SABATO 1 GIUGNO alle ore 16 a PISA
c/o Ingresso Ospedale S. Chiara in Via Paolo Savi angolo via Niccolò Pisano
STOP ELETTROSHOCK!
L’elettroshock oggi viene
chiamato TEC (terapia elettroconvulsiva) ma rimane la stessa tecnica
inventata nel 1938 da Cerletti e Bini. Si tratta di corrente elettrica
che passando dalla testa e attraversando il cervello produce una
convulsione generalizzata. Migliorandone le garanzie burocratiche, così
come introducendo alcune modifiche nel trattamento, vedi anestesia
totale e farmaci miorilassanti , non si cambia la sostanza della TEC.
A più di ottanta anni dalla sua
invenzione, possiamo affermare che l’elettroshock è l’unico trattamento,
che prevede come cura una grave crisi organica dei soggetti indotta a
tale scopo, mai dichiarato obsoleto.
Perché questo trattamento medico
– che per stessa ammissione di molti psichiatri che lo hanno applicato e
che continuano ad applicarlo – utilizzato in passato come metodo di
annichilimento dell’umano, come strumento di tortura, come mezzo
repressivo contro la disobbedienza, non viene dichiarato superato dalla
storia e dalla scienza?
È sufficiente praticare un’anestesia totale per rendere più umana e dignitosa la sua applicazione?
Basta chiamarla terapia per renderla legittima?
Possono dei benefici temporanei,
che per avere effetto devono comunque essere accompagnati
dall’assunzione di psicofarmaci, essere un valido motivo per usare
questo trattamento?
Si possono ignorare gli effetti negativi dell’elettroshock?
In Italia, sul finire degli anni
novanta, i presidi sanitari dove era possibile praticare l’elettroshock
erano nove – sei pubblici e tre privati. Venne presentata una campagna,
“Sdoganare l’elettroshock”, dai più illustri psichiatri organicisti
aderenti all’AITEC (Associazione Italiana Terapie Elettroconvulsive),
che principalmente chiedeva due cose: un aumento dei presidi autorizzati
tale che si potesse coprire la richiesta di una struttura ogni milione
di abitanti e la promozione di iniziative culturali tese ad una
rivalutazione di quella che era la percezione pubblica
dell’elettroshock. Fu così che gli apparati politici italiani
intervennero in materia predisponendo, per la prima volta, un percorso
teorico e normativo che identificasse delle linee guida condivise tra
apparati istituzionali pubblici e privati e le richieste della
psichiatria.
In Italia negli ultimi anni si tende a incentivare l’utilizzo delle terapie elettroconvulsive, non solo come estrema ratio
ma anche come prima scelta. Per esempio nel trattamento delle
depressioni femminili entro i primi tre mesi di gravidanza, poiché
ritenuto meno pericoloso degli psicofarmaci nei primi periodi di
gestazione umana. Anche per quanto riguarda ipotetici problemi di
depressione post partum la TEC viene addirittura pro-posta quale
terapia adeguata e meno invasiva per le neo mamme rispetto agli
psicofarmaci o ad un Trattamento Sanitario Obbligatorio.
Nel 2011 le strutture
ospedaliere coinvolte, cioè quelle che hanno eseguito almeno una TEC in
un anno, erano 91. Nel triennio che va dal 2008 al 2010, 1.406 persone
sono state sottoposte a elettroshock. La maggioranza dei trattamenti
riguarda le donne, 821 contro 585 uomini, e la fascia d’età va in media
dai 40 ai 47 anni. Nel 2008 i pazienti over 75 che hanno subito la TEC
erano 21, l’anno dopo 39.
Oggi i centri clinici dove si fa l’elettroshock sono 16 e i pazienti all’incirca 300 l’anno.
I meccanismi di azione della TEC
non sono noti. Per la psichiatria «rimane irrisolto il problema di come
la convulsione cerebrale provochi le modificazioni psichiche» e «non è
chiaro quali e in che modo queste modificazioni (dei neurotrasmettitori e
dei meccanismi recettoriali) siano correlate all’effetto terapeutico»
(G. B. Cassano, Manuale di Psichiatria). Ma per chi subisce
tale trattamento la perdita di memoria e i danni cerebrali sono ben
evidenti e possono essere rilevati attraverso autopsie e variazioni
elettroencefalografiche anche dopo dieci o venti anni dallo shock.
Ciò che resta di certo, quindi, è
la brutalità, la totale mancanza di validità scientifica e l’assenza di
un valore terapeutico comprovato.
Ci teniamo, quindi, a ribadire
che nonostante le vesti moderne l’elettroshock rimane una terapia
invasiva, una violenza, un attacco all’integrità psicologica e culturale
di chi lo subisce. Insieme ad altre pratiche psichiatriche come il TSO,
l’elettroshock è un esempio, se non l’icona, della coercizione e
dell’arbitrio esercitato dalla psichiatria. Il percorso di superamento
dell’elettroshock e di tutte le pratiche non terapeutiche deve essere
portato avanti e difeso in tutti i servizi psichiatrici, in tutti i
luoghi e gli spazi di cultura e formazione dove il soggetto principale è
una persona, che insieme ai suoi cari, soffre una fragilità.
COLLETTIVO ANTIPSICHIATRICO ANTONIN ARTAUD – PISA antipsichiatriapisa@inventati.org
COLLETTIVO ANTIPSICHIATRICO SENZANUMERO – ROMA senzanumero@autistici.org
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