La liberazione dell’ex Ospedale Psichiatrico Giudiziario del Rione Materdei di Napoli. Quando dalla simbologia storica di un luogo si possono trarre utili suggerimenti per una proposta politica di ricomposizione sociale antagonista. Anche da un punto di vista regionale (La Campania) attraverso la comune condivisione di un’importante esperienza politica.L’esperienza dell’umanità politica napoletana che, da più di un mese, ha liberato la struttura dell’ ex O.P.G. dal degrado, dopo la chiusura del carcere psichiatrico nella simbologia storica del luogo in oggetto, potrebbe avere un duplice significato:
Il primo
– nella moderna prassi dell’agire politico, si potrebbe definire come
la riappropriazione di uno spazio chiuso e abbandonato a destinazione
sociale e pubblica, viste le dimensioni della struttura.
Il secondo
– legato al ruolo storico della segregazione sociale di una
umanità complessa, affine a quelle le istituzioni totalizzanti che oggi
rappresentano la discarica sociale dove vengono ammassati uomini,
espressione non solo della disequazione sociale ma anche delle linee
guide della controriforma sociale che prevede l’opera di smantellamento
dello stato sociale, anche nell’azzeramento nella sua memoria .
L’esperienza di Je so pazzo di
Napoli potrebbe assumere un enorme valore politico progettuale da
ampliare e socializzare se le compagne/i, insieme alla testimonianza
dell’iniziativa, pongono in essere la volontà di
rappresentarsi politicamente a livello regionale, partendo da quello che
potrebbe essere un intervento politico sulla psichiatria ed
antipsichiatria.
Per ciò
che riguarda le esperienze politiche sull’antipsichiatria, all’indomani
dell’applicazione della legge 180 (la c.d. legge Basaglia) le
indicazioni e la pratica provenienti da Trieste si diffusero subito nel
resto d’Italia e, manco a farlo apposta, la Campania vide in Napoli e
Salerno le città dove si determinarono varie pratiche ed esperienze di
lotta per la sua applicazione.
Sul disturbo mentale si basò l’agire e l’esperienza politica del Centro Sociale Vincenzo Di Muro di Salerno,
che individuando come referente politico il disturbato mentale,
sperimentò la pratica poi attuata sul territorio dei principi ed
idealità contenuti nella Legge Basaglia.
“Il disturbato mentale” quale
figura umana, sociale e comportamentale che di per sé scatena le
contraddizioni di una società basata sul profitto, sull’apparire, sul
potere, sull’effimero e quindi sul denaro, data la sua non omologazione
con i principi della società consumista/capitalista, mette a nudo
l’impalcatura di una comunità (metropoli, città di provincia, paese,
salerno) non a misura umana che si manifesta quotidianamente con le sue
barriere infrastrutturali, culturali e mentali.
Il
disturbo mentale determina quindi un impatto immediato con la società
capitalista che discriminando ed emarginando il “diverso”,
“l’irregolare” , ”o pazz”, in quanto categorie umane poco inclini alle
regole e ai dettami del capitalismo, legittima la propria ragion
d’essere nella continua opera ipocrita di mascherare e legittimare la
mercificazione dell’umanità .
Ecco
perché la legge Basaglia all’epoca considerata rivoluzionaria, in
quanto metteva in discussione lo stato delle cose presenti come
l’urbanistica, l’assistenza sanitaria e l’assetto produttivo, la
politica dei servizi e tutte le condizioni socio, economiche, religiose e
quant’altro che sono all’origine delle fenomenologie
socio-antropologiche generanti il disturbo mentale, smascherando così le
incapacità di una società volutamente impreparata ad affrontare il
disturbo mentale con tutte le problematiche ad esse correlate, i primis
le vicissitudini delle famiglie dei disturbati mentali.
Il tasso
d’emancipazione, civiltà e democrazia di una comunità si verifica nei
luoghi della sofferenza come le carceri e gli ospedali, dove la
segregazione sociale è il risultato delle incapacità e/o volontà di
affrontare e risolvere quelle condizioni e contraddizioni sociali che
inducono una sempre più ampia umanità a riempire quelle istituzioni che
mai come oggi è corretto definire discariche sociali.
Ecco
perché l’Italia a livello europeo fu varie volte condannata per le
violazione dei diritti umani e per “nun fa figur e’ merd” con l’Europa
(Corte di Strasburgo, ecc) fu costretta ad applicare la Legge Basaglia.
La voluta
impreparazione da parte degli Enti nel non rispetto delle norme
applicative della L.180 era finalizzata al fallimento della stessa, per
giustificare il ritorno e/o mantenimento dei Manicomi.
Infatti,
le istituzioni territoriali (Regione, Provincia, Comune, ASL) non
predisposero quelle condizioni logistico sanitarie adeguate (come la
preparazione e la formazione professionale, strutture territoriali tese
al reinserimento, sostegno alle famiglie ecc) per l’applicazione della
legge Basaglia determinando di fatto, nel suo percorso
applicativo/esplicativo, non un ostacolo qualsiasi ma una muraglia
granitica che si regge sulle umane paure esistenziali verso “o pazz”.
Paure,
dubbi, incertezze rilevate ed espresse persino nella sinistra, anche
rivoluzionaria, di allora dove gli ostacoli provenivano dalle
resistenze, certezze ideologiche che trovavano difficoltà enormi
nell’individuare un referente politico culturale diverso dalla
concezione classica della classe operaia, considerata di per sé
antagonista e quindi rivoluzionaria, e quindi l’operaio unico
imprescindibile ed insostituibile referente di classe.
La sintesi
riflessiva della esperienza sopra citata trovò molte resistenze allora
(1979 – 1983 quando ci si poneva politicamente per il superamento dello
stato sociale), anche in pieno clima repressivo per le leggi
Kossighiane, nell’opera di socializzazione/condivisione dell’esperienza
del C. Sociale V. Di Muro anche all’interno dell’area dell’Autonomia Operaia di allora.
Oggi più di ieri, specie in questa fase di frammentazione dell’opposizione sociale anticapitalista ed antagonista,
dove la concezione classica e storica del proletariato è stata
soppiantata e sostituita dalle innumerevoli categorie umano-lavorative,
schiavistiche, precarie, il cui unico filo conduttore è costituito dalla
precarietà, disumanità tendente alla barbarie, varrebbe la pena
investire le nostre intelligenze, sensibilità attorno ad una
espressione, un simbolo che possa esprimere il conflitto tra la natura
ed il dominio (in senso capitalista).
Permetterebbe
in tal modo anche un confronto politico tra le generazioni, oggi più
che mai necessario, dove la prassi e la teoria si confronterebbero
attorno ad una problematica veramente esplosiva.
fonte: http://www.ecn.org
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