Dopo
l'ennesima fine cruenta di una persona sottoposto a Trattamento
Sanitario Obbligatorio (TSO), si levano numerose, improvvise e
improvvisate, richieste di modifica della legge in materia di ricovero
coatto.
Se i più si appellano ad una maggiore professionalità
dei tutori dell'ordine/operatori psichiatrici proponendo che vadano
preparati ad esercitare violenza nei
confronti di cittadini, spesso del tutto inermi, senza causarne la morte
e disturbare così la nostra sensibilità sociale; altri provano a porre
la questione della liceità del trattamento coatto in psichiatria e,
quindi, della sua abolizione.
Va
detto che non esiste, né è mai esistita, una pratica psichiatrica
libera e scevra da strumenti di coercizione/contenzione. Ciò perché, a
differenza di ciò che comunemente si crede, la psichiatria non si occupa
di persone che "hanno" un qualche non ben individuato disturbo, ma di
persone che "creano" disturbo.
La scoperta tardiva (e
ipocrita) che il TSO venga usato come strumento per garantire l'ordine
pubblico è veramente il colmo e lascia presagire che veramente esista un
trattamento sanitario obbligatorio per motivi di salute (o per
garantire la salute delle persone). I comportamenti che vengono
sanzionati con (e che richiedono il) TSO sono sempre disturbanti per
l'ordine familiare e/o sociale. Una persona può disturbare il decoro
sociale uscendo in mutande o masturbandosi in pubblico, o più
semplicemente può allarmarci perché non si alimenta o si lava come
dovrebbe a nostro avviso fare.
Sempre alla base di un TSO c'é
un "disturbo" arrecato ad altri e la volontà di ripristinare quella che
ci appare come la civile e normale convivenza sociale e familiare. Per
giustificare questa azione (che tecnicamente è un sequestro di persona e
una violenza privata), necessitiamo (sempre e solo noi mandanti) della
psichiatria che definendola "malata" trasforma la nostra richiesta da
repressiva, intollerante, escludente e violenta in "terapeutica".
L'intervento
psichiatrico ci dice che il comportamento della persona non è voluto né
scelto da lui e, quindi, la sua volontà e la sua libertà viziate dalla
"malattia" possono (anzi devono) essere contenute e sostituite dalla
volontà dei terapeuti. Alcuni dei fautori della legge 180 dicono
chiaramente che l'obbligo alle cure in realtà è un "obbligo a curare" in
capo agli psichiatri. La legge, infatti, non obbliga e limita solo la
libertà di scelta di chi vi è sottoposto, ma anche dei suoi carnefici.
In
questi giorni l'opinione pubblica sembra aver dimenticato le decine di
proposte e il dibattito sulla riforma della legge 180 che si sono
susseguite in questi ultimi decenni. Tutte le proposte (e le critiche)
hanno avuto come fulcro la modifica del TSO e tutte, indistintamente
hanno sottolineato la necessità di snellire le procedure, allungare i
tempi e moltiplicare i luoghi in cui si possono attuare interventi
psichiatrici involontari, ridurre la già minime garanzie previste dalla
legge.
C'é voluta la morte di Andrea Soldi a 45 anni su una
panchina di Torino (e prima di lui di Francesco Mastrogiovanni, Giuseppe
Casu, Mauro Guerra e Massimiliano Malzone) per far smettere (almeno
temporaneamente) queste deliranti derive autoritarie.
Ma ciò
non basta. Andrea è morto perché rifiutava le cure. Possiamo onorarne la
memoria solo se rendiamo il rifiuto delle cure un diritto per tutti
(anche per gli utenti dei servizi psichiatrici): solo se equipariamo gli
stessi al rango di esseri umani, persone, cittadini.
E'
chiaro a tutti che senza consenso ogni cura diventa una tortura. Tutti
hanno il diritto di rifiutare cure che ritengono lesive della propria
integrità psico-fisica o contrarie ai propri convincimenti. Tutti tranne
gli utenti involontari della psichiatria. Se passiamo in rassegna le
terapie che in oltre 100 anni di attività gli utenti hanno provato
(senza averne il diritto) a rifiutare troveremo una corrispondenza
inquietante con gli strumenti di tortura adottate (e mutuate dalla
stessa psichiatria) da tutti i regimi totalitari. L'oggetto di azione
del resto è simile: si torturano/curano le persone: a. perché disturbano
l'ordine; b. perché abiurino le loro idee; c. perché cambino il proprio
comportamento.
Basterebbe solo questa considerazione storica
per introdurre nel nostro ordinamento una norma che eviti ciò che per
anni abbiamo permesso di sperimentare su esseri umani inermi e non
consenzienti. Una norma chiara che estenda il diritto di rifiuto delle
cure anche in campo psichiatrico (in ragione della pericolosità,
invasività e dell'effetto invalidante delle diagnosi e delle terapie
psichiatriche).
Da più parti la necessità del TSO viene
proposta quale estrema ratio in casi ove il comportamento degli
individui risulti oltremodo disturbante e intollerabile, mettendo a
rischio la vita stessa del soggetto o delle persone a lui vicine. In
realtà il nostro codice penale prevede già la possibilità dei sanitari
di agire in situazioni del genere, depenalizzando le azioni messe in
opera per evitare un grave danno o per garantire l'incolumità delle
persone coinvolte. Si chiama "stato di necessità" e conferma che le
azioni coattive sono da considerarsi illegali e illecite se non sorrette
dalla necessità di evitare un evento irreversibile.
Gli
psichiatri così possono intervenire e sedare una persona che minaccia
altri con un coltello o minaccia di uccidersi; o meglio potrebbero non
essere inquisiti per violenza privata, maltrattamenti, sequestro di
persona se dimostrano lo stato di necessità che li ha spinti ad agire
contro legem. Nessun psichiatra potrebbe mai ordinare di bloccare a
terra un uomo "solo" per il fatto che rifiuta le cure, o non si lava, o
se ne sta giornate intere in piazza ad ululare come un lupo o solo
perché l'hanno richiesto i familiari preoccupati, se non fosse tutelato
dalla legge sul TSO che gli permette di agire anche laddove non esiste
alcuna necessità, a suo assoluto e libero arbitrio.
Se il
problema fosse come agire in situazioni di emergenza, la legge, come si è
visto; prevede la possibilità di agire con urgenza nelle situazioni di
reale emergenza. A differenza del TSO in questi casi l'onere della prova
sta allo psichiatra che deve dimostrare di avere agito in stato di
necessità e, soprattutto, le sue azioni coattive restano lecite solo per
il tempo necessario al superamento della situazione emergenziale. Val
la pena sottolineare che lo "stato di necessità" non ha niente a che
vedere con lo stato mentale della persona, ma riguarda esclusivamente i
fatti e, quindi, permette alla persona, in caso di abuso, di far valere i
propri diritti in tutte le sedi giudiziarie preposte.
Il TSO
quindi paradossalmente non serve nei casi di emergenza, ma è uno
strumento in mano allo psichiatra per colmare e superare la mancanza di
credibilità e di accettazione delle cure da parte dei suoi utenti
(in)volontari. Come sanno tutti gli utenti psichiatrici il TSO viene
usato spesso come minaccia per ridurre a più miti consigli i refrattari
alle cure, tant'è che i dati sui trattamenti coatti sono certamente
falsati perché non tengono conto del fatto che, non avendo il diritto di
rifiutare le cure, le persone sono spesso costrette ad accettarle
volontariamente (con buona pace per la sensibilità degli psichiatri
delle buone pratiche che possono continuare a sentirsi democratici e a
parlare di contrattazione).
Il TSO va e può essere abolito.
Occorre disarmare la psichiatria di questo strumento perverso che sta
alla base di tutti gli orrori perpetrati dalla stessa ai danni del
genere umano in oltre un secolo di attività.
Se le persone
avessero avuto il diritto di rifiutare le cure realtà come il manicomio
non sarebbero mai esistite o sarebbero state superate molto prima. Non
si sarebbe potuto distruggere le esistenze personali e i corpi di
centinaia di migliaia di persone ree soltanto di essere se stesse. E,
soprattutto, Francesco Mastrogiovanni, Giuseppe Casu, Andrea Soldi,
Mauro Guerra, Massimiliano Malzone e tutti gli altri sconosciuti a cui
la psichiatria ha requisito (e sottrae) la vita, non sarebbero morte.
Tocca a noi ora far si che non siano morte invano.
Giuseppe Bucalo
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