanno aiutato nella sua caparbia resistenza: in primo luogo il Collettivo
del Torchiera, anche se non sempre nella maniera convinta e consapevole
espressa negli ultimi anni.
Con l¹esperienza di chi ha provato sulla propria pelle la sferza continua di
decenni di manicomio e di coercitive comunità psichiatriche, non poche volte
si è ribellato in modo veemente nei confronti di coloro che in maniera
sprovveduta si sono avvicinati a lui con ipocrisia, oppure con l¹occulta
intenzione di volerne modificarne i comportamenti, oppure con celato (male)
disprezzo.
Di lui ricordiamo con rimpianto la sua arguta ironia, la straordinaria
memoria nel citare film visti e libri letti, la sua multiforme ed eterogenea
cultura, la sua insopprimibile avversione alla ipocrisia dei galatei, la sua
conoscenza del latino, del tedesco, dell¹elettromeccanica e dell¹alfabeto
cirillico, il suo rispetto per gli amici gatti.
Ciao Alfredo, ti salutiamo nella rituale tua maniera: ŒCon firma scritta e
con rispetto infalsificabile¹.

Dalle Ande agli Appennini

domenica 21 ottobre 2018

NO ELECTROSHOCK // NO TASER / NO TSO: Firenze 25/10/18

FIRENZE GIOVEDì 25 OTTOBRE 2018 c/o
LA POLVERIERA SpazioComune via Santa Reparata 12
NO ELECTROSHOCK // NO TASER / NO TSO

h18:00
Lettura "Moses" di -Bo.
h18:30
Assemblea di discussione con Collettivo Antipsichiatrico Artaud, Percorso Psiche, ACAD
h20:00
Aperitivo benefit Viale Corsica
h21:00
Live set con The Tasers, Dada, Jaz, Feny Ics, NotX, Nano3 + Dj Mimmy's Open Mic Cypher

Il 12 settembre a Firenze, nel parco della Fortezza, viene utilizzato per la prima volta la pistola elettrica in Italia.
La vittima è un musicista turco di 24 anni senza fissa dimora, che ha avuto la sfortuna di avere una crisi nel luogo e nel momento sbagliati.
Questo primo caso è emblematico delle applicazioni che questa "arma non letale" avrà in futuro: la neutralizzazione di soggetti con atteggiamenti non conformi alle norme.
Negli Stati Uniti, dove il taser è in uso alle forze dell'ordine ormai da decenni, il dibattito sull'uso indiscriminato di quello che è stata definita dall'ONU uno strumento di tortura, è in corso già da anni: una ricerca di Reuters riporta che in un caso su quattro le vittime soffrivano di crisi psicotiche.
Il TSO è la pratica di cura obbligatoria introdotto nel 1978 con la Legge Basaglia, che forza la volontà del paziente, imponendosi come mezzo psichiatrico-carcerario di annientamento del sofferente.
Discuteremo dell'intreccio tra questi temi con ospiti, letture e proiezioni.

martedì 16 ottobre 2018

FIRENZE: giov 18/10 convegno su Franco Basaglia a 40 anni dalla legge 180

GIOVEDì 18 OTTOBRE c/o la Biblioteca delle Oblate in via dell’Oriuolo 24 a FIRENZE
parteciperemo ad un Franco Basaglia a 40 anni dalla legge 180
“QUELLA VOLTA CHE MARCO CAVALLO LIBERO’ TUTTI”
A cura dell’Archivio Storico 68
 

per info: archivio68.firenze@gmail.com
segnalato dal Collettivo Antipsichiatrico Artaud Pisa

giovedì 11 ottobre 2018

Indagine su un’epidemia

«Se disponiamo di trattamenti davvero efficaci per i disturbi psichiatrici, perché la malattia mentale è diventata un problema di salute sempre più rilevante? Se quello che ci è stato raccontato finora è vero, cioè che la psichiatria ha effettivamente fatto grandi progressi nell’identificare le cause biologiche dei disturbi mentali e nello sviluppare trattamenti efficaci per queste patologie allora possiamo con concludere che il rimodellamento delle nostre convinzioni sociali promosso dalla psichiatria è stato positivo. (…) Ma se scopriremo che la storia è diversa – che le cause biologiche dei disturbi mentali sono ancora lontane dall’essere scoperte e che gli psicofarmaci stanno, di fatto, alimentando questa epidemia di gravi disabilità psichiatriche – cosa potremo dire di aver fatto? Avremo documentato una storia che dimostra quanto la nostra società sia stata ingannata e, forse, tradita.»

di Baldig77
 
Il libro di Whitaker è un percorso, uno studio storico e scientifico dalla nascita degli psicofarmaci fino a oggi. La domanda di partenza è come mai nell’era del boom degli psicofarmaci c’è un aumento delle disabilità psichiatriche?
Se davvero sono avvenuti questi progressi ci dovremmo aspettare una riduzione dei pazienti in psichiatria, che dovrebbe essere ancor più evidente con l’avvento degli psicofarmaci di seconda generazione dal 1988 in poi. Invece il numero dei casi di persone che hanno una disabilità cronica dopo l’uso degli psicofarmaci è in aumento. Gli psicofarmaci, oltre ad agire solo sui sintomi e non sulle cause della sofferenza della persona, alterano il metabolismo e le percezioni, rallentano i percorsi cognitivi e ideativi contrastando la possibilità di fare scelte autonome, generano fenomeni di dipendenza ed assuefazione del tutto pari, se non superiori, a quelli delle sostanze illegali classificate come droghe pesanti, dalle quali si distinguono non per le loro proprietà chimiche o effetti ma per il fatto di essere prescritti da un medico e commercializzate in farmacia
Le cause biologiche dei “disturbi mentali” sono ancora lontane dell’essere scoperte, invece sono gli psicofarmaci, dagli studi scientifici che Whitaker ci mostra, che presi a lungo andare, portano a gravi squilibri chimici nel nostro cervello. Nella nostra società è dato per scontato dalla maggioranza della popolazione che la depressione è associata a una mancanza di serotonina, ma come ci spiega bene il libro Indagine su un’epidemia non c’è nessun studio scientifico che lo dimostra.
Negli ultimi quaranta anni, la psichiatria ha rimodellato, in profondità, la nostra società. Attraverso il suo Manuale Diagnostico e Statistico (DSM), la psichiatria traccia la linea di confine tra ciò che è normale e ciò che non lo è. La nostra comprensione sociale della mente umana, che in passato nasceva da fonti di vario genere, ora è filtrata attraverso il DSM. Quello che finora ci ha proposto la psichiatria è la centralità degli “squilibri chimici” nel funzionamento del cervello, ha cambiato il nostro schema di comprensione della mente e messo in discussione il concetto di libero arbitrio. Ma, noi siamo davvero i nostri neurotrasmettitori?
L’allargamento dei confini diagnostici favorisce il reclutamento, in psichiatria, di un numero sempre più alto di bambini e adulti. Oggi a scuola sono sempre di più i bambini che hanno una diagnosi psichiatrica e ci è stato detto che hanno qualcosa che non va nel loro cervello e che è probabile che debbano continuare a prendere psicofarmaci per il resto della loro vita, proprio come un «diabetico che prende l’insulina».
Fermare l’epidemia è possibile? Forse rompendo il legame fra psichiatria e multinazionali produttori dei farmaci e se gli psichiatri ascoltassero i loro pazienti su quello che hanno da dire sui gravi effetti collaterali, forse avremo pochi che proseguano un trattamento psicofarmacologico a lungo termine.

Robert Whitaker, Indagine su un’epidemia. Lo straordinario aumento delle disabilità psichiatriche nell’epoca del boom degli psicofarmaci, Giovanni Fioriti edizioni

*AVVISO*
Robert Whitaker sarà in Toscana a presentare Indagine su un’epidemia sabato 13 ottobre a Firenze e lunedì 15 ottobre a Pisa, maggiori informazioni sul sito del Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud oppure scrivete a antipsichiatriapisa@inventati.org

tratto da: https://aspettandoilcaffe.com

domenica 7 ottobre 2018

Sabato 13 Ottobre - CSA Next Emerson - Firenze

 

SABATO   13/10/2018  a FIRENZE c/o CSA NexT Emerson  in via di Bellagio

Alle ore 18 il Collettivo Antispichiatrico Antonin Artaud organizza la presentazione di :
 ”INDAGINE SU UN’EPIDEMIA. Lo straordinario aumento delle disabilità psichiatriche nell’epoca del boom degli psicofarmaci” con l’autore Robert Whitaker

Alle ore 20:30 GRANDE CENA SOCIALE di COMPLEANNO
(prenotazione obbligatoria entro mercoledì scrivendo a assemblea@csaexemerson.it)

Alle ore 22
 POLEMICA (ex-Sabot) CONCERTO HC
  
MILONGA (al Tango Sognato)

sabato 29 settembre 2018

PRESENTAZIONI in ITALIA di “INDAGINE SU UN’EPIDEMIA ” con ROBERT WHITAKER

fonte: https://artaudpisa.noblogs.org/

CALENDARIO INIZIATIVE/PRESENTAZIONI in ITALIA di “INDAGINE SU UN’EPIDEMIA ” con ROBERT WHITAKER
“Indagine su un’epidemia. Lo straordinario aumento delle disabilità psichiatriche nell’epoca del boom degli psicofarmaci” di Robert Whitaker edizioni Giovanni Fioriti

Venerdì  12/10/2018   Presentazione del libro a Torino organizza il collettivo Antipsichiatrico Mastrogiovanni c/o Radio Blackout in via Cecchi 21 alle ore 21per info:antipsichiatriatorino@inventati.org

 Sabato   13/10/2018     Presentazione del libro a Firenze organizza il Collettivo Antispichiatrico Antonin Artaud c/o il CSA NexT Emerson in via di Bellagio alle ore 18 per info: antipsichiatriapisa@inventati.org

 Domenica  14/10/2018  Presentazione del libro a Modena c/o la Scintilla in Strada Attiraglio 66 alle ore 17 per info: lascintilla@autoproduzioni.net

 Lunedì   15/10/2018      Presentazione del libro a Pisa all’Università c/o l’aula magna della Facoltà di Scienze Politiche in via Serafini 3 alle ore 16:30 organizza il Collettivo Antispichiatrico Antonin Artaud per info: antipsichiatriapisa@inventati.org

Martedì  16/10/2018     Presentazione del libro a Roma c/o sala ovale – casa del parco, Parco delle Energie in via Prenestina 175 alle ore 18:30 Organizza il collettivo antipsichiatrico SenzaNumero  per info: senzanumero@autistici.org

domenica 23 settembre 2018

Le vittime dei taser di cui non si parla


Nancy Schrock sapeva che la situazione stava precipitando. Suo marito era in cortile in uno stato di estrema agitazione, lanciava sedie per aria e urlava contro i demoni. La donna ha chiamato la polizia. “Bisogna portarlo in ospedale”, ha detto al centralinista del 911. Erano le 22.24 di un giovedì del giugno del 2012. “Sta male, molto male”. Tom Schrock aveva lottato contro la depressione e problemi legati all’abuso di droghe per tutti i 35 anni del loro matrimonio. Dopo la morte del loro primo figlio per un’overdose di eroina, tre anni prima, le crisi erano diventate più violente. La polizia era stata chiamata a casa degli Schrock, che vivono a Ontario, vicino a Los Angeles, almeno una decina di volte. Di solito gli agenti portavano Tom in ospedale, dove veniva curato e rimandato a casa dopo 72 ore.
Ma non questa volta.
Alla chiamata hanno risposto tre agenti, allertati per “disturbo della quiete pubblica da parte di un uomo disarmato con problemi mentali”. Nancy li ha fatti entrare dal retro. L’agente Santiago Mota ha impugnato il taser. Appena i poliziotti sono usciti in cortile, Tom gli si è avvicinato a passo svelto, con le braccia abbassate e i pugni chiusi. Gli agenti gli hanno intimato di fermarsi, ma Tom continuava ad avanzare borbottando: “Fuori di qui”.
Mota ha sparato con il taser.
Tom si è piegato e ha indietreggiato. Mota si è avvicinato, gli ha appoggiato la pistola elettrica sul petto e l’ha azionata di nuovo. Tom, 57 anni, è crollato rantolando e ha perso i sensi. Non ha mai ripreso conoscenza. “Ho chiamato la polizia per chiedere aiuto”, dice Nancy. “Non per farlo uccidere”.
L’articolo continua dopo la pubblicità
Il medico legale della contea di San Bernardino ha spiegato che la morte di Tom Schrock era attribuibile a vari fattori, in particolare all’interruzione del flusso di ossigeno al cervello causata da un arresto cardiaco innescato “dall’intervento delle forze dell’ordine”. La prima tra le cause che hanno contribuito al decesso è stata l’uso del taser.
Gli Schrock hanno fatto causa al dipartimento di polizia di Ontario e all’azienda che produce la pistola elettrica, Taser International, sostenendo che l’arma fosse intrinsecamente pericolosa e accusando il dipartimento di non aver adeguatamente formato gli agenti sui rischi legati all’uso del taser su persone affette da disturbi mentali. L’amministrazione comunale ha accettato di pagare 500mila dollari. Il caso contro Taser è stato chiuso a giugno del 2017: le due parti non hanno voluto rivelare se sia stato pagato un risarcimento.
Più di mille morti
In tutti gli Stati Uniti migliaia di corpi di polizia hanno adottato il taser. E i casi simili a quello di Schrock sono sempre più frequenti: un colpo di taser, una morte accidentale, una richiesta di risarcimento. Ma dietro a ogni caso si nasconde una realtà più complessa ed è nato un dibattito sull’uso di queste armi.
Negli Stati Uniti la Reuters ha documentato 1.042 casi di persone colpite a morte con un taser dalla polizia, in gran parte avvenuti dopo l’inizio degli anni duemila. Molte vittime appartengono a gruppi di persone vulnerabili. Un quarto delle vittime soffriva di crisi psicotiche, come Schrock, o disturbi neurologici. In nove casi su dieci la vittima era disarmata.
Più di cento incidenti mortali sono cominciati con una richiesta d’aiuto al 911 durante un’emergenza medica. In molti casi non è possibile stabilire con precisione quale sia stato il ruolo del taser. Ma ci sono oltre quattrocento eventi dei quali la documentazione presentata in tribunale fornisce un resoconto abbastanza dettagliato. In un quarto di questi casi i poliziotti hanno usato solo il taser. Negli altri casi sono state impiegate altre forme di coercizione.
L’articolo continua dopo la pubblicità
La gran parte dei ricercatori indipendenti che hanno studiato le pistole elettriche concordano sul fatto che, quando i taser sono usati in modo appropriato, le morti sono rare. Ma è altrettanto vero che calcolare la probabilità di morire a causa di una scarica elettrica del taser è praticamente impossibile perché non ci sono dati ufficiali sull’uso di quest’arma e i decessi hanno spesso più di una causa.
Sullo sfondo di questa incertezza generale, Taser International ripete da anni che le sue armi non sono quasi mai la causa di morte. L’azienda sostiene che le vittime delle pistole elettriche sono state 24: 18 persone sono morte per traumi alla testa o al collo nella caduta successiva al colpo e sei per le fiamme innescate dall’arco elettrico dell’arma. Secondo l’azienda, nessuno è mai morto per l’effetto diretto della potente scarica elettrica sul cuore o su altre parti del corpo.
Alcuni documenti ufficiali, però, raccontano una storia diversa.
Reuters ha potuto consultare le autopsie di 712 delle 1.005 vittime censite. In 153 casi, oltre un quinto, il taser è indicato come causa o come fattore che ha contribuito alla morte. Le altre autopsie citano una combinazione di problemi di salute, in particolare di cuore, di abuso di droghe e traumi di vario genere.
Taser International ha raggiunto il successo grazie a una precisa strategia di marketing
Il taser è considerato un dispositivo utile a garantire la sicurezza degli agenti. Circa il 90 per cento dei 18mila diversi corpi di polizia degli Stati Uniti lo usa. L’arma spara due dardi collegati alla pistola da cavi sottili. Quando il dardo colpisce il bersaglio, una scarica di corrente a impulsi provoca una paralisi neuromuscolare che concede agli agenti alcuni secondi per immobilizzare il soggetto. La pistola può anche essere premuta contro il corpo, causando dolore intenso.
Studi indipendenti hanno dimostrato che il taser, se usato correttamente, riduce il rischio di infortuni per gli agenti e le persone che li affrontano. Secondo Taser International, le pistole elettriche sono state usate oltre tre milioni di volte sul campo.
Le 1.005 morti identificate da Reuters superano del 44 per cento le 700 riportate da Amnesty international alla fine del 2016, nonostante l’agenzia di stampa abbia usato criteri più rigidi per il conteggio. Secondo Taser International queste cifre forniscono un quadro esagerato dei rischi perché lasciano intendere che la pistola elettrica sia la causa di tutti i decessi, mentre nella maggior parte dei casi i poliziotti hanno usato altre forme di coercizione. I dispositivi, continua l’azienda, hanno salvato migliaia di vite.
Dopo che Reuters ha presentato i risultati della sua ricerca a Taser International, la società ha inviato un promemoria alle forze dell’ordine in cui prende in esame alcuni punti centrali della ricerca definendoli “non nuovi” e promettendo di fornire “informazioni cruciali” per sconfessare le conclusioni di Reuters. Taser International, che ha acquisito la tecnologia della pistola elettrica negli anni novanta, ha cambiato nome nell’aprile del 2017 in Axon Enterprise. Il cambio di nome, spiega l’azienda, sarebbe legato all’espansione della gamma dei prodotti commercializzati.
Messaggi contraddittori
Taser International ha raggiunto un’enorme popolarità grazie a una strategia di marketing ben precisa: convincere i dipartimenti di polizia che, invece di ricorrere ad armi letali o a scontri fisici potenzialmente pericolosi, gli agenti avrebbero potuto neutralizzare soggetti ostili paralizzandoli con la pistola elettrica.
Eppure, come dimostra quest’inchiesta, anche le pistole elettriche possono causare la morte. In molti casi le persone decedute soffrivano di problemi mentali, disturbi emotivi o sindromi convulsive.
Negli Stati Uniti spetta ai dipartimenti di polizia, non al produttore, stabilire in quali casi gli agenti possono usare le pistole elettriche. Ci sono stati, come il Connecticut, che hanno codificato un regolamento generale per l’uso del taser. Alcuni tribunali federali hanno stabilito che il taser può essere impiegato solo su soggetti aggressivi, un’idea condivisa da un numero sempre maggiore di dipartimenti di polizia. Il think tank Police executive research forum mette in guardia contro l’uso del taser su “persone che si trovano in stato di emergenza medica”. Le procedure seguite dalle forze dell’ordine, in ogni caso, sono molto varie.
La stessa azienda produttrice ha inviato messaggi contraddittori riguardo l’uso delle pistole elettriche su soggetti con disturbi mentali, come ha potuto verificare Reuters esaminando i fascicoli legali e le centinaia di pagine di materiale informativo prodotto da Taser International negli ultimi quindici anni.
All’inizio degli anni duemila, quando i taser hanno cominciato a diventare popolari tra le forze di polizia, l’azienda presentava le pistole elettriche come uno strumento efficace e relativamente sicuro per controllare le persone che soffrivano di disturbi mentali o erano sotto l’effetto di droghe o alcol. Nel 2004 Taser International sosteneva che la pistola elettrica “stava diventando rapidamente lo strumento più adatto” a gestire “persone emotivamente disturbate”.
Con il passare degli anni l’azienda ha adottato un atteggiamento più prudente. Nel materiale fornito ai dipartimenti di polizia nel 2013, si consigliava di non colpire “persone ritenute con disturbi mentali”. Nelle raccomandazioni ufficiali per le forze dell’ordine non si citavano casi del genere, ma si sconsigliava l’uso su persone in stato di “agitazione estrema” e dal “comportamento bizzarro”.
I dipartimenti di polizia e i loro avvocati hanno sottolineato che per un agente può risultare impossibile stabilire se un soggetto risponde a questi criteri. Valutare rapidamente lo stato mentale di un individuo “è una delle cose più difficili che un poliziotto possa dover fare”, spiega Eric Carlson, istruttore e consulente del dipartimento di polizia metropolitano di Las Vegas.
I taser non dovrebbero essere usati su gran parte della popolazione
Le ricerche sull’uso del Taser su persone in stato di agitazione mentale e altri individui vulnerabili sono molto limitate. Jena Neuscheler, co-autrice di uno studio sul taser del Criminal justice center della Stanford University, spiega che la carenza di dati è dovuta anche a vincoli etici. “Non sappiamo quale sia l’impatto sulle persone affette da malattie mentali, sotto effetto di droghe, cardiopatiche o potenzialmente in stato di gravidanza”, spiega Neuscheler, “perché non siamo autorizzati a effettuare test su queste persone”.
Lo studio della Stanford University ha dimostrato che i taser non dovrebbero essere usati su gran parte della popolazione e che l’arma è sicura “solo se usata su individui in salute che non sono sotto l’effetto di droga e alcol, non sono in stato di gravidanza e non soffrono di disturbi mentali, a patto che il soggetto riceva una scossa standard della durata di cinque secondi su una delle aree del corpo approvate”.
Limitare l’uso
McAdam Lee Mason sembrava disorientato quand’è uscito barcollando dalla casa in Vermont che condivideva con Theresa Davidonis e i suoi figli. Era il tipico comportamento di Mason quando si stava riprendendo da una crisi convulsiva. Gli agenti della polizia di stato che avevano circondato la casa quel pomeriggio del giugno del 2012 hanno avuto una percezione diversa.
Mason, 39 anni, era un artista che soffriva di crisi convulsive e disturbi mentali dopo aver riportato danni al cervello in un incidente ai tempi del liceo. Gli agenti erano già stati a casa sua poche ore prima, perché Mason aveva chiamato un centro di sostegno dicendo di aver avuto una crisi, di essere infuriato e di voler uccidere se stesso o qualcun altro. Davidonis aveva mandati via i poliziotti, spiegando che Mason era spesso irrazionale e incoerente dopo le crisi. Non era una minaccia e non era armato.
Qualche ora dopo, gli agenti sono tornati per un controllo. Davidonis era uscita e nessuno aveva risposto al campanello. Mentre gli agenti si posizionavano nella proprietà sospettando che Mason si fosse nascosto nel bosco circostante, Davidonis era rientrata. L’agente David Shaffer si era nascosto dietro un albero accanto alla casa, con un fucile d’assalto. Ha visto Mason nel giardino e gli è

domenica 16 settembre 2018

Un'esperienza di antipsichiatria pratica: ''La Cura''

di Giuseppe Bucalo

settembre 2002 - settembre 2018
IO SONO LA CURA
un'esperienza di antipsichiatria pratica

 Image may contain: 15 people, people smiling, tree and outdoor
I primi di settembre dell'anno 2002 viene avviata la comunità di accoglienza a bassa soglia "La Cura", grazie ad un finanziamento regionale ottenuto dall'associazione Penelope. Coordinamento solidarietà sociale che ho
promosso, con altri, nel 1996 e di cui tutt'ora sono il rappresentante legale.
Da anni, dopo le esperienze di autogestione promosse dal Comitato Iniziativa Antipsichiatrica nel paese di Furci Siculo (dove siamo nati), a Catania e, per un periodo, anche nelle città di Palermo e Messina, ci siamo interrogati in merito alla possibilità/necessità di creare "rifugi antipsichiatrici" a supporto dei percorsi individuali di liberazione dalla psichiatria.
Per cultura e vocazione ci siamo sempre orientati per un approccio pratico, ritenendo l'antipsichiatria non un'ideologia o una teoria alternativa alla psichiatria, ma un punto di vista. Una volta assunto (una volta cioè che ci si è liberati dalla necessità di negare l'esperienza dell'altro definendola come malattia o disagio), quello che ci è sempre premuto è praticarlo, renderlo concreto, confrontarci su un piano di realtà con gli altri punti di vista che costituiscono la cultura dominante.
Il comitato iniziativa antipsichiatrica nasce nel 1986. Solo 16 anni dopo ci sentiremo pronti ad affrontare questa avventura.
Le nostre remore non sono mai state "ideologiche". Il Comitato è, credo e a mia memoria, l'unico gruppo antipsichiatrico organizzato in Italia che non è espressione di gruppi politici, collettivi o esperienze di movimento.
Il nucleo originario era costituito da un gruppo di amici, alcuni dei quali, fra i quali io stesso, aveva avuto un'esperienza di tirocinio (in qualità di assistente sociale) presso il manicomio di Messina. Questa esperienza aveva aperto in ognuno di noi una profonda ferita (per alcuni sul versante umano, per altri su quello culturale e politico), spingendoci ad organizzarci per provare a portare fuori da quell'inferno (e dalla sua logica) i nostri concittadini ed evitando di farci mandanti di nuovi internamenti (secondo la procedura del Tso introdotta dalla legge 180).
Le remore all'apertura di "luoghi" erano legate ad una semplice e pratica questione di fondo: il nostro rifiuto della psichiatria è essenzialmente rifiuto della delega a specialisti di questioni che riguardano noi stessi e le nostre relazioni; è rifiuto di qualsiasi concetto di malattia o sofferenza mentale che individui gli utenti psichiatrici come soggetti altri rispetto al resto del genere umano; è rifiuto di qualsiasi concetto di "cura" riferito a qualsiasi azione che intende influire, negare, modificare modi di pensare, essere e fare degli individui.
Partendo dal nostro punto di vista sentivamo che creare un qualsiasi luogo di incontro, accoglienza, ascolto specialistico e riservato agli utenti psichiatrici, rischiava di riproporre, nel negarla, una sorta di diversità ontologica dei matti e la necessità che per loro si pensino e attuino percorsi specifici da parte di persone competenti/sensibili/preparate ad hoc.
Questa constatazione ci ha fatto per anni preferire confrontarci direttamente con le persone nei luoghi in cui vivono insieme a noi, nell'ambito delle nostre relazioni e nelle realtà sociali che condividiamo. Nessuno spazio separato, nessuna attività ad hoc, nessuna rappresentazione teatrale, squadra di calcetto o altra iniziativa collettiva che individui le persone, se non lo vogliono, né lo scelgono, come appartenenti al gruppo dei "malati", "disagiati" o "sofferenti" mentali.
L'esperienza pratica ci ha edotti del fatto che la liberazione dalla psichiatria passa dalla possibilità di utilizzare risorse non solo giuridiche ma anche materiali per separarsi e rendersi autonomi dai contesti sociali e familiari in cui si è inseriti. Abbiamo capito che, fuor di ogni dubbio, la cosiddetta psichiatria delle "buone pratiche" consiste essenzialmente in uno scambio in cui la persona, per usufruire di spazi di libertà e di scelta sempre più ampi, ma anche di possibilità concrete di accoglienza, vitto e reddito, deve accettare il suo status di "paziente" e riconoscere quello di "terapeuti" ai suoi custodi/curatori/amministratori.

giovedì 13 settembre 2018

'Armato di problemi psichici e nudità': colpito col taser...

Momenti di panico stanotte, dopo le 2, nella zona della Fortezza da Basso a Firenze, dove un uomo, un 24enne turco, ha dato in escandescenze ed è stato bloccato dai carabinieri con il taser, la pistola a impulsi elettrici in sperimentazione da una settimana alle forze dell'ordine italiane.

Secondo quanto appreso, l’uomo è stato ritrovato nudo, in un forte stato di agitazione e si sarebbe mostrato aggressivo sia con i passanti che con i militari intervenuti. A quel punto, i carabinieri lo avrebbero colpito con il taser ed il 24enne sarebbe stato colto da un malore.

Trasportato in ambulanza in codice giallo al pronto soccorso di Santa Maria Nuova, il 24enne all'arrivo in ospedale, è stato sottoposto ad alcuni esami, tra cui un elettrocardiogramma e, secondo quanto appreso, si troverebbe al pronto soccorso in osservazione, sorvegliato dalle forze dell'ordine.

E’ la prima volta che la pistola a impulsi elettrici viene usata a Firenze, da quando il taser è in sperimentazione alle forze dell’ordine.

tratto da ilsitodifirenze.it, segnalato da Artaud 

mercoledì 12 settembre 2018

Giornata Contro La Psichiatria, CAMAP a Trento Sab 15/09

 No automatic alt text available.
GIORNATA CONTRO LA PSICHIATRIA

"𝑬 𝒄𝒉𝒆 𝒊𝒏𝒄𝒂𝒓𝒄𝒆𝒓𝒂𝒛𝒊𝒐𝒏𝒆! 𝑺𝒊 𝒔𝒂 – 𝒆 𝒂𝒏𝒄𝒐𝒓𝒂 𝒏𝒐𝒏 𝒍𝒐 𝒔𝒊 𝒔𝒂 𝒂𝒃𝒃𝒂𝒔𝒕𝒂𝒏𝒛𝒂 – 𝒄𝒉𝒆 𝒈𝒍𝒊 𝒐𝒔𝒑𝒆𝒅𝒂𝒍𝒊, 𝒍𝒖𝒏𝒈𝒊 𝒅𝒂𝒍𝒍’𝒆𝒔𝒔𝒆𝒓𝒆 𝒅𝒆𝒈𝒍𝒊 𝒐𝒔𝒑𝒆𝒅𝒂𝒍𝒊, 𝒔𝒐𝒏𝒐 𝒅𝒆𝒍𝒍𝒆 𝒔𝒑𝒂𝒗𝒆𝒏𝒕𝒆𝒗𝒐𝒍𝒊 𝒑𝒓𝒊𝒈𝒊𝒐𝒏𝒊, 𝒏𝒆𝒍𝒍𝒆 𝒒𝒖𝒂𝒍𝒊 𝒊 𝒅𝒆𝒕𝒆𝒏𝒖𝒕𝒊 𝒇𝒐𝒓𝒏𝒊𝒔𝒄𝒐𝒏𝒐 𝒍𝒂 𝒍𝒐𝒓𝒐 𝒎𝒂𝒏𝒐𝒅𝒐𝒑𝒆𝒓𝒂 𝒈𝒓𝒂𝒕𝒖𝒊𝒕𝒂 𝒆 𝒖𝒕𝒊𝒍𝒆, 𝒏𝒆𝒍𝒍𝒆 𝒒𝒖𝒂𝒍𝒊 𝒍𝒆 𝒔𝒆𝒗𝒊𝒛𝒊𝒆 𝒔𝒐𝒏𝒐 𝒍𝒂 𝒓𝒆𝒈𝒐𝒍𝒂, 𝒆 𝒒𝒖𝒆𝒔𝒕𝒐 𝒗𝒐𝒊 𝒍𝒐 𝒕𝒐𝒍𝒍𝒆𝒓𝒂𝒕𝒆. 𝑳’𝒊𝒔𝒕𝒊𝒕𝒖𝒕𝒐 𝒑𝒆𝒓 𝒂𝒍𝒊𝒆𝒏𝒂𝒕𝒊, 𝒔𝒐𝒕𝒕𝒐 𝒍𝒂 𝒄𝒐𝒑𝒆𝒓𝒕𝒖𝒓𝒂 𝒅𝒆𝒍𝒍𝒂 𝒔𝒄𝒊𝒆𝒏𝒛𝒂 𝒆 𝒅𝒆𝒍𝒍𝒂 𝒈𝒊𝒖𝒔𝒕𝒊𝒛𝒊𝒂, è 𝒑𝒂𝒓𝒂𝒈𝒐𝒏𝒂𝒃𝒊𝒍𝒆 𝒂𝒍𝒍𝒂 𝒄𝒂𝒔𝒆𝒓𝒎𝒂, 𝒂𝒍𝒍𝒂 𝒑𝒓𝒊𝒈𝒊𝒐𝒏𝒆, 𝒂𝒍 𝒃𝒂𝒈𝒏𝒐 𝒑𝒆𝒏𝒂𝒍𝒆."
Antonin Artaud

L'11 giugno 2018 a Genova un ragazzo di vent'anni, Jefferson Tomalà, muore durante un TSO ucciso da un poliziotto. Un mese dopo, l'11 luglio 2018, viene ricoverata con TSO una nigeriana di 19 anni in seguito al suo rifiuto di stare in una struttura protetta per donne della Croce Rossa.
Sono solo due esempi recenti di come la psichiatria sia uno degli strumenti dello Stato per il controllo e la repressione. Molte sono le persone morte in seguito al TSO e alla somministrazione di psicofarmaci e molte sono le persone ricoverate in maniera coercitiva, anche in seguito ad azioni che rientrano nella ormai poco vasta gamma della "normalità", come il cantare canzoni anarchiche in una spiaggia (Franco Mastroianni), inveire a un comizio di Romani Prodi (Luigi Salvi) o semplicemente starsene seduti su una panchina (Andrea Soldi).
Questa giornata vuole essere una giornata di riflessione sulla psichiatria e i suoi strumenti, sulla sua funzione di controllo sociale, su come essa agisce, sugli strumenti che abbiamo per far fronte a essa e sulle nostre possibilità di azione per sovvertire la sua logica e soprattutto quella della "normalità".

Dalle 16.00
Chiacchierata con Craig Lewis, "punk counsellor" dagli USA
A seguire discussione aperta con:
- Collettivo CAMAP di Brescia
- Collettivo AltreMenti di Bologna XM24

Sentitevi liberi/e di portare la vostra esperienza.


Dalle 20.00
Cena vegan a prezzi popolari e concerto punk hardcore con (in ordine sparso):

- CREPA (VR)
https://crepa.bandcamp.com/releases

- AIDS (PN)
https://www.facebook.com/AIDSamiciinseparabilidisempre/
https://www.youtube.com/channel/UCEb-010GNI2ah2HKAYDOo7w

- SUBMEET (MN)
https://www.facebook.com/submeet.band/
https://submeet.bandcamp.com/

- LIR (BZ)

- APEROL NOYZ (VR)

…a fine concerto balli trash fino al mattino con Dj Karota.


SKATEPARK DI TRENTO, via ghiaie.
Rispetta il posto, se vuoi portare la tua distro ricorda il tavolino!

Il ricavato dell'iniziativa andrà in benefit inguaiati con la legge.

NO SESSISTI, NO RAZZISTI, NO FASCI, NO SCASSACAZZI
SI PRESI BENE, SI DISAGIO

domenica 2 settembre 2018

La libertà sospesa

La libertà sospesa / Il Trattamento Sanitario Obbligatorio
Potrebbe succedere a chiunque nel nostro Paese: attraversi in macchina l’isola pedonale, contravvenendo al codice della strada, e invece di essere multato vieni inseguito e arrestato da vigili urbani, carabinieri e guardia costiera sulla spiaggia. Poi, con il TSO, sei rinchiuso nel reparto di psichiatria dell’ospedale della tua zona, sedato, legato, non ti viene dato né da bere, né da mangiare, ai familiari è impedito di visitarti...
Così scrive Giuseppe Galzerano nel suo intervento in questo libro. Galzerano descrive l'esperienza di un suo amico, Francesco Mastrogiovanni, maestro elementare, morto dopo più di quattro giorni di letto di contenzione cui era stato costretto per un TSO.

Gli Autori

domenica 19 agosto 2018

Per Chi Suona La Campana?

di Giuseppe Bucalo


-Cronache di ordinaria psichiatria PER CHI SUONA LA CAMPANA ?-

«Con Asl e carabinieri ci siamo persino spinti nelle abitazioni di coloro che riteniamo ‘donatori’ abituali di cibo ai piccioni.
Ci sono state segnalate persone che non solo danno cibo ai volatili ma persino... li chiamano per nome.
Ecco, abbiamo voluto capire se in alcuni di questi casi ci fossero le condizioni per un TRATTAMENTO SANITARIO OBBLIGATORIO.
Dai controlli su abitazioni e persone fin qui eseguiti non sono emersi elementi tali da poter procedere in questo senso, ma non ci arrendiamo. Siamo pronti a tutto pur di allontanare questi volatili ‘disturbatori’ dal nostro territorio».
Sindaco di Riomaggiore (La Spezia)


La psichiatria e il trattamento sanitario obbligatorio non sono pratiche mediche o terapeutiche, come si usa credere, ma forme di minaccia per scoraggiare, contenere e isolare le condotte e i pensieri che divergono dall'ordine mentale, familiare e sociale condiviso.
Capita che qualche Sindaco solerte, detentore per legge del potere di disporre il TSO, provi ad utilizzarlo per mantenere l'ordine e il decoro della propria cittadina.
E' successo con Giuseppe Casu, ambulante ribelle che si rifiutava di obbedire all'ordine di liberare la piazza e per questo sottoposto a TSO, legato al letto per 7 giorni e deceduto nel reparto di psichiatria di Cagliari: succede ogni giorno per piegare la volontà di decine di individui disturbanti, inquietanti o .... fiancheggiatori del disordine.
Tutto questo potrà sembrare una "deviazione" rispetto alla nobile vocazione terapeutica della psichiatria, in realtà ne rappresenta l'essenza e il mandato sociale.
L'unica differenza è data dalla vicinanza o la distanza che abbiamo rispetto ai comportamenti e alle persone colpite dalla sua furia diagnostica e dal suo accanimento terapeutico.
Potrà sembrare aberrante che un Sindaco pensi di sottoporre a TSO chi da cibo ai piccioni o parli con loro, ma in realtà lo è altrettanto se si trattasse di una persona che non intende lavarsi o se ne sta su una panchina a ululare alla Luna.
Gli operatori Asl seguono il Sindaco nel suo raid anti-animalisti, così come gli psichiatri hanno avvallato e realizzato il ricovero di Giuseppe Casu ... Non importa quanto insensata e inumana sia la pratica di obbligare qualcuno a cure non volute ... la psichiatria c'é sempre a dare dignità scientifica e terapeutica alla repressione dei comportamenti.
Nessuno di noi può dirsi esente da questa minaccia o completamente al sicuro.
IL RE E' NUDO
Giuseppe Bucalo
--------------------------------------------------------------------------------------
Stop al cibo ai piccioni per strada. Rischio maxi multe e ricovero coatto
https://www.lanazione.it/…/cro…/stop-cibo-piccioni-1.4083229
-------------------------------------------------------------------------------------- 

sabato 18 agosto 2018

Giorgio Antonucci - Il Pregiudizio Psichiatrico

Per chi non l'avesse mai letto o per chi volesse diffonderlo. Uno dei libri più belli di Giorgio Antonucci 'Il Pregiudizio Psichiatrico'. Le sue idee unite al suo ricordo ed alla sua lotta contro il pregiudizio psichiatrico ci accompagneranno sempre.
Elèuthera promuove la libera circolazione della conoscenza.
Ti invitiamo a sostenerli acquistando anche copia cartacea di questo o di altri libri Elèuthera – http://www.eleuthera.it
Questo testo è distribuito sotto licenza Creative Commons 2.5 (Attribuzione, Non Commerciale, Condividi allo stesso modo), una licenza di tipo copyleft che abbiamo scelto per consentirne la libera diffusione. Ne riportiamo il testo in linguaggio accessibile. Si può trovare una copia del testo legale della licenza all’indirizzo web http://creativecommons.org/licenses/by-nc- sa/2.5/it/legalcode o richiederlo a eleuthera@eleuthera.it
Leggi qui ''Il Pregiudizio Psichiatrico'' di Giorgio Antonucci-----> https://eleuthera.it/files/materiali/pregiudizio_psichiatrico_Giorgio-Antonucci.pdf

giovedì 16 agosto 2018

Incapaci di dominarsi e di farsi dominare

di Giuseppe Bucalo

Metamorfosi psichiatriche
INDOMABILI
la malacarne e la malacoscienza

Ho avuto modo di leggere e di ascoltare Anna Carla Valeriano, la ricercatrice che ha pubblicato un testo, "Malacarne", che analizza i documenti (specie le cartelle cliniche) di donne internate in manicomio in epoca fascista.
Anna Carla descrive bene il connubio fra ideologia psichiatrica ed esigenza di controllo e normalizzazione propria dell'ideologia fascista e ancor meglio come questa unità di intenti si concentri sul controllo dei corpi e dei comportamenti, specie quelli delle donne.
L'ideologia fascista (ma possiamo dire tutte le ideologie) impone un'idea di normalità e un ordine che la psichiatria è chiamata a fare rispettare.
Il compito della psichiatria, del resto, è da sempre quello di trasformare le condotte divergenti in malattie per poterne autorizzare il controllo.
Anna Carla, come tanti altri studiosi del fenomeno manicomiale, però indugia sull'equivoco di considerare quelle donne o "sane" e impropriamente ricoverate in manicomio, ovvero emotivamente "fragili" e trattate in modo errato. Facendo trapelare l'idea che in realtà si tratta comunque di disagi trattati in maniera sbagliata.
Tale tesi è ben riassunta nella chiusa finale del suo saggio: "Per un buon numero di donne il manicomio sarebbe stata una nota discordante da confondere nel suono ordinario della vita quotidiana, per molte altre avrebbe rappresentato l'epilogo tragico di un'esistenza vissuta ai margini e non più recuperabile.
Per tutte è stata un'ingiustizia cancellata dalla legge Basaglia"
Lo potremmo definire un eccesso di ottimismo, ma in realtà tale giudizio è frutto del processo di mascheramento e di mistificazione che è alla base di ogni "rivoluzione" e metamorfosi psichiatrica.
La psichiatria cambia forma e aspetto per adattarsi e sopravvivere al nuovo contesto sociale, ma non perde la sua natura.
Difficile per chi segue le vicende della violazione dei diritti degli utenti involontari della psichiatria, sottoscrivere l'idea che oggi l'internamento coatto delle donne in psichiatria sia motivato da ragioni altre da quelle che Anna Carla descrive nel suo testo. Che la società, la famiglia e la psichiatria abbiano smesso di considerare l'autonomia delle donne nella gestione delle propria vita e del proprio corpo un diritto acquisito e inattaccabile. Ancora oggi quella autonomia reca disturbo all'ordine familiare e, quindi, sociale e va (s)piegato e trattato come frutto di "disturbi" emotivi.
I reparti psichiatrici ancora oggi ospitano donne che rifiutano/non si adeguano alle aspettative familiari, non accudiscono i figli, usano liberamente il proprio corpo ... ancora oggi sono "curate" (con le più moderne camice di forza chimiche) per il loro bene, per preservarle da vite dissolute.
Ho ripensato ad Anna Carla e al suo libro proprio in questi giorni, agosto 2018, in cui Teresa è stata prelevata da casa e condotta, per ordine del magistrato, presso una Rems (Residenza per l'esecuzione delle misure di sicurezza).
Accusata e denunciata dalla madre e da un vicina di casa che hanno inteso così preservarla e salvarla dalla vita dissoluta che, a loro modo di vedere conduce. Scelte di vita che l'hanno portata negli anni allo scontro verbale e anche fisico con la famiglia e la comunità sociale, guadagnandosi la patente di ragazza difficile, ribelle, ingrata e, quindi, emotivamente instabile.
Maltrattamenti in famiglia, minacce e lesioni ... dichiarate e denunciate per il suo bene, sufficiente non solo a fare scattare le indagini ma a convincere il magistrato dell'urgenza di dover intervenire per metter in sicurezza Teresa (senza averla mai sentita, senza aver appurato i fatti, senza notiziare il suo avvocato ...).
La legge lo permette. Basta il sospetto dell'insanirà mentale dell'indagata e la presentazione di documentazione medica (prodotta dalle persone offese dal reato) che attesti che negli anni precedenti la stessa aveva subito TSO, perché un giudice possa presumerne la pericolosità sociale e disporre il suo internamento, seppur temporaneo, in Rems.
Non ha alcuna importanza se i fatti sono tranquillamente ascrivibili alla normale relazione conflittuale madre/figlia, che probabilmente Teresa ha ben ragione di essere adirata con la madre; che le stesse "aggressioni" denunciate fanno quasi sempre seguito alle continue accuse/offese gratuite che le vengono rivolte o alla minaccia di farla internare.
La presenza delle cartelle cliniche in cui gli psichiatri hanno sancito negli anni che l'aggressività di Teresa sia non solo immotivata, ma probabilmente frutto di una patologia mentale e non legata invece alla sua storia di vita e alle sue relazioni coi familiari, sopravanzano qualsiasi altra valutazione e fanno ritenere superfluo finanche ascoltare la persona interessata.
Anna Carla Valeriano nel suo libro "Malacarne" cita un'annotazione nella cartella clinica in cui un'internata veniva descritta come "incapace di dominarsi e di farsi dominare".
Come si vede: niente è cambiato.