di Giuseppe Bucalo
Ho già scritto più volte che non c'è
"cattiva" pratica psichiatrica che non sia stata salutata, proposta o
imposta come "buona" al suo affacciarsi nel mondo delle "cura" della
follia.
Non c'é cattiva (prima buona) pratica psichiatrica a cui, le
persone che vi sono state sottoposte, non abbiano tentato
disperatamente di sottrarsi. Non c'é rifiuto di una pratica psichiatrica
(buona o cattiva che sia) che non abbia portato (e non porti)
all'imposizione coatta della stessa.
Il "rifiuto delle cure" in
psichiatria è considerato un sintomo cardine e una peculiarità
specifica della "patologia" che afferma di curare. L'opinione
dell'utente designato e la sua percezione di benessere/malessere legata
alle "cure" praticate, a differenza delle altre branche della medicina,
non incide per nulla sulla valutazione dell'efficacia delle stesse.
Al contrario, paradossalmente, il rifiuto delle cure, tende a confermarne la necessità.
Questo spiega gli errori (orrori) tanto tragici quanto insensati che
hanno costellato la storia della cosiddetta scienza psichiatrica. Solo a
partire da questo paradosso possiamo afferrare il senso del perpetuarsi
per un tempo indefinito (senza mai essere state del tutto bandite né
considerate illegali) di pratiche quale l'elettroshock o la lobectomia
che appaiono, ai più, come vere e proprie torture.
La storia
dovrebbe insegnarci quantomeno a dubitare delle mirabolanti rivoluzioni
terapeutiche della psichiatria e non solo di quelle che invadono
direttamente il corpo delle sue vittime involontarie o che lo segregano e
contengono con camice di forza chimiche e fisiche, ma anche di tutte
quelle altre pratiche sociali e legali che ne limitano la libertà di
azione, pensiero e relazione.
E invece assistiamo per lo più
indifferenti, quando non attivamente partecipi, a questo gioco delle
parti in cui "buoni" psichiatri affermano che occorre slegare persone
che "cattivi" psichiatri legano; liberare dagliOPG/Rems persone che
"cattivi" psichiatri hanno definito pericolose; aprire reparti
psichiatrici che "cattivi" psichiatri vorrebbero tenere chiusi.
Nonostante la storia stia li a dimostrarci quanta cieco e violento possa
essere l'accanimento "terapeutico" della psichiatria sui corpi, sulle
menti e sull'esistenza delle sue vittime ... non sentirete mai da
nessuno degli operatori democratici, riluttanti e delle buone pratiche,
che si battono perché sia riconosciuto e garantito a tutti il diritto di
accesso alla "loro" cura, che il diritto al rifiuto delle cure (anche
delle loro), oltre ad essere costituzionalmente riconosciuto, è l'unico
antidoto e barriera all'abuso psichiatrico.
Buoni e cattivi
psichiatri si combattono sul piano del "come" curare e non sul "perché"
farlo. L'obbligo etico e legale a curare (e ad essere curati) non viene
mai messo in discussione.
Eppure basterebbe riconoscere agli utenti
psichiatrici (come ad ogni altro cittadino) il diritto di accettare o
rifiutare le "cure" per evitare gran parte degli errori/orrori che
continuano a segnare la storia e la pratica della cosiddetta scienza
"psichiatrica" e di cui, ipocritamente e ciclamente, ci indigniamo e non
riusciamo a spiegarci il perché.
In qualsiasi altra branca della
medicina se una "terapia" praticata riduce il paziente ad un vegetale o
lo rende demente e incapace di agire/reagire, essa viene abbandonata
come nociva e ne vengono segnalati gli effetti collaterali. In
psichiatria, ciò che per gli altri medici sarebbero esiti nefasti,
vengono considerati dei veri e propri successi terapeutici.
Ho già citato il neurologo Oliver Sacks sul parallelismo fra lobectomia e psicofarmaci:
"Il grande scandalo della leucotomia e della lobotomia cessò, al
principio degli anni Cinquanta, non a causa di riserve o di mutamenti di
tendenza nel mondo della medicina, ma perché in quegli anni si erano
resi disponibili nuovi strumenti – i tranquillanti – che pretendevano
(proprio come la psicochirurgia) di portare alla guarigione completa
senza indurre effetti collaterali. Se poi, dal punto di vista etico e
neurologico, ci sia una grande differenza fra psicochirurgia e
tranquillanti, è una domanda inquietante che non è mai stata affrontata
davvero.“
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