Riceviamo e pubblichiamo il seguente comunicato scritto dal Collettvo Antipsichiatrico di Bergamo
e dal Collettivo Antonin Artaud di Pisa condividendo pienamente il messaggio e la voglia di chiarezza
per quanto accaduto ad Elena Casetto.
CRIMINI di PACE: ELENA 19 ANNI ARSA VIVA IN UN REPARTO PSICHIATRICO
Il 13 agosto, nell’ ospedale papa Giovanni XXIII di Bergamo, divampa un
incendio. A seguito di ciò muore una ragazza di diciannove anni, legata
ad un letto di contenzione. Il suo nome è Elena. La direzione sanitaria
si affretta, attraverso gli organi di stampa, a giustificare la
contenzione come forma di tutela esercitata proprio “a beneficio” della
paziente, rea di aver precedentemente tentato il suicidio.
La morte di Elena, è sicuramente un dramma personale che esige cautela
nell’ affrontarlo. Rispettando soprattutto il dolore di chi l’ha amata.
Tuttavia non si può neppure considerare un episodio isolato.
Vorremmo ricordarli tutti e tutte. Nome per nome. Ma la lista di quanti e
quante hanno perso la vita in reparto in circostanze, per certi versi
analoghe, è interminabile. Le morti in spdc (Servizi psichiatrici
diagnosi e cura) esprimono realisticamente lo stato dell’ arte della
democratica psichiatria post manicomiale a più di 40 anni dall’ entrata
in vigore della legge 180. La mesta continuità con cui si verificano
evidenzia la contraddizione di una presa in carico giustificata dalla
cura del paziente, che passa attraverso la coercizione, la
disumanizzazione, il panottismo.
Come mai una pratica, che la legge contempla come eccezione e rispetto
alla quale ha elaborato protocolli d’ applicazione, viene esercitata con
sistematicità e in modo assolutamente “discrezionale” ? I reparti
ospedalieri restano non luoghi di rimozione della coscienza collettiva.
Universi concentrazionari dove si consuma ferocemente la separazione
fisica e concettuale tra sani e malati. La segregazione a cui i/le
pazienti sono sottoposti/e registra quanto ancora sia in voga il
paradigma manicomiale. Quanto la psichiatria declini il proprio
intervento in chiave custodialistica. Quasi a voler ancora salvaguardare
le relazioni sociali dalla contaminazione con lo stato morboso.
Inoltre, in nome della tanto sbandierata sicurezza, ogni stanza è dotata
di telecamera, collegata ad un pannello situato in un luogo centrale
del reparto. Dietro al monitor si presume esserci un
infermiere/sorvegliante. Viene da chiedersi: come mai la tecnologia a
disposizione del personale si è rivelata inefficace circa lo scopo per
la quale è stata impiegata? Perché non ha messo in sicurezza i pazienti?
In verità dietro alle lenti si rifrange l’occhio clinico, programmato
per registrare quei comportamenti “utili” all’economia delle diagnosi.
Proprio le pratiche che sussistono nei reparti rivelano i motivi
economico politici a suffragio dei neo manicomi. Non luoghi deputati a
dar visibilità alla malattia mentale. A dargli un nome che rientri nella
tassonomia diagnostica. Il tema della sicurezza è una scusa per
aggirare la normativa sulla privacy. Un alibi utile ad accreditare l’
associazione tra comportamento deviante e valutazione clinica.
Ciò che viene comunemente percepito come una misura di tutela, si rivela
così un buon strumento per definire con più enfasi, il profilo
patologico del paziente. D’altronde, quest’ ultimo potrà impugnare le
riprese video a crimine già avvenuto, quando è ormai vittima conclamata
di un abuso. La storia di Mastrogiovanni dice forse qualcosa?
La 180 è una rivoluzione tradita. Oggi dei suoi principi ispiratori non
resta che la retorica. Eppure, dalla lettura del presente, emergono le
stesse contraddizioni di sempre!
La triste vicenda di Elena non può esser archiviata come un incidente o
un episodio di malasanità. Fermare le morti in spdc vuol fare i conti
con i diritti negati, con lo stato d’ abbandono che vivono i/le
pazienti. Una deprivazione che si esprime ad un livello fisico,
affettivo, quanto giuridico.
“…E dunque, non chiedere mai per chi suona la campana: suona per te” .
La morte di Elena è un fatto che riguarda tutti. Per questo viene
spontaneo scandire, anche con rabbia, due parole: verità e giustizia.
La morte di Elena è un ulteriore crepa, nel muro di menzogne e
complicità, che la psichiatria clinica erige intorno alle proprie
pratiche e alla propria cultura.
BASTA MORTI NEI REPARTI PSICHIATRICI!!
Alcune persone di Bergamo – il Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud di Pisa
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