ROMA, 02/07/2014 – Curare l’autismo con un farmaco non si può, ma mitigarne gli effetti sì: a quale prezzo, però? Il dibattito non è nuovo, così come non è nuova la tendenza a somministrare medicinali (calmanti, in primo luogo: risperidone,
in particolare): se da un lato infatti il farmaco aiuta a controllare
il comportamento del ragazzo autistico e a tenere a bada le sue più
violente espressioni, dall’altro gli effetti collaterali naturalmente
non mancano: come a dire, i rimedi possono essere peggiori dei mali.
Il “caso” di Andrea. Ed è proprio di questo che si discute, questa mattina, sul gruppo face book “Io ho una persona con autismo in famiglia”,
teatro di un vivace scambio di esperienze e di opinioni, suscitato dal
post di un mamma, che racconta la propria personale, recente vicenda.
“Tribolavo da mesi perché vedevo il mio Andrea non stare bene! Da
gennaio ad adesso, sono stata da quattro medici psichiatri e
neuropsichiatri. Non capivo perché soffrisse così: sudorazione
improvvisa, agitazione continua, non riusciva a dormire più di cinque
ore, poi appena alzato iniziava a camminare avanti e indietro. Spesso
non era presente, gli parlavo e non mi guardava. Anche al centro diurno
le operatrici erano preoccupate per il suo peggioramento. Andrea poi non
riusciva nemmeno a mangiare da quanto era iperattivo: in pochi mesi ha
perso 8 kg, era uno scheletro!”. Gli esami clinici, però, erano tutti
negativi, “le risposte dei medici sempre la stesse: ‘è l’autismo, è
l’età, è una brutta stereotipia’. A me però venne un dubbio: chiesi ai
medici se potesse essere l’effetto paradosso del farmaco che stava
assumendo”. I medici, però, lo escludevano categoricamente. “Mi
raccomandarono di non sospenderlo, ma io, di testa mia, ho deciso di diminuire le dosi del farmaco, giorno per giorno: ora, da 15 giorni, lo abbiamo sospeso del tutto. E Andrea è rinato! Anche
dal centro diurno mi hanno comunicato che sta molto meglio, che è
tornato l’Andrea di un tempo: tranquillo, sereno, capisce subito il
comando. Lui è rilassatissimo e io sono la mamma più felice del mondo”.
Da questa personale esperienza, la mamma di Andrea trae lo spunto per
lanciare un messaggio. “i migliori medici per i nostri figli siamo noi”.
Esperienze diverse. In
poche ore, il suo messaggio raccoglie numerosi consensi e commenti:
alcuni hanno avuto esperienze simili e condividono la sua decisione,
altri invece invitano alla prudenza. “Io non do mai la medicina a
Felippe, neanche quando è molto agitato: piuttosto, gli canto una
canzone e gli do un bicchiere di latte e lui di solito si rilassa”,
racconta una mamma. Un’altra, invece, non riesce a sospendere la
terapia: “Una volta ho chiesto alla psichiatra di diminuire il farmaco,
che incide sui valori della transaminasi. Ma lei non vuole saperne…”.
Racconta un’altra mamma: “Anche a me è successo con Amanda: io ero in un
momento ‘no’ e come sempre lei ne risentiva, era molto irrequieta. La
psichiatra mi ha obbligato a darle una medicina: la dose era minima, ma
aveva l’effetto di una bomba. Il ciclo non arrivava, era più agitata del
solito e io ero nel panico. Decisi di sospenderlo e tornò subito la
ragazza fantastica di prima. Molti medici non capiscono i nostri figli e
difficilmente riconoscono i propri errori”. Lo conferma un’altra mamma,
Teresa: “Mio figlio ha 26 anni e so per esperienza diretta che le
benzodiazepine provocano effetto paradosso! Negli anni ho fatto l'errore
di seguire consigli sbagliati, provocandogli solo sofferenza! E' meglio tollerare momenti di nervosismo che usare tranquillanti: non aiutano, anzi fanno male.
I nostri ragazzi hanno bisogno di chiarezza, metodo, continuità. Quando
questo non è possibile, bisogna accettare anche i momenti più
difficili. Ho fatto battaglie per far capire questo nei centri che
frequenta: purtroppo il farmaco è comodo, la mentalità chiusa e i nostri
ragazzi ne fanno le spese. Se è risaputo che hanno bisogno di
chiarezza, dandogli un farmaco che li annebbia li aiutiamo?”. Non manca però, chi fa “l’avvocato del diavolo. In
questo caso – scrive una mamma - la soluzione giusta era questa, ma
fate attenzione a ridosare un farmaco, perché potrebbe essere
pericoloso. Alcuni farmaci vanno controllati con esami del sangue per
capirne la risposta del corpo. Mamma sei stata caparbia e brava, ma
siate cauti...”.
C’è, infine, chi prova a tirare le somme, appellandosi alla ricerca scientifica: “E'
stato dimostrato scientificamente che i farmaci nell'autismo che in
primis non curano i sintomi nucleari possono provocare in questi
pazienti (come anche in pazienti con ritardo mentale) effetti paradosso.
Informatevi, non serve sedare il bambino: per i comportamenti
problematici è invece necessario agire precocemente, con interventi
educativi adeguati. Non esistono studi sulla sicurezza di questi farmaci
sul lungo periodo nell'autismo. Molte linee guida (vedi anche quella
del NICE 2013 oltre che la nostra LG21) hanno già statuito che non
devono essere utilizzati, perché il profilo rischio-beneficio non ne
supporta l'utilizzo”. Ma ci sono casi in cui combattere l’autismo senza psicofarmaci è davvero difficile,
come racconta, in questo caso, una sorella: “Una sera, se non avessimo
portato mio fratello in psichiatria, avrebbe spaccato tutto: in tre, non
riuscivamo a tenerlo. Da allora prende un bel po’ di farmaci e io mi
sento in colpa…”. D’altra parte, la realtà è questa: “In certi casi –
riferisce una mamma - o trovi tu un farmaco che li calmi, o te li calmano poi con un Tso all'ospedale...”. (cl)
Ringraziamo Beatrice per la gentile segnalazione.
Veronika
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