domenica 30 agosto 2020

“Il giorno più bello della mia vita io non c’ero” di Simone Bargiotti


Libro consigliato, anche se uscito diversi anni fa.
il giorno più bello
Questo libro non è un romanzo. È la storia di una psicoterapia, ed è dedicata a tutti i medici e professori – alcuni con tanto di cattedra universitaria – che si credono Dio e non hanno capito nulla di quello che è successo. Perché un ragazzo di ventiquattro anni a un certo punto sta male? Cosa è davvero successo nella sua vita? Quanto c’è di vero? Nulla, hanno fatto presto a sentenziare questi signori, liquidando il tutto come “non vero”. E invece un fondo di verità esiste. Un perché. Una causa.
Edizione “I libri di Emil”

fonte:https://www.autistici.org/mezzoradaria/

domenica 23 agosto 2020

Nessuna prova che l'ECT (Elettroshock) ​​funzioni per la depressione - nuova ricerca

Molte persone avranno familiarità con la terapia elettroconvulsivante (ECT) come trattamento storico per la "malattia mentale", in cui una corrente elettrica viene fatta passare attraverso il cervello per innescare le convulsioni, con l'obiettivo di curare in qualche modo la malattia. Infatti, l'ECT viene ancora somministrata a circa un milione di persone ogni anno per curare la depressione grave, di cui circa 2.500 in Inghilterra, sotto anestesia. La maggior parte sono donne e hanno più di 60 anni.

In una nuova recensione della ricerca, pubblicata su Ethical Human Psychology and Psychiatry, suggeriamo che non ci sono prove solide che l'ECT funzioni come trattamento per la depressione e l'impatto negativo sui pazienti, a fronte di qualsiasi potenziale beneficio, è così spaventoso che l'ECT non può essere scientificamente o eticamente giustificato.

La base delle prove

Nonostante il suo uso continuato, non ci sono stati studi ECT vs placebo per 35 anni. In realtà, ci sono stati - sorprendentemente - solo 11 studi di questo tipo, in cui un gruppo di controllo ha ricevuto l'anestetico generale ma non l'elettricità o, quindi, la convulsione - e anche questi studi sono stati profondamente difettosi.

Gli appassionati dell'ECT sostengono che la mancanza di nuove ricerche sul placebo è dovuta al fatto che non è etico negare un trattamento che è "noto" per essere efficace e che sicuramente "salva delle vite". Questo argomento, tuttavia, significa che il numero sempre minore di psichiatri che ancora utilizzano l'ECT lo fanno al di fuori dei parametri della scienza in generale e della medicina basata sull'evidenza in particolare.

Nel Regno Unito, il National Institute for Health and Care Excellence (NICE) raccomanda l'uso dell'ECT in alcuni casi di episodi maniacali prolungati o gravi o di catatonia in cui altre opzioni di trattamento si sono dimostrate inefficaci e/o quando la condizione è considerata potenzialmente pericolosa per la vita.

Anche se alcune persone che hanno ricevuto l'ECT credono che abbia salvato loro la vita, non ci sono ancora prove di studio che l'ECT sia più efficace del placebo per la depressione. Molti altri credono che abbia danneggiato irrimediabilmente le loro vite.

Altre recensioni e meta-analisi

Io e i miei colleghi abbiamo già pubblicato diverse recensioni degli 11 studi. Queste hanno dimostrato che in alcuni studi ci sono solo prove molto deboli, in alcuni di essi, solo per una minoranza di pazienti, che l'ECT può temporaneamente sollevare leggermente l'umore. Le revisioni hanno anche dimostrato che non vi è alcuna prova che un tale effetto duri oltre l'ultimo trattamento (l'ECT è tipicamente somministrato in una serie di circa otto trattamenti).

Non vi è inoltre alcuna prova che salvi vite umane o che prevenga i suicidi, nonostante l'affermazione di alcuni sostenitori dell'ECT che lo fa - un'affermazione che viene poi utilizzata per giustificare il rischio di danni cerebrali. Il danno cerebrale è stato liquidato come il termine sbagliato, ma non so come altro chiamare la perdita di memoria persistente o permanente segnalata tra il 12% e il 55% dei pazienti. A volte si sostiene che l'ECT "moderno" è più sicuro di quanto non fosse in passato, e che la perdita di memoria è causata dalla depressione piuttosto che dall'elettricità, ma non ci sono prove di ricerca per nessuna di queste due affermazioni.


L'elettroshock viene eseguito al Winwick Hospital, 1957.  Università di Liverpool, Facoltà di Scienze della Salute e della Vita, CC BY-SA
Alcuni hanno chiesto come mai altre recensioni e meta-analisi concludono che l'ECT è efficace e sicuro? Una domanda ragionevole che merita una risposta.

Il nuovo studio, co-autore insieme a Irving Kirsch, direttore associato degli studi sul placebo alla Harvard Medical School, forse il ricercatore leader mondiale sugli effetti placebo dei trattamenti psichiatrici, risponde a questa domanda.

Oltre ad analizzare gli 11 studi in modo più dettagliato che mai, dando a ciascuno di essi un punteggio di qualità basato su 24 criteri metodologici, abbiamo anche valutato le uniche cinque meta-analisi mai condotte su questo minuscolo, e profondamente imperfetto, corpus di letteratura.

Per evitare pregiudizi (e in effetti io sono di parte contro l'ECT, a causa della sua mancanza di prove e del danno che credo abbia causato a centinaia di migliaia di persone) le mie valutazioni degli 11 studi sono state confrontate con valutazioni cieche, secondo criteri accuratamente definiti, da una collega, Laura McGrath, che non aveva alcuna conoscenza o particolare interesse per l'ECT.

Le cinque meta-analisi comprendevano da uno a sette degli 11 studi e in ognuno di essi si prestava poca o nessuna attenzione ai molteplici limiti degli studi che includevano.
Gli 11 studi che abbiamo esaminato hanno avuto un punteggio medio di qualità di 12,3 su 24 - e otto hanno ottenuto 13 o meno. Solo quattro studi hanno descritto come hanno randomizzato i soggetti e poi li hanno testati. Nessuno ha dimostrato in modo convincente che erano in doppio cieco (dove né i partecipanti né gli sperimentatori sanno chi sta ricevendo un particolare trattamento). Cinque hanno riferito selettivamente i loro risultati. Solo quattro hanno riportato le valutazioni dei pazienti. Nessuno ha valutato la qualità della vita dei pazienti.

Ci sono stati altri difetti, tra cui piccole dimensioni dello studio, nessuna differenza significativa con un altro trattamento, risultati contrastanti (tra cui uno in cui gli psichiatri hanno riportato una differenza, ma i pazienti non l'hanno fatto). Solo due degli studi di qualità superiore hanno riportato dati di follow-up.

Abbiamo concluso che la qualità degli studi è così scarsa che le meta-analisi erano sbagliate per concludere qualcosa sull'efficacia.

Non sembra esserci alcuna prova che l'ECT sia efficace per il suo gruppo diagnostico di riferimento - persone gravemente depresse, o il suo target demografico - donne anziane (in questo caso si tratta di un insieme più ampio di problemi), o per persone con tendenze suicide, persone che hanno provato senza successo altri trattamenti prima, pazienti involontari, o adolescenti.

E dato l'alto rischio di perdita permanente della memoria e il piccolo rischio di mortalità, questa mancanza di lunga data nel determinare se l'ECT funziona o meno significa che il suo uso dovrebbe essere immediatamente sospeso fino a quando una serie di studi ben progettati, randomizzati e controllati con placebo hanno indagato se ci sono davvero dei benefici significativi rispetto ai quali si possono soppesare i rischi significativi dimostrati.

Come dice Kirsch: "Non credo che molti sostenitori dell'ECT comprendano quanto siano forti gli effetti del placebo per una procedura importante come l'ECT. Il fatto di non trovare alcun beneficio significativo nei benefici a lungo termine rispetto ai gruppi di placebo è particolarmente doloroso. Sulla base dei dati degli studi clinici, l'ECT non dovrebbe essere usato per individui depressi".

Segnalato dal Collettivo Artaud,articolo originale: https://theconversation.com/no-evidence-that-ect-works-for-depression-new-research-139938

giovedì 13 agosto 2020

Vibo Valentia: Suicidio paziente psichiatria, indagati il primario e quattro medici

Catanzaro, 4 ago – Il suicidio del 41enne di Gioia Tauro Rocco Caristena, ricoverato nel reparto di psichiatria dell’ospedale di Vibo Valentia e lanciatosi nel vuoto dalla scala antincendio il 30 luglio scorso, da un’altezza di circa 5 metri, ha portato la procura di Vibo Valentia a iscrivere nel registro degli indagati il primario del reparto di psichiatria dell’ospedale, Giuseppe Greco, e i medici Paolo Ravesi, Pasquale Mangone e Paola Staffa.
Il paziente era stato sottoposto a un Tso e non era la prima volta che veniva ricoverato nello stesso reparto. L’autopsia ha accertato che Caristena è morto poche ore dopo l’impatto al suolo per via delle lesioni riportate in varie parti del corpo, compresa la testa.

fonte: https://calabriaweb.net/

mercoledì 5 agosto 2020

PER L’ABOLIZIONE DELLA CONTENZIONE ! PER LA CHIUSURA DEL SPDC DI BERGAMO!

https://artaudpisa.noblogs.org/files/2020/08/Manifesto_No-contenzione-scaled.jpg

PER LA CHIUSURA DELL’SPDC (REPARTO PSICHIATRICO) PAPA GIOVANNI XXIII DI BERGAMO
31 dicembre 1974: Antonia Bernardini muore, dopo giorni di agonia, a causa di ustioni riportate da un incendio da essa provocato per attirare l’attenzione. Era legata al letto da 43 giorni, nel manicomio giudiziario femminile di Pozzuoli: voleva un bicchiere d’acqua nessuno le dava retta.

13 agosto 2019: nell’SPDC dell’ospedale Papa Giovanni XIII di Bergamo, divampa un incendio di cui non si conoscono le cause. Elena, una ragazza di 19 anni muore arsa viva nel letto al quale è tenuta legata. La contenzione non le ha permesso di fuggire.

La contenzione è una pratica diffusa e frequente in ambito psichiatrico. Corpi e menti vengono costretti, annientati, torturati. Ogni giorno molte persone vengono sottoposte a questo trattamento, sotto gli occhi indifferenti degli operatori e quelli inermi delle persone che gli sono intorno.
Noi non siamo e non saremo disposti/e ad accettare che questo accada ancora.

LA CONTENZIONE NON E’ UNA TERAPIA!
PER L’ABOLIZIONE DELLA CONTENZIONE !
PER LA CHIUSURA DEL SPDC DI BERGAMO!
Rete dei Collettivi Antipsichiatrici

sabato 1 agosto 2020

TRATTAMENTI SANITARI O SEQUESTRI DI PERSONA?


Il signor L. giovedì 16 luglio è stato prelevato dalla sua abitazione da
infermieri e vigili urbani con la forza senza nessun provvedimento di
TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio) nei suoi confronti, senza
nessuna notifica e senza nessuna visita psichiatrica. Il provvedimento
di TSO è stato firmato dal sindaco solo dopo che è stato ricoverato in
ospedale; infatti attualmente L. si trova da 2 settimane nel reparto
SPDC (Servizio Psichiatrico Diagnosi e Cura) dell’ Ospedale Le Molinette
di Torino.
Il signor L. vuole esercitare il proprio diritto di libera scelta fra
proposte terapeutiche differenziate e concordate col medico curante,
preferendo una somministrazione di tipo orale a quella per via
intramuscolare del farmaco neurolettico Haldol, da anni somministrato
con cadenza mensile. La somministrazione di tale farmaco provoca
indesiderabili effetti collaterali di danno neurologico di cui il signor
L. non è stato sufficientemente informato, ciò nonostante ha potuto
lavorare al CNR, all’Università, al comune di Torino, alla Regione
Piemonte, al MEPAEGE, al NeZZS, alla NASA-Astrobiology Istitute.
Poiché il consenso deve sempre essere personalizzato, basato sulla
valutazione dell'informazione, sulle possibili conseguenze di
trattamento e di non trattamento, e sempre attualizzato, e che il
paziente ha il diritto di decidere circa la propria salute, non
sussistono gli estremi che legittimino il ricorso al TSO, visto che non
viene minimamente espresso un rifiuto della terapia farmacologica. Il
consenso del signor L. al trattamento psichiatrico non è stato ricercato
in nessun modo e nessuna informazione gli è stata fornita circa i
farmaci somministrati per via intramuscolare ed orale all'interno del
SPDC. Il signor L., oltre a non aver mai rifiutato le cure, non è mai
stato trovato (né durante l'esecuzione del provvedimento da parte delle
forze dell'ordine, né in reparto) in uno stato di alterazione mentale da
rendere necessario il ricovero. Qualunque sia stato il problema che ha
fatto innescare il trattamento (ad esempio una mancata presentazione
alla mensile somministrazione di Haldol intramuscolare), lo si poteva
risolvere diversamente.
Giovedì 23 luglio è scaduto il primo provvedimento di TSO e ad oggi non
è stata né consegnata né firmata da L. nessuna richiesta di proroga del
provvedimento. Pertanto denunciamo che il signor L. è, ad oggi giovedì
30 luglio, trattenuto in modo coatto. Ci auspichiamo che non sia
ulteriormente trattenuto contro la sua volontà all’interno del reparto e
che possa far rientro presso la sua abitazione al più presto.
Negli ultimi giorni di degenza in reparto è stato prospettato al signor
L. il ricovero in una clinica privata convenzionata senza la sua
approvazione. Un vero e proprio ricatto che sempre più spesso viene
rivolto alle persone che dovrebbe essere invece dimesse senza
condizioni.
Se, in teoria, la legge prevede il ricovero coatto solo in casi limitati
e dietro il rispetto rigoroso di alcune condizioni, la realtà
testimoniata da chi la psichiatria la subisce è ben diversa. Con grande
facilità le procedure giuridiche e mediche vengono aggirate: nella
maggior parte dei casi i ricoveri coatti sono eseguiti senza rispettare
le norme che li regolano e seguono il loro corso semplicemente per il
fatto che quasi nessuno è a conoscenza delle normative e dei diritti del
ricoverato.
Perché molto spesso prima arriva l' ambulanza per portare le persone in
reparto psichiatrico (SPDC) e poi viene fatto partire il provvedimento?
Perché la persona non viene informata di poter lasciare il reparto dopo
lo scadere dei sette giorni ed è trattenuto inconsapevolmente in regime
di TSV (Trattamento Sanitario Volontario) ? Perché i pazienti che si
recano in reparto in regime di TSV sono poi trattenuti in TSO al momento
in cui richiedono di andarsene?
Perché i gravi danni dovuti alla somministrazione prolungata degli
psicofarmaci non vengono presi in considerazione a livello sanitario?
Diffusa è la pratica di far passare, tramite pressioni e ricatti, quelli
che sarebbero ricoveri obbligati per ricoveri volontari: si spinge cioè
l’individuo a ricoverarsi volontariamente minacciandolo di intervenire
altrimenti con un TSO. La funzione dell'ASO (Accertamento Sanitario
Obbligatorio) è generalmente quella di portare la persona in reparto,
dove sarà poi trattenuta in regime di TSV o TSO secondo la propria
accondiscendenza con gli psichiatri.
Il TSO è usato, presso i CIM (Centri Igiene Mentale) o i Centri Diurni,
anche come strumento di minacce quando la persona chiede di interrompere
il trattamento o sospendere/scalare la terapia; infatti oggi l' obbligo
di cura non si limita più alla reclusione in una struttura, ma si
trasforma nell'impossibilità effettiva di modificare o sospendere il
trattamento psichiatrico per la costante minaccia di ricorso al ricovero
coatto cui ci si avvale alla stregua di uno strumento di oppressione e
punizione.


Collettivo Antipsichiatrico Antonino Artaud
antipsichiatriapisa@???
www.artaudpisa.noblogs.org 335 7002669

lunedì 27 luglio 2020

Liberiamo la salute

Intervento del collettivo nell’ambito del Convegno CO.CO.CO “Convivi col Covid”, Tavole rotonde col virus al centro.

Chi siamo
Il collettivo raccoglie/unisce operatrici e operatori, educatrici ed educatori, infermiere e infermieri critici, individualità e sensibilità coinvolte e solidali, impegnate nel dibattito sull’antipsichiatria con la Rete NoPsichiatria, con la Rete Oltre i Recinti nel dibattito su relazioni e collettività fuori dallo spazio normativo dell’istituzione, e con la Rete di iniziativa anticarceraria, contro repressione, carcere e Cpr.
Siamo un collettivo di sostegno e auto-mutuo aiuto, non ci sono ‘esperti’ nel gruppo, piuttosto si condividono esperienze e saperi nell’ascolto reciproco, partendo da ciò che ognuna sa e da ciò che si è vissuto come persone coinvolte e solidali, e/o come tecnici critici all’interno delle istituzioni (sanitarie, socio-sanitarie, educative o di disagio sociale).
Quanto più saperi e vissuti sono resi accessibili tanto più le risposte possono essere efficaci, come collettivo è questo quello che ci anima.
Partendo dalle riflessioni del collettivo antipsichiatrico AltreMenti di Xm24 abbiamo deciso di portare avanti azioni e riflessioni comuni su salute, medicina, educazione, contro reparti,  strutture, carceri, CPR, istituzioni totali normalizzate dove il bisogno diventa profitto e controllo, e in cui si consuma la repressione di quantx vengono consideratx marginalx e/o non performanti rispetto alle necessità della società della prestazione, della produzione e del capitale.
Crediamo nella possibilità di creare legami nuovi liberi dal controllo in un’ottica di reciproca cura, ci sforziamo di sostenere tutte quelle realtà e individualità che rifiutano la coercizione come possibilità e lottano contro la repressione e l’oggettivazione dei bisogni delle oppresse e degli oppressi in questa società.
Il nostro sguardo è dichiaratamente libertario perché anti-autoritario, contro lo sfruttamento dell’unx sull’altrx.

Tecnico come addetto all’oppressione. Scienza, capitalismo e sfruttamento

Viviamo in una realtà dove ormai il “benessere” (di alcuni) e il “progresso” (del sistema capitalistico) hanno consentito l’istituzionalizzazione di ogni aspetto della vita e fatto collassare tutti i legami sociali.
Si va verso la società dell’algoritmo.
L’alienazione è funzionale all’ottimizzazione del profitto da parte di chi detiene il potere. Ridurre la fludità dei discorsi per separarli, renderli misurabili, prevedibili, quindi controllabili ai fini produttivo-capitalistici. Deresponsabilizzazione e frammentazione. Alienazione. Oggettivazione delle relazioni, mercificazione fin anche delle coscienze.
Gli anni ’80 hanno “asfaltato” tutto quel proliferare di cultura-pensiero collettivo emerso negli anni ’60/’70. La repressione dei movimenti sociali ha visto così anche la fine del movimento anti-istituzionale e relegato tutto il sapere prodotto dall’epoca in una sfera “utopistica”.
Siamo convint* che oggi, dato il sentimento di lotta che sta attraversando molte coscienze, abbiamo la responsabilità di riprendere e recuperare il discorso dov’era stato lasciato.
Oggi piu che mai dobbiamo lavorare ad una comunità critica se vogliamo demolire i paradigmi dello sfruttamento con cui ci tengono incatenatx tutti e tutte.
L’istituzione agisce a più piani: all’alienazione delle persone istituzionalizzate segue quella degli ‘operatorx-operax’: lavoratori ricattati dal salario e dalla gabbia istituzionale senza nessuna reale libertà “operativa”, oppure allineati al pensiero dominante spersonalizzante che vede professionalità sempre più normative al servizio di istituzioni sempre più oggettivanti e repressive. Lo abbiamo visto in molte, troppe, situazioni di abuso e omertà all’interno di reparti, strutture, istituzioni. 
“Se il tecnico professionale è il funzionario – consapevole o inconsapevole  –  dei  “crimini  di pace” che si perpetrano nelle nostre istituzioni, in nome dell’ideologia dell’assistenza,  della  cura,  della  tutela dei malati e dei più deboli, o in nome dell’ideologia  della  punizione  e  della riabilitazione,  può  essere  utile  mettere in piazza, non solo lo stato di violenza e  arretratezza  –  ancora  reale,  ancora pressochè identico – delle nostre istituzioni repressive quanto i meccanismi  attraverso  cui  la  scienza giustifica e legittima queste istituzioni? E queste conoscenze possono diventare patrimonio della classe subalterna, così che  fra  le  sue  rivendicazioni  essa  esiga una  scienza,  da  essa  controllata,  che risponda  ai  suoi  bisogni,  consapevole dei  modi  e  dei  meccanismi  attraverso cui la scienza borghese può continuare anon  rispondervi?”
“La posta in gioco è ora il rapporto tra il tecnico, la scienza e la sua pratica “di cui le masse sono l’oggetto”, una volta che il tecnico-   in particolare   quello delle scienze  umane  –  abbia  riconosciuto che il suo ruolo, in questo sistema sociale, è quello di manipolare il consenso attraverso  le  ideologie  che  egli  stesso produce e mette in atto.   Che gli intellettuali  e  i  tecnici  di  una  società borghese, così come tutte le sue istituzioni, esistano per salvaguardare gli interessi,  la  sopravvivenza  del  gruppo dominante e i suoi valori, è cosa ovvia. Ma non è altrettanto automatico riconoscere  e  individuare,  nella  pratica quotidiana, quali siano i processi attraverso  i  quali  gli  intellettuali  o  i tecnici continuano a produrre – ciascuno nel  proprio  settore  –  ideologie  sempre nuove che mantengono  inalterata  la  loro  funzione di manipolazione e di controllo. Il tecnico borghese vive una condizione di alienazione da cui può uscire rompendo la condizione di oggettivazione  in  cui  vive  l’oppresso.  Il modello che il tecnico rappresenta automaticamente nella logica del capitale  è  il  passaggio  dall’oppressione all’alienazione,  cioè  l’identificazione  da parte della classe oppressa nei valori che egli  esprime  e garantisce.  E’  quindi  solo dalla  ricerca  di  uno spazio reciproco di soggettivazione  che  possono  scaturire  i bisogni  e,  insieme,  il  tipo  di  risposte necessarie,  ed  è  nella  comune  ricerca  di una  liberazione  pratica  che  il  tecnico tradisce il   proprio committente.   In questo caso,   il   ruolo,   la classe di appartenenza,  il  prestigio  lo  tutelano relativamente agli occhi del committente tradito, perché egli smaschera i meccanismi attraverso cui le ideologie sono strumenti di manipolazione e di controllo, insieme alla stessa classe manipolata e controllata. Il  che  significa  mettere  in  piazza  i segreti di famiglia, quelli che di solito conosce  solo il  padre  e  che  neppure  i figli devono sapere,altrimenti avrebbero poco rispetto per il padre e per la famiglia.”*
Queste parole tratte dal libro “Ricerche sugli intellettuali e sui tecnici come addetti all’oppressione” a cura di Franco Basaglia e Franca Ongaro (1975) dove hanno preso parola ai tempi molti tecnici critici, sono tra le domande che hanno mosso la nostra riflessione fin dall’inizio.

Oltre la dicotomia salute/malattia

“Bisogna capire che il valore dell’uomo sano e malato, va oltre il valore della salute e della malattia; che la ‘malattia’  come  ogni  altra contraddizione  umana  può essere usata  come  occasione  di appropriazione  o  di alienazione di  sé,  quindi  come  strumento  di liberazione o di dominio.”
“La malattia,  nel  diventare  di  pertinenza esclusiva  di  una  medicina  organizzata come corpo separato, non è che l’espressione  dell’organizzarsi  del  corpo sociale   a partire   dalla divisione   del lavoro e dalla divisione in sfere separate di tutti i fenomeni umani.”
” ‘Salute’ e ‘malattia” non possono più essere  considerati  fenomeni  naturali, ma  sono  questioni  che  chiedono  – entrambe  – uno  sguardo  storico  e critico. 
Se  il  problema  della  malattia  mentale ha aperto la strada,   attraverso le trasformazioni   de-istituzionalizzanti, adesso la battaglia riguarda lo smontaggio del   paradigma di una società medicalizzata”.
Così scriveva Franca Ongaro nel suo ‘Salute/malattia, le parole della medicina nel 1982. 
Il sapere tecnico, l’industria della cura, oggi non si diversifica più dai prodotti industriali, la sua riduzione a merce segue le leggi del mercato, il corpo, così come il sapere, per passare il filtro istituzionale-accademico deve essere fruibile all’economia di Stato, quindi “spendibile” e perciò aproblematico.
Verrebbe da domandarsi cosa intendiamo per salute, malattia, collettività e se ci interessa prendere parola.
Ci interessa la salute di chi? La salute per chi? Per chi detiene il potere? Per gli oppressi e le oppresse?
Riconosciamo il nostro posizionamento? Privilegi di ognuna ognuno?
Che strumenti mettiamo in atto per proteggerla, sostenerla, quali lotte?
La coercizione in ambito sanitario diventa legittima?
Sappiamo interrogarci sul modo in cui le nostre società intendono gestire/controllare la nostra relazione con la vita, quindi con la salute, con la malattia, con la sofferenza, col dolore?
Ci accorgiamo oggi di non avere molte voci critiche, di avere difficoltà nel reperire informazioni corrette affidabili e non pregiudiziali, oltre che voci in grado di smascherare i piani di potere su cui si fonda il paradigma medico. Il controllo repressivo è piu forte dove l’istituzione viene messa meno in discussione dalla collettività. 
Non possiamo accettare che la salute delle oppresse e degli oppressi diventi un’occasione per sperimentare nuove forme di repressione e militarizzazione delle nostre città.
Crediamo che in questi mesi durante i quali tutti abbiamo sperimentato una qualche forma di isolamento imposto, abbiano messo in luce la necessità da parte dei movimenti o piu in generale di chiunque si opponga a questo esistente di affrontare temi quali la riappropriazione e l’autogestione della salute e dei corpi a fronte di una palese espropriazione delle capacità decisionale e di autodeterminazione del sé, il tutto con una delega assoluta e spesso non volontaria al potere del tecnico, dell’esperto, della scienza che mai come oggi mette in luce la sua assoluta parzialità, la sua fallibilità il suo essere, nell’attuale contesto socio economico strumento al servizio e plasmato dal potere.

Infantilizzazione/psichiatrizzazione del corpo sociale

Il processo di infantilizzazione delle comunità e degli individui che le compongono è palese.
In nome di una generale irresponsabilità collettiva, lo Stato nella sua peggiore veste paternalistica ha gestito a suon di decreti l’ennesima “emergenza”. Il tutto intriso dalla retorica patriottica e nazionalista, del ‘siamo tutti sulla stessa barca’, un’unità necessaria alla narrazione spettacolare

domenica 26 luglio 2020

Di botte, di farmaci e di morti al CPR di Gradisca

Fonte: https://evasioni.info
Tratto da https://nofrontierefvg.noblogs.org/post/2020/07/18/di-botte-di-farmaci-e-di-morti-al-cpr-di-gradisca/

DI BOTTE, DI FARMACI E DI MORTI AL CPR DI GRADISCA

18/07/2020

6 mesi dalla morte di Vakhtang, 4 giorni dalla morte di un’altra persona.

DI BOTTE, DI FARMACI E DI MORTI AL CPR DI GRADISCA
Anche questa volta, la prima versione della notizia della morte di un giovane di 28 anni nel CPR di Gradisca è quella di una rissa tra detenuti, seguita poi dalla versione più in voga al momento: la morte per overdose.
Fino a prima della lunga serie di rivolte dei detenuti nelle carceri italiane del marzo scorso, una delle versioni preferite da polizia e quindi dai media era “edema polmonare”, così per Stefano Cucchi, così per Vakhtang Enukidze, entrambi morti in seguito ai pestaggi dei loro carcerieri, nonostante il capo della polizia Gabrielli abbia trovato “offensivo” il paragone.
Le sommosse di marzo in oltre trenta carceri italiane vengono sedate al prezzo di 14 morti sul groppone dello Stato – i secondini circondano le carceri armi in pugno, a Modena i parenti hanno riferito di aver sentito distintamente spari – che si affretta a a comunicare che i decessi sono stati causati “per lo più” da overdose di psicofarmaci e metadone. Da quel momento è un continuo. Solo per rimanere qui da noi, il 15 marzo scorso dentro il carcere di via Udine muore Ziad, un prigioniero di 22 anni a seguito della somministrazione di metadone e psicofarmaci in dosi eccessive, una settimana fa muore nel carcere del Coroneo di Trieste Nicola Buro, ufficialmente per arresto cardiaco, “che potrebbe essere stato causato da un abuso di farmaci”.
Ora è toccato a un uomo albanese rinchiuso al CPR di Gradisca, morto tre giorni fa, quando anche a un suo compagno di stanza, poi ricoverato, stava per toccare la stessa sorte.
Si scatena subito tra i soliti media locali la gara a riportare la versione che dipinga al meglio la prefettura: prima una rissa, poi ogni sforzo viene devoto a creare l’immagine dei detenuti-tossici (si sa, il posto dei tossici dovrebbe essere la galera) e dello smercio di sostanze all’interno del CPR. Il Prefetto Marchesiello dice che va tutto bene e sotto controllo (e ci mancherebbe, tanto i migranti posso andarsene quando vogliono, come diceva a gennaio in un’intervista), la sindaca DEM Tomasinsig constata con la consueta retorica democratica che “in quella struttura ci sono numerose persone con alle spalle una storia di problemi psichici, o di dipendenze” (quindi è normale che finiscano dove sono), un ex dipendente del vecchio CIE racconta che “c’è chi ricorre ai farmaci puramente per “sballarsi” ed ammazzare il tempo” (tanto non hanno altro da fare) e, ciliegina sulla torta, la testimonianza anonima di un esperto poliziotto che parla di “sotterfugi”, “favori tra detenuti” e “mercati interni”. Al giornalista naturalmente sfugge il fatto che ognuna di queste figure è interessata e parte attiva del mantenimento del campo di deportazione di Gradisca.
Il punto non è se e quanti psicofarmaci ogni detenuto assume, il loro utilizzo non è mai stato un “mistero” all’interno delle strutture di reclusione.
Il problema semmai è l’esistenza di istituzioni totali di reclusione e annientamento quali sono le carceri e i CPR, con il loro portato di violenze, umiliazioni, abusi e morte.
Galere e CPR sono accumunati dall’uso di metodi “soft” come la somministrazione di farmaci, spesso all’insaputa dei detenuti o in dosi sproporzionate, utili alla sedazione di quegli individui più inclini a rivoltarsi.
Non ci stanchiamo di ripetere che tutto questo è materialmente realizzabile non solo grazie alla locale Prefettura, all’esercito e alle varie guardie in tenuta antisommossa sempre pronte a picchiare duro ad un fischio dei secondini-operatori della Cooperativa EDECO (ormai con tre morti nel pedigree, non si dimentichi Sandrine Bakayoko morta a Conetta nel 2017), ma anche grazie agli/le infermeri/e, alle operatrici legali, e tutti quei collaboratori indispensabili al funzionamento del lager.
Infine due parole sulla cosidetta Garante comunale dei detenuti Giovanna Corbatto: la notizia della sua visita al CPR viene diffusa su tutti i media diversi giorni prima della data da lei concordata con la Prefettura, quando – dato il suo ruolo – sarebbe potuta entrare nel CPR senza preannunciarsi, verificando così meglio le reali condizioni del campo. Di sicuro in questo modo non potrà vedere il sangue che ricopriva il cuscino e il pavimento vicino al letto sul quale è morto l’uomo albanese, e che i suoi compagni di cella volevano fosse visto, come non potrà vedere molti altri particolari non ripresi dagli “occhi” della videosorveglianza.
Ai rinchiusi/e va la nostra solidarietà.
Che i muri di tutti i CPR possano cadere!

giovedì 23 luglio 2020

C'è chi i manicomi li libera e chi invece li inaugura

fonte: ex Opg liberato http://jesopazzo.org

di Giuliano Granato


Quando il 2 marzo 2015 sono entrato per la prima volta in quello che era stato un Ospedale Psichiatrico Giudiziario, e che oggi è l'Ex Opg Je so’ Pazzo!, sapevo ben poco di cosa fosse un “manicomio”. Ne avevo l’immagine che avevo preso dai film, da qualche articolo, da qualche chiacchierata con psichiatri.

Dopo i primi giri per quel luogo sconfinato i cui corridoi facevano paura nell’abbandono cui erano stati lasciati, mi sono messo a studiare. Mi sono immerso in letture che mi consigliavano. Qualcosa di taglio più storico, qualcosa che indagava la struttura repressiva di quei luoghi. Ciò che però mi colpì più d’ogni altra cosa fu la lettura di testi scritti da ex internati, che raccontavano la propria storia, la propria reclusione, le torture subite., il "bello" che malgrado tutto quelle istituzioni totali non erano riuscite a strappare dalle loro anime. I primi mesi sono stati frenetici per attività portate avanti, incontri, presentazioni di libri.

Sono nate traiettorie che a distanza di tempo avrebbero dato vita a nuove ricerche, come quella di Antonia Bernardini sviluppata da Dario Stefano Dell'Aquila e Antonio Esposito, il cui spunto è nato da una mimosa che piantammo l’8 marzo 2015 e che dedicammo a lei, internata morta bruciata, legata al letto, nel manicomio femminile di Pozzuoli, reclusa per aver risposto male a un agente della Polfer.

L’incontro più segnante fu quello con Sabatino Catapano, scomparso da poco. Venne all’Opg, ci parlò della sua esperienza, gli orrori, la capacità di resistere. Ricordo perfettamente che alla famiglia di un altro internato, scioccata dallo stato in cui aveva ritrovato il proprio caro, suggerì di ritornare a brevissimo, di non lasciar passare tempo, di non lasciarlo solo. “Perché altrimenti arriva la morte” – disse.




E arriviamo a questi giorni. A un altro annuncio in pompa magna del Presidente De Luca, che ha sbandierato l’inaugurazione di una residenza psichiatrica ad Arzano. De Luca si gonfia perché si tratta della “più grande” struttura di questo tipo. 40 posti contro strutture più piccole, che al massimo possono contenere 20 persone.

Eppure, se De Luca avesse studiato un po’ saprebbe che non c’è proprio nulla di cui vantarsi. La “più grande” residenza psichiatrica è semplicemente un “deposito pacchi” più grande di quelli esistenti. Un luogo che ripropone la stessa logica del manicomio. La caratteristica fondamentale è quella dell’isolamento dei pazienti. Loro dentro e tutto il mondo fuori.
Io l’ho imparato da Sabatino che la cosa forse più importante è la comunità. E quello che ho appreso da Sergio Piro è che il contatto umano è ciò di cui un essere umano ha più bisogno. Legami, contatto, ascolto… Esattamente l’opposto del modello che De Luca ha celebrato.

De Luca è uno che esalterebbe la Bastiglia se solo fosse stata più grande. Perché non vede la sofferenza e l’oppressione, ma solo la metratura. Forse può essere un buon agente immobiliare – non me ne voglia la categoria, che tra l’altro spesso suda in situazioni difficilissime!, ma il Presidente di una Regione come la Campania proprio no...