domenica 17 dicembre 2017
sabato 9 dicembre 2017
Incurabili da sempre: passeggiata antipsichiatrica al Balon
fonte:https://anarresinfo.noblogs.org
Sta entrando nel vivo il processo per la morte di Andrea Soldi, ucciso dai vigili urbani per imporgli con la forza un TSO – un trattamento sanitario obbligatorio. Alla sbarra, oltre ai tre tutori dell’ordine anche lo psichiatra che decise il ricovero coatto.
In questi giorni si sono susseguite le testimonianze dei sanitari, che
visitarono Soldi quando arrivò in ospedale ammanettato e ormai privo di
coscienza per la lunga mancanza di ossigeno.Sta entrando nel vivo il processo per la morte di Andrea Soldi, ucciso dai vigili urbani per imporgli con la forza un TSO – un trattamento sanitario obbligatorio. Alla sbarra, oltre ai tre tutori dell’ordine anche lo psichiatra che decise il ricovero coatto.
La vicenda di Soldi non è che la punta dell’iceberg. La lista dei morti di psichiatria, che si allunga anno dopo anno, ci mostra una pratica che serve a disciplinare, reprimere, rinchiudere, non certo a “curare”.
In una notte di novembre piazzale Umbria, i
giardinetti dove Andrea trascorreva le giornate e dove è stato ucciso
sono stati dedicati a lui con la scritta “Piazza Andrea Soldi. Ucciso
dallo Stato e dalla psichiatria”
Un bel gruppone di compagni e compagne ha partecipato alla passeggiata antipsichiatrica indettadal collettivo “Francesco Mastrogiovanni” di Torino.
C’erano anche alcune persone colpite dalla psichiatria che ci hanno raccontato le loro storie. Una buona occasione per intrecciare percorsi e allargare il fronte di lotta.
La messa in scena di tre quadri di ordinaria psichiatria ha mostrato che legacci, gabbie chimiche, elettroshock non sono ricordi del passato ma pratiche ben vive tra repartini, cliniche, prigioni per “matti”.
Di seguito il testo distribuito durante la performance.
Incurabili da sempre
Camicie di forza, letti di contenzione, elettroshock, lobotomia farmaceutica, punture a lento rilascio, isolamento, umiliazioni, ricatti, sequestri, prigionie, torture, violenze e morti…
Nonostante in Italia i manicomi siano stati chiusi negli anni Settanta e la moderna psichiatria sia considerata alla stregua delle altre scienze mediche, questa è la realtà vissuta ancora oggi da chi è giudicato dalla nostra società folle, divers*, anormale, e per questo isolat*, punit* e normalizzat*.
Rispetto al passato la psichiatria ha inventato centinaia di disturbi e di diagnosi, tutte basate sull’analisi dei comportamenti delle persone, estendendo il suo sguardo medico ad ambiti che prima ne erano esclusi e medicalizzando tutte le fasi della nostra vita, dall’infanzia alla vecchiaia. L’omosessualità, solo per fare un esempio, è stata considerata una malattia psichiatrica fino al
domenica 26 novembre 2017
29 Novembre - Camap a Desenzano
Mercoledì
29 novembre, alla casa dei popoli T. Sankara, si terrà una serata
dedicata all’analisi e alla riflessione critica sulla psichiatria e sul
concetto di malattia mentale: il Collettivo Antipsichiatrico Camuno ci
racconterà le origini della psichiatria e le sue contraddizioni,
analizzandone gli aspetti storici, politici, sociali e culturali ed
offrendoci uno sguardo diretto su questa “altra-realtà” attraverso la
proiezione di filmati e la condivisione di esperienze personali. Seguirà
poi la presentazione del testo “La critica psichiatrica” con la
partecipazione dell’autore Gabriele Crimella e un dibattito aperto in
cui sarà possibile confrontarsi liberamente sul tema.
DALLE ORE 19:00 si terrà un piccolo APERTIVO di benvenuto
DALLE ORE 20:00 Avrà inizio l’evento vero e proprio: si tratta di un’occasione per conoscere o approfondire una realtà tenuta nascosta e dipinta troppo spesso con tinte non veritiere, una realtà che si vuole celare e che è invece necessario conoscere.
VIENI A PORTARE IL TUO PENSIERO, TI ASPETTIAMO!
DALLE ORE 19:00 si terrà un piccolo APERTIVO di benvenuto
DALLE ORE 20:00 Avrà inizio l’evento vero e proprio: si tratta di un’occasione per conoscere o approfondire una realtà tenuta nascosta e dipinta troppo spesso con tinte non veritiere, una realtà che si vuole celare e che è invece necessario conoscere.
VIENI A PORTARE IL TUO PENSIERO, TI ASPETTIAMO!
sabato 25 novembre 2017
Conversazione con Giorgio Antonucci, con interventi, radiotrasmessa in diretta da Radio Cooperativa (Mortise, Padova) il 1 settembre 2001 (testo trascritto dalla diretta radiofonica)
fonte: http://www.nopazzia.it
RADIO COOPERATIVA (MORTISE, PADOVA)
PSICHIATRIA, ANTIPSICHIATRIA, DISAGIO MENTALE, DISAGIO SOCIALE
OSPITI: Giorgio Antonucci
Sergio Martella
Massimo Panzera
Sabato 1° settembre 2001, Giorgio Antonucci è ospite di Radio Cooperativa nella trasmissione dal titolo “Psichiatria, antipsichiatria, disagio mentale, disagio sociale”. Conduce Emilio Nasuti.
E.N.:“Finalmente è con noi il dott. Giorgio Antonucci, un ospite speciale che aspettavamo da tempo, e insieme ad Antonucci sono presenti Massimo Panzera, come ospite fisso per tutti questi due anni, Sergio Martella e Francesco. La trasmissione ha come scopo quello di fare opera di informazione rispetto alle problematiche del disagio, disagio mentale. Fare sensibilizzazione intorno alle tematiche del disagio mentale e disagio sociale. Giorgio Antonucci ha pubblicato numerosi articoli su riviste come “Ombre Rosse”, “il Ponte”, “Collettivo R” e altre. Numerosi sono anche i suoi scritti. Quindi iniziamo la trasmissione, io darei la parola a massimo poi a Sergio e poi, se ci sarà spazio, daremo voce anche aglitri ospiti che sono qua e soprattutto a voi ascoltatori. Quindi buono ascolto a tutti.
Ora darei la parola al dottore.
G.A.: Devo innanzitutto specificare che l’ultima legge non è “legge Basaglia” come dicono tutti, devo specificarlo perché Basaglia non la voleva nemmeno, perché non era affatto soddisfatto e poi pensava anche che non era con una legge che si possano cambiare le cose, ma con un modo diverso di lavorare. E infatti questa legge è poi servita a poco. Però direi che se si va, ora, in una clinica psichiatrica sembra che non sia accaduto nulla, e anche se si va in una università. Le cliniche psichiatriche sono chiuse, sono con camice di forza, a volte si fanno elettroschock a volte no, si usano psicofarmaci fino al decadimento fisico della persona, le persone non sono ascoltate su uno dei loro problemi, per cui… io ho veduto le cliniche psichiatriche prima di questo periodo, all’inizio del mio lavoro, e le vedo ora e non c’è nessuna differenza.
Questo non significa che non sia cambiato qualcosa. La cultura è cambiata, non è più così facile come prima considerare una persona da internare, ci si pensa di più, mentre prima non ci si pensava affatto. Abbiamo messo un dubbio nella cultura però non abbiamo cambiato, tolto iniziative eccezionali che io potrei anche non conoscere, ma per quelle che conosco non è cambiato niente. All’estero negli Stati Uniti, Germania, Inghilterra ci sono iniziative culturali, dibattiti, ma le cliniche psichiatriche, i manicomi sono precisi a come erano una volta.
S.M.: “Per cliniche psichiatriche lei intende quelle private, perché adesso di pubbliche ne sono rimaste poche, in Italia…
RADIO COOPERATIVA (MORTISE, PADOVA)
PSICHIATRIA, ANTIPSICHIATRIA, DISAGIO MENTALE, DISAGIO SOCIALE
OSPITI: Giorgio Antonucci
Sergio Martella
Massimo Panzera
Sabato 1° settembre 2001, Giorgio Antonucci è ospite di Radio Cooperativa nella trasmissione dal titolo “Psichiatria, antipsichiatria, disagio mentale, disagio sociale”. Conduce Emilio Nasuti.
E.N.:“Finalmente è con noi il dott. Giorgio Antonucci, un ospite speciale che aspettavamo da tempo, e insieme ad Antonucci sono presenti Massimo Panzera, come ospite fisso per tutti questi due anni, Sergio Martella e Francesco. La trasmissione ha come scopo quello di fare opera di informazione rispetto alle problematiche del disagio, disagio mentale. Fare sensibilizzazione intorno alle tematiche del disagio mentale e disagio sociale. Giorgio Antonucci ha pubblicato numerosi articoli su riviste come “Ombre Rosse”, “il Ponte”, “Collettivo R” e altre. Numerosi sono anche i suoi scritti. Quindi iniziamo la trasmissione, io darei la parola a massimo poi a Sergio e poi, se ci sarà spazio, daremo voce anche aglitri ospiti che sono qua e soprattutto a voi ascoltatori. Quindi buono ascolto a tutti.
Ora darei la parola al dottore.
G.A.: Devo innanzitutto specificare che l’ultima legge non è “legge Basaglia” come dicono tutti, devo specificarlo perché Basaglia non la voleva nemmeno, perché non era affatto soddisfatto e poi pensava anche che non era con una legge che si possano cambiare le cose, ma con un modo diverso di lavorare. E infatti questa legge è poi servita a poco. Però direi che se si va, ora, in una clinica psichiatrica sembra che non sia accaduto nulla, e anche se si va in una università. Le cliniche psichiatriche sono chiuse, sono con camice di forza, a volte si fanno elettroschock a volte no, si usano psicofarmaci fino al decadimento fisico della persona, le persone non sono ascoltate su uno dei loro problemi, per cui… io ho veduto le cliniche psichiatriche prima di questo periodo, all’inizio del mio lavoro, e le vedo ora e non c’è nessuna differenza.
Questo non significa che non sia cambiato qualcosa. La cultura è cambiata, non è più così facile come prima considerare una persona da internare, ci si pensa di più, mentre prima non ci si pensava affatto. Abbiamo messo un dubbio nella cultura però non abbiamo cambiato, tolto iniziative eccezionali che io potrei anche non conoscere, ma per quelle che conosco non è cambiato niente. All’estero negli Stati Uniti, Germania, Inghilterra ci sono iniziative culturali, dibattiti, ma le cliniche psichiatriche, i manicomi sono precisi a come erano una volta.
S.M.: “Per cliniche psichiatriche lei intende quelle private, perché adesso di pubbliche ne sono rimaste poche, in Italia…
martedì 21 novembre 2017
Ciao Giorgio
Ci uniamo al dolore ed al ricordo per la scomparsa di Giorgio Antonucci, venuto a mancare Sabato 18 Novembre. E' stato per noi del Camap bello e speciale poter conoscere e parlare con Giorgio che ci ha aperto le porte di casa sua anni fa; ci rimarrà il ricordo di uomo intelligente come pochi, ricco di storie, di cultura e di sensibilità. Imprenscindibile la mole di atti e scritti che ha prodotto per mostrarci tutte le magagne della presunta scienza psichiatrica. Nei prossimi giorni seguiranno, il più possibile, post riguardanti la persona di Giorgio Antonucci. Grazie per tutto.
CAMAP
CAMAP
domenica 19 novembre 2017
Domani sera (Lun 20/11) a Pisa
PROIEZIONE di "The Danish Girl"
Lunedì 20 Novembre alle ore 20:30 c/o Aula Magna Scienze Politiche - Via Serafini 3 Pisa
All'interno del Cineforum "Robe da Matti?" abbiamo deciso di inserire la proiezione di "The Danish Girl" in occasione del Transgender Day of Remembrance che si celebra il 20 novembre per ricordare le vittime dovute alla transfobia, riconducibile ancora una volta alla matrice patriarcale.
Come collettivo antipsichiatrico Antonin Artaud insieme a Queersquilie, La Collettiva abbiamo pensato di condividere, in seguito alla proiezione del film, una riflessione sui legami tra sessualità e psichiatrizzazione.
La transessualità è stata infatti concepita sin dagli anni '60 come una patologia, un disturbo dell'orientamento sessuale definito disforia di genere e inserito nel 1980 nel Dsm (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali). In questo manuale sono diversi gli orientamenti sessuali ad essere stigmatizzati come patologie psichiatriche ed essere dunque approcciati come questioni di tipo medico. Se nel 1973 l'omosessualità viene finalmente espulsa dal Dsm, la transessualità continua ad apparrire tra le patologie psichiatriche anche nella versione più recente del manuale, nel 2015.
La lettura psichiatrizzante accompagna le persone trans nel loro percorso di vita poichè in numerosi protocolli per il cambio dei documenti, come in molte altre sfere della vita quotidiana, è richiesta una perizia di disforia di genere.
Ci interessa dunque cogliere questo momento per confrontarci sia sulla tematica presentata che sulle lotte che, in vari campi, vengono combattute per riconoscere il diritto di ognun@ di noi a vivere il proprio corpo e la propria sessualità in libertà.
Lunedì 20 Novembre alle ore 20:30 c/o Aula Magna Scienze Politiche - Via Serafini 3 Pisa
All'interno del Cineforum "Robe da Matti?" abbiamo deciso di inserire la proiezione di "The Danish Girl" in occasione del Transgender Day of Remembrance che si celebra il 20 novembre per ricordare le vittime dovute alla transfobia, riconducibile ancora una volta alla matrice patriarcale.
Come collettivo antipsichiatrico Antonin Artaud insieme a Queersquilie, La Collettiva abbiamo pensato di condividere, in seguito alla proiezione del film, una riflessione sui legami tra sessualità e psichiatrizzazione.
La transessualità è stata infatti concepita sin dagli anni '60 come una patologia, un disturbo dell'orientamento sessuale definito disforia di genere e inserito nel 1980 nel Dsm (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali). In questo manuale sono diversi gli orientamenti sessuali ad essere stigmatizzati come patologie psichiatriche ed essere dunque approcciati come questioni di tipo medico. Se nel 1973 l'omosessualità viene finalmente espulsa dal Dsm, la transessualità continua ad apparrire tra le patologie psichiatriche anche nella versione più recente del manuale, nel 2015.
La lettura psichiatrizzante accompagna le persone trans nel loro percorso di vita poichè in numerosi protocolli per il cambio dei documenti, come in molte altre sfere della vita quotidiana, è richiesta una perizia di disforia di genere.
Ci interessa dunque cogliere questo momento per confrontarci sia sulla tematica presentata che sulle lotte che, in vari campi, vengono combattute per riconoscere il diritto di ognun@ di noi a vivere il proprio corpo e la propria sessualità in libertà.
venerdì 10 novembre 2017
Pisa: CINEFORUM ANTIPSICHIATRICO "ROBE DA MATTI?"
“ROBE DA MATTI?” ciclo di film sulla follia e la sua percezione.
L'assemblea Aula R e il collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud, presso l'aula magna del Dipartimento di Scienze politiche in via Serafini 3, propongono un ciclo di film al fine di affrontare il tema dello stigma della salute mentale e degli abusi che avvengono nel campo della psichiatria.
Folle? Normale? Chi definisce quali sono i confini dell'uno e dell'altro?
Con questa introduzione non vogliamo proporre delle risposte, ma stimolare i vostri (e anche nostri) dubbi sul tema della salute mentale e della psichiatria, visionando alcune pellicole e dopo confrontarci su questi temi.
Tutte le proiezioni inizieranno alle ore 21.
15 novembre "the Experimet"- Paul Scheuring (2010)
“Ispirato al reale esperimento di Philip Zimbardo avvenuto a Stanford nel 1971. L'esperimento prevedeva l'assegnazione, ai volontari che accettarono di parteciparvi, dei ruoli di guardie e prigionieri all'interno di un carcere simulato. L'esperimento della prigione di Stanford fu un esperimento psicologico volto a indagare il comportamento umano in una società in cui gli individui sono definiti soltanto dal gruppo di appartenenza.”
29 novembre "la Pecora nera"- Ascanio Celestini(2010)
"Il manicomio è un condominio di santi. So' santi i poveri matti asini sotto le lenzuola cinesi, sudari di fabbricazione industriale, santa la suora che accanto alla lucetta sul comodino suo si illumina come un ex voto. E il dottore è il più santo di tutti, è il capo dei santi, è Gesucristo".
6 dicembre "Mommy"- Xavier Dolan (2014)
“In un possibile futuro prossimo, il Canada ha approvato una controversa legge, denominata S-14, che consente ai parenti di minori difficili, in caso di emergenza, di effettuare un ricovero coatto presso un istituto psichiatrico, saltando la procedura legale. Diane, una donna sola, entra nel centro di recupero al quale Steve, il figlio quindicenne, è stato affidato dopo la morte del padre. “
per info: antipsichiatriapisa@inventati.org
L'assemblea Aula R e il collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud, presso l'aula magna del Dipartimento di Scienze politiche in via Serafini 3, propongono un ciclo di film al fine di affrontare il tema dello stigma della salute mentale e degli abusi che avvengono nel campo della psichiatria.
Folle? Normale? Chi definisce quali sono i confini dell'uno e dell'altro?
Con questa introduzione non vogliamo proporre delle risposte, ma stimolare i vostri (e anche nostri) dubbi sul tema della salute mentale e della psichiatria, visionando alcune pellicole e dopo confrontarci su questi temi.
Tutte le proiezioni inizieranno alle ore 21.
15 novembre "the Experimet"- Paul Scheuring (2010)
“Ispirato al reale esperimento di Philip Zimbardo avvenuto a Stanford nel 1971. L'esperimento prevedeva l'assegnazione, ai volontari che accettarono di parteciparvi, dei ruoli di guardie e prigionieri all'interno di un carcere simulato. L'esperimento della prigione di Stanford fu un esperimento psicologico volto a indagare il comportamento umano in una società in cui gli individui sono definiti soltanto dal gruppo di appartenenza.”
29 novembre "la Pecora nera"- Ascanio Celestini(2010)
"Il manicomio è un condominio di santi. So' santi i poveri matti asini sotto le lenzuola cinesi, sudari di fabbricazione industriale, santa la suora che accanto alla lucetta sul comodino suo si illumina come un ex voto. E il dottore è il più santo di tutti, è il capo dei santi, è Gesucristo".
6 dicembre "Mommy"- Xavier Dolan (2014)
“In un possibile futuro prossimo, il Canada ha approvato una controversa legge, denominata S-14, che consente ai parenti di minori difficili, in caso di emergenza, di effettuare un ricovero coatto presso un istituto psichiatrico, saltando la procedura legale. Diane, una donna sola, entra nel centro di recupero al quale Steve, il figlio quindicenne, è stato affidato dopo la morte del padre. “
per info: antipsichiatriapisa@inventati.org
giovedì 9 novembre 2017
Processo Soldi e passeggiata antipsichiatrica
Il 27 settembre è cominciato il processo per la morte di Andrea
Soldi, ucciso dai vigili urbani che stavano cercando di imporgli con la
forza un TSO – un trattamento sanitario obbligatorio.
Riceviamo e pubblichiamo l'iniziativa da parte degli amici del Collettivo Mastrogiovanni di Torino, organizzata in occasione del processo per la morte dopo un TSO di Andrea Soldi. Il processo che si sta svolgendo in questi giorni è anche occasione per mettere in discussione la legittimità del Trattamento Sanitario Obbligatorio e portare l'argomento delle vittime per psichiatria all'attenzione dell'opinione pubblica.
da RadioBlackout :
In questi giorni, con le testimonianze dei sanitari, che visitarono Soldi quando arrivò in ospedale ammanettato e ormai privo di coscienza per la lunga mancanza di ossigeno, il processo sta entrando nel vivo.
La vicenda di Soldi non è che la punta dell’iceberg. La lista dei morti di psichiatria, che si allunga anno dopo anno, ci mostra una pratica che serve a disciplinare, reprimere, rinchiudere, non certo a “curare”.
Sabato 11 novembre gli attivist* del collettivo antipsichiatrico Francesco Mastrogiovanni hanno promosso una passaggiata informativa per il Balon, con quattro quadri di normale repressione psichiatrica.
L’appuntamento è alle 10 in via Andreis angolo via Borgodora
Di seguito un testo del Collettivo Mastrogiovanni sulla vicenda Soldi e non solo:
“Andrea Soldi è morto il 5 agosto 2015 in piazzale Umbria a Torino, ucciso dai vigili urbani che lo stavano sottoponendo ad un TSO (Trattamento sanitario obbligatorio), perché non si era presentato alla mensile somministrazione forzata (tramite iniezione a lento rilascio) di Haldol, un potente e dannoso neurolettico che provoca dipendenza e gravi effetti collaterali. Il 27 settembre si è aperto il processo che vede imputati per omicidio colposo i 3 vigili autori della manovra contenitiva che ha di fatto soffocato l’uomo, e lo psichiatra che ha disposto il TSO senza che ci fossero le necessarie condizioni previste dalla legge. Tutti hanno continuato e continuano a svolgere le proprie mansioni. I vigili sono stati spostati in un altro reparto. Nel passaggio ci è scappata una promozione.
Durante le udienze preliminari il Comune e l’Asl To2 avevano offerto 400.000 euro ai familiari della vittima, che li hanno rifiutati. Il solo fatto che due enti che versano in ristrettezze economiche abbiano proposto massimali di risarcimento ancor prima che fosse accertata l’effettiva responsabilità degli imputati, ci fa capire il peso che questo processo potrebbe avere nell’attaccare l’istituzione psichiatrica e i suoi (ab)usi, ponendo l’attenzione sul TSO, ovvero quel trattamento che dà agli psichiatri il potere di catturare, imprigionare e drogare le persone contro la loro volontà e in modo del tutto arbitrario.
Quella di Andrea non è una storia di malasanità, un errore nell’attuazione di un provvedimento terapeutico, ma è la più tragica conseguenza di pratiche quotidianamente perpetrate dalla psichiatria, di continui ricatti, violenze e vessazioni che la maggior parte degli utenti psichiatrici sono costretti a subire. Non è neanche un caso isolato di morte per TSO, perché sono in tanti a perdere la vita durante la cattura e soprattutto a causa dell’indiscriminata e ponderosa somministrazione di psicofarmaci. La differenza è che nel caso di Andrea ci sono tanti testimoni, occhi e orecchie di gente “normale” che hanno assistito a ciò che mai avrebbero potuto immaginare, perché la repressione psichiatrica avviene nella solitudine di chi ne è investito, nel silenzio delle loro famiglie, dentro reparti chiusi e in luoghi isolati. La storia di Andrea è l’eccezione che conferma la regola e da due anni è deflagrata nelle pagine di cronaca dei giornali. É una storia simile a quella di Francesco Mastrogiovanni, le cui ultime ore di vita nel repartino dell’ospedale di S. Luca di Vallo della Lucania, sono state immortalate da una telecamera: 87 ore di agonia durante le quali, pesantemente sedato con farmaci antipsicotici, è stato legato mani e piedi al letto, senza cibo né acqua, fino alla morte il 31 luglio del 2009. Anche Franco è morto durante un ricovero coatto, anche in questo caso il comportamento della vittima era tranquillo e conciliante, e anche stavolta il provvedimento non era legittimo. Anche qui un altro processo iniziato a novembre 2014 che vede imputati 12 infermieri e 6 medici (per reati di sequestro, falso in atto pubblico e morte in conseguenza ad altro reato – il sequestro), in cui si cerca sempre di circoscrivere la tortura subita all’interno di un ospedale come un episodio unico di disservizio ed inefficienza. A novembre scorso la Corte d’Appello di Salerno ha condannato gli 11 infermieri (pene dai 14 mesi ai 15 mesi) che in primo grado erano stati assolti e ha confermato le condanne per i sei medici, a cui però le pene sono state ridotte (dai 13 mesi ai due anni). A tutti è stata sospesa la pena e, quindi, continuano a lavorare nel SSN. Uno dei medici è coinvolto nella morte di Massimiliano Malzone avvenuta nel giugno 2015 nel SPDC di Sant’Arsenio di Polla, probabilmente a causa di una somministrazione letale di farmaci.
L’ultimo fatto di cronaca risale ad agosto, quando Fabio Tozzi, un uomo di 48 anni che, entrato in TSO all’ospedale Villa Scassi a Genova, ne è uscito morto dopo un paio d’ore, durante le quali è passato prima per il pronto soccorso e poi per il repartino, e ha ricevuto una o forse più somministrazioni di psicofarmaci. É paradossale che un uomo controllato da famiglia e Sert per la sua dipendenza dipendenza da droghe, sia morto in ospedale per un’overdose di psicofarmaci, ovvero sempre sostanze psicotrope ma “legali” in quanto prescritte da medici.
Nonostante in Italia i manicomi siano stati chiusi alla fine degli anni Settanta, l’orrore psichiatrico non è mai finito e come si moriva nei manicomi, si muore oggi nei nuovi luoghi della psichiatria, strutture più piccole capillarmente diffuse sul territorio, all’interno delle quali continuano a perpetrarsi sia l’etichetta di “malato mentale” sia i metodi coercitivi e violenti della psichiatria.
Di recente a Torino a due lavoratrici OSS della comunità psichiatrica torinese “Il Ponte”, che sono state sospese e licenziate poiché lottavano contro la contenzione fisica dei pazienti all’interno delle 5 comunità psichiatriche, dove, nonostante le alte rette versate dall’ASL, manca il personale. Per il guadagno di pochi privati, si calpesta la dignità sia dei pazienti, sempre più sedati e contenuti, sia di quei lavoratori che obiettano metodi disumani e manicomiali.
La psichiatria può cambiare i nomi dei luoghi e dei trattamenti, gode dell’appoggio di medici, tribunali, giornali e fautori del contenimento e del mantenimento dello status quo, ma non riuscirà mai a persuadere chi ha avuto la sfortuna di incapparvi e vive ogni giorno i suoi soprusi, così come chi odia la reclusione, chi vuole abbattere mura, gabbie e confini e lotta ogni giorno per la libertà di tutti.
Collettivo Antipsichiatrico “Francesco Mastrogiovanni”
Telefono: 345 61 94 300 martedì dalle 19, oppure lascia un messaggio in segreteria
antipsichiatriatorino@inventati.org”
Ascolta la diretta con Raffaella del Collettivo Mastrogiovanni su http://radioblackout.org/2017/11/processo-soldi-e-passeggiata-antipsichiatrica/
“Andrea Soldi è morto il 5 agosto 2015 in piazzale Umbria a Torino, ucciso dai vigili urbani che lo stavano sottoponendo ad un TSO (Trattamento sanitario obbligatorio), perché non si era presentato alla mensile somministrazione forzata (tramite iniezione a lento rilascio) di Haldol, un potente e dannoso neurolettico che provoca dipendenza e gravi effetti collaterali. Il 27 settembre si è aperto il processo che vede imputati per omicidio colposo i 3 vigili autori della manovra contenitiva che ha di fatto soffocato l’uomo, e lo psichiatra che ha disposto il TSO senza che ci fossero le necessarie condizioni previste dalla legge. Tutti hanno continuato e continuano a svolgere le proprie mansioni. I vigili sono stati spostati in un altro reparto. Nel passaggio ci è scappata una promozione.
Durante le udienze preliminari il Comune e l’Asl To2 avevano offerto 400.000 euro ai familiari della vittima, che li hanno rifiutati. Il solo fatto che due enti che versano in ristrettezze economiche abbiano proposto massimali di risarcimento ancor prima che fosse accertata l’effettiva responsabilità degli imputati, ci fa capire il peso che questo processo potrebbe avere nell’attaccare l’istituzione psichiatrica e i suoi (ab)usi, ponendo l’attenzione sul TSO, ovvero quel trattamento che dà agli psichiatri il potere di catturare, imprigionare e drogare le persone contro la loro volontà e in modo del tutto arbitrario.
Quella di Andrea non è una storia di malasanità, un errore nell’attuazione di un provvedimento terapeutico, ma è la più tragica conseguenza di pratiche quotidianamente perpetrate dalla psichiatria, di continui ricatti, violenze e vessazioni che la maggior parte degli utenti psichiatrici sono costretti a subire. Non è neanche un caso isolato di morte per TSO, perché sono in tanti a perdere la vita durante la cattura e soprattutto a causa dell’indiscriminata e ponderosa somministrazione di psicofarmaci. La differenza è che nel caso di Andrea ci sono tanti testimoni, occhi e orecchie di gente “normale” che hanno assistito a ciò che mai avrebbero potuto immaginare, perché la repressione psichiatrica avviene nella solitudine di chi ne è investito, nel silenzio delle loro famiglie, dentro reparti chiusi e in luoghi isolati. La storia di Andrea è l’eccezione che conferma la regola e da due anni è deflagrata nelle pagine di cronaca dei giornali. É una storia simile a quella di Francesco Mastrogiovanni, le cui ultime ore di vita nel repartino dell’ospedale di S. Luca di Vallo della Lucania, sono state immortalate da una telecamera: 87 ore di agonia durante le quali, pesantemente sedato con farmaci antipsicotici, è stato legato mani e piedi al letto, senza cibo né acqua, fino alla morte il 31 luglio del 2009. Anche Franco è morto durante un ricovero coatto, anche in questo caso il comportamento della vittima era tranquillo e conciliante, e anche stavolta il provvedimento non era legittimo. Anche qui un altro processo iniziato a novembre 2014 che vede imputati 12 infermieri e 6 medici (per reati di sequestro, falso in atto pubblico e morte in conseguenza ad altro reato – il sequestro), in cui si cerca sempre di circoscrivere la tortura subita all’interno di un ospedale come un episodio unico di disservizio ed inefficienza. A novembre scorso la Corte d’Appello di Salerno ha condannato gli 11 infermieri (pene dai 14 mesi ai 15 mesi) che in primo grado erano stati assolti e ha confermato le condanne per i sei medici, a cui però le pene sono state ridotte (dai 13 mesi ai due anni). A tutti è stata sospesa la pena e, quindi, continuano a lavorare nel SSN. Uno dei medici è coinvolto nella morte di Massimiliano Malzone avvenuta nel giugno 2015 nel SPDC di Sant’Arsenio di Polla, probabilmente a causa di una somministrazione letale di farmaci.
L’ultimo fatto di cronaca risale ad agosto, quando Fabio Tozzi, un uomo di 48 anni che, entrato in TSO all’ospedale Villa Scassi a Genova, ne è uscito morto dopo un paio d’ore, durante le quali è passato prima per il pronto soccorso e poi per il repartino, e ha ricevuto una o forse più somministrazioni di psicofarmaci. É paradossale che un uomo controllato da famiglia e Sert per la sua dipendenza dipendenza da droghe, sia morto in ospedale per un’overdose di psicofarmaci, ovvero sempre sostanze psicotrope ma “legali” in quanto prescritte da medici.
Nonostante in Italia i manicomi siano stati chiusi alla fine degli anni Settanta, l’orrore psichiatrico non è mai finito e come si moriva nei manicomi, si muore oggi nei nuovi luoghi della psichiatria, strutture più piccole capillarmente diffuse sul territorio, all’interno delle quali continuano a perpetrarsi sia l’etichetta di “malato mentale” sia i metodi coercitivi e violenti della psichiatria.
Di recente a Torino a due lavoratrici OSS della comunità psichiatrica torinese “Il Ponte”, che sono state sospese e licenziate poiché lottavano contro la contenzione fisica dei pazienti all’interno delle 5 comunità psichiatriche, dove, nonostante le alte rette versate dall’ASL, manca il personale. Per il guadagno di pochi privati, si calpesta la dignità sia dei pazienti, sempre più sedati e contenuti, sia di quei lavoratori che obiettano metodi disumani e manicomiali.
La psichiatria può cambiare i nomi dei luoghi e dei trattamenti, gode dell’appoggio di medici, tribunali, giornali e fautori del contenimento e del mantenimento dello status quo, ma non riuscirà mai a persuadere chi ha avuto la sfortuna di incapparvi e vive ogni giorno i suoi soprusi, così come chi odia la reclusione, chi vuole abbattere mura, gabbie e confini e lotta ogni giorno per la libertà di tutti.
Collettivo Antipsichiatrico “Francesco Mastrogiovanni”
Telefono: 345 61 94 300 martedì dalle 19, oppure lascia un messaggio in segreteria
antipsichiatriatorino@inventati.org”
Ascolta la diretta con Raffaella del Collettivo Mastrogiovanni su http://radioblackout.org/2017/11/processo-soldi-e-passeggiata-antipsichiatrica/
venerdì 27 ottobre 2017
ELETTROSHOCK: MA QUALE CURA?
Ripubblichiamo la lettera al giornale Il Tirreno, scritto dagli amici del Collettivo Antonin Artaud di Pisa, in risposta all'articolo ''Elettroshock: ogni anno a Pisa curati 60 pazienti''
ELETTROSHOCK: MA QUALE CURA?
Come Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud da anni siamo impegnati sul territorio per contrastare gli abusi della psichiatria, ponendo particolare attenzione alle modalità e ai meccanismi attraverso i quali essa si espande sempre più capillarmente e trasversalmente.
A quasi ottanta anni dalla sua invenzione, possiamo affermare che l’elettroshock è l’unico trattamento, che prevede come cura una grave crisi organica dei soggetti indotta a tale scopo, mai dichiarato obsoleto.
Anzi, si è cercato di modernizzarlo, sin dai primi anni, infatti già nel 1943 il professor Delay mise a punto una nuova tecnica: l’elettroshock sotto narcosi, anche detta elettroshock terapia modificata.
L’elettroshock oggi viene chiamato TEC (terapia elettroconvulsiva) ma rimane la stessa tecnica inventata nel 1938 da Cerletti e Bini. Cambiare nome all’elettroshock ha aperto la via a due ordini di cambiamento: anzitutto si è assicurato il proseguimento del trattamento riducendo il dibattito alle linee guida per l’utilizzo, nei soli ambiti medici e politici; l’altro cambiamento è rappresentato dall’opinione diffusa che lo vede come pratica non più utilizzata, superata e obsoleta, allo stesso modo dei salassi per mezzo di sanguisughe. Invece si tratta sempre di far passare la corrente elettrica per la testa di un paziente, che passando attraverso il cervello, produce una convulsione generalizzata. Migliorandone le garanzie burocratiche, così come introducendo alcune modifiche nel trattamento, vedi anestesia totale e farmaci miorilassanti , non si cambia la sostanza della TEC.
Rimangono la brutalità, la sua totale mancanza di validità scientifica e l’assenza di un valore terapeutico comprovato. I meccanismi di azione della TEC non sono noti. Per la psichiatria «rimane irrisolto il problema di come la convulsione cerebrale provochi le modificazioni psichiche» e «non è chiaro quali e in che modo queste modificazioni (dei neurotrasmettitori e dei meccanismi recettoriali) siano correlate all’effetto terapeutico» (G. B. Cassano, Manuale di Psichiatria). Ma per chi subisce tale trattamento la perdita di memoria e i danni cerebrali sono ben evidenti e possono essere rilevati attraverso autopsie e variazioni elettroencefalografiche anche dopo dieci o venti anni dallo shock.
Relativamente all’attuale e globalizzato panorama d’impiego dell’elettroshock, poco trasparente e condiviso, continuiamo a porci domande come queste.
Perché questo trattamento medico – che per stessa ammissione di molti psichiatri che lo hanno applicato e che continuano ad applicarlo – utilizzato in passato come metodo di annichilimento dell’umano, come strumento di tortura, come mezzo repressivo contro la disobbedienza, non viene dichiarato superato dalla storia?
È sufficiente praticare un’anestesia totale per rendere più umana e dignitosa e legittima la sua applicazione?
Durante la sua applicazione pratica, si sta ancora immettendo corrente elettrica verso il cervello di un proprio simile oppure si effettua un intervento equiparato ad ogni altra operazione chirurgica peraltro senza usare bisturi?
Possono dei benefici temporanei, che per avere effetto devono comunque essere accompagnati dall’assunzione di psicofarmaci, essere un valido motivo per usare questo trattamento?
Si possono ignorare gli effetti negativi dell’elettroshock?
Ci teniamo a ribadire che nonostante le vesti moderne l’elettroshock rimane una terapia invasiva, una violenza, un attacco all'integrità psicologica e culturale di chi lo subisce. Insieme ad altre pratiche psichiatriche come il TSO, l’elettroshock è un esempio, se non l’icona, della coercizione e dell’arbitrio esercitato dalla psichiatria. Il percorso di superamento dell’elettroshock e di tutte le pratiche non terapeutiche deve essere portato avanti e difeso in tutti i servizi psichiatrici, in tutti i luoghi e gli spazi di cultura e formazione dove il soggetto principale è una persona, che insieme ai suoi cari, soffre una fragilità.
Per chiunque voglia approfondire l’argomento, come collettivo abbiamo scritto il libro “ELETTROSHOCK. La storia delle terapie elettroconvulsive e i racconti di chi le ha vissute.” Edizioni Sensibili alle foglie 2014. Questo libro propone un viaggio nella storia delle shock terapie, che precedono e accompagnano l’applicazione della corrente elettrica al cervello degli esseri umani e delle testimonianze di persone in carne ed ossa, che sono state sottoposte all’elettroshock. Lo trovate sul nostro sito scaricabile gratuitamente www.artaudpisa.noblogs.org
COLLETTIVO ANTIPSICHIATRICO ANTONIN ARTAUD, Via San Lorenzo 38 Pisa, tel. 3357002669 antipsichiatriapisa@inventati.org www.artaupisa.noblogs.org
ELETTROSHOCK: MA QUALE CURA?
Come Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud da anni siamo impegnati sul territorio per contrastare gli abusi della psichiatria, ponendo particolare attenzione alle modalità e ai meccanismi attraverso i quali essa si espande sempre più capillarmente e trasversalmente.
A quasi ottanta anni dalla sua invenzione, possiamo affermare che l’elettroshock è l’unico trattamento, che prevede come cura una grave crisi organica dei soggetti indotta a tale scopo, mai dichiarato obsoleto.
Anzi, si è cercato di modernizzarlo, sin dai primi anni, infatti già nel 1943 il professor Delay mise a punto una nuova tecnica: l’elettroshock sotto narcosi, anche detta elettroshock terapia modificata.
L’elettroshock oggi viene chiamato TEC (terapia elettroconvulsiva) ma rimane la stessa tecnica inventata nel 1938 da Cerletti e Bini. Cambiare nome all’elettroshock ha aperto la via a due ordini di cambiamento: anzitutto si è assicurato il proseguimento del trattamento riducendo il dibattito alle linee guida per l’utilizzo, nei soli ambiti medici e politici; l’altro cambiamento è rappresentato dall’opinione diffusa che lo vede come pratica non più utilizzata, superata e obsoleta, allo stesso modo dei salassi per mezzo di sanguisughe. Invece si tratta sempre di far passare la corrente elettrica per la testa di un paziente, che passando attraverso il cervello, produce una convulsione generalizzata. Migliorandone le garanzie burocratiche, così come introducendo alcune modifiche nel trattamento, vedi anestesia totale e farmaci miorilassanti , non si cambia la sostanza della TEC.
Rimangono la brutalità, la sua totale mancanza di validità scientifica e l’assenza di un valore terapeutico comprovato. I meccanismi di azione della TEC non sono noti. Per la psichiatria «rimane irrisolto il problema di come la convulsione cerebrale provochi le modificazioni psichiche» e «non è chiaro quali e in che modo queste modificazioni (dei neurotrasmettitori e dei meccanismi recettoriali) siano correlate all’effetto terapeutico» (G. B. Cassano, Manuale di Psichiatria). Ma per chi subisce tale trattamento la perdita di memoria e i danni cerebrali sono ben evidenti e possono essere rilevati attraverso autopsie e variazioni elettroencefalografiche anche dopo dieci o venti anni dallo shock.
Relativamente all’attuale e globalizzato panorama d’impiego dell’elettroshock, poco trasparente e condiviso, continuiamo a porci domande come queste.
Perché questo trattamento medico – che per stessa ammissione di molti psichiatri che lo hanno applicato e che continuano ad applicarlo – utilizzato in passato come metodo di annichilimento dell’umano, come strumento di tortura, come mezzo repressivo contro la disobbedienza, non viene dichiarato superato dalla storia?
È sufficiente praticare un’anestesia totale per rendere più umana e dignitosa e legittima la sua applicazione?
Durante la sua applicazione pratica, si sta ancora immettendo corrente elettrica verso il cervello di un proprio simile oppure si effettua un intervento equiparato ad ogni altra operazione chirurgica peraltro senza usare bisturi?
Possono dei benefici temporanei, che per avere effetto devono comunque essere accompagnati dall’assunzione di psicofarmaci, essere un valido motivo per usare questo trattamento?
Si possono ignorare gli effetti negativi dell’elettroshock?
Ci teniamo a ribadire che nonostante le vesti moderne l’elettroshock rimane una terapia invasiva, una violenza, un attacco all'integrità psicologica e culturale di chi lo subisce. Insieme ad altre pratiche psichiatriche come il TSO, l’elettroshock è un esempio, se non l’icona, della coercizione e dell’arbitrio esercitato dalla psichiatria. Il percorso di superamento dell’elettroshock e di tutte le pratiche non terapeutiche deve essere portato avanti e difeso in tutti i servizi psichiatrici, in tutti i luoghi e gli spazi di cultura e formazione dove il soggetto principale è una persona, che insieme ai suoi cari, soffre una fragilità.
Per chiunque voglia approfondire l’argomento, come collettivo abbiamo scritto il libro “ELETTROSHOCK. La storia delle terapie elettroconvulsive e i racconti di chi le ha vissute.” Edizioni Sensibili alle foglie 2014. Questo libro propone un viaggio nella storia delle shock terapie, che precedono e accompagnano l’applicazione della corrente elettrica al cervello degli esseri umani e delle testimonianze di persone in carne ed ossa, che sono state sottoposte all’elettroshock. Lo trovate sul nostro sito scaricabile gratuitamente www.artaudpisa.noblogs.org
COLLETTIVO ANTIPSICHIATRICO ANTONIN ARTAUD, Via San Lorenzo 38 Pisa, tel. 3357002669 antipsichiatriapisa@inventati.org www.artaupisa.noblogs.org
martedì 24 ottobre 2017
Proseguono le udienze per il processo sulla morte di Andrea Soldi
Morì per il Tso, in aula i suoi ultimi istanti di vita: “Andrea era a terra, respirava e aveva polso”
Il trasporto prono e ammanettato dietro la schiena sarebbe stato autorizzato da medico e infermiere
«Conoscevo bene Andrea, fino a dicembre 2014 era venuto in ambulatorio per le cure, poi aveva smesso» ricorda l’infermiere. Davanti al giudice Federica Florio, spiega che era «sfuggente, difficile da raggiungere. Non era possibile andare a casa sua, la viveva come un’intrusione, era molto geloso di quello spazio. Una volta gli ho telefonato per presentargli un operatore e non l’ha presa bene».
LEGGI ANCHE In aula i quattro imputati per la morte del ragazzo sottoposto a Tso: citati 100 testimoni
La chiamata
Per la centrale operativa del «118», Andrea era un «codice giallo 5 sierra». Tradotto: malato psichiatrico, in strada, con «parziale compromissione delle funzioni dell’apparato circolatorio o respiratorio» secondo la classificazione della medicina di emergenza. L’intervento era programmato, con tanto di polizia municipale. «Per ogni evenienza, non era detto che dovessero intervenire», aggiunge. Poco distante c’è anche Renato Soldi, il papà di Andrea, costituito parte civile assieme alla figlia Maria Cristina (avvocati Luca Lauri e Giovanni Maria Soldi). Ma resta in disparte. «Ha valutato che farsi vedere potesse essere controproducente», aggiunge.
LEGGI ANCHE Cento testimoni in tribunale per la morte di Andrea Soldi
LEGGI ANCHE Morto per un Tso: uno psichiatra e tre vigili a processo
Lo psichiatra e l’infermiere cercano di convincerlo, ma lui rifiuta la cura. È seduto su una panchina, pare tranquillo. «Diceva che era un analgesico per il mal di schiena e lui non ne aveva più bisogno perché era guarito», dice l’infermiere. L’intervento è stato chiesto da papà Renato. «Era preoccupato, aveva notato alcuni “campanelli d’allarme”, come la difficoltà a gestire il denaro, la mancanza di igiene personale e le condizioni della casa», aggiunge.
L’intervento del collega
Fallite le chiacchierate, su richiesta dei vigili urbani lo psichiatra ha chiesto l’intervento di un collega, per la seconda firma per validare la richiesta di Tso. «Anche lui ha provato a spiegare», ma alla fine Andrea «ha incominciato a pronunciare frasi sconnesse, anche in piemontese stretto». Un vigile ha provato a inserirsi nel monologo, ma ottiene il contrario. A quel punto, scatta l’azione. «Era alto un metro e 80 per 130 chili, la fisicità poteva spaventare, ma lui non è mai stato violento», dice ancora l’infermiere. Due vigili gli prendono le braccia, uno il collo. «Lo ha tenuto per almeno un minuto, il tempo di preparare l’iniezione», dice l’infermiere. Riesce a infilare l’ago sopra il «gluteo destro di Andrea, ma lui libera il braccio destro e spazza via la siringa». La situazione ha un’accelerazione: Andrea finisce con la faccia a terra, ammanettato dietro la schiena. Posizione che manterrà fino in ospedale. Gli avvocati difensori dei quattro imputati (Anna Ronfani e Stefano Castrale) cercano di chiarire la situazione. Soprattutto, le condizioni di salute di Andrea. «Ho visto un movimento della cassa toracica, respirava. Ho misurato pressione e battiti», spiega l’infermiere.
In ambulanza
E ci riprova anche appena caricato in ambulanza. Ancora a faccia in giù, ammanettato dietro la schiena. Secondo la scheda compilata dagli ambulanzieri, la decisione è stata presa dall’infermiere e dallo psichiatra. Ma in quella posizione, «non sono riuscito a fargli mettere la mascherina per l’ossigeno», dice. Misura il tasso di saturazione di ossigeno nel sangue. «Era 66», aggiunge. Per lui, non è un valore critico e non segnala la situazione al pronto soccorso dell’ospedale Maria Vittoria, dove arrivano qualche minuto dopo.
In fondo alla scheda dell’intervento, c’è anche la firma di Matteo Di Chio, ambulanziere della Croce Rossa. La sua testimonianza è piena di contraddizioni, di «non ricordo». Il pm Lisa Bergamasco e gli avvocati mostrano pazienza, ma lo stesso giudice deve intervenire per spiegare al testimone che «deve dire soltanto ciò che ricorda, nessuna deduzione o collegamento logico». E in quanto a logica, sovente le sue affermazioni fanno difetto. Come quando esprime le perplessità avute per le modalità di trasporto di Andrea, ma non sa spiegare perché non ha chiamato la centrale operativa per segnalare la questione.
Alcune circostanze, però, svettano nella questa nebbia che avvolge i suoi ricordi. Come la reazione di un vigile quando al pronto soccorso gli hanno chiesto di togliere le manette ad Andrea: «Calma, adesso lo faccio». Avevano appena gridato che Andrea era «in arresto cardiocircolatorio».
fonte:www.lastampa.it
giovedì 12 ottobre 2017
Lista aggiornata decessi in psichiatria
Riceviamo dal CAR (Collettivo Antipsichiatrico Rovereto) e pubblichiamo il loro lavoro di raccolta informazioni una lista aggiornata al 2017 di decessi in psichiatria. Alcuni sono morti in
TSO, altri in ricovero volontario. Altri sono morti di suicidio, altri,
a nostro avviso con probabile istigazione al suicidio (ART 414 codice
penale). L'ordine dell'elenco è parziale (sic!) e non cronologico:
2009 Campania _ Francesco Franco Mastrogiovanni 58 anni di Castelnuovo Cilento deceduto il 4 agosto 2009 a Vallo della Lucania (Salerno); cantava canzoni su di una spiaggia in piena estate e solo per tal motivo venne internato in regime TSO. Morirà dopo ben 87 ORE di contenzione ad un letto. Il suo decesso orribile mostrato a RAITRE, darà il via all'anti-omertà antimafia sui decessi in psichiatria e via via anche a potenziali istigazioni suicidio (ART. 580 codice penale) che vengono sempre taciuti per vergogna, ignoranza (parenti e amici), lassismo istituzioni e falso perbenismo. L'ariete su tali crimini taciuti, sarà proprio il martirio di Francesco a RAITRE nonostante a Cagliari si fosse verificato ancora nel 2006 la morte di Giuseppe Casu con similitudini inequivocabili. Resterà sempre in vetta alla lista per tal motivo. Fu lui grazie alla determinazione di parenti e testimoni sulla spiaggia che immortalarono la scena con i vigili ad abbattere i muri dell'ignoranza, dell'ingenuità
2009 Campania _ Francesco Franco Mastrogiovanni 58 anni di Castelnuovo Cilento deceduto il 4 agosto 2009 a Vallo della Lucania (Salerno); cantava canzoni su di una spiaggia in piena estate e solo per tal motivo venne internato in regime TSO. Morirà dopo ben 87 ORE di contenzione ad un letto. Il suo decesso orribile mostrato a RAITRE, darà il via all'anti-omertà antimafia sui decessi in psichiatria e via via anche a potenziali istigazioni suicidio (ART. 580 codice penale) che vengono sempre taciuti per vergogna, ignoranza (parenti e amici), lassismo istituzioni e falso perbenismo. L'ariete su tali crimini taciuti, sarà proprio il martirio di Francesco a RAITRE nonostante a Cagliari si fosse verificato ancora nel 2006 la morte di Giuseppe Casu con similitudini inequivocabili. Resterà sempre in vetta alla lista per tal motivo. Fu lui grazie alla determinazione di parenti e testimoni sulla spiaggia che immortalarono la scena con i vigili ad abbattere i muri dell'ignoranza, dell'ingenuità
venerdì 6 ottobre 2017
12/10 Benefit spesa legale Collettivo Artaud
GIOVEDI’ 12 OTTOBRE
Il Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud e l’Osservatorio Antiproibizionista Canapisa Crew
Presentano:
APERICENA MUSICALE
BENEFIT per le spese legali del Collettivo Artaud dalle ore 19
c/o Circolo Anarchico vicolo del Tidi 20 Pisa
venerdì 29 settembre 2017
martedì 26 settembre 2017
Generazioni da sedare...
Nell’ignoranza,
nell’indifferenza o con l’attiva collaborazione degli istituti
scolastici dove quotidianamente svolgiamo il nostro lavoro, una parte
cospicua dei nostri allievi alla quale è stato diagnosticato un disturbo
dell’attenzione e iperattività (ADHD secondo l’acronimo statunitense)
viene trattata con psicofarmaci a base di principi attivi
anfetamino-simili. L’atomoxetina (ATX), ma soprattutto il metilfenidato
(MPH), contenute rispettivamente nei medicinali Strattera e Ritalin,
sono sostanze riconosciute e classificate come stupefacenti per le loro
pesanti conseguenze in termini di assuefazione e dannosità, da decenni
nel mirino di medici, scienziati e organismi internazionali come
l’Organizzazione mondiale della sanità e la statunitense Food and Drug
Administration, solo per citarne alcuni. I quali insistono, attraverso
studi, reports e prese di posizione, su un dato che dovrebbe essere
chiaro anche ai non addetti ai lavori: la pericolosità a breve e a lungo
termine degli effetti della somministrazione di stupefacenti a bambini e
giovani in età evolutiva a partire dai 6 anni.
Sull’argomento
esiste ormai una vasta letteratura, scientifica e non, accompagnata da
un accesissimo dibattito pluridecennale: il sito giulemanidaibambini.org
rappresenta in questo campo una delle fonti più aggiornate, e chi non
conosce appieno i termini della questione può farsene un’idea dopo una
rapida consultazione. L’elenco degli “effetti secondari” è lunghissimo:
morte, disfunzioni cardiovascolari, “disturbi psichiatrici”, impulso al
suicidio, solo per citarne alcuni. Reazioni avverse ormai provate perché
sperimentate direttamente sulla pelle dei bambini in decenni di
somministrazioni più o meno consensuali, più o meno controllate, più o
meno imposte.
Non a caso in
Italia l’uso del Ritalin era stato sospeso nel 1989 per scelta della
stessa casa produttrice. Risale al 2007 lo sdoganamento e la nuova
autorizzazione all’immissione in commercio del Ritalin e dello
Strattera, in seguito a un gioco di sponda tra la Novartis
(distributrice del Ritalin), il Ministero della Sanità e l’Agenzia
italiana del farmaco. Nel 2003 il metilfenidato veniva declassato dalla
Tabella I delle sostanze stupefacenti e psicotrope elaborata dal
Ministero della salute (dove si trovava in compagnia di cocaina, LSD,
eroina e oppiacei vari…) alla tabella IV, tra le sostanze sì
stupefacenti e psicotrope ma “suscettibili di impiego” sotto stretto
controllo.
Dal 2007 Ritalin
e Strattera sono dunque disponibili e somministrati agli alunni delle
scuole italiane. Tuttavia, anche come conseguenza dell’aspro dibattito
che si era innescato, nel nostro paese sono stati stabiliti alcuni
limiti rispetto alla liberalizzazione selvaggia di altri paesi
occidentali, USA in testa: sono autorizzati alla prescrizione del
farmaco unicamente i centri accreditati presso le Regioni; è stato
inoltre istituito un “Registro nazionale dell’ADHD” per raccogliere i
dati elaborati dai centri autorizzati e monitorare la sicurezza della
terapia.
Il Registro è consultabile online [1],
e passa in rassegna gli anni dal 2007 al 2016. Si tratta di un lavoro,
per ammissione degli stessi compilatori, lacunoso e anche (si può
capire) osteggiato. Non comprende gli adulti, anche essi trattabili con
MPH o ATX. Comprende solamente i pazienti con quadro clinico di gravità
tale da richiedere il trattamento combinato, farmacologico e
psico-sociale: il Registro esclude quindi tutti i pazienti che, a causa
di mancanza di fondi, di personale e di strutture hanno potuto far
ricorso al solo rimedio farmacologico, anche se nelle sue pagine si
afferma che «oltre alla terapia farmacologica sarebbe indicato effettuare anche interventi comportamentali». Allo stesso modo sono stati esclusi i pazienti di gravità medio-lieve anche se trattati con la molecola stupefacente.
Pur all’interno di questi limiti i dati che il Registro prospetta presentano un quadro allarmante.
- Si stima che la diffusione del disturbo, nella popolazione italiana di età compresa tra 6 e 18 anni, sia di poco superiore all’1%: riguarderebbe dunque più di 75.000 ragazzi in età scolare.
- La scuola, al pari di servizi territoriali di neuropsichiatria, centri accreditati e altri centri specialistici, è considerata una delle prime strutture coinvolte per l’intervento sull’ADHD; allo stesso modo lo sono, tra le figure professionali, i singoli insegnanti, insieme a pediatri, neuropsichiatri e psicologi.
- Il quadro statistico è vasto e allo stesso tempo lacunoso per necessità: i centri autorizzati sono 110 e alcuni sono enormemente più attivi di altri, tanto che ci sono famiglie che emigrano da una regione all’altra per ottenere i farmaci. In 10 anni su 3696 pazienti trattati con MPH e ATX sono stati registrati 140 eventi avversi severi su 118 pazienti! Ciò significa che ogni 100 bambini e adolescenti, 3 di loro hanno subito “effetti collaterali” gravi, tra cui, secondo una tabella che ne elenca ben 20, disturbi cardiovascolari, allucinazioni, convulsioni, ideazione suicidaria, disturbi dell’umore, neurologici e psichiatrici, questi ultimi in netta prevalenza statistica.
Il Registro
dunque non fa altro che ufficializzare, nel piccolo e nei limiti della
situazione italiana, un quadro che anni di sperimentazioni più o meno
ufficiali e uso diffuso a livello mondiale (un giro di affari spaventoso
gestito dalle solite multinazionali farmaceutiche) aveva già
abbondantemente chiarito.
Un tassello di
non poca importanza negli anni della campagna pre-sdoganamento è stato a
questo proposito il cosiddetto Progetto Prisma (Progetto Italiano
Salute Mentale Adolescenti) che vale la pena citare perché riferito in
gran parte a un ambito scolastico. Prisma è nato grazie alla
collaborazione tra istituzioni private e statali, tra cui l’Istituto
superiore della sanità. A partire dal 2002 ai circa 5600 studenti di 40
scuole italiane scelte tra 7 città campione è stato somministrato un
paradossale questionario destinato alla raccolta di dati conoscitivi sul
“disagio psichico” nella preadolescenza, in singolare concomitanza con
la campagna di rilancio del Ritalin. Dietro autorizzazione del dirigente
e firma di un “consenso informato” insegnanti e genitori collaboravano
all’individuazione statistica del futuro mercato del Ritalin, chiamati a
dare un giudizio oscillante da “per nulla” a “moltissimo” ad
affermazioni del tipo: «spesso interrompe o si comporta in modo
invadente; spesso litiga con gli adulti; spesso parla eccessivamente;
spesso si agita con le mani o i piedi o si dimena sulla sedia; è spesso
dispettoso e vendicativo; spesso sfida attivamente o si rifiuta di
rispettare le richieste o regole degli adulti; è in continuo movimento o
spesso agisce come se avesse l’argento vivo addosso; ruba delle cose»,
e a numerose altre dello stesso livello. Colpisce innanzitutto
l’approssimazione di uno studio che basa la propria scientificità su un
questionario così vago. Colpisce ancora di più la trasformazione in
sintomi di una malattia da curare di quelle che come insegnanti eravamo
abituati a considerare normali (anche se a volte difficili da gestire
nel contesto-classe) tendenze caratteriali di studenti turbolenti, con
cui interagire per mezzo delle nostre armi professionali – la pedagogia e
la didattica, lo scambio e l’empatia, l’intervento autorevole e la
sanzione educativa. Impressiona lo stigma dell’eccezionalità che andava a
colpire bambini considerati al di fuori della norma accettata dalle
convenzioni sociali. Il Progetto Prisma probabilmente rappresenta, e
forse per la prima volta, la volontà di sovrapporre e imporre al sistema
di istruzione italiano la funesta pratica dell’intervento
medicalizzante esterno come panacea sostitutiva dell’attività educante
della scuola.
Nel momento in
cui è chiaro il quadro di fondo medico-sanitario e legislativo è
possibile avviare un ulteriore ragionamento che riguardi più da vicino
le conseguenze che ricadono sul nostro lavoro quotidiano, sulla nostra
professionalità, sulla deontologia che la sostanzia. Come insegnanti non
possiamo più permetterci di non sapere, far finta di non vedere o
renderci complici, sopraffatti dall’oggettiva difficoltà a rapportarci
con studenti particolarmente vivaci. Cedere alla sirena della
pillola-che-risolve-i-contrasti ha per noi un significato in più:
abdicare dalla nostra missione educativa, scendere in consapevole
contraddizione con la nostra deontologia professionale. Come insegnanti
siamo forniti di un bagaglio enorme di esperienze teoriche e pratiche da
mettere in gioco. La pillola può risolvere momentaneamente un sintomo: è
questo un dato ormai appurato e argomento principe di chi propugna
l’uso degli stupefacenti per i bambini prescindendo dai comprovati danni
fisico-psichici. Ma un’ulteriore problematicità, alla quale siamo
chiamati direttamente a rispondere come insegnanti, sorge nel lungo
termine nel momento in cui non si tiene conto che proprio quell’ampia
fascia di età che il farmaco vorrebbe coprire è quella in cui il bambino
e l’adolescente ha l’opportunità di fare le giuste e a volte amare
esperienze per imparare a controllare l’attenzione, l’impulsività, le
tendenze oppositorio-provocatorie. La pillola blocca il sintomo e con
esso, negli anni più cruciali, la individuale motivazione a
intraprendere il percorso di questa crescita, di questa maturazione.
Surroga, attutisce e elimina lo sviluppo di una personalità autonoma in
formazione, e con essa l’azione mediatrice del contesto: genitori,
gruppo dei pari, scuola. È nel lungo periodo e spesso con sofferenza,
dall’imperscrutabile sinergia di fattori diversi e non riducibili, che
può avvenire la maturazione profonda della persona. Noi insegnanti
abbiamo un ruolo importantissimo in questo processo. Da cui non dobbiamo
abdicare. In cui dobbiamo sapere come inserirci senza ricorrere a
facili scorciatoie medicalizzanti.
fonte: http://www.giornale.cobas-scuola.it
Processo Andrea Soldi
Cento testimoni in tribunale per la morte di Andrea Soldi
Mercoledì la prima udienza: la famiglia si costituirà parte civile In Tribunale ci sarà anche l’ex-sindaco Piero Fassino
Ci sono anche i nomi dell’ex sindaco di Torino
Piero Fassino e dell’allora assessore alla Polizia municipale Giuliana
Tedesco nel lungo elenco di testimoni che sfileranno in tribunale nel
processo sulla morte di Andrea Soldi, il 45enne torinese malato di
schizofrenia paranoide deceduto il 5 agosto 2015 durante un trattamento
sanitario obbligatorio. La prima udienza dibattimentale è fissata per
mercoledì prossimo.
LEGGI ANCHE Morto per un Tso: uno psichiatra e tre vigili a processo
ALLA SBARRA
Alla sbarra ci sono i tre agenti della polizia municipale e lo psichiatra, medico dell’Asl To2, che intervennero quella mattina di due anni fa in piazzetta Umbria: l’accusa è di omicidio colposo. Imputati anche Asl e Comune, in qualità di responsabili civili. Nei giorni scorsi gli avvocati difensori Stefano Castrale, Anna Ronfani, Gino Obert e Gian Maria Nicastro hanno depositato le rispettive liste testi. Altrettanto hanno fatto il pm Lisa Bergamasco e l’avvocato di parte civile Giovanni Soldi, che assiste la sorella della vittima, Maria Cristina, e il padre Renato. Complessivamente sono 106 i testimoni del processo. Tra questi spuntano i nomi istituzionali dell’ex sindaco Fassino e dell’assessore Tedesco, oltre a quelli dell’ex comandante della Polizia municipale Alberto Gregnanini e del suo vice Marco Sgarbi: dovranno spiegare, per quanto di loro competenza, le procedure in caso di Tso e le regole d’ingaggio dei civich. Nel lungo elenco di persone che verranno invitate a sedersi sul banco dei testimoni, però, ci sono soprattutto esperti e periti. Il processo, infatti, si preannuncia incentrato sulle consulenze medico legali. È su queste che accusa e difesa si daranno battaglia.
ACCUSA E DIFESA
Per i consulenti del pm la presa dei vigili avrebbe causato uno shock da compressione. L’esperto nominato dal pm, nella sua relazione conclusiva, ha scritto che Andrea è deceduto per «morte asfittica da strangolamento atipico», sottolineando come il paziente fosse stato «afferrato e cinto al collo da un braccio». Insomma, Andrea Soldi sarebbe stato strangolato. Inoltre il trattamento non era urgente, avendo dato il paziente la sua disponibilità a riprendere la terapia.
Diversa la posizione delle difese, secondo cui non solo il Tso era urgente e indispensabile, ma sarebbe stato eseguito correttamente. In particolare, secondo i consulenti di parte il decesso sarebbe stato causato da una sorta di spavento eccessivo, o di alterazione, dovuto alla situazione di forte stress in cui l’uomo, malato da tempo, si trovava in quel momento.
LA FAMIGLIA
I familiari di Andrea Soldi si costituiranno parte civile. In questi mesi gli avvocati di Comune e Asl hanno cercato di raggiungere un accordo sul risarcimento con il legale della famiglia, offrendo 480 mila euro. Ma la proposta è stata rifiutata dai parenti della vittima, che ne hanno chiesti 700 mila. Una differenza di 200 mila euro che terrebbe conto della sofferenza provata da Andrea in quei momenti. In giurisprudenza si parla di «danno catastrofale» e viene riconosciuto quando la vittima si rende conto che sta per morire. E ieri Maria Cristina Soldi, dal suo profilo Facebook, ha invitato «tutti coloro che vogliono giustizia per Andrea» a presentarsi in tribunale per il processo. «E quando dico tutti, penso anche ai malati come Andrea e alle loro famiglie. Perché non accada più», ha scritto la donna. Un appello già raccolto dall’Associazione per la lotta contro le malattie mentali, che si costituirà parte civile con l’avvocato Francesco Crimi.
fonte: http://www.lastampa.it
LEGGI ANCHE Morto per un Tso: uno psichiatra e tre vigili a processo
ALLA SBARRA
Alla sbarra ci sono i tre agenti della polizia municipale e lo psichiatra, medico dell’Asl To2, che intervennero quella mattina di due anni fa in piazzetta Umbria: l’accusa è di omicidio colposo. Imputati anche Asl e Comune, in qualità di responsabili civili. Nei giorni scorsi gli avvocati difensori Stefano Castrale, Anna Ronfani, Gino Obert e Gian Maria Nicastro hanno depositato le rispettive liste testi. Altrettanto hanno fatto il pm Lisa Bergamasco e l’avvocato di parte civile Giovanni Soldi, che assiste la sorella della vittima, Maria Cristina, e il padre Renato. Complessivamente sono 106 i testimoni del processo. Tra questi spuntano i nomi istituzionali dell’ex sindaco Fassino e dell’assessore Tedesco, oltre a quelli dell’ex comandante della Polizia municipale Alberto Gregnanini e del suo vice Marco Sgarbi: dovranno spiegare, per quanto di loro competenza, le procedure in caso di Tso e le regole d’ingaggio dei civich. Nel lungo elenco di persone che verranno invitate a sedersi sul banco dei testimoni, però, ci sono soprattutto esperti e periti. Il processo, infatti, si preannuncia incentrato sulle consulenze medico legali. È su queste che accusa e difesa si daranno battaglia.
ACCUSA E DIFESA
Per i consulenti del pm la presa dei vigili avrebbe causato uno shock da compressione. L’esperto nominato dal pm, nella sua relazione conclusiva, ha scritto che Andrea è deceduto per «morte asfittica da strangolamento atipico», sottolineando come il paziente fosse stato «afferrato e cinto al collo da un braccio». Insomma, Andrea Soldi sarebbe stato strangolato. Inoltre il trattamento non era urgente, avendo dato il paziente la sua disponibilità a riprendere la terapia.
Diversa la posizione delle difese, secondo cui non solo il Tso era urgente e indispensabile, ma sarebbe stato eseguito correttamente. In particolare, secondo i consulenti di parte il decesso sarebbe stato causato da una sorta di spavento eccessivo, o di alterazione, dovuto alla situazione di forte stress in cui l’uomo, malato da tempo, si trovava in quel momento.
LA FAMIGLIA
I familiari di Andrea Soldi si costituiranno parte civile. In questi mesi gli avvocati di Comune e Asl hanno cercato di raggiungere un accordo sul risarcimento con il legale della famiglia, offrendo 480 mila euro. Ma la proposta è stata rifiutata dai parenti della vittima, che ne hanno chiesti 700 mila. Una differenza di 200 mila euro che terrebbe conto della sofferenza provata da Andrea in quei momenti. In giurisprudenza si parla di «danno catastrofale» e viene riconosciuto quando la vittima si rende conto che sta per morire. E ieri Maria Cristina Soldi, dal suo profilo Facebook, ha invitato «tutti coloro che vogliono giustizia per Andrea» a presentarsi in tribunale per il processo. «E quando dico tutti, penso anche ai malati come Andrea e alle loro famiglie. Perché non accada più», ha scritto la donna. Un appello già raccolto dall’Associazione per la lotta contro le malattie mentali, che si costituirà parte civile con l’avvocato Francesco Crimi.
fonte: http://www.lastampa.it
domenica 24 settembre 2017
30 Settembre - Camap a Treviso
iniziativa culturale che mira alla sensibilizzazione in materia di tematiche psichiatriche
+
CONCERTO PUNK HARDCORE A SEGUIRE
Gruppo di discussione gratuito e aperto a tutta la cittadinanza per rivolgere uno sguardo più consapevole alla pratica psichiatrica.
Il Dott. Crimella (laureato in Scienze dell'educazione, Scienze Psicologiche e in Psicologia Clinica) presenterà il libro "La critica psichiatrica nelle opere di Szasz e Foucault".
Sarà presente il collettivo CAMAP che da tempo si impegna per l'abolizione della coercizione psichiatrica e mette a disposizione una voce amica a chi ha bisogno di supporto.
La discussione (libera e aperta a tutti ) si svolgerà all'esterno del locale e non sarà soggetta alla richiesta della tessera da parte del locale
il concerto si svolgerà all'interno con conseguente richiesta di tessera ARCI ...
a seguire .....
Suoneranno per voi
HOBOS
https://www.facebook.com/ hobosband/
A NEW SCAR
https://www.facebook.com/ AnewSCAR/
WITHOUT WHISTLE
https://www.facebook.com/ withoutwhistle/
FIERCE
https://www.facebook.com/ nobeastssofierce/
CUORE MATTO
www.facebook.com/ siamomegliodel69/
EBOLA
DOMINIO DELLA TECNICA
ingresso 5 euro
+
CONCERTO PUNK HARDCORE A SEGUIRE
Gruppo di discussione gratuito e aperto a tutta la cittadinanza per rivolgere uno sguardo più consapevole alla pratica psichiatrica.
Il Dott. Crimella (laureato in Scienze dell'educazione, Scienze Psicologiche e in Psicologia Clinica) presenterà il libro "La critica psichiatrica nelle opere di Szasz e Foucault".
Sarà presente il collettivo CAMAP che da tempo si impegna per l'abolizione della coercizione psichiatrica e mette a disposizione una voce amica a chi ha bisogno di supporto.
La discussione (libera e aperta a tutti ) si svolgerà all'esterno del locale e non sarà soggetta alla richiesta della tessera da parte del locale
il concerto si svolgerà all'interno con conseguente richiesta di tessera ARCI ...
a seguire .....
Suoneranno per voi
HOBOS
https://www.facebook.com/
A NEW SCAR
https://www.facebook.com/
WITHOUT WHISTLE
https://www.facebook.com/
FIERCE
https://www.facebook.com/
CUORE MATTO
www.facebook.com/
EBOLA
DOMINIO DELLA TECNICA
ingresso 5 euro
sabato 9 settembre 2017
Muore in reparto dopo il Tso
RICOVERATO in Tso (Trattamento Sanitario Obbligatorio)
all'ospedale Villa Scassi di Sampierdarena, è morto qualche ora dopo
nel reparto di psichiatria. E sul decesso, quantomeno poco chiaro per la
magistratura, il pm Alberto Landolfi ha aperto un fascicolo, iscrivendo
il reato di omicidio colposo al momento a carico di ignoti. Anche se,
ovviamente, nelle attenzioni della Procura della Repubblica sono entrate
le ore intercorse tra il Trattamento Sanitario Obbligatorio peraltro
chiesto dal papà dello sventurato - e la morte di Fabio Tozzi (di 48
anni), avvenuta nel primo pomeriggio di domenica scorsa.
E già, perché la famiglia del deceduto avrebbe presentato una dettagliata denuncia sull'accaduto, lamentando e ventilando responsabilità da parte dei medici che hanno visitato ed avuto in cura il figlio per alcune ore. Ad iniziare dalla chiamata arrivata al Sert da parte del papà di Tozzi e dall'intervento di una psichiatra, che poi, di fronte allo stato di agitazione ed alterazione di Fabio, ha disposto il Tso. Presso l'abitazione di Tozzi sono intervenuti sei vigili urbani, che hanno obbligato l'uomo al ricovero al "Villa Scassi". Secondo quanto spiegano dalla direzione sanitaria dell'ospedale di Sampierdarena, l'arrivo al pronto soccorso intorno alle 10,40. Qui il paziente, "in evidente e pericoloso stato di alterazione", è stato trattato dai medici di guardia. A quanto pare, prima gli sono state medicate le ferite e le piaghe alle gambe. Inoltre, per calmarlo, gli sarebbe stato somministrato un ansiolitico, la classica benzodiazepina.
Dopo pranzo Tozzi è stato trasferito all'Spdc (Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura) per il ricovero. Secondo quanto trapela, in reparto sarebbe stato sedato ulteriormente con Talofen (ma è da verificare), altro farmaco mirato per la cura di tutte le sindromi mentali e psicotiche. Nel primo pomeriggio, due ore dopo, lo sventurato è stato trovato ormai privo di vita. A nulla sono servite le pratiche rianimatorie effettuate dai medici psichiatrici e dai rianimatori arrivati da altri reparti.
Cosa è accaduto in quelle ore è tutto da accertare. Tanto che il pm ha fatto sequestrare la cartella clinica e ha disposto gli esami autoptici sul cadavere. Una parte di accertamenti è stata fatta dal medico-legale Sara Candusin, ma al momento si escluderebbero eventi traumatici visibili ad occhio nudo e che avrebbero potuto determinare il decesso. Sicché, non è presa in considerazione l'ipotesi di eventuali azioni di immobilizzazione da parte dei vigili urbani. In ogni modo, sono stati disposti ulteriori accertamenti tossicologici e istologici, i cui risultati però si potranno conoscere fra qualche giorno. L'obiettivo del magistrato è di accertare e valutare la terapia somministrata e l'eventuale influenza di questa sul decesso. Inoltre, se vi sia stata carenza di assistenza in reparto. Va detto che Fabio Tozzi era già in cura al Sert come tossicodipendente e faceva uso quotidiano di metadone. È pur vero che in alcuni periodi si sottraeva alle terapie e le sue condizioni di salute erano piuttosto precarie.
I primi esami autoptici escluderebbero eventi traumatici conseguenti al Tso da parte dei vigili.
Fonte: http://ricerca.repubblica.it
E già, perché la famiglia del deceduto avrebbe presentato una dettagliata denuncia sull'accaduto, lamentando e ventilando responsabilità da parte dei medici che hanno visitato ed avuto in cura il figlio per alcune ore. Ad iniziare dalla chiamata arrivata al Sert da parte del papà di Tozzi e dall'intervento di una psichiatra, che poi, di fronte allo stato di agitazione ed alterazione di Fabio, ha disposto il Tso. Presso l'abitazione di Tozzi sono intervenuti sei vigili urbani, che hanno obbligato l'uomo al ricovero al "Villa Scassi". Secondo quanto spiegano dalla direzione sanitaria dell'ospedale di Sampierdarena, l'arrivo al pronto soccorso intorno alle 10,40. Qui il paziente, "in evidente e pericoloso stato di alterazione", è stato trattato dai medici di guardia. A quanto pare, prima gli sono state medicate le ferite e le piaghe alle gambe. Inoltre, per calmarlo, gli sarebbe stato somministrato un ansiolitico, la classica benzodiazepina.
Dopo pranzo Tozzi è stato trasferito all'Spdc (Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura) per il ricovero. Secondo quanto trapela, in reparto sarebbe stato sedato ulteriormente con Talofen (ma è da verificare), altro farmaco mirato per la cura di tutte le sindromi mentali e psicotiche. Nel primo pomeriggio, due ore dopo, lo sventurato è stato trovato ormai privo di vita. A nulla sono servite le pratiche rianimatorie effettuate dai medici psichiatrici e dai rianimatori arrivati da altri reparti.
Cosa è accaduto in quelle ore è tutto da accertare. Tanto che il pm ha fatto sequestrare la cartella clinica e ha disposto gli esami autoptici sul cadavere. Una parte di accertamenti è stata fatta dal medico-legale Sara Candusin, ma al momento si escluderebbero eventi traumatici visibili ad occhio nudo e che avrebbero potuto determinare il decesso. Sicché, non è presa in considerazione l'ipotesi di eventuali azioni di immobilizzazione da parte dei vigili urbani. In ogni modo, sono stati disposti ulteriori accertamenti tossicologici e istologici, i cui risultati però si potranno conoscere fra qualche giorno. L'obiettivo del magistrato è di accertare e valutare la terapia somministrata e l'eventuale influenza di questa sul decesso. Inoltre, se vi sia stata carenza di assistenza in reparto. Va detto che Fabio Tozzi era già in cura al Sert come tossicodipendente e faceva uso quotidiano di metadone. È pur vero che in alcuni periodi si sottraeva alle terapie e le sue condizioni di salute erano piuttosto precarie.
I primi esami autoptici escluderebbero eventi traumatici conseguenti al Tso da parte dei vigili.
Fonte: http://ricerca.repubblica.it
lunedì 4 settembre 2017
Fugge in auto per evitare il ricovero. Forza il blocco, lo ferma un proiettile
Brianza, folle inseguimento: paziente da tso ferito dai carabinieri
Monza, 2 settembre 2017 - Vuole evitare il ricovero coatto in psichiatria. Prende l’auto, fugge e alla fine di un inseguimento da cinema, lo ferma uno dei due proiettili esplosi dai carabinieri, che se lo sono visto piombare addosso. Centrato al collo, il fuggiasco ora è in ospedale. Ma in rianimazione. Otto chilometri di corsa disperata, sulle strade della Brianza, per un 48enne. Da Tregasio, piccola frazione di Triuggio, fino al centro storico di Macherio. E.B. abita nel piccolo centro in provincia di Monza. Negli ultimi giorni ha dato più volte in escandescenza con la compagna con cui condivide la casa. I servizi sociali lo seguono da tempo e la situazione poco alla volta è diventata insostenible. Per questo il sindaco del paese, Pietro Cicardi, è costretto a mettere la firma al provvedimento che impone il trattamento sanitario obbligatorio. Il mandato della ricerca viene comunicato alle forze dell’ordine.
Ieri, alle 10 del mattino, i militari si avvicinano all’abitazione dell’uomo. E.B. li vede dalla finestra e capisce che sono lì per portarlo in ospedale. Il triuggese non perde tempo. Sale a bordo del suo suv, una Dacia Duster bianca, e ingrana la marcia. La pattuglia dei carabinieri mette la sirena e si accoda, cercando di raggiungerlo. Pochi minuti di curve a tutta velocità e incroci bruciati. Da Triuggio, fino al centro storico del paese vicino. Via radio, si chiedono rinforzi. Pochi istanti dopo, una seconda pattuglia di militari, arrivata in supporto ai colleghi, si mette di traverso per sbarrare la strada al fuggitivo, nel tentativo di bloccarne la corsa ed evitare che potesse travolgere i passanti. Il 48enne non accenna a frenare. Al contrario, dà gas e punta diritto sulla gazzella, cercando di speronarla. I militari, stando alla ricostruzione successiva, devono decidere in un istante come reagire. Esplodono due colpi dalle armi di ordinanza, mirando agli pneumatici del suv, per bloccarlo. Uno dei proiettili, però, va a finire nell’abitacolo. La pallottola centra il 48enne fra la spalla e il collo, mentre la vettura finisce contro le auto in sosta. Sono gli stessi carabinieri a prestare i primi soccorsi. Il 118 spedisce a Macherio i mezzi disponibili e un ambulanza porta il 48enne all’ospedale San Gerardo di Monza. Non in psichiatria, come previsto, ma in codice rosso al pronto soccorso. Ora, sarebbe fuori pericolo.
Fonte: Il Giorno
Monza, 2 settembre 2017 - Vuole evitare il ricovero coatto in psichiatria. Prende l’auto, fugge e alla fine di un inseguimento da cinema, lo ferma uno dei due proiettili esplosi dai carabinieri, che se lo sono visto piombare addosso. Centrato al collo, il fuggiasco ora è in ospedale. Ma in rianimazione. Otto chilometri di corsa disperata, sulle strade della Brianza, per un 48enne. Da Tregasio, piccola frazione di Triuggio, fino al centro storico di Macherio. E.B. abita nel piccolo centro in provincia di Monza. Negli ultimi giorni ha dato più volte in escandescenza con la compagna con cui condivide la casa. I servizi sociali lo seguono da tempo e la situazione poco alla volta è diventata insostenible. Per questo il sindaco del paese, Pietro Cicardi, è costretto a mettere la firma al provvedimento che impone il trattamento sanitario obbligatorio. Il mandato della ricerca viene comunicato alle forze dell’ordine.
Ieri, alle 10 del mattino, i militari si avvicinano all’abitazione dell’uomo. E.B. li vede dalla finestra e capisce che sono lì per portarlo in ospedale. Il triuggese non perde tempo. Sale a bordo del suo suv, una Dacia Duster bianca, e ingrana la marcia. La pattuglia dei carabinieri mette la sirena e si accoda, cercando di raggiungerlo. Pochi minuti di curve a tutta velocità e incroci bruciati. Da Triuggio, fino al centro storico del paese vicino. Via radio, si chiedono rinforzi. Pochi istanti dopo, una seconda pattuglia di militari, arrivata in supporto ai colleghi, si mette di traverso per sbarrare la strada al fuggitivo, nel tentativo di bloccarne la corsa ed evitare che potesse travolgere i passanti. Il 48enne non accenna a frenare. Al contrario, dà gas e punta diritto sulla gazzella, cercando di speronarla. I militari, stando alla ricostruzione successiva, devono decidere in un istante come reagire. Esplodono due colpi dalle armi di ordinanza, mirando agli pneumatici del suv, per bloccarlo. Uno dei proiettili, però, va a finire nell’abitacolo. La pallottola centra il 48enne fra la spalla e il collo, mentre la vettura finisce contro le auto in sosta. Sono gli stessi carabinieri a prestare i primi soccorsi. Il 118 spedisce a Macherio i mezzi disponibili e un ambulanza porta il 48enne all’ospedale San Gerardo di Monza. Non in psichiatria, come previsto, ma in codice rosso al pronto soccorso. Ora, sarebbe fuori pericolo.
Fonte: Il Giorno
mercoledì 2 agosto 2017
Processo Stefano Biondo
LA VERITA' PUO' ATTENDERE ?
Il Comitato Iniziativa Antipsichiatrica è parte civile a fianco dell'associazione Astrea e della sua presidente, Rossana La Monica, nel processo che vede imputato un infermiere del reparto di psichiatria di Siracusa che è accusato di aver causato la morte di Stefano Biondo, per soffocamento da compressione della gabbia toracica, il 25 gennaio del 2011, durante manovre usate dallo stesso per immobilizzarlo.
Rossana La Monica, sorella di Stefano Biondo, ha vissuto i momenti che hanno preceduto l'evento fatale e ha raccontato in aula di aver trovato il fratello immobilizzato per terra, con le mani legate dietro la schiena con un filo della luce e con l'imputato ancora intento a trattenerlo bloccato per terra, già in chiara crisi respiratoria.
Intorno al corpo morente di Stefano, ad assistere alla manovra dell'"esperto" infermiere psichiatrico, operatori e responsabili della struttura di accoglienza presso cui Stefano era ospite da appena un giorno, ma che durante il processo hanno avuto difficoltà a ricordare e ricostruire quanto accaduto.
Il Comitato Iniziativa Antipsichiatrica è parte civile a fianco dell'associazione Astrea e della sua presidente, Rossana La Monica, nel processo che vede imputato un infermiere del reparto di psichiatria di Siracusa che è accusato di aver causato la morte di Stefano Biondo, per soffocamento da compressione della gabbia toracica, il 25 gennaio del 2011, durante manovre usate dallo stesso per immobilizzarlo.
Rossana La Monica, sorella di Stefano Biondo, ha vissuto i momenti che hanno preceduto l'evento fatale e ha raccontato in aula di aver trovato il fratello immobilizzato per terra, con le mani legate dietro la schiena con un filo della luce e con l'imputato ancora intento a trattenerlo bloccato per terra, già in chiara crisi respiratoria.
Intorno al corpo morente di Stefano, ad assistere alla manovra dell'"esperto" infermiere psichiatrico, operatori e responsabili della struttura di accoglienza presso cui Stefano era ospite da appena un giorno, ma che durante il processo hanno avuto difficoltà a ricordare e ricostruire quanto accaduto.
L'infermiere imputato non è stato mai sospeso dal servizio. L'indagine
interna dell'Asp è stata chiusa con il suggello del Direttore del
Dipartimento Salute Mentale (esponente del Forum Salute Mentale Sicilia)
che parla di "una serie di eventi avversi e accidentali". L'infermiere è
stato destinato ad altro incarico (Unità Operativa Formazione) (sic).
Il processo intanto che ha subito un rallentamento in fase istruttoria a causa della richiesta di archiviazione avanzata dal PM incaricato, è in procinto di andare in prescrizione (luglio 2018) senza che venga appurato cosa sia davvero accaduto quel giorno e le responsabilità di chi è accusato.
La prossima udienza è fissata per il 20 novembre 2017
(nella foto: Rossana La Monica a consulto con l'avvocato Romano, legale del Comitato Iniziativa Anti psichiatrica)
fonte: Comitato Iniziativa Antipsichiatrica
Il processo intanto che ha subito un rallentamento in fase istruttoria a causa della richiesta di archiviazione avanzata dal PM incaricato, è in procinto di andare in prescrizione (luglio 2018) senza che venga appurato cosa sia davvero accaduto quel giorno e le responsabilità di chi è accusato.
La prossima udienza è fissata per il 20 novembre 2017
(nella foto: Rossana La Monica a consulto con l'avvocato Romano, legale del Comitato Iniziativa Anti psichiatrica)
fonte: Comitato Iniziativa Antipsichiatrica
domenica 16 luglio 2017
Il segno del capro, documentario
Il segno del Capro è un racconto visivo di storie,
persone e luoghi che hanno rappresentato e vissuto la storia
dell’anarchia in Italia. Nelle parole degli intervistati, si scopre un
filo conduttore che “tutto lega”: la traccia che collega fatti e persone
che hanno condiviso una idea libertaria mistificata e combattuta da
sempre, contro i mali di una società che con essi ancora convive. Dal
regicida Gaetano Bresci all’anarchica città di Carrara, da Pino Pinelli
alla rivolta di Reggio Calabria del 1970…un viaggio di incontri con una
umanità straordinaria, durato tre anni, attraverso un Paese che non
conosce la sua storia.
INTERPRETI (tra gli altri):
Sabatino Catapano, attivista antipsichiatrico di Sarno.
Conosce il significato della parola Anarchia in galera, dove subisce il
TSO e la contenzione del carcere psichiatrico. Ci accompagna a Ventotene
, cercando la tomba di Gaetano Bresci.
Giuseppe Galzerano, il gentile editore di libri
d’anarchia, ricorda il maestro Franco Mastrogiovanni e la sua oscena
morte in un ospedale italiano del Salento, pochi anni fa.
Don Gallo, cosa c’entra un prete che parla di anarchia nella Val Susa del movimento NOTAV?
Cesare Vurchio, amico dell’anarchico Pinelli, volato dalla
Questura di Milano, una notte del dicembre 1969, dopo la bomba di
Piazza Fontana; quando si decise che la colpa era loro. Ricorda l’amico
insieme alle figlie di Pino, Claudia e Silvia.
Alfredo Mazzucchelli, di Carrara, l’unica città italiana
dove Circoli, storie e bandiere anarchiche si incontrano come normalità.
Tra cave di marmo tribolato e monumenti a regicidi.
Luigi Botta, studioso e scrittore del caso
Sacco&Vanzetti. Proietta a Villafalletto per la prima volta il
filmato integrale dei funerali dei 2 anarchici uccisi nel 1927, sulla
sedia elettrica. Sono le uniche immagini esistenti del caso, perché il
governo USA ordinò la distruzione di ogni filmato.
Domenico Liguori, insegnante di Spezzano Albanese. Dove l’anarchia si fa in piazza, da decenni.
best long movie VALDARNO CINEMA FEDIC 2016 –
best documentary MAAZZENI Film Fest 2016 – CERVIGNANO Film Fest 2015
selected – Cracow Film Market 2016 selected – AIFF Ariano International
Film Fest 2016 selected.
IL SEGNO DEL CAPRO_TRAILER from fabiana antonioli on Vimeo.
IL SEGNO DEL CAPRO Memoria dovuta a storie, persone e luoghi di anarchia in Italia
THE WAY OF GOAT Memory owed to history, people and places of the anarchist movement in Italy.
documentary, ITA, 90’, HD, 2015.
idea,regia e montaggio/a documentary by Fabiana Antonioli (concept,direction, editing)
una produzione indipendente di/indipendent production by Filmika opificio dell’immagine
www.filmika.it
colonna sonora originale/original soundtrack Fabrizio Modonese Palumbo, Daniele Pagliero
registrata/recorded at OFF Studio Torino, da/by Paul Beauchamp
masterizzazione/mastering Marco Milanesio
riprese video a cura di/filmed by Filmika scrl (Barbara Andriano, Fabiana Antonioli, Davide Marcone)
mix audio: Tommaso Bosso
color: Davide Marcone
interviste a cura di/interview by Fabiana Antonioli
con la collaborazione di/with Paolo Finzi, Aurora Failla, Fiamma Chessa, Giuseppe Galzerano
artwork grafico/graphic art : Bellissimo and the Beast (Chiara Costa e Roberto Clemente)
www.bellissimoandthebeast.it
animazione grafica/title animation Marco Holland
traduzione inglese/english translation Paul Beauchamp
martedì 20 giugno 2017
Guida ai diritti davanti alle forze di Polizia
Pubblichiamo questa breve guida trovata su Antigone, contenente informazioni molto utili sui propri diritti qualora ci si trovi fermati ad un controllo di Polizia:
http://www.associazioneantigone.it/upload2/uploads/docs/IT_KYR_VademecumPolice.pdf
Sul sito di Antigone sono presenti anche le versioni in altre lingue.
http://www.associazioneantigone.it/upload2/uploads/docs/IT_KYR_VademecumPolice.pdf
Sul sito di Antigone sono presenti anche le versioni in altre lingue.
domenica 18 giugno 2017
Venerdì 23 Giugno, Piacenza
c/o COOPERATIVA INFRANGIBILE – via Alessandria 16 –
ore 20 BUFFET VEGAN di AUTOFINANZIAMENTO
ore 21 BREVE PRESENTAZIONE TELEFONO VIOLA e a seguire
PRESENTAZIONE del libro “ELETTROSHOCK. La storia delle terapie elettroconvulsive e i racconti di chi le ha vissute”. a cura del Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud. Edizioni Sensibili alle Foglie
sarà presente il COLLETIVO ANTIPSICHIATRICO ANTONIN ARTAUD- Pisa
organizza il TELEFONO VIOLA - Piacenza
linea d’ascolto contro gli abusi della psichiatria e per liberarsi dalla morsa psichiatrica
www.telefonoviolapiacenza.blogspot.it / www.telefonoviola.org
ore 20 BUFFET VEGAN di AUTOFINANZIAMENTO
ore 21 BREVE PRESENTAZIONE TELEFONO VIOLA e a seguire
PRESENTAZIONE del libro “ELETTROSHOCK. La storia delle terapie elettroconvulsive e i racconti di chi le ha vissute”. a cura del Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud. Edizioni Sensibili alle Foglie
sarà presente il COLLETIVO ANTIPSICHIATRICO ANTONIN ARTAUD- Pisa
organizza il TELEFONO VIOLA - Piacenza
linea d’ascolto contro gli abusi della psichiatria e per liberarsi dalla morsa psichiatrica
www.telefonoviolapiacenza.blogspot.it / www.telefonoviola.org
sabato 17 giugno 2017
Recensione di Chiara Gazzola a "Correnti di Guerra" su Sicilia Libertaria
Chiara Gazzola
_______________
domenica 11 giugno 2017
EMPOLI (FI) :SABATO 17 GIUGNO
Casa del popolo delle Cascine
(via Meucci, 67 - vicino alla stazione fs)
CONTRO TUTTI GLI ESERCITI E TUTTE LE GUERRE
Alle ore 17 Presentazione di :
"CORRENTI di GUERRA. Psichiatria militare e faradizzazione durante la Prima guerra mondiale.
A cura di Marco Rossi, autoprodotto dal Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud di Pisa
Partecipano l'Autore , il Collettivo antipsichiatrico Artaud e Ettore Pippi, per gli anarchici empolesi.
Organizzano il Centro Studi Libertari Pietro Gori e la Federazione Anarchica Empolese
Per info:
artaudpisa.noblogs.org/ antipsichiatriapisa@inventati.org
(via Meucci, 67 - vicino alla stazione fs)
CONTRO TUTTI GLI ESERCITI E TUTTE LE GUERRE
Alle ore 17 Presentazione di :
"CORRENTI di GUERRA. Psichiatria militare e faradizzazione durante la Prima guerra mondiale.
A cura di Marco Rossi, autoprodotto dal Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud di Pisa
Partecipano l'Autore , il Collettivo antipsichiatrico Artaud e Ettore Pippi, per gli anarchici empolesi.
Organizzano il Centro Studi Libertari Pietro Gori e la Federazione Anarchica Empolese
Per info:
artaudpisa.noblogs.org/ antipsichiatriapisa@inventati.org
Caso Mastrogiovanni/ Pubblicate le motivazioni della sentenza
Dopo circa quattro mesi dall'emanazione della sentenza emessa dalla corte d'appello del Tribunale di Salerno per la morte di Francesco Mastrogiovanni, nella quale sono state confermate, seppur dimezzate, le pene per i sei medici del reparto di psichiatria dell'Ospedale San Luca di Vallo della Lucania (Sa) e sono stati condannati undici dei dodici infermieri loro collaboratori (assolti in prima istanza), sono state rese note le motivazioni della sentenza di secondo grado. Quali sono state le pene comminate e le relative motivazioni?
Le richieste
Nella requisitoria del 10 aprile 2015 il Procuratore Generale Elio Fioretti aveva chiesto pene variabili da cinque anni e quattro mesi a quattro anni sia per i sei medici che per gli undici infermieri. La dr.ssa Maddalena Russo, subentrata nel corso del processo al dr. Fioretti, nella sua brevissima replica ha confermato le richieste del collega, ribadendo la responsabilità anche degli infermieri.
Le condanne
La Corte d'Appello di Salerno, presieduta dal Dott. Michelangelo Russo, nonostante le richieste di inasprimento delle pene avanzate dai due Procuratori Generali ha condannato gli infermieri: Giuseppe Forino, Alfredo Gaudio, Antonio Luongo, Nicola Oricchio e Marco Scarano a un anno e tre mesi di reclusione; Maria D'Agostino Cirillo, Carmela Cortazzo, Antonio De Vita, Massimo Minghetti, Raffaele Russo e Antonio Tardio a pene lievissime di un anno e due mesi per aver dato “un contributo materiale consapevole alle condotte dei medici, contribuendo consapevolmente, con comportamento commissivo od omissivo, alla privazione della libertà personale dei pazienti e senza esercitare il potere/dovere di rifiutarsi o comunque di segnalare l'illeicità, connesso alla loro funzione e comunque loro conferito dall'art.51, comma 3 C.P.,”.
Per la prima volta i giudici hanno affermato che non basta ubbidire ad un ordine per non essere ritenuti responsabili di un reato.
Per quanto riguarda i medici Rocco Barone e Raffaele Basso la pena comminata è di due anni; Michele Di Genio, primario, è stato condannato a un anno e undici mesi; Amerigo Mazza e Anna Angela Ruberto ad un anno e dieci mesi; Michele Della Pepa a un anno e un mese per aver messo in atto: “una contenzione disumana”, che non può essere giustificata con finalità di protezione del paziente e appare come una prassi legata a carenze di personale e volontà organizzative. Il fatto che nessuno dei medici l'abbia annotata in cartella clinica dimostra per i giudici la consapevolezza di quanto non vi fosse alcun presupposto per legittimarla. Se le pene previste in primo grado sono state ridotte è solo nel rispetto di criteri di commisurazione della pena, “che non devono tenere conto di fattori emotivi” e in considerazione di un contesto temporale in cui la sensibilità a certi temi era meno avvertita.
L'esiguità delle pene e la sospensione per i medici dell'interdizione dai pubblici uffici hanno prodotto nei familiari dell'insegnante un grande sconcerto. Caterina Mastrogiovanni, sorella di Franco, intervistata dal TG3, visibilmente turbata ha dichiarato: “Resto molto delusa, molto delusa soprattutto per il reintegro (del personale sanitario, n.d.a.), mio fratello è stato ammazzato in quel reparto”. Anche Grazia Serra, figlia di Caterina e nipote dell'insegnante cilentano ha dichiarato con forza: “Sono molto preoccupata, è stata sospesa l'interdizione dal lavoro per i medici, noi quello che vogliamo è che non accada mai più e invece questi medici continueranno a lavorare”. Se necessario, continua Grazia, ci rivolgeremo alla Corte Europea per i diritti dell'uomo.
La “Legge Mastrogiovanni”
A seguito dei tanti morti e degli abusi consumati nell'esecuzione dei ricoveri coatti, i Radicali hanno preannunciato che presenteranno, in Parlamento, una proposta di “Legge Mastrogiovanni” che riveda il Trattamento sanitario obbligatorio. Altre battaglie che ci attendono sono quelle per l'introduzione nel codice penale dei reati di tortura e trattamenti degradanti. A chiederlo, tra gli altri, è il comitato dei ministri del Consiglio d'Europa che ha ritenuto insufficienti le misure sinora prese dall'Italia per dare esecuzione alla sentenza di condanna della Corte europea dei diritti umani sul caso Cestaro (irruzione nella scuola Diaz durante il G8 di Genova) emessa il 7 aprile 2015.
Angelo Pagliaro
fonte: http://www.arivista.org
sabato 27 maggio 2017
Sabato 3 Giugno - Camap a Torino
dalle 17 Presentazione del libro 'La Critica Psichiatrica' di Gabriele Crimella e dibattito con il Collettivo Antipsichiatrico Camuno.
dalle 18 Incontro sul Kurdistan.
Alle 20 Cena
Dalle 22 Concerti punk.
A seguire Disco Trash!
Benefit Kurdistan e lotta anti-militarista sarda.
Benefit Kurdistan e lotta anti-militarista sarda.
mercoledì 24 maggio 2017
ROVERETO (TN) VENERDI’ 26 MAGGIO 2017
c/o Circolo Culturale Cabana - Via Campagnole, 22
ore 21 presentazione di:
"ELETTROSHOCK" La storia delle terapie elettroconvulsive e i racconti di chi le ha vissute."
a cura del Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud
Edizioni Sensibili Alle Foglie.
per info:
antipsichiatriapisa@inventati.org
www.artaudpisa.noblogs.org
ore 21 presentazione di:
"ELETTROSHOCK" La storia delle terapie elettroconvulsive e i racconti di chi le ha vissute."
a cura del Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud
Edizioni Sensibili Alle Foglie.
per info:
antipsichiatriapisa@inventati.org
www.artaudpisa.noblogs.org
domenica 21 maggio 2017
Grande persona, ieri a Napoli al 76a con noi...
Sabatino Catapano
OPG di Aversa - Due ricoveri all' Ospedale Psichiatrico Giudiziario (nel 1962 e poi 1974)
Era il lontano 1960, quando fui arrestato con una pesante imputazione: “sequestro di persona e rapina a mano armata”. Mi rinchiusero nel carcere di Salerno. Ero innocente, oggi si dice: “estraneo agli addebiti”. Non credo che chi non ha vissuto questo barbaro sequestro si possa immaginare qual è il tormento, la paura, la rabbia, la ribellione.
Mi sentivo sempre straziato ed impotente rispetto alla macchinazione repressiva, mi sentivo come un gabbiano con le ali tarpate, mi sentivo impazzire. Nonostante il travaglio della sofferenza cercavo di essere lucido ed attento agli sviluppi del processo. Ardii dire al giudice istruttore di non fare “orecchie da mercante” e fui denunciato per oltraggio e condannato a quattro mesi di reclusione. Tentai la fuga ma, come succede spesso, qualcuno fece la spia e fummo presi. Tre mesi di isolamento in una tetra cella. Tra scioperi della fame ed autolesioni fui trasferito in quel di Benevento dove, in una protesta, ruppi un vetro per difendermi dalla violenza della squadretta (15, 20 secondini massacratori specializzati nei pestaggi). In quell’occasione mi pestarono, si trattennero dal mio libretto del c.c. una somma esosa per il risarcimento, mi legarono sul letto di forza e mi denunciarono, subendo una condanna di due mesi di carcere. Quel vetro lo pagai troppo salato.
Durante il periodo trascorso al carcere di Benevento, nel mese di Agosto del 1962 ci fu un terremoto. All’improvviso tutto traballava, una fottuta paura ci spinse illusoriamente a rifugiarci negli angoli della stanza, nel tentativo di salvare la pellaccia. Aspettavamo che venissero ad aprire i cancelli per poter essere portati al sicuro negli spazi aperti adibiti all’aria. Trascorse più di un’ora prima che i porci ci venissero ad aprire. lncominciammo subito una protesta e con le gavette facevamo un assordante rumore sbattendole contro le cancelle per costringere a tornare i secondini, che in primis scapparono, senza tenere conto delle vite dei detenuti, ingabbiati ed impossibilitati a fuggire. Il racconto di questo episodio serve a mettere in evidenza il non senso del valore della vita dei reclusi. In carcere non si perde solo la libertà, l’individuo che espia una condanna viene defraudato di qualsiasi diritto, anche quello alla vita. Prevale sempre la cultura dell’annientamento.
Poi fui di nuovo trasferito a Poggioreale dopo aver ingoiato un chiodo di 7 cm, e di seguito spedito ad Aversa. Questo fu il periodo più drammatico di quella detenzione. Varcata la soglia del manicomio, di prassi, tanto per darti il “benvenuto”, ti espropriano di tutte le tue cose relegandoti al padiglione 40 reparto agitati dove ti fanno denudare per farti indossare la camicia da recluso (quelle famose a strisce) ed incominciano a cucire le fascette ai polsi ed alle caviglie. Così conciato ti fanno distendere sul letto di contenzione legandoti polsi e caviglie alla struttura del letto fissato nel pavimento. Restai legato per quindici lunghi giorni. Nei primi tre o quattro giorni un dolore lancinante ai reni mi faceva un male da morire facendomi piangere. Cercavo comprensione ma i miei lamenti lasciavano indifferenti i secondini in servizio. I cani da guardia erano imperturbabili, nulla li faceva emozionare e sulle loro facce potevi leggere solo un ghigno di sadico piacere, quella gentaglia poteva così scaricare tutta la sua violenza, tutte le sue frustrazioni. Capii subito l’atmosfera e cercai di controllare il dolore e la rabbia perché, qualunque cosa dicevi, poteva essere un motivo per subire violenza. Imparai subito la lezione.
Vicino a me c’erano altri legati, in quello stanzone c’erano dieci letti occupati tutti i giorni. Fra tutti, due vivevano la situazione più tragica. C’era uno di Misterbianco, in provincia di Catania, prosciolto per “incapacità di intendere e volere” ed internato per sei mesi (ma erano cinque anni tutti interi che era legato). L’unica sua “colpa” era quella nenia lacerante fatta di rabbia ed impotenza, espressa con le testuali parole: “tutti sciecco, tutti porci vai chiamare” . Lo diceva in dialetto che significa: “tutti asini, tutti porci vi devo chiamare”. Per me sentire quel tormento era una sofferenza indicibile ma nulla si poteva fare per dargli aiuto, come nulla potei fare in un altro caso ancora più drammatico che vi descriverò in modo più dettagliato.
Il secondo, il mio vicino diletto, era un “grande invalido di guerra decorato con la medaglia d’argento al valore militare”. Durante la Seconda Guerra Mondiale era imbarcato su un sommergibile che fu affondato. Lui, unico superstite, fu salvato dopo qualche giorno. Dissero che era “schizofrenico” e per di più tubercolotico, per questo percepiva una pensione e dato che aveva un tutore non gli permettevano le cose che desiderava. Avrebbe voluto comprarsi un po’ di caramelle e qualche cioccolata, gridava in continuazione chiedendo lo spesino (chiamavamo così l’internato addetto alle cose che potevamo comprare) e le sue grida erano un lamento lacerante. Tra i tanti secondini in servizio nel reparto agitati due erano più bestie degli altri e gli riservavano un trattamento speciale di tortura: uno con una faccia di merda, con un’espressione di piacere, lo colpiva sulle ginocchia con le chiavi, quelle grandi, che usavano per chiudere i cancelli.., erano grida di dolore.., ed erano grida di dolore anche con l’altro secondino che con un ghigno di cattiveria lo colpiva con il bastone della scopa sulle dita dei piedi. Era uno spettacolo orrendo che non volevi vedere e tuo malgrado dovevi assistere. L’odio che sentivo verso quella gentaglia era incommensurabile, la rabbia saliva, sarei dovuto intervenire ma il terrore di subire lo stesso trattamento mi bloccava e non restava altro che girare lo sguardo dall’altra parte. Ma se gli occhi non vedevano, le orecchie sentivano le grida strazianti di dolore, quelle grida mi penetravano nel cervello, mi facevano molto più male dell’essere legato, della sofferenza fisica che pativo. Ed i giorni erano tutti uguali, sempre le stesse scene, non avrei assolutamente immaginato che quella tortura durasse quindici giorni.., sì, tanto restai in quelle disumane condizioni.
Come prassi, ogni mercoledì della settimana in reparto arrivava uno psichiatra per decidere chi doveva esser slegato. I mercoledì si aspettavano con ansia e trepidazione, si pensava sempre che era il proprio turno, la delusione era cocente se rimanevi legato, durava qualche giorno poi, se non volevi impazzire, ti aggrappavi alla speranza che il mercoledì successivo fosse quello buono. Durante quei giorni era un continuo chiedersi quando passerà il tempo, e sempre con molta attenzione sentivo lo scandire delle campane che segnavano le ore. Ogni quindici minuti, la cadenza dei suoni dei battiti delle campane avveniva in questo modo: una campana scandiva le ore, un battito un’ora e così di seguito, un battito era l’una, due battiti le due, e così via, e questo si ripeteva ogni ora. L’altro battito divideva l’ora in quattro ed ogni quindici minuti un colpo, che ogni quindici minuti diventavano due, tre, al quarto si completava l’ora e poi l’orologio ricominciava. Lo stato d’animo che vivevo nello scorrere delle ore era di sospiro e di sofferenza, quando sentivo i battiti era un sollievo, poi si ricadeva subito nell’ansia dell’attesa per i quindici minuti che dovevano trascorrere per i prossimi rintocchi. Così passavano le ore, così passavano i giorni ed io aspettavo il mercoledì della settimana seguente.
Lo stress era lacerante, feci presto a capire che lì potevi restarci quanto loro volevano, ed allora dovevi valutare bene quel che facevi. Il paradosso era che le decisioni del medico dipendevano esclusivamente dal rapporto che i secondini riferivano, nulla contavano le tue condizioni psicofisiche. A dire il vero eri alla mercé dei secondini, se davi fastidio facendo molte domande ti tenevano legato come punizione. Sinceramente su quelle facce non ho mai visto un’espressione umana, ma la cosa più umiliante rimane in assoluto una pratica che violenta l’intimità. Per chi non conoscesse il letto di forza spiegherò la sua struttura per dare un’idea delle sue funzioni: un letto tutto in ferro fissato nel pavimento con su un pagliericcio fatto di crine, al centro un buco ricoperto con vilpelle. Una volta legato, nei primi tre o quattro giorni l’intestino si blocca, ma quando si regolarizza inizi a fare la piscia e a defecare, a quel punto viene lo “scopino” per portare via gli escrementi, ma prima ti fa il bidet. Lui arriva con il secchio pieno di acqua fredda, ti scopre per lavarti con un pezzo di spugna palle, pesce e culo, ti ricopre e porta via la merda e una volta ripulito il bugliolo lo rimette al suo posto. La piscia non viene rimossa subito così la puzza nauseante delle urine la senti continuamente, e credetemi, è davvero puzzolente.
L’istinto della sopravvivenza non ti fa uscire “fuori” di testa ma le violenze, le umiliazioni sono cruente, cocenti, e questa prassi è generalizzata : non occorre essere “agitato” per essere legato e subire quel trattamento ed il loro “benvenuto”. Cosa strana però che in teoria si sosteneva, ed il direttore dell’O.p.g. di Aversa era uno di quelli che affermavano che si doveva praticare la coercizione dell’uso del letto di contenzione solo in casi di “pericolosa agitazione” e si doveva subito slegare appena uno si placava, cazzo che differenza tra la loro teoria e l’applicazione della pratica! Ufficialmente le loro teorie erano finalizzate a diffondere la pratica psichiatrica, umanizzata, terapeutica, ma all’interno delle mura quotidianamente succedeva di subire violenze psicofisiche gratuite, umiliazioni atroci, abusi e quant’altro di sadico che l’umano frustrato può pensare. Subire tutto questo durante una carcerazione preventiva, durata due anni, tre mesi ed 11 giorni, per poi essere assolto per insufficienza di prove è davvero traumatizzante e lesivo per la dignità umana. Mi sentivo in gabbia con una fottuta paura che anche al processo poteva andare male, e al solo pensiero di una condanna rabbrividivo. Per quella specie di reato di cui ero accusato sicuramente mi avrebbero affibbiato tanti anni ma nonostante tutto, la volontà, la forza di gridare la mia estraneità ai fatti addebitatemi era tanta, tanta piena di odio, di rabbia che niente mi poteva fermare.
Questa esperienza così aberrante vissuta sulla pelle mi ha aperto gli occhi su tantissime cose. Ho imparato a guardarmi attorno, ad essere un attento osservatore, a scrutare lo sguardo di chi mi è di fronte, a cercare di capire non solo per salvaguardare la pellaccia, ma per intuire in che situazione mi trovo e potere avere subito una risposta a qualsiasi forma coercitiva che si vuole esercitare contro di me o a carpire uno sguardo luminoso carico di infinita umanità. L’odio e la rabbia erano tantissimi, ma quei tre mesi trascorsi al manicomio furono tremendi, dovevi stare molto attento e la paura era veramente tanta in quanto il potere dei secondini era infinito. Loro relazionavano sul tuo comportamento e lo psichiatra decideva. La sua diagnosi poteva anche prolungare il tuo soggiorno o addirittura sospendere la detenzione, e con l’applicazione della stecca ti sospendeva il giudizio e tutto il tempo che poi trascorrevi in manicomio non era più calcolato come periodo della detenzione. Questo fatto era davvero traumatizzante come forma di ricatto per creare paura, poterti annientare psicologicamente e chiuderti la bocca.
Tutto questo succede quando non sei seguito da familiari, avvocati e compagni, ma se capiscono che dietro di te c’è qualcuno, il loro atteggiamento cambia radicalmente e cercano anche loro di toglierti dalle palle per non avere fastidio. La loro grande preoccupazione è sempre quella di non correre il rischio che le cose interne escano oltre il muro, così tutto possono occultare. Chi mette in pericolo questo concetto corporativo e omertoso deve essere spedito subito al carcere perché per loro sei una rogna.
Un po’ prima che finissero i tre mesi (questo è il periodo massimo dell’osservazione psichiatrica) ti convoca uno dei medici ed è lui che stabilisce, dopo averti sottoposto ai test, che sono scarabocchi imbrattati su dei fogli di cartoncino, e ti domanda cosa ravvedi in quei disegni, se così si possono definire. Anche allora mi preoccupai molto, non mi avvilii, sicuro che quello era il momento di poter essere rimandato in carcere oppure di restare ancora in quella struttura immonda e disumana. lncominciai attentamente ad osservare, non riuscivo a decifrare un cazzo, capivo che non sarebbe stata sufficiente una simile risposta, incominciai a pensare che dovevo salvarmi il culo e cercai di descrivere cosa riuscivo ad interpretare, pensando di dare la risposta più attendibile, localizzando anche l’esatto punto di ciò che riuscivo a vedere e descrivere, dovevo a tutti i costi dare delle risposte che avrebbero dato un senso per sfuggire da quella situazione. Riuscii a nascondere bene la mia “pazzia” dando l’impressione che psicologicamente dimostravo di essere nella loro “logica”. Terminato questo test ritornai nella cella e dopo qualche giorno fui trasferito al carcere di Avellino dove restai fino all’inizio del processo che si svolse alla corte d’assisi di Salerno. L’epilogo di questa storia di merda si concluse con la mia assoluzione con formula dubitativa. L’importante era tornare “libero”, libero in questa società di avvoltoi che tutto ti toglie e tutto devi combattere per non essere omologato nella loro cultura di repressione, di annientamento e morte.
Un altro periodo in cui mi spedirono in manicomio fu nel 1974. Per altri due mesi dovetti sopravvivere in quell’inferno, dove non potevi parlare con nessuno anche se avevi tanta voglia di farlo, I giorni erano tutti uguali, monotoni, l’apatia era dominante e dopo dodici anni niente era cambiato. Per dare l’idea di come il potere ha tutte le facoltà per distruggerti racconterà quest’altra disumana esperienza. Al carcere di Perugia, dove conobbi due compagni anarchici, uno dei quali era Horst Fantazzini, fui uno degli organizzatori dello sciopero del lavoro. Per questo fui trasferito ad Aversa, nel giro di un mese feci tante traduzioni e visitai altre carceri, Pisa, San Gimignano, da dove mi impacchettarono per Aversa. La cosa assurda è il motivo del trasferimento al manicomio. Arrivato a San Gimignano, il giorno dopo fui convocato dal direttore che mi chiese cosa volevo. Nell’entrare nell’ufficio dove lui dava udienza, alle 17 - l’ora in cui mi ricevette -, pensavo che a quell’ora si dovesse salutare con un “Buona sera”, così feci ma la risposta arrogante di quell’essere fu “Buongiorno” ed allora capii subito dove mi trovavo pensando tra me: “a rò u buò, a la to do”, che significa: “da dove lo vuoi da lì te lo do”. Assunsi un atteggiamento di sfida ed alla sua domanda : “Cosa vuole?’ feci le mie richieste: il diritto alle telefonate ed all’acquisto dei giornali, “Umanità Nova” e “Lotta Continua”, un settimanale ed un quotidiano. La risposta fu di assoluto rifiuto per entrambe le cose. Il direttore con lo sguardo abbassato sulla scrivania (dove in evidenza c’era la cartella biografica con su scritto in rosso “grande sorveglianza”) mi negava tutto nonostante le disposizioni ministeriali che stabilivano che tutta la stampa legalmente registrata poteva essere letta e che una volta a settimana si poteva telefonare ai familiari. Il direttore continuava a dire che lì, in quel carcere, non era concesso. Alla mia risposta che se sarei stato vicino a casa avrei potuto usufruire dei colloqui (pertanto non avrei avuto il bisogno di telefonare) il direttore di ripicca disse:” Vorrebbe stare vicino a casa?” ed io risposi: “Se è possibile mi fa piacere”, così fu la mattina dopo: trasferito ad Aversa. Più vicino a casa sì, ma al manicomio.
Come già ho raccontato, avevo vissuto già l’altra esperienza nel 1962, sapevo cosa mi aspettava. lncominciai a pensare come potevo trovare un modo per informare mia moglie per sollecitarla a venire al colloquio il più presto possibile. Approfittai che la mattina ci fu un diverbio tra il capo-scorta per la traduzione ed il maresciallo dei secondini perché, quando mi domandarono se sapevo dove mi trasferivano, incredulo dissi: “Non lo so”, ed in quel preciso istante scoppiò la discussione. In ogni modo, considerata l’atmosfera che si era creata durante il viaggio, parlai con i carabinieri spiegando loro del perché ero stato trasferito, chiedendo se era possibile avvisare mia moglie di venire subito al colloquio per evitare di subire il trattamento di prassi dal momento che sarei arrivato in quell’inferno dei vivi. Vuoi che erano arrabbiati con la custodia, vuoi perché durante la traduzione stavo tenendo un atteggiamento tranquillissimo, si convinsero e durante la sosta per la pipì a Capua, mi fecero telefonare. Fu così che evitai di restare legato al letto di contenzione per molti giorni. Spiegai a mia moglie di venire insieme a qualche compagno/a di Napoli che avevo conosciuto a Poggioreale e di insistere a vedermi, anche se loro avessero detto che non era possibile, perché spesso così facevano, questo era uno dei tanti modi per punirti, calpestando anche il diritto all’affettuosità.
In ogni modo tutto si svolse come avevo previsto: appena giunto ad Aversa nell’ufficio matricola, dopo avermi registrato, mi portarono dritto al padiglione 40 reparto agitati e mi legarono. Restai in quella condizione per soli tre giorni che furono in ogni modo bestiali sia per le condizioni ed il trattamento che subivo, sia per le cose che vidi, cose che vi devo raccontare per rendere chiara l’idea di cosa vuoi dire essere spediti in manicomio. Ero già legato da un giorno, la sera dopo irruppero nello stanzone un branco di cani famelici, fra cui pure il medico di guardia, strapparono letteralmente gli indumenti di un malcapitato, senza dargli neppure il tempo di denudarsi come in genere usavano fare, una visione da volta stomaco di inaudita violenza dove non potevi neanche intervenire. Quanta rabbia ho dovuto amaramente ingoiare di fronte ai tanti spettacoli che vidi. Orrore, paura, rabbia, ribellione, tutto dovevi soffocare per non subire ritorsioni spietate. Molto spesso non era la violenza fisica che ti spaventava ma le condizioni in cui ti trovavi davvero da impazzire. psicologicamente, la procedura dell’essere legato ve la dovrò descrivere minuziosamente. Ti portano al reparto agitati, anche se sei calmissimo, ti espropriano di tutte le tue cose, ti lasciano spogliare nudo, ti fanno indossare una camicia a strisce ed incominciano a cucire le fascette ai polsi poi ti fanno distendere sul letto per cucire quelle che applicano alle caviglie ed iniziano a legarti alla struttura in ferro del letto. Ti immobilizzano le gambe, prima di immobilizzarti le braccia ti passano la fiorentina (non so perché viene definita così) sotto le ascelle e ti legano braccia e spalle. Tutta questa operazione conviene subirla con assoluta calma, ogni cosa può essere un motivo per fare scatenare tutta la loro bestialità. Se ti muovi troppo, perché vorresti rifiutare quel trattamento, peggiora la situazione ed allora ti tendono, ti allungano. La fiorentina serve a questo, più la tendono più non puoi muoverti. Se neppure quella basta ti bloccano con un’altra fascia sul torace ed in tante occasioni anche una sulla pancia... in quelle condizioni sei fottuto. Personalmente non ho subito queste “cure” perché sono sempre riuscito ad avere un senso di autocontrollo in quelle circostanze, ma ciò non ha impedito che i miei occhi vedessero tanta malvagità, tanto sadismo, tanto orrore. Era degradante ed umiliante al tempo stesso quando, costretto a defecare ed urinare in quella condizione, era abitudine chiamare per fare pulire il bugliolo, arrivava lo scopino con un secchio d’acqua fredda ed un pezzo di spugna ricavato da un vecchio materasso, ti scopriva per farti il bidet e con quella spugna lavava palle, pesce e culo a tutti! Figuratevi ... l’igiene se ne andava a puttane!
Ad Aversa c’era e c’è ancora una sezione, “la staccata”. Solo a nominarla si rabbrividiva. Correvano tante voci di tanti misfatti e tante morti che ci sono state. Lì venivano trattenuti i lungo-degenti, lì praticavano l’elettroshock, lì ti riempivano di psicofarmaci (all’epoca andava di moda la Scopolamina che ti rincoglioniva). Quando si parlava della staccata se ne parlava con paura. Una volta sola mi portarono per fare l’elettroencefalogramma. C’era un’atmosfera tetra, oppressiva, disumana. L’annientamento era totale, mi sentivo circondato da marionette, solo i corpi ti davano un senso umano ma le espressioni, variegate da soggetto a soggetto, erano tutte smorte, senza luminosità. Il trattamento per annullarti era totale. Per tutte le angherie applicate, per gli abusi, per alcune morti, alla fine degli anni settanta ci fu un’indagine giudiziaria ed il direttore, Dott. Ragozzini, con il maresciallo e diversi secondini, furono condannati. Tutti erano a “piede libero”, tra questi il direttore fu condannato a quattro anni di reclusione ed il giorno dopo la sentenza lo trovarono impiccato appeso al balcone del suo ufficio all’interno del manicomio. La vergogna delle sue responsabilità, delle sue complicità anche con famosi camorristi lo portò al suicidio. In un mondo di merda, uno stronzo in meno. Ma la puzza rimane sempre la stessa, la puzza putrida del potere.
Il secondo episodio che devo narrare è la dimostrazione di come l’elettroshock e gli psicofarmaci vengono usati per l’annientamento totale dell’individuo. Tutti sappiamo che qualsiasi forma di rifiuto, contestazione, ribellione, viene sistematicamente repressa. Gli organi predisposti a questo compito sono militarmente equipaggiati e feroci nella esecuzione, tante volte sono anche assassini. La funzione delle strutture di sequestro coatto ha uno scopo aberrante, quello di ricattare con la tortura psicofisica. Il nocciolo dell’esempio da raccontarvi consiste in questo caso che dettaglierò nei particolari. Fui chiamato per il colloquio, entrando nella stanza per incontrare la mia compagna ed i miei figlioletti (all’epoca erano piccoli), mi trovai seduto accanto ad un internato che era “ospite” della famigerata sezione la staccata. Per lui c’era sua madre che non lo vedeva da anni e suo fratello, emigrato in Germania, che era impossibilitato a seguirlo. Quel giorno vennero, ed io e la mia famiglia ci trovammo di fronte ad una situazione direi raccapricciante. C’era il fratello che con il sorriso sulle labbra gli offriva una cioccolata e lui con uno sguardo smarrito, tutto impaurito, terrorizzato e tremolante si ritraeva senza riuscire neanche a parlare. Incredulo osservavo come abitudine l’ambiente dove mi trovavo e decisi di parlare con i suoi spiegandogli qual’era la causa dell’atteggiamento del loro familiare e del trattamento a cui era sottoposto, sollecitandoli ad interessarsi affinché il fratello non diventasse una larva umana. Gli suggerii di farsi ricevere dal direttore per chiedergli spiegazione delle condizioni di suo fratello e di rivolgersi ad un avvocato per tirarlo fuori da quell’inferno. Gli detti il recapito e mi rivolsi verso i miei per coccolare i miei bambini e parlare un po’ con mia moglie. Anche loro rimasero scossi da quella scena di orrore. Alla fine nel salutarli, sollecitai di nuovo e raccomandai di non dimenticarsi di quanto gli avevo suggerito. Andai via dando un bacio ai bimbi e a mia moglie. Come abitudine, ogni settimana mia moglie veniva al colloquio, ed io aspettavo con ansia quel giorno. Ovviamente non pensai più a quell’incontro, anzi credevo di non rivedere più quelle persone. Invece al prossimo colloquio ci incontrammo di nuovo e la situazione della settimana precedente era del tutto capovolta. L’internato non era più intontito, apatico, estraneo, in sette giorni le cose erano cambiate radicalmente ed allora ritenni opportuno intervenire per domandare se si era interessato del fratello. In me stesso ne ero sicuro, mi rispose di si ed allora gli feci notare il grande cambiamento e lui non sapeva più come ringraziarmi. All’improvviso il 14 agosto, mi chiamarono perché dovevo essere trasferito di nuovo a San Gimignano ma quello fu un trasferimento punitivo, mai nei giorni prefestivi si facevano traduzioni in quanto, in occasione delle festività, c’era da fare il colloquio, In questa piccola cosa si può valutare la loro cattiveria. In ogni modo c’era un prezzo da pagare, di quella storia non ho saputo più niente ma ho sempre pensato con convinzione che quell’uomo è riuscito a salvare il fratello.
Se la favola ha una morale, la morale di questa favola è la denuncia forte, critica, radicale contro ogni forma di coercizione e di annientamento che i servi del potere esercitano con brutalità spietata e disumana. Quando si parla di manicomio, si parla di psichiatria e in questo campo i servi in primis sono gli psichiatri che con le loro teorie parascientifiche sono al servizio dei potenti, perché, guarda caso, in manicomio finiscono sempre gli emarginati, i perseguitati, i ribelli. Il sistema difende e giustifica se stesso e gratifica chi senza un minimo di dignità sottostà alle sue imposizioni e con riverenza gli lecca le palle pur di sopravvivere, rinnegando il diritto alla intensità della vita.
fonte: www.nopazzia.it
Iscriviti a:
Post (Atom)