Si chiama Malacarne. Donne e manicomio nell'Italia fascista (edito da Donzelli) e come si legge tra le sue pagine dà voce a tutte le recluse che venivano definite pazze, ‘diverse e squilibrate’, inadatte a ‘vivere una vita ragionevole’, come imponeva il regime.
Attraverso le cartelle cliniche delle donne del manicomio Sant’Antonio Abate di Teramo,
l’autrice, ripercorre la storia a partire dall’ultimo decennio
dell’Ottocento, fino alla metà del Novecento, un momento in cui i
manicomi assumono dei contorni molto particolari.
Vengono rinchiuse, infatti, tutte ‘quelle
donne che si discostano dall’ideale fascista della sposa e madre
esemplare e che con le loro condotte intemperanti, con le loro
esuberanze, con la loro inadeguatezza fisica, rischiano di intaccare il
patrimonio biologico e morale dello Stato’.
La ‘malacarne’ appunto, ovvero personalità
più o meno eccentriche che non rispecchiano i canoni e i compiti
imposti, cos’ il manicomio ha il dovere di ripristinare la normalità.
“Uno dei luoghi in cui attuare una politica di sorveglianza che annulla i diritti individuali in nome dell’ordine pubblico”, scrive Valeriano.
Chi finiva in manicomio quindi?
“Quelle donne che si rifiutano di conformare il proprio stile di vita agli ideali proposti dal fascismo e che, proprio per questa ragione, hanno bisogno di essere rieducate attraverso la disciplina manicomiale per riportare le loro condotte entro i recinti di una normalità biologicamente e socialmente costruita”.
La mostra, come questo libro, hanno l’arduo computo di restituire umanità e dignità
a tutte quelle donne estromesse, recluse e allontanate dalla società.
Un racconto struggente documentato da diari, lettere, referti medici che
mostrano una mentalità stracolma di pregiudizi e stereotipi.
I referti fatti durante il regime fascista, sono quelli di medici che rinchiudono in manicomio donne “stravaganti, indocili, impulsive, piacenti”,
tanto per fare un esempio. Ancora, donne che avevano come loro unica
colpa, quella di non volersi sottomettere al volere maschile e venivano
additate come pazze e quindi, da rinchiudere in manicomio.
fonte:https://www.greenme.it segnalato da Collettivo Artaud
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