domenica 8 dicembre 2019

Conversazione con Giorgio Antonucci

tratto da: https://www.ilcappellaiomatto.org

“Penso che spesso, oltre alla pericolosità del
giudizio psichiatrico, la cosa più pericolosa
sia la resa che una persona fa alla propria
convinzione di essere malata”.


“Giorgio Antonucci non ha niente del medico tradizionale, indaffarato, autoritario, privo di abbandoni che siamo abituati a conoscere. La sua faccia triste esprime una dolcezza morbida, acuta, quasi dolorosa. I suoi occhi sono pieni di una timida assorta attenzione”.
E’ così che Dacia Maraini ritrae Giorgio Antonucci in un articolo di La Stampa, e del reparto autogestito di Imola fa la seguente descrizione: “Una volta aperta la porta del reparto mi trovo in una sala lunga e stretta affollata di gente. In fondo, sotto un affresco di mari ondosi su cui navigano barche dalle vele rosse, ci sono i ragazzi dell’Aquila venuti qui a suonare. Fra l’orchestra e la porta tante sedie con tanti ricoverati, donne e uomini.[...]

La musica di Mozart, con la sua armonia esplosiva dilata gli spazi, entra in queste facce contratte segnate dalle torture trasformando la bruttezza in bellezza, si fa liquido delicato piacere. I ragazzi dell’orchestra con le loro barbe, i loro blue jeans, i loro capelli lunghi suonano, impetuosamente brandendo i corni, i violoncelli, gli oboi. Alcuni dei degenti si mettono a ballare. Altri ascoltano a bocca aperta, facendosi cullare dalla meraviglia di quelle note. L’atmosfera rispetto ai reparti chiusi è diversa, c’è “confusione, vocio, disordine, colori. [...]Le pareti sono coperte di stampe colorate, disegni, fiori, stelle. Una ragazza in vestaglia va e viene portando dei dolci”.
Artisti come Luca Bramante e Piero Colacicchi hanno collaborato alle iniziative culturali e dipinto gli affreschi del reparto. Dacia Maraini chiede perché, visto il buon risultato ottenuto, non si fa lo stesso negli altri reparti: “Prima di tutto perché é molto faticoso - risponde Antonucci con la sua voce quieta, dolce - mi ci sono voluti cinque anni di lavoro durissimo per ridare fiducia a queste donne; cinque anni di conversazioni, di presenza anche notturna, di rapporto a tu per tu. Però non si tratta di una tecnica, ma di un diverso modo di concepire i rapporti umani. [...] “In che consiste questo metodo nuovo per quanto riguarda i cosiddetti malati psichici?”, continua con le domande la scrittrice. “Per me significa che i malati mentali non esistono e la psichiatria va completamente eliminata. I medici dovrebbero essere presenti solo per curare le malattie del corpo.




Storicamente da noi la psichiatria è nata nel momento in cui la società si organizzava in modo sempre più rigido, e aveva bisogno di grandi spostamenti di mano d’opera.
Durante queste deportazioni fatte in condizioni difficili, ostili molte persone rimanevano disturbate, confuse, non producevano più bene e quindi c’era l’esigenza di metterle da parte. Rosa Luxemburg dice: “Con l’accumulazione del capitale e lo spostamento delle persone si allargano i ghetti del proletariato”.
Nel’600 in Francia quando si forma la monarchia assoluta (lo Stato), i manicomi venivano chiamati “luoghi di ospizio per persone povere che disturbano la comunità”. La psichiatria è venuta dopo come copertura ideologica.
Nel trattato di psichiatria di Bleuler che è l’inventore del termine schizofrenia, è detto che schizofrenici sono coloro che soffrono di depressione, che si immobilizzano o girano intorno ossessivamente per il cortile. Ma che altro potevano fare così reclusi? Infine Bleuler conclude senza volere, comicamente: “Sono così strani che alle volte assomigliano a noi”. “Insomma tu dici che la malattia mentale non esiste ma esistono dei conflitti sociali di fronte a cui alcune persone più fragili o più oppresse soccombono. [...] Qual’è secondo te l’alternativa?”. L’alternativa sta nell’identificare i diritti individuali delle persone nella situazione sociale e storica in cui vivono e nell’ottenere il consenso e la partecipazione attiva della comunità attraverso i comitati di quartiere, i consigli di fabbrica, le scuole”. “Insomma sei d’accordo con Pirella quando dice che bisogna adottare iniziative precise per la formazione professionale dei ricoverati, occorre garantire loro i diritti di avere una casa?” “Certo sono d’accordo. Però mi sembra che il discorso di Pirella non è del tutto chiaro. Mi sembra di capire che lui comunque vuole mantenere un certo tipo di assistenza psichiatrica. Mentre io sono per abolirla del tutto”.*in La Stampa 30.12.1978


Gli scritti, le interviste e gli interventi pubblici di Giorgio Antonucci hanno tutti la peculiarità di essere di facile comprensione, come lui stesso sottolinea: “Ho pensato così che già la scelta di un linguaggio comprensibile possa servire a profanare quello scrigno di parole difficili inseparabili dai detentori di discipline specialistiche o di pensieri esoterici. Il discorso sul metodo di Renato Cartesio e la definizione delle idee chiare e distinte avrebbero dovuto insegnarci una volta per tutte qual è il modo di procedere e di scrivere di chi è occupato da vero interesse scientifico. Soprattutto se si tratta di psichiatria il linguaggio esclusivo da esso prodotto è un esempio chiaro di come la realtà dei fatti possa essere modificata già con l’uso di una parola invece che dall’altra. Le parole complicate degli psichiatri come quelle dei giuristi, e ancor più di quelle dei politici e dei medici in genere, hanno la funzione di non fare entrare facilmente gli altri nel loro mondo, dato che ormai è risaputo che buona parte del potere passa per l’accesso alle parole e al loro significato”* in Giorgio Antonucci, I pregiudizi e la conoscenza. Critica alla psichiatria, Roma, Cooperativa Apache, 1986, p.16


Giorgio Antonucci è medico e si forma come psicoanalista. Già durante gli anni dell’università era entato in contrasto con l’establishment criticando l’impostazione della medicina ufficiale. Negli anni dal 1965 al 1967 lavora come medico a Firenze, impegnato a sottrarre le persone ai ricoveri coatti e a qualunque trattamento coercitivo. “Sembra che fosse la prima volta che si vedeva una pratica di questo tipo, almeno in modo così sistematico”, ricorda Antonucci, “evitare i ricoveri richiedeva molto lavoro e anche molti rischi”. Partecipa all’istituzione del primo laboratorio aperto per degenti, all’interno dell’ospedale psichiatrico San Salvi di Firenze. Nel 1968 collabora con Edelweiss Cotti nel primo reparto aperto di ospedale civile , costruito a Cividale del Friuli (foto), in risposta agli internamenti in manicomio.[N.d.C:voluto da Franco Basaglia]
Nel 1969 lavora presso l’ospedale psichiatrico di Gorizia con Franco Basaglia. Dal 1970 al 1972 svolge la sua opera nei centri di igene mentale (CIM), dirigendo i servizi di Castelnuovo nei Monti, sugli Appennini reggiani. Organizza incontri e assemblee, invitando i cittadini a discutere dei problemi economici, sociali, politici e culturali riguardanti la psichiatria, che avrà come conseguenza la mobilitazione della cittadinanza contro il manicomio e i ricoveri psichiatrici. Dal 1973 al 1996 lavoro successivamente in due manicomi a Imola. Prima all’Osservanza, poi dirige due reparti del Lolli, uno di persone anziane, di tipo geriatrico e l’altro autogestito, e smantella gli strumenti di contenzione, controllo, segregazione e isolamento fisici, farmacologici, sociali, archittetonici o altro.
Prosegue la sua attività culturale e scientifica, partecipando a convegni e manifestazioni pubbliche, interviste, interventi radiofonici e televisivi, attività di rete a difesa dei diritti dei cittadini sottoposti a provvedimenti psichiatrici ed è, insieme ad Alessio Coppola, uno dei fondatori del Telefono Viola. Con Thomas Szasz condivide la messa in discussione radicale dell’istituzione psichiatrica e del concetto di malattia mentale. Nel 2005 ha ricevuto, a Los Angeles, il “Thomas Szasz Award” e, contemporaneamente, un riconoscimento dell’assemblea legislativa della California.
“La verità di Antonucci - scrive Giuseppe Gozzini nell’introduzione a Il pregiudizio psichiatrico - e tutto il suo pensiero sono basati sull’osservazione della realtà. Senza barare. Non è un visionario o un ingenuo: sa che la posta in gioco, per superare l’oppressione psichiatrica, è una società che abbia come fondamento la rinuncia a unificare pensieri e comportamenti degli individui per ridurli a modelli precostituiti, la rinuncia a regolare la vita sociale tracciando non solo i confini (legittimi e necessari) tra permesso e vietato, ma i confini tra normale e patologico, sano di mente e pazzo”*Giuseppe Gozzini, “Intruduzione” in Giorgio Antonucci, Il pregiudizio psichiatrico, Milano, Elèuthera, 1998,p.17



Tra le sue numerose pubblicazioni sono da segnalare i volumi: I pregiudizi e la conoscenza. Critica alla psichiatria (Cooperativa Apache, 1986 - ora disponibile in versione e-book gratuito), Il pregiudizio psichiatrico (Elèuthera, 1989 e 1998), tre contributi agli Annali 1989, 1990 e 1991 dell’Enciclopedia Atlantica (European Book, Milano), La nave del paradiso (Spirali, 1990); “Aggressività. Composizione in tre tempi” in Uomini e lupi (Elèuthera, 1990); Critica al pregiudizio psichiatrico, (Sensibili alle foglie, 1993 e 2005); Contrappunti ( Sensibili alle foglie, 1994, anche e-book); “Il giudice e lo psichiatra”, in Delitto e castigo (Elèuthera, 1994); Pensieri sul suicidio (Elèuthera, 1996); Il Telefono VIOL, con Alessio Coppola (Elèuthera, 1995); Le lezioni della mia vita (Spirali, 1999), Diario dal manicomio. Ricordi e pensieri (SPIRALI, 2006). svend Bach, danese, docente di letteratura italiana dell’Università di Aarhus, gli ha dedicato un libro: Antipsikiatri eller ikke-psikiatri, (Amalie-Galebevegelsens Forlang, Copenaghen, 1989) e su di lui è stato scritto il Dossier Imola e legge 180, Albeerto Bonetti, Dacia Maraini, Giuseppe favati, Gianni Tadolini, (Idea Books, 1979).
Scritti e poesie di Giorgio Antonucci sono usciti su diverse riviste, fra cui Psicoterapia e scienze umane (”Sono nata sotto un sole nero- Giulia”, aprile giugno 1974, Ombre Rosse (”I miei capelli arruffati”, 18-19, gennaio 1977), Il Ponte (”Lettera da un istituto psichiatrico”, n.12, dicembre 1970), Collettivo R, Senza confine, Tempi supplementari, Frigidaire, Liberamente, La cifra, Il secondo rinascimento, Filiarmonici.
Per un approfondimento sono reperibili in rete non solo testi e scritti, ma anche videoregistrazioni e registrazioni di interventi radiofonici.



Significative sono le seguenti frasi di Eugenia Omodei Zorini:
“Antonucci rivolge lo stesso rigore critico al pensiero psicoanalitico. Freud ha permesso di superare la dicotomia tra sano e malato, dal momento che ci ha mostrato come la psicodinamica è la stessa in tutti gli individui. Eppure, sia nei testi freudiani che nella vita di Freud, sia nella psicoanalisi dopo di lui che nelle varie forme di psicoterapia, possiamo spesso rintracciare l’uso della conoscenza per stigmatizzare comportamenti, per esercitare il potere in modi mascherati, sottili e violenti. La diagnosi può essere un importante strumento nel nostro lavoro, ma è un giudizio utilizzabile per asservire la scienza a strumento di potere. Il punto di osservazione di Giorgio Antonucci è estremo ed estremamente concreto: l’internamento nei reparti psichiatrici, la camicia di forza fisica e chimica, la cancellazione della dignità umana e del diritto di autodeterminazione. Antonucci ha individuato nel pensiero psichiatrico una forma di violenza estrema, astuta e socialmente squalificante, poichè prende come bersaglio la soggettività; attraverso la definizione di malato di mente non vengono puniti i comportamenti che non si uniformano a regole, ma si colpisce la persona nella sua essenza definendola incapace di intenzione, di discernimento, i volontà”. *Eugenia Omodei Zorini, “Recensione a Diario dal manicomio.Riflessioni e pensieri”, in “Psicoterapia e scienze umane”, Franco-Angeli, volume XLIII, n.1, 2009, pp. 116-119.


Erveda Sansi

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