Leggo da qualche parte "La cura della sofferenza psichica non può prescindere dalla psichiatria".
Tale affermazione accompagna (e spesso sottende) le riflessioni anche critiche che dallo stesso campo psichiatrico emergono ogni qual volta accade in psichiatria qualcosa di irreparabile, indicibile o inaccettabile.
Elena Casetto muore
intossicata e arsa, bloccata al letto di contenzione di un reparto di
psichiatria ? Andrea soldi muore soffocato dalle manovre dei vigili
urbani che seguono un TSO ? Francesco Mastrogiovanni rimane legato al
letto per 87 ore di agonia prima di spirare ?
Sono "solo" casi di malasanità, cattiva psichiatria, un modo errato di trattare la “sofferenza” psichica.
Non si poteva e non si può prescindere dalla psichiatria, neanche in questi casi. Non si può per legge perché Elena, Andrea e Francesco non avevano il diritto di rifiutare l'aiuto o i trattamenti a cui venivano sottoposti (ne quelli "alternativi" che potevano, secondo i fautori delle buone pratiche, esser loro proposti/imposti).
Faccio qui notare che chi si batte per il superamento della contenzione meccanica in psichiatria, come forma di violenza e di limitazione della libertà personale, non applica lo stesso metro di giudizio o atteggiamento nei confronti del TSO (che spesso precede, giustifica e da corpo a tale pratica)
L’assunto è che chiunque entra in contatto coi servizi psichiatrici (anche se in maniera in/volontaria) "soffra" di una qualche malattia o disagio per cui è necessario comunque agire in maniera "terapeutica" (se del caso anche contro la sua volontà).
L'accento non è posto mai sul fatto se sia o meno legittimo costringere le persone ad accettare un aiuto che non vogliono e di cui non sentono la necessità, ma solo e sempre sui "modi" in cui questo "aiuto" viene prestato.
Io credo che finché penseremo a Elena, Francesco o Andrea come a persone "sofferenti", non daremo a loro né dignità né giustizia.
Dicevamo: "La cura della sofferenza psichica non può prescindere dalla psichiatria"
La storia, il buon senso e le storie delle persone ci dicono che è vero il contrario.
Sono "solo" casi di malasanità, cattiva psichiatria, un modo errato di trattare la “sofferenza” psichica.
Non si poteva e non si può prescindere dalla psichiatria, neanche in questi casi. Non si può per legge perché Elena, Andrea e Francesco non avevano il diritto di rifiutare l'aiuto o i trattamenti a cui venivano sottoposti (ne quelli "alternativi" che potevano, secondo i fautori delle buone pratiche, esser loro proposti/imposti).
Faccio qui notare che chi si batte per il superamento della contenzione meccanica in psichiatria, come forma di violenza e di limitazione della libertà personale, non applica lo stesso metro di giudizio o atteggiamento nei confronti del TSO (che spesso precede, giustifica e da corpo a tale pratica)
L’assunto è che chiunque entra in contatto coi servizi psichiatrici (anche se in maniera in/volontaria) "soffra" di una qualche malattia o disagio per cui è necessario comunque agire in maniera "terapeutica" (se del caso anche contro la sua volontà).
L'accento non è posto mai sul fatto se sia o meno legittimo costringere le persone ad accettare un aiuto che non vogliono e di cui non sentono la necessità, ma solo e sempre sui "modi" in cui questo "aiuto" viene prestato.
Io credo che finché penseremo a Elena, Francesco o Andrea come a persone "sofferenti", non daremo a loro né dignità né giustizia.
Dicevamo: "La cura della sofferenza psichica non può prescindere dalla psichiatria"
La storia, il buon senso e le storie delle persone ci dicono che è vero il contrario.
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