Di: Collettivo antipsichiatrico Antonine Artaud
Oggi l’istituzione psichiatrica continua ad essere uno strumento di
esclusione e controllo, ed ha enormemente ampliato il suo bacino
d’utenza aumentando di anno in anno il numero delle “malattie mentali”
da curare, ossia dei comportamenti “devianti” da uniformare. Tra questi
rientra il consumo di sostanze psicoattive, che, se in passato era
considerato un vizio, un piacere, oggi diviene sintomo di un disagio da
trattare con cure psichiatriche, trasformando un problema sociale in una
questione sanitaria.
Negli ultimi anni a causa del decreto Fini-Giovanardi ed alle nuove
proposte di legge in materia psichiatrica, si è rafforzato il legame
proibizionismo-psichiatria ed i consumatori di sostanze illegali sono
diventati merce per le multinazionali farmaceutiche e per l’industria
del recupero e della riabilitazione sulla base di una doppia diagnosi
che li vede “malati mentali” in quanto drogati e “drogati” a causa della
loro “malattia mentale”.
Nonostante si dimostri proibizionista nei confronti di chi consuma
volontariamente sostanze, la psichiatria diffonde sul mercato molecole
psicoattive e somministra trattamenti farmacologici che, sono spesso
introdotti coercitivamente nel corpo delle persone.
Gli psicofarmaci, oltre ad agire solo sui sintomi e non sulle cause
della sofferenza della persona, alterano il metabolismo e le percezioni,
rallentano i percorsi cognitivi e ideativi contrastando la possibilità
di fare scelte autonome, generano fenomeni di dipendenza ed assuefazione
del tutto pari, se non superiori, a quelli delle sostanze illegali
classificate come droghe pesanti, dalle quali si distinguono non per le
loro proprietà chimiche o effetti ma per il fatto di essere prescritti
da un medico e commercializzate in farmacia.
Siamo contro l’obbligo di cura, infatti non siamo a priori contro
l’utilizzo di psicofarmaci ma pensiamo che spetti all’individuo
deciderne in libertà e consapevolezza l’assunzione. Sentiamo pertanto
l’esigenza di contrastare ancora una volta il perpetuarsi di tutte le
pratiche psichiatriche e di smascherare l’interesse economico che si
cela dietro l’invenzione di nuove malattie per promuovere la vendita di
nuovi farmaci.
Il fine contenitivo di tali sostanze è evidente: la distribuzione di
psicofarmaci è oramai prassi diffusa anche all’interno di altre
istituzioni totali. Nei CIE (centri identificazione ed espulsione) gli
psicofarmaci vengono spesso somministrati sia nascosti negli alimenti
che forzatamente.
Le carceri italiane favoreggiano l’uso diffuso, abituale (tre volte al
giorno) ed indiscriminato di sedativi, soprattutto benzodiazepine, per
tenere a bada attraverso le cure psichiatriche i detenuti, che, pur non
facendo uso di stupefacenti , vengono così indirizzati verso la
psicofamacologia.
Invece di avere come fine primario la salute dei detenuti, i medici
diffondono l’uso di psicofarmaci, che permette di controllare
chimicamente l’umore, di lenire l’ansia della carcerazione.
L’istituzione carceraria si serve della psichiatria per stemperare il
conflitto, e garantirsi così un più semplice controllo della massa dei
detenuti, costretti a subire gravi situazioni di degrado e
sovraffollamento.
Ad oggi abbiamo circa 320 reparti psichiatrici, gli SPDC (Servizio
Psichiatrico Diagnosi e Cura) e oltre 3200 strutture psichiatriche
residenziali e centri diurni sul territorio dove in molti casi si sono
conservati i dispositivi e gli strumenti propri dei manicomi, quali il
controllo del tempo, dei soldi, l’obbligo delle cure, il ricorso alla
contenzione fisica. La riforma del sistema psichiatrico si è rivelata
più verbale che materiale: ai cambiamenti formali non sono seguite
differenze sostanziali delle condizioni di vita dei soggetti internati.
Quello che è certo è che la “rivoluzione psichiatrica all’italiana” ha
riguardato solo i luoghi della psichiatria, ma non i trattamenti e le
logiche sottostanti.
La legge 180 (nota come legge Basaglia) ha chiuso i manicomi nel 1978 ma
mantiene inalterato il principio di manicomialità, in base al quale
chiunque può essere arbitrariamente etichettato come “malato mentale” e
quindi rinchiuso.
Se l’articolo 32 della Costituzione garantisce il diritto alla libera
scelta del luogo di cura e quindi la volontarietà degli accertamenti
sanitari, con la legge 180 e la successiva 833/78 si stabiliscono dei
casi in cui il ricovero può essere effettuato indipendentemente dalla
volontà dell’individuo: è il caso del TSO (trattamento sanitario
obbligatorio) e dell’ASO (accertamento sanitario obbligatorio). Se in
teoria la legge prevede il ricovero coatto solo in casi limitati e
dietro il rispetto rigoroso di alcune condizioni, la realtà testimoniata
da chi la psichiatria la subisce è ben diversa. Con grande facilità le
procedure giuridiche e mediche necessarie per effettuare il TSO vengono
aggirate, nella maggior parte dei casi i ricoveri coatti vengono
eseguiti senza rispettare le norme che li regolano e spesso seguono il
loro corso semplicemente per il fatto che quasi nessuno è a conoscenza
delle normative e dei diritti di cui gode il ricoverato. Diffusa è la
pratica di mascherare tramite pressioni e ricatti, TSO con ricoveri
volontari. Spesso il paziente viene trattenuto dopo lo scadere del TSO
in regime di TSV (trattamento sanitario volontario) senza essere messo a
conoscenza del fatto che può lasciare il reparto, oppure, persone che
si recano in reparto in regime di TSV vengono poi trattenute in TSO al
momento in cui richiedono di andarsene. L’ASO funziona come trampolino
di lancio per portare la persona in reparto, dove verrà poi trattenuta
in regime di TSV o TSO a seconda della propria accondiscendenza agli
psichiatri. Per i pazienti ricoverati in TSO e considerati “agitati” si
ricorre ancora al”isolamento e alla contenzione fisica, mentre i
cocktails di farmaci somministrati mirano ad annullare la coscienza di
sé della persona, a renderla docile ai ritmi e alle regole ospedaliere.
Il grado di spersonalizzazione ed alienazione che si può raggiungere
durante una settimana di TSO ha pochi eguali, anche per il bombardamento
chimico a cui si è sottoposti.
Negli ultimi anni è aumentato in Italia l’uso dell’elettroshock per i
pazienti psichiatrici, ad oggi in Italia i presidi sanitari che
praticano l’elettroshock sono 91 tra cliniche pubbliche e private.
All’interno delle strutture sanitarie vengano fatte campagne di
screening preventivi finalizzate all’incentivazione di tale terapia
soprattutto per quanto riguarda ipotetici problemi di depressione post
partum dove la TEC viene addirittura proposta quale terapia adeguata e
meno invasiva per le neo mamme rispetto ad un Trattamento Sanitario
Obbligatorio o volontario che impieghi gli psicofarmaci. Ci teniamo a
ribadire che l’elettroshock è una disumana violenza e un attacco
all’integrità psicologica e culturale dell’individuo che lo subisce.
Insieme ad altre comuni pratiche della psichiatria come il TSO , la
contenzione fisica, la terapia elettroconvulsivante è un esempio della
coercizione e dell’arbitrio esercitato dalla psichiatria.
Il collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud è un gruppo di persone che
si propone di sviluppare e diffondere una cultura antipsichiatrica e di
contrastare gli usi e gli abusi della psichiatria attraverso attività
di ricerca e di divulgazione e offrendo ascolto, solidarietà e supporto
legale alle vittime della psichiatria.
Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud- Pisa
per info: antipsichiatriapisa@inventati.org / www.artaudpisa.noblogs.org /3357002669
1 commento:
Niente di più vero!!! Concordo!!
Posta un commento