Intervento del collettivo nell’ambito del Convegno CO.CO.CO “Convivi col Covid”, Tavole rotonde col virus al centro.
Chi siamo
Chi siamo
Il
collettivo raccoglie/unisce operatrici e operatori, educatrici ed
educatori, infermiere e infermieri critici, individualità e sensibilità
coinvolte e solidali, impegnate nel dibattito sull’antipsichiatria con
la Rete NoPsichiatria, con la Rete Oltre i Recinti nel dibattito su
relazioni e collettività fuori dallo spazio normativo dell’istituzione, e
con la Rete di iniziativa anticarceraria, contro repressione, carcere e
Cpr.
Siamo un collettivo di sostegno e auto-mutuo aiuto, non ci sono ‘esperti’ nel gruppo, piuttosto si condividono esperienze e saperi nell’ascolto reciproco, partendo da ciò che ognuna sa e da ciò che si è vissuto come persone coinvolte e solidali, e/o come tecnici critici all’interno delle istituzioni (sanitarie, socio-sanitarie, educative o di disagio sociale).
Quanto più saperi e vissuti sono resi accessibili tanto più le risposte possono essere efficaci, come collettivo è questo quello che ci anima.
Partendo dalle riflessioni del collettivo antipsichiatrico AltreMenti di Xm24 abbiamo deciso di portare avanti azioni e riflessioni comuni su salute, medicina, educazione, contro reparti, strutture, carceri, CPR, istituzioni totali normalizzate dove il bisogno diventa profitto e controllo, e in cui si consuma la repressione di quantx vengono consideratx marginalx e/o non performanti rispetto alle necessità della società della prestazione, della produzione e del capitale.
Siamo un collettivo di sostegno e auto-mutuo aiuto, non ci sono ‘esperti’ nel gruppo, piuttosto si condividono esperienze e saperi nell’ascolto reciproco, partendo da ciò che ognuna sa e da ciò che si è vissuto come persone coinvolte e solidali, e/o come tecnici critici all’interno delle istituzioni (sanitarie, socio-sanitarie, educative o di disagio sociale).
Quanto più saperi e vissuti sono resi accessibili tanto più le risposte possono essere efficaci, come collettivo è questo quello che ci anima.
Partendo dalle riflessioni del collettivo antipsichiatrico AltreMenti di Xm24 abbiamo deciso di portare avanti azioni e riflessioni comuni su salute, medicina, educazione, contro reparti, strutture, carceri, CPR, istituzioni totali normalizzate dove il bisogno diventa profitto e controllo, e in cui si consuma la repressione di quantx vengono consideratx marginalx e/o non performanti rispetto alle necessità della società della prestazione, della produzione e del capitale.
Crediamo
nella possibilità di creare legami nuovi liberi dal controllo in
un’ottica di reciproca cura, ci sforziamo di sostenere tutte quelle
realtà e individualità che rifiutano la coercizione come possibilità e
lottano contro la repressione e l’oggettivazione dei bisogni delle
oppresse e degli oppressi in questa società.
Il nostro sguardo è dichiaratamente libertario perché anti-autoritario, contro lo sfruttamento dell’unx sull’altrx.
Tecnico come addetto all’oppressione. Scienza, capitalismo e sfruttamento
Viviamo
in una realtà dove ormai il “benessere” (di alcuni) e il “progresso”
(del sistema capitalistico) hanno consentito l’istituzionalizzazione di
ogni aspetto della vita e fatto collassare tutti i legami sociali.
Si va verso la società dell’algoritmo.
L’alienazione
è funzionale all’ottimizzazione del profitto da parte di chi detiene il
potere. Ridurre la fludità dei discorsi per separarli, renderli
misurabili, prevedibili, quindi controllabili ai fini
produttivo-capitalistici. Deresponsabilizzazione e frammentazione.
Alienazione. Oggettivazione delle relazioni, mercificazione fin anche
delle coscienze.
Gli
anni ’80 hanno “asfaltato” tutto quel proliferare di cultura-pensiero
collettivo emerso negli anni ’60/’70. La repressione dei movimenti
sociali ha visto così anche la fine del movimento anti-istituzionale e
relegato tutto il sapere prodotto dall’epoca in una sfera “utopistica”.
Siamo
convint* che oggi, dato il sentimento di lotta che sta attraversando
molte coscienze, abbiamo la responsabilità di riprendere e recuperare il
discorso dov’era stato lasciato.
Oggi
piu che mai dobbiamo lavorare ad una comunità critica se vogliamo
demolire i paradigmi dello sfruttamento con cui ci tengono incatenatx
tutti e tutte.
L’istituzione
agisce a più piani: all’alienazione delle persone istituzionalizzate
segue quella degli ‘operatorx-operax’: lavoratori ricattati dal salario e
dalla gabbia istituzionale senza nessuna reale libertà “operativa”,
oppure allineati al pensiero dominante spersonalizzante che vede
professionalità sempre più normative al servizio di istituzioni sempre
più oggettivanti e repressive. Lo abbiamo visto in molte, troppe,
situazioni di abuso e omertà all’interno di reparti, strutture,
istituzioni.
“Se
il tecnico professionale è il funzionario – consapevole o
inconsapevole – dei “crimini di pace” che si perpetrano nelle nostre
istituzioni, in nome dell’ideologia dell’assistenza, della cura,
della tutela dei malati e dei più deboli, o in nome dell’ideologia
della punizione e della riabilitazione, può essere utile mettere
in piazza, non solo lo stato di violenza e arretratezza – ancora
reale, ancora pressochè identico – delle nostre istituzioni repressive
quanto i meccanismi attraverso cui la scienza giustifica e legittima
queste istituzioni? E queste conoscenze possono diventare patrimonio
della classe subalterna, così che fra le sue rivendicazioni essa
esiga una scienza, da essa controllata, che risponda ai suoi
bisogni, consapevole dei modi e dei meccanismi attraverso cui la
scienza borghese può continuare anon rispondervi?”
“La
posta in gioco è ora il rapporto tra il tecnico, la scienza e la sua
pratica “di cui le masse sono l’oggetto”, una volta che il tecnico- in
particolare quello delle scienze umane – abbia riconosciuto che
il suo ruolo, in questo sistema sociale, è quello di manipolare il
consenso attraverso le ideologie che egli stesso produce e mette in
atto. Che gli intellettuali e i tecnici di una società
borghese, così come tutte le sue istituzioni, esistano per salvaguardare
gli interessi, la sopravvivenza del gruppo dominante e i suoi
valori, è cosa ovvia. Ma non è altrettanto automatico riconoscere e
individuare, nella pratica quotidiana, quali siano i processi
attraverso i quali gli intellettuali o i tecnici continuano a
produrre – ciascuno nel proprio settore – ideologie sempre nuove
che mantengono inalterata la loro funzione di manipolazione e di
controllo. Il tecnico borghese vive una condizione di alienazione da cui
può uscire rompendo la condizione di oggettivazione in cui vive
l’oppresso. Il modello che il tecnico rappresenta automaticamente nella
logica del capitale è il passaggio dall’oppressione
all’alienazione, cioè l’identificazione da parte della classe
oppressa nei valori che egli esprime e garantisce. E’ quindi solo
dalla ricerca di uno spazio reciproco di soggettivazione che
possono scaturire i bisogni e, insieme, il tipo di risposte
necessarie, ed è nella comune ricerca di una liberazione
pratica che il tecnico tradisce il proprio committente. In questo
caso, il ruolo, la classe di appartenenza, il prestigio lo
tutelano relativamente agli occhi del committente tradito, perché egli
smaschera i meccanismi attraverso cui le ideologie sono strumenti di
manipolazione e di controllo, insieme alla stessa classe manipolata e
controllata. Il che significa mettere in piazza i segreti di
famiglia, quelli che di solito conosce solo il padre e che neppure
i figli devono sapere,altrimenti avrebbero poco rispetto per il padre e
per la famiglia.”*
Queste
parole tratte dal libro “Ricerche sugli intellettuali e sui tecnici
come addetti all’oppressione” a cura di Franco Basaglia e Franca Ongaro
(1975) dove hanno preso parola ai tempi molti tecnici critici, sono tra
le domande che hanno mosso la nostra riflessione fin dall’inizio.
Oltre la dicotomia salute/malattia
“Bisogna
capire che il valore dell’uomo sano e malato, va oltre il valore della
salute e della malattia; che la ‘malattia’ come ogni altra
contraddizione umana può essere usata come occasione di
appropriazione o di alienazione di sé, quindi come strumento di
liberazione o di dominio.”
“La
malattia, nel diventare di pertinenza esclusiva di una medicina
organizzata come corpo separato, non è che l’espressione
dell’organizzarsi del corpo sociale a partire dalla divisione
del lavoro e dalla divisione in sfere separate di tutti i fenomeni
umani.”
”
‘Salute’ e ‘malattia” non possono più essere considerati fenomeni
naturali, ma sono questioni che chiedono – entrambe – uno
sguardo storico e critico.
Se
il problema della malattia mentale ha aperto la strada,
attraverso le trasformazioni de-istituzionalizzanti, adesso la
battaglia riguarda lo smontaggio del paradigma di una società
medicalizzata”.
Così scriveva Franca Ongaro nel suo ‘Salute/malattia, le parole della medicina nel 1982.
Il
sapere tecnico, l’industria della cura, oggi non si diversifica più dai
prodotti industriali, la sua riduzione a merce segue le leggi del
mercato, il corpo, così come il sapere, per passare il filtro
istituzionale-accademico deve essere fruibile all’economia di Stato,
quindi “spendibile” e perciò aproblematico.
Verrebbe da domandarsi cosa intendiamo per salute, malattia, collettività e se ci interessa prendere parola.
Ci interessa la salute di chi? La salute per chi? Per chi detiene il potere? Per gli oppressi e le oppresse?
Riconosciamo il nostro posizionamento? Privilegi di ognuna ognuno?
Che strumenti mettiamo in atto per proteggerla, sostenerla, quali lotte?
La coercizione in ambito sanitario diventa legittima?
Sappiamo interrogarci sul modo in cui le nostre società intendono gestire/controllare la nostra relazione con la vita, quindi con la salute, con la malattia, con la sofferenza, col dolore?
Riconosciamo il nostro posizionamento? Privilegi di ognuna ognuno?
Che strumenti mettiamo in atto per proteggerla, sostenerla, quali lotte?
La coercizione in ambito sanitario diventa legittima?
Sappiamo interrogarci sul modo in cui le nostre società intendono gestire/controllare la nostra relazione con la vita, quindi con la salute, con la malattia, con la sofferenza, col dolore?
Ci
accorgiamo oggi di non avere molte voci critiche, di avere difficoltà
nel reperire informazioni corrette affidabili e non pregiudiziali, oltre
che voci in grado di smascherare i piani di potere su cui si fonda il
paradigma medico. Il controllo repressivo è piu forte dove l’istituzione
viene messa meno in discussione dalla collettività.
Non
possiamo accettare che la salute delle oppresse e degli oppressi
diventi un’occasione per sperimentare nuove forme di repressione e
militarizzazione delle nostre città.
Crediamo che in questi mesi durante i quali tutti abbiamo sperimentato una qualche forma di isolamento imposto,
abbiano messo in luce la necessità da parte dei movimenti o piu in
generale di chiunque si opponga a questo esistente di affrontare temi
quali la riappropriazione e l’autogestione della salute e dei corpi a
fronte di una palese espropriazione delle capacità decisionale e di
autodeterminazione del sé, il tutto con una delega assoluta e spesso non
volontaria al potere del tecnico, dell’esperto, della scienza che mai
come oggi mette in luce la sua assoluta parzialità, la sua fallibilità
il suo essere, nell’attuale contesto socio economico strumento al
servizio e plasmato dal potere.
Infantilizzazione/psichiatrizzazione del corpo sociale
Il processo di infantilizzazione delle comunità e degli individui che le compongono è palese.
In nome di una generale irresponsabilità collettiva, lo Stato nella sua peggiore veste paternalistica ha gestito a suon di decreti l’ennesima “emergenza”.
Il tutto intriso dalla retorica patriottica e nazionalista, del ‘siamo
tutti sulla stessa barca’, un’unità necessaria alla narrazione
spettacolare
dell’ennesima ‘guerra’, la guerra al covid-19, utile ad azzerare le immense differenze sociali, di classe e tutto quanto si potrebbe testimoniare fra i modi diversissimi in cui ciascuno e ciascuna di noi può essersi trovato durante l’emergenza.
dell’ennesima ‘guerra’, la guerra al covid-19, utile ad azzerare le immense differenze sociali, di classe e tutto quanto si potrebbe testimoniare fra i modi diversissimi in cui ciascuno e ciascuna di noi può essersi trovato durante l’emergenza.
La
salute è diventata una questione di ordine pubblico da disciplinare,
normare e ‘contenere’ con interventi di tipo securitario – anche per
prevenire tensioni sociali – attraverso un oculata propaganda del terrore
che ha criminalizzato i comportamenti individuali e stimolato
sospettosità e delazione tra le persone, anzichè cura recirpoca, mentre
situazioni di disagio e povertà si sono viste sempre più esasperate.
In
psichiatria dal punto di vista giuridico la liceità dell’uso dei mezzi
contenitivi viene giustificata solo nelle ipotesi previste dall’articolo
54 del codice penale che tratta lo stato di necessità,
la psichiatrizzazione/infantilizzazione del corpo sociale si riferisce
al fatto che Papà Stato in macro ha valutato lo ‘stato di necessità’ e
ha deciso di gestire l’emergenza/crisi con la contenzione – l’esprorio
della salute – proprio come avviene in psichiatria.
Le
direttive del governo sono scattate dall’alto, verticalmente senza
tenere conto delle diverse possibili capacità della popolazione di
reagire, imponendosi con l’autorità come organo iper-razionale, una
mente che ‘decide’ e sovradetermina il ‘corpo’ sociale, che in quanto
‘corpo’ è ad esso subordinato secondo un dualismo riduzionista
para-psichiatrico appunto.
Una popolazione abituata a vivere da serva alla fine finisce per esserlo, questo vale tanto in senso generale quanto quando si parla di salute/malattia.
Siamo culturalmente disabituati a conoscere i nostri corpi, a non considerare i concetti di salute e malattia in modo critico, quindi in relazione all’attuale organizzazione socio-economica capitalista, dove la salute è diventata merce e le persone consumatrici di prestazioni sanitarie.
L’assenza di una cultura che sia popolare e di tutte e tutti
in merito a questi temi determina la delega agli esperti, base sulla
quale la medicina e le professioni di cura fondano da decenni il loro
lustro, coprendo gli interessi e le contraddizoni del capitale ed espropriandoci della salute, delle scelte e di possibili processi di autodeterminazione in merito.
Spostare costantemente l’attenzione verso chi non teneva fede alle prescrizioni statali, sempre ammesso che il lockdown sia stato un intervento utile, è servito come capro espiatorio per distogliere l’attenzione da tutti i processi che hanno contribuito allo sviluppo e al propagarsi del contagio.
Problematiche sociali e sanitarie evidenziate dal lockdown e gli abusi legati alla gestione istituzionale della pandemia
La
militarizzazione delle città ha dato campo libero alla repressione di
scaricare l’emergenza su chi viveva già in condizioni di marginalità,
isolamento, esclusione. Si è approfittato del lockdown per ripulire le
strade da indecorose presenze quali senza fissa dimora, ambulanti, senza
documenti, sexworkers e tutte quelle persone non gradite alle città
vetrina.
E’ avvenuto un processo di rimozione della miseria che affligge la nostra società.
Persone
che avevano già problemi con la giustizia e/o che si trovano in strada
per condizione o necessità, chi campava alla giornata o svolgendo un
lavoro in nero e chi non aveva accesso ad alcun sussidio statale ha
visto un ulteriore inasprimento della sua condizione, dal punto di vista
economico/giudiziario e della salute.
Mentre si costringevano fette di popolazione a stare chiuse in casa e a limitare le uscite alle sole definite per decreto ‘essenziali’, l’emergenza veniva scaricata su chi questo privilegio non lo aveva: tant*
lavoratori e lavoratrici sono stati costretti ad ammassarsi sui mezzi
pubblici, in fabbrica in tutta una serie di servizi che improvvisamente,
grazie alle deroghe statali, pur non essendo essenziali, hanno potuto
continuare la loro produzione, senza considerare la salute di lavoratrici e lavoratori, e quindi trasformandosi in potenziali nuovi focolai di contagio.
Ancora una volta il ricatto salute/lavoro ha visto tutelati i profitti dei padroni prima ancora della salute di lavoratrici lavoratori.
Stessa sorte per lavoratori dei servizi essenziali, in particolare ospedalieri e socio-sanitari: mentre la narrazione strumentale e guerranfondaia dell’emergenza li rappresentava come eroi/eroine, santi e sante – venivano abbandonati a loro stessx nei reparti e nelle strutture divenute improvvisamente ‘trincee’. Infermiere/infermieri/operatrici/operatori senza dpi adeguati e con turni massacranti,
usati come lavoratori e lavoratrici usa-e-getta, immessx a ruolo in pochi giorni e mandatx al ‘fronte’, senza adeguata preparazione e senza affiancamento, per compensare tanto alla carenza strutturale di personale quanto i casi di malattia o infortuni correlati al covid19.
Dopo
anni di blocco del turnover assunzioni senza precedenti di
specializzandi e infermiere e infermieri, interinali, a tempo
determinato e spesso alle prime esperienze, hanno ‘emozionato’ migliaia
di cittadini terrorizzati dalla narazzione di media e isituzioni ma poco
hanno inciso nella lotta al virus se non come forza lavoro
sacrificabile.
La
verità è che ci hanno fatto trovare in tempo di emergenza un sistema
sanitario al collasso, un sistema sanitario che con tutte le sue falle
non ci era stato comunque regalato, ma conquistato con le agitazioni e
le lotte dei movimenti degli anni ’70.
Istituzioni totali, isolamento e pandemia
Anche
le istituzioni totali sono tornte a rivelarsi per quello che sono: un
deposito dove accumulare persone che non hanno il diritto di essere
considerate tali.
Luoghi in cui vengono rinchiusx tuttx quellx la cui vita conta di meno: perché criminali, perché ‘anziani‘, perché ‘migranti’, perchè ‘psichiatrici’, ‘disabili’ o ‘malati’, perchè ‘non conformi‘, perchè ‘improduttivi‘.
Questa
pandemia ha solo messo in luce – esplicitato – come nelle carceri, nei
reparti, nelle Rsa, nelle strutture psichiatriche, abusi, contenzione,
oggettivazione, abbandono, esclusione siano sempre stati all’ordine del
giorno in modo strutturale.
Umanità sacrificabile.
La lagerizzazione dell’anzianità è un fenomeno recente sempre piu presente legato all’organizzazione capitalista della società.
Nelle residenze per anziani, a livello sanitario sono stati segnalati
numerosissimi casi di contagio, ‘reparti covid’ improvvisati in assenza
di dispositivi di protezione individuale e situazioni estremamente
critiche. Una strage silenziosa e taciuta.
Nei servizi socio–sanitari, nelle strutture dedicate al disagio psichico, è stato tecnicamente impossibile soddisfare l’esigenza di uscire all’aria aperta dei residenti che si sono visti negare il piu elementare elemento di salute e l’unico momento relazionale al di fuori dei muri. Con le visite sospese si è verificato un aumento esponenziale della contenzione fisica, meccanica e farmacologica.
I centri diurni chiusi hanno causato frequenti situazioni di crisi all’interno dei nuclei familiari. I tso sono aumentati in maniera esponenziale, arrivando a toccare picchi di nove interventi al giorno a Torino.
Anche carceri e CPR hanno visto dilagare il contagio, la leggitima rabbia delle
rivolte ha messo in luce ancora una volta l’incompatibilità della
salute con la detenzione, nonchè l’omertosa presenza dell’intervento
sanitario nelle galere italiane. Quattoridici morti liquidate come
overdose ancor prima delle autopsie, morti di covid, suicidi ad un
livello altissimo, ma quello che sono arrivati sono pestaggi, torture e trasferimenti punitivi che hanno soltanto creato maggiori opportunità di contagio tra istituti.
L’isolamento
sociale imposto alla popolazione a contribuito ad alimentare i processi
di atomizzazione sociale gia in essere. Il disagio della solitudine di
chi si è trovato da solo con le sue difficoltà, alimentato dal clima paranoico e delatorio, i meccanismi di iper allerta attivati dal diffondersi dilagante della paura del contaggio, non hanno permesso la creazione di spazi di decompressione esterni.
Chi si è trovato impossibilitato a muoversi e comunicare, chi viveva già in ambito familiare situazioni conflittuali, chi viveva già in situazioni di isolamento fragilità/disagio personale, chi si è trovato a perdere il proprio ruolo sociale, ha visto tradursi le sue esperienze in un aumento del così detto “disagio psichico”: un aumento di ‘crisi’, attacchi d’ansia, di stati ‘depressivi‘ o/o ‘paranoici‘. Tutte etichette diagnostiche affibiate dalla psichiatria alle vittime di questa gestione emergenziale, spostando il problema sull’individuo, da curare a suon di psicofarmaci, tso e contenzione, proprio come il corpo sociale.
Diversi sono gli episodi di abusi psichiatrici, alcuni dei quali risuonati anche ad onor di cronaca sui media, tanti altri taciuti come sempre, nascosti come le violenze domestiche.
Anche
la sofferenza di bambini e bambine è scomparsa per decreto, così come
la morte, la necessità di salutare i propri affetti, il dolore, la
sofferenza tutto soppresso, annientato.
Morte e sofferenza
Una
riflessione generale sulla morte è d’obbligo, soprattutto in un era in
cui l’onnipotenza scientifica sembrava aver allontanato sempre di piu
l’immaginario della morte fuori dal dibattito comune, promettendo sempre
nuovi miracoli: nuove protesi, nuove terapie, nuovi interventi volti
al prolungamento della vita oltre ogni limite immaginabile fino a prima e
sostituendo progressivamente il ruolo esorcizzante svolto dalla vità
eterna promessa dalle religioni. In una società poco abituata ad
affrontare le tematiche della morte e del morire, il trovarsi di fronte a
una pandemia che ha generato, sopratutto in certe regioni, una alto
numero di vittime, è stato sicuramente un trauma. Ma ancora piu
traumatico e degno di nota e il come si è morti al tempo del covid-19.
La morte è sempre stato un dramma personale, i malati, i moribondi sono
stati storicamente isolati rispetto ai vivi, allontanati dal contesto
sociale.
Durante
questa pandemia però la morte sembra essere stato un fenomeno
collettivo, non come processo di socializzazione del lutto e di
condivisione della sofferenza, ma come propaganda strumentale al terrore
generale.
Chi ha esperito direttamente la morte o indirettamente e stato di fatto privato del processo del lutto
e impossibilitato a una “buona morte”, abbandonato in un letto di
ospedale o in casa, privato degli affetti e di quella ritualità
necessaria a chi resta in vita per iniziare un processo di accettazione
della morte stessa.
Questo non ci stupisce nella società della prestazione e del consumo dove ogni cosa si fa merce.
“L’uomo,
espropriato del corpo nel mondo del lavoro, nella vita sociale,
determinato nell’individuazione stessa dei propri bisogni da una logica
che non ha niente a che fare con la propria vita e a cui questa viene
totalmente subordinata, è ora alla mercé di una medicina che produce più
malattia di quanta ne riesca a curare e che copre con un intervento
farmacologico – esteso e capillare, secondo le esigenze dell’industria
farmaceutica – ciò che nell’organizzazione del lavoro e della vita
sociale produce malattia.» Scriveva Franca Ongaro.
In
un periodo dove il covid-19 sembrava essere l’unica malattia esistente
sul territorio italiano, a essere abbandonati sono stati anche tutti i
malati cronici o chi ha sofferto di patologie altre, vendosi negato o
reso piu difficile l’accesso alle cure. Ma anche gli stessi
“quarantenati” abbandonati in casa in attesa di un tampone, anche per
settimane, senza poter uscire di casa o riprendere le loro normali
attività.
Prospettive
Alla
luce di cio verrebbe da chiedersi, quanto le misure di contenzione del
virus attuate siano state davvero efficaci, quali effetti “iatrogeni”
abbiano prodotto e produrranno sul medio lungo termine, l’ennesimo
“sacrificio” chiesto dallo Stato in nome della sanità collettiva è stato davvero così necessario?
Questa situazione
fa emergere la necessità di sviluppare un epidemiologia e piu in
generale una scienza critica, che sappia rielaborare i fatti alla luce
delle tante connessioni possibili. In primis anche attraverso una
rielaborazione dei dati disponibili, che in questi mesi sono stati
lanciati in diretta a reti unificate, come bollettini di guerra. Dati
gestiti spesso in modo monopolistico e che non hanno consentito una verifica dal basso delle possibili connessioni che sottendono.
Il
covid non è un elemento a se stante, dotato di vita autonoma. E’ nato e
si è sviluppato in un preciso contesto socio-economico e storico, ha
avuto incidenza maggiore in certe aree geografiche piu che in altre.
Questi
sono solo degli spunti dai quali far partire una ricerca che con
trasparenza e priva di qualsiasi conflitto d’interesse riporti in luce
la reale dimensione del fenomeno. Intimamente convinti che in un sistema
che genera morte, malattia disuguaglianza, come il capitalismo, una
malattia non sia solo un etichetta diagnostica, ma sia frutto di
interazioni e connessioni tra cultura, società, uomo e ambiente.
A
muoverci è la certezza che vi sia, in questa creazione di scambio,
condivisione di prospettive, esperienze e vissuti, di informazione e
controinformazione oltre le gabbie istituzionali, il potenziale per non
tornare alla normalità e avviare reali processi trasformativi
intersezionali di riappropriazione e liberazione.
Collettivo AltreMenti Educattive
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