Fonte: https://evasioni.info
Tratto da https://nofrontierefvg.noblogs.org/post/2020/07/18/di-botte-di-farmaci-e-di-morti-al-cpr-di-gradisca/
Tratto da https://nofrontierefvg.noblogs.org/post/2020/07/18/di-botte-di-farmaci-e-di-morti-al-cpr-di-gradisca/
DI BOTTE, DI FARMACI E DI MORTI AL CPR DI GRADISCA
18/07/2020
6 mesi dalla morte di Vakhtang, 4 giorni dalla morte di un’altra persona.
DI BOTTE, DI FARMACI E DI MORTI AL CPR DI GRADISCA
Anche
questa volta, la prima versione della notizia della morte di un giovane
di 28 anni nel CPR di Gradisca è quella di una rissa tra detenuti,
seguita poi dalla versione più in voga al momento: la morte per
overdose.
Fino
a prima della lunga serie di rivolte dei detenuti nelle carceri
italiane del marzo scorso, una delle versioni preferite da polizia e
quindi dai media era “edema polmonare”, così per Stefano Cucchi, così
per Vakhtang Enukidze, entrambi morti in seguito ai pestaggi dei loro
carcerieri, nonostante il capo della polizia Gabrielli abbia trovato
“offensivo” il paragone.
Le
sommosse di marzo in oltre trenta carceri italiane vengono sedate al
prezzo di 14 morti sul groppone dello Stato – i secondini circondano le
carceri armi in pugno, a Modena i parenti hanno riferito di aver sentito
distintamente spari – che si affretta a a comunicare che i decessi sono
stati causati “per lo più” da overdose di psicofarmaci e metadone. Da
quel momento è un continuo. Solo per rimanere qui da noi, il 15 marzo
scorso dentro il carcere di via Udine muore Ziad, un prigioniero di 22
anni a seguito della somministrazione di metadone e psicofarmaci in dosi
eccessive, una settimana fa muore nel carcere del Coroneo di Trieste
Nicola Buro, ufficialmente per arresto cardiaco, “che potrebbe essere
stato causato da un abuso di farmaci”.
Ora
è toccato a un uomo albanese rinchiuso al CPR di Gradisca, morto tre
giorni fa, quando anche a un suo compagno di stanza, poi ricoverato,
stava per toccare la stessa sorte.
Si
scatena subito tra i soliti media locali la gara a riportare la
versione che dipinga al meglio la prefettura: prima una rissa, poi ogni
sforzo viene devoto a creare l’immagine dei detenuti-tossici (si sa, il
posto dei tossici dovrebbe essere la galera) e dello smercio di sostanze
all’interno del CPR. Il Prefetto Marchesiello dice che va tutto bene e
sotto controllo (e ci mancherebbe, tanto i migranti posso andarsene
quando vogliono, come diceva a gennaio in un’intervista), la sindaca DEM
Tomasinsig constata con la consueta retorica democratica che “in quella
struttura ci sono numerose persone con alle spalle una storia di
problemi psichici, o di dipendenze” (quindi è normale che finiscano dove
sono), un ex dipendente del vecchio CIE racconta che “c’è chi ricorre
ai farmaci puramente per “sballarsi” ed ammazzare il tempo” (tanto non
hanno altro da fare) e, ciliegina sulla torta, la testimonianza anonima
di un esperto poliziotto che parla di “sotterfugi”, “favori tra
detenuti” e “mercati interni”. Al giornalista naturalmente sfugge il
fatto che ognuna di queste figure è interessata e parte attiva del
mantenimento del campo di deportazione di Gradisca.
Il
punto non è se e quanti psicofarmaci ogni detenuto assume, il loro
utilizzo non è mai stato un “mistero” all’interno delle strutture di
reclusione.
Il
problema semmai è l’esistenza di istituzioni totali di reclusione e
annientamento quali sono le carceri e i CPR, con il loro portato di
violenze, umiliazioni, abusi e morte.
Galere
e CPR sono accumunati dall’uso di metodi “soft” come la
somministrazione di farmaci, spesso all’insaputa dei detenuti o in dosi
sproporzionate, utili alla sedazione di quegli individui più inclini a
rivoltarsi.
Non
ci stanchiamo di ripetere che tutto questo è materialmente realizzabile
non solo grazie alla locale Prefettura, all’esercito e alle varie
guardie in tenuta antisommossa sempre pronte a picchiare duro ad un
fischio dei secondini-operatori della Cooperativa EDECO (ormai con tre
morti nel pedigree, non si dimentichi Sandrine Bakayoko morta a Conetta
nel 2017), ma anche grazie agli/le infermeri/e, alle operatrici legali, e
tutti quei collaboratori indispensabili al funzionamento del lager.
Infine
due parole sulla cosidetta Garante comunale dei detenuti Giovanna
Corbatto: la notizia della sua visita al CPR viene diffusa su tutti i
media diversi giorni prima della data da lei concordata con la
Prefettura, quando – dato il suo ruolo – sarebbe potuta entrare nel CPR
senza preannunciarsi, verificando così meglio le reali condizioni del
campo. Di sicuro in questo modo non potrà vedere il sangue che ricopriva
il cuscino e il pavimento vicino al letto sul quale è morto l’uomo
albanese, e che i suoi compagni di cella volevano fosse visto, come non
potrà vedere molti altri particolari non ripresi dagli “occhi” della
videosorveglianza.
Ai rinchiusi/e va la nostra solidarietà.
Che i muri di tutti i CPR possano cadere!
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