Nell’ignoranza,
nell’indifferenza o con l’attiva collaborazione degli istituti
scolastici dove quotidianamente svolgiamo il nostro lavoro, una parte
cospicua dei nostri allievi alla quale è stato diagnosticato un disturbo
dell’attenzione e iperattività (ADHD secondo l’acronimo statunitense)
viene trattata con psicofarmaci a base di principi attivi
anfetamino-simili. L’atomoxetina (ATX), ma soprattutto il metilfenidato
(MPH), contenute rispettivamente nei medicinali Strattera e Ritalin,
sono sostanze riconosciute e classificate come stupefacenti per le loro
pesanti conseguenze in termini di assuefazione e dannosità, da decenni
nel mirino di medici, scienziati e organismi internazionali come
l’Organizzazione mondiale della sanità e la statunitense Food and Drug
Administration, solo per citarne alcuni. I quali insistono, attraverso
studi, reports e prese di posizione, su un dato che dovrebbe essere
chiaro anche ai non addetti ai lavori: la pericolosità a breve e a lungo
termine degli effetti della somministrazione di stupefacenti a bambini e
giovani in età evolutiva a partire dai 6 anni.
Sull’argomento
esiste ormai una vasta letteratura, scientifica e non, accompagnata da
un accesissimo dibattito pluridecennale: il sito giulemanidaibambini.org
rappresenta in questo campo una delle fonti più aggiornate, e chi non
conosce appieno i termini della questione può farsene un’idea dopo una
rapida consultazione. L’elenco degli “effetti secondari” è lunghissimo:
morte, disfunzioni cardiovascolari, “disturbi psichiatrici”, impulso al
suicidio, solo per citarne alcuni. Reazioni avverse ormai provate perché
sperimentate direttamente sulla pelle dei bambini in decenni di
somministrazioni più o meno consensuali, più o meno controllate, più o
meno imposte.
Non a caso in
Italia l’uso del Ritalin era stato sospeso nel 1989 per scelta della
stessa casa produttrice. Risale al 2007 lo sdoganamento e la nuova
autorizzazione all’immissione in commercio del Ritalin e dello
Strattera, in seguito a un gioco di sponda tra la Novartis
(distributrice del Ritalin), il Ministero della Sanità e l’Agenzia
italiana del farmaco. Nel 2003 il metilfenidato veniva declassato dalla
Tabella I delle sostanze stupefacenti e psicotrope elaborata dal
Ministero della salute (dove si trovava in compagnia di cocaina, LSD,
eroina e oppiacei vari…) alla tabella IV, tra le sostanze sì
stupefacenti e psicotrope ma “suscettibili di impiego” sotto stretto
controllo.
Dal 2007 Ritalin
e Strattera sono dunque disponibili e somministrati agli alunni delle
scuole italiane. Tuttavia, anche come conseguenza dell’aspro dibattito
che si era innescato, nel nostro paese sono stati stabiliti alcuni
limiti rispetto alla liberalizzazione selvaggia di altri paesi
occidentali, USA in testa: sono autorizzati alla prescrizione del
farmaco unicamente i centri accreditati presso le Regioni; è stato
inoltre istituito un “Registro nazionale dell’ADHD” per raccogliere i
dati elaborati dai centri autorizzati e monitorare la sicurezza della
terapia.
Il Registro è consultabile online [1],
e passa in rassegna gli anni dal 2007 al 2016. Si tratta di un lavoro,
per ammissione degli stessi compilatori, lacunoso e anche (si può
capire) osteggiato. Non comprende gli adulti, anche essi trattabili con
MPH o ATX. Comprende solamente i pazienti con quadro clinico di gravità
tale da richiedere il trattamento combinato, farmacologico e
psico-sociale: il Registro esclude quindi tutti i pazienti che, a causa
di mancanza di fondi, di personale e di strutture hanno potuto far
ricorso al solo rimedio farmacologico, anche se nelle sue pagine si
afferma che «oltre alla terapia farmacologica sarebbe indicato effettuare anche interventi comportamentali». Allo stesso modo sono stati esclusi i pazienti di gravità medio-lieve anche se trattati con la molecola stupefacente.
Pur all’interno di questi limiti i dati che il Registro prospetta presentano un quadro allarmante.
- Si stima che la diffusione del disturbo, nella popolazione italiana di età compresa tra 6 e 18 anni, sia di poco superiore all’1%: riguarderebbe dunque più di 75.000 ragazzi in età scolare.
- La scuola, al pari di servizi territoriali di neuropsichiatria, centri accreditati e altri centri specialistici, è considerata una delle prime strutture coinvolte per l’intervento sull’ADHD; allo stesso modo lo sono, tra le figure professionali, i singoli insegnanti, insieme a pediatri, neuropsichiatri e psicologi.
- Il quadro statistico è vasto e allo stesso tempo lacunoso per necessità: i centri autorizzati sono 110 e alcuni sono enormemente più attivi di altri, tanto che ci sono famiglie che emigrano da una regione all’altra per ottenere i farmaci. In 10 anni su 3696 pazienti trattati con MPH e ATX sono stati registrati 140 eventi avversi severi su 118 pazienti! Ciò significa che ogni 100 bambini e adolescenti, 3 di loro hanno subito “effetti collaterali” gravi, tra cui, secondo una tabella che ne elenca ben 20, disturbi cardiovascolari, allucinazioni, convulsioni, ideazione suicidaria, disturbi dell’umore, neurologici e psichiatrici, questi ultimi in netta prevalenza statistica.
Il Registro
dunque non fa altro che ufficializzare, nel piccolo e nei limiti della
situazione italiana, un quadro che anni di sperimentazioni più o meno
ufficiali e uso diffuso a livello mondiale (un giro di affari spaventoso
gestito dalle solite multinazionali farmaceutiche) aveva già
abbondantemente chiarito.
Un tassello di
non poca importanza negli anni della campagna pre-sdoganamento è stato a
questo proposito il cosiddetto Progetto Prisma (Progetto Italiano
Salute Mentale Adolescenti) che vale la pena citare perché riferito in
gran parte a un ambito scolastico. Prisma è nato grazie alla
collaborazione tra istituzioni private e statali, tra cui l’Istituto
superiore della sanità. A partire dal 2002 ai circa 5600 studenti di 40
scuole italiane scelte tra 7 città campione è stato somministrato un
paradossale questionario destinato alla raccolta di dati conoscitivi sul
“disagio psichico” nella preadolescenza, in singolare concomitanza con
la campagna di rilancio del Ritalin. Dietro autorizzazione del dirigente
e firma di un “consenso informato” insegnanti e genitori collaboravano
all’individuazione statistica del futuro mercato del Ritalin, chiamati a
dare un giudizio oscillante da “per nulla” a “moltissimo” ad
affermazioni del tipo: «spesso interrompe o si comporta in modo
invadente; spesso litiga con gli adulti; spesso parla eccessivamente;
spesso si agita con le mani o i piedi o si dimena sulla sedia; è spesso
dispettoso e vendicativo; spesso sfida attivamente o si rifiuta di
rispettare le richieste o regole degli adulti; è in continuo movimento o
spesso agisce come se avesse l’argento vivo addosso; ruba delle cose»,
e a numerose altre dello stesso livello. Colpisce innanzitutto
l’approssimazione di uno studio che basa la propria scientificità su un
questionario così vago. Colpisce ancora di più la trasformazione in
sintomi di una malattia da curare di quelle che come insegnanti eravamo
abituati a considerare normali (anche se a volte difficili da gestire
nel contesto-classe) tendenze caratteriali di studenti turbolenti, con
cui interagire per mezzo delle nostre armi professionali – la pedagogia e
la didattica, lo scambio e l’empatia, l’intervento autorevole e la
sanzione educativa. Impressiona lo stigma dell’eccezionalità che andava a
colpire bambini considerati al di fuori della norma accettata dalle
convenzioni sociali. Il Progetto Prisma probabilmente rappresenta, e
forse per la prima volta, la volontà di sovrapporre e imporre al sistema
di istruzione italiano la funesta pratica dell’intervento
medicalizzante esterno come panacea sostitutiva dell’attività educante
della scuola.
Nel momento in
cui è chiaro il quadro di fondo medico-sanitario e legislativo è
possibile avviare un ulteriore ragionamento che riguardi più da vicino
le conseguenze che ricadono sul nostro lavoro quotidiano, sulla nostra
professionalità, sulla deontologia che la sostanzia. Come insegnanti non
possiamo più permetterci di non sapere, far finta di non vedere o
renderci complici, sopraffatti dall’oggettiva difficoltà a rapportarci
con studenti particolarmente vivaci. Cedere alla sirena della
pillola-che-risolve-i-contrasti ha per noi un significato in più:
abdicare dalla nostra missione educativa, scendere in consapevole
contraddizione con la nostra deontologia professionale. Come insegnanti
siamo forniti di un bagaglio enorme di esperienze teoriche e pratiche da
mettere in gioco. La pillola può risolvere momentaneamente un sintomo: è
questo un dato ormai appurato e argomento principe di chi propugna
l’uso degli stupefacenti per i bambini prescindendo dai comprovati danni
fisico-psichici. Ma un’ulteriore problematicità, alla quale siamo
chiamati direttamente a rispondere come insegnanti, sorge nel lungo
termine nel momento in cui non si tiene conto che proprio quell’ampia
fascia di età che il farmaco vorrebbe coprire è quella in cui il bambino
e l’adolescente ha l’opportunità di fare le giuste e a volte amare
esperienze per imparare a controllare l’attenzione, l’impulsività, le
tendenze oppositorio-provocatorie. La pillola blocca il sintomo e con
esso, negli anni più cruciali, la individuale motivazione a
intraprendere il percorso di questa crescita, di questa maturazione.
Surroga, attutisce e elimina lo sviluppo di una personalità autonoma in
formazione, e con essa l’azione mediatrice del contesto: genitori,
gruppo dei pari, scuola. È nel lungo periodo e spesso con sofferenza,
dall’imperscrutabile sinergia di fattori diversi e non riducibili, che
può avvenire la maturazione profonda della persona. Noi insegnanti
abbiamo un ruolo importantissimo in questo processo. Da cui non dobbiamo
abdicare. In cui dobbiamo sapere come inserirci senza ricorrere a
facili scorciatoie medicalizzanti.
fonte: http://www.giornale.cobas-scuola.it
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