Montichiari 19/10/19 - No elettroshock - No abusi e morte nei reparti
SABATO 19 Ottobre a MONTICHIARI (BS) – alle ore 15 c/o ingresso reparto Via G. Ciotti 154, PRESIDIO INFORMATIVO CONTRO L’USO DELL’ELETTROSHOCK E CONTRO GLI ABUSI NEI REPARTI PSICHIATRICI STOP ELETTROSHOCK, STOP ABUSI E MORTI NEI REPARTI !
Vorremmo chiamare a sostegno dell’iniziativa tutte le realtà che hanno
a cuore la libertà della persona nel poter disporre della propria vita,
dei propri ricordi e dei propri pregi e difetti. Per dare continuità al
presidio di Giugno scorso a Pisa riproponiamo il testo informativo
sulla TEC/ELETTROSHOCK dove si spiega bene in cosa consiste questa
pratica: ”L’elettroshock
oggi viene chiamato TEC (terapia elettroconvulsiva) ma rimane la stessa
tecnica inventata nel 1938 da Cerletti e Bini. Si tratta di corrente
elettrica che passando dalla testa e attraversando il cervello produce
una convulsione generalizzata.
Migliorandone
le garanzie burocratiche, così come introducendo alcune modifiche nel
trattamento, vedi anestesia totale e farmaci miorilassanti, non si
cambia la sostanza della TEC. A
più di ottanta anni dalla sua invenzione, possiamo affermare che
l’elettroshock è l’unico trattamento, che prevede come cura una grave
crisi organica dei soggetti indotta a tale scopo, mai dichiarato
obsoleto.
Perché
questo trattamento medico – che per stessa ammissione di molti
psichiatri che lo hanno applicato e che continuano ad applicarlo – è
stato utilizzato in passato come metodo di annichilimento dell’umano,
come strumento di tortura, come mezzo repressivo contro la
disobbedienza, non viene dichiarato superato dalla storia e dalla
scienza?
È sufficiente praticare un’anestesia totale per rendere più umana e dignitosa la sua applicazione? Basta chiamarla terapia per renderla legittima?
Possono
dei benefici temporanei, che per avere effetto devono comunque essere
accompagnati dall’assunzione di psicofarmaci, essere un valido motivo
per usare questo trattamento? Si possono ignorare gli effetti negativi dell’elettroshock?
In
Italia, sul finire degli anni novanta, i presidi sanitari dove era
possibile praticare l’elettroshock erano nove – sei pubblici e tre
privati. Venne presentata una campagna, “Sdoganare l’elettroshock”, dai
più illustri psichiatri organicisti aderenti all’AITEC (Associazione
Italiana Terapie Elettroconvulsive), che principalmente chiedeva due
cose: un aumento dei presidi autorizzati tale che si potesse coprire la
richiesta di una struttura ogni milione di abitanti e la promozione di
iniziative culturali tese ad una rivalutazione di quella che era la
percezione pubblica dell’elettroshock. Fu così che gli apparati politici
italiani intervennero in materia predisponendo, per la prima volta, un
percorso teorico e normativo che identificasse delle linee guida
condivise tra apparati istituzionali pubblici e privati e le richieste
della psichiatria.
In
Italia negli ultimi anni si tende a incentivare l’utilizzo delle
terapie elettroconvulsive, non solo come estrema ratio ma anche come
prima scelta. Per esempio nel trattamento delle depressioni femminili
entro i primi tre mesi di gravidanza, poiché ritenuto meno pericoloso
degli psicofarmaci nei primi periodi di gestazione umana. Anche per
quanto riguarda ipotetici problemi di depressione post partum la TEC
viene addirittura pro-posta quale terapia adeguata e meno invasiva per
le neo mamme rispetto agli psicofarmaci o ad un Trattamento Sanitario
Obbligatorio.
Nel
2011 le strutture ospedaliere coinvolte, cioè quelle che hanno eseguito
almeno una TEC in un anno, erano 91. Nel triennio che va dal 2008 al
2010, 1.406 persone sono state sottoposte a elettroshock. La maggioranza
dei trattamenti riguarda le donne, 821 contro 585 uomini, e la fascia
d’età va in media dai 40 ai 47 anni. Nel 2008 i pazienti over 75 che
hanno subito la TEC erano 21, l’anno dopo 39.
Oggi i centri clinici dove si fa l’elettroshock sono 16 e i pazienti all’incirca 300 l’anno.
I
meccanismi di azione della TEC non sono noti. Per la psichiatria
«rimane irrisolto il problema di come la convulsione cerebrale provochi
le modificazioni psichiche» e «non è chiaro quali e in che modo queste
modificazioni (dei neurotrasmettitori e dei meccanismi recettoriali)
siano correlate all’effetto terapeutico» (G. B. Cassano, Manuale di
Psichiatria). Ma per chi subisce tale trattamento la perdita di memoria e
i danni cerebrali sono ben evidenti e possono essere rilevati
attraverso autopsie e variazioni elettroencefalografiche anche dopo
dieci o venti anni dallo shock.
Ciò
che resta di certo, quindi, è la brutalità, la totale mancanza di
validità scientifica e l’assenza di un valore terapeutico comprovato.
Ci
teniamo, quindi, a ribadire che nonostante le vesti moderne
l’elettroshock rimane una terapia invasiva, una violenza, un attacco
all’integrità psicologica e culturale di chi lo subisce. Insieme ad
altre pratiche psichiatriche come il TSO, l’elettroshock è un esempio,
se non l’icona, della coercizione e dell’arbitrio esercitato dalla
psichiatria. Il percorso di superamento dell’elettroshock e di tutte le
pratiche non terapeutiche deve essere portato avanti e difeso in tutti i
servizi psichiatrici, in tutti i luoghi e gli spazi di cultura e
formazione dove il soggetto principale è una persona, che insieme ai
suoi cari, soffre una fragilità.”
COLLETTIVO ANTIPSICHIATRICO CAMUNO – CAMAP camap@autistici.org
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