Quando garantiamo ai funzionari medici dello Stato il potere di
imprigionare persone innocenti, non c’è alcun modo realistico di
prevenire che essi, e i loro superiori, abusino della legge. Thomas
Szasz
Alcuni decessi avvenuti in seguito a TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio) hanno riportato alla ribalta la violenza psichiatrica. La legge “Basaglia” (legge 180 del 1978) aveva sostituito l’istituto del ricovero coatto (legge del 1904 – basato sul concetto di “pericolosità per sé e per gli altri e/o pubblico scandalo”) col TSO, fondato su criteri di urgenza clinica con lo scopo dichiarato di tutelare la salute del paziente.
Il TSO è figlio di un compromesso: Basaglia non lo voleva, ma infine
ottenne solo che la legge includesse una serie di paletti per impedirne
l’abuso. Questi paletti vengono quotidianamente aggirati, e i risultati
sono sotto gli occhi di tutti.
Perché la società accetta questa violenza?
Nell’immaginario collettivo, il trattamento coercitivo è ancora
giustificato dal concetto di pericolosità, ma il cliché del matto
pericoloso è una leggenda metropolitana. Chi subisce TSO non è un
individuo pericoloso, ma, spesso, qualcuno che pensa o si comporta in
maniera diversa dalla media, e che un altro (un familiare, un vicino di
casa ecc.) segnala a uno psichiatra. Diventano violenti solo quando
vengono presi con la forza, legati come salami, e costretti ad assumere
farmaci controvoglia. Farmaci che, curiosamente, non fanno bene a chi li
assume, ma a chi li somministra o (parente o vicino di casa) ha sporto
denuncia.
Negli anni ’90 il CCDU, accompagnato da alcuni parlamentari coraggiosi,
ha effettuato una ventina d’ispezioni a sorpresa nei residui manicomiali
italiani, senza un solo episodio di violenza da parte degli internati.
Gli unici a usare violenza furono psichiatri e infermieri.
Eppure l’assurdità del TSO è evidente: se i cosiddetti disturbi
mentali consistono d’idee e/o comportamenti ritenuti anormali, come si
può sperare di guarire una persona (convincerla, cioè, a cambiare idee o
comportamento) tramite coercizione? Semmai, l’uso della forza, per
esempio su una persona con manie di persecuzione, rafforzerebbe la sua
idea che “tutti ce l’hanno con lui”. Il bene, o la salute della persona
non c’entrano niente: la salute di un fumatore migliorerebbe se
smettesse di fumare, ma nessuno proporrebbe di “curarlo” legandolo mani e
piedi per impedirgli di fumare.
Eccezione o regola?
Contrariamente allo spirito della legge Basaglia, il TSO è applicato
di routine in maniera molto più ampia di quanto non s’immagini. Le
statistiche riferiscono circa ventimila casi all’anno in Italia (uno
ogni quarto d’ora!), ma i numeri non la dicono tutta: molti dei
cosiddetti ricoveri volontari sono eseguiti sotto minaccia di TSO
(ricordate il Padrino e la sua “offerta che non si può rifiutare”?).
E c’è dell’altro: il TSO viene anche usato con pazienti già ricoverati
quando lo psichiatra decide di ricorrere alla “contenzione”. Ogni
contenzione, per non diventare sequestro di persona, viene attuata
tramite un TSO. Come si arriva a meritare una contenzione? Semplice,
basta protestare, o chiedere una sigaretta al personale interrompendo
una partita di calcio in TV.
Controllo sociale
In realtà il TSO è lo strumento attraverso cui il potere esercita il
controllo sociale quando non può usare la polizia. Tizio disturba Caio
ma non sta violando nessuna legge? Se Caio ha più potere di Tizio, trova
il modo di sistemarlo con un TSO. Può trattarsi di cose molto banali:
un vicino trova disdicevoli le tue abitudini, un coniuge vuole toglierti
la patria potestà dei figli, un parente vuole impedirti di spendere i
(tuoi) soldi come più ti piace e così via.
Chi richiede il TSO ha più potere di chi lo subisce: sempre. Un
genitore lo può ottenere sui figli, un figlio adulto sui genitori
anziani, il datore di lavoro sul dipendente, la persona famosa (o ricca o
affermata, o dotata di amicizie altolocate) lo ottiene su uno
sconosciuto. Il contrario non succede mai. Se una persona se ne
va in giro parlando col diavolo, finisce in manicomio. Se il vescovo
dice che il diavolo esiste, i migliori filosofi del mondo ne discutono
per una settimana.
Torture e punizioni
Come la stregoneria, i disturbi mentali consistono d’idee e
comportamenti giudicati arbitrariamente anormali da un’autorità. Durante
l’Inquisizione, se l’imputata negava, era prova di colpevolezza. Il
rogo si rendeva
dunque necessario, ma non era una tortura: serviva a
salvare la sua anima. Allo stesso modo, chi è rinchiuso in un reparto di
psichiatria deve ammettere la propria malattia – con le buone o con le
cattive.
I sistemi di tortura utilizzati dai moderni Torquemada non sono poi
così diversi da quelli dei loro antenati. Oltre ai metodi più
conosciuti, come camicia di forza, lettino con fascette per legare polsi
e caviglie, farmaci per contenzione chimica, isolamento, lettino con
sponde invalicabili, abbiamo quelli meno conosciuti, come le gabbie (usate nei manicomi ungheresi fino a pochi anni fa)
o lo “spallaccio”- una tecnica ancora utilizzata in Italia che consiste
nel legare il paziente alla spalla del letto con un lenzuolo
arrotolato, facendolo passare sotto le ascelle e dietro al collo. Questa
tortura causa difficoltà di respirazione, impossibilità di movimenti
anche minimi e, alla lunga, danni irreversibili alla spalla. Ma questa è
solo la punta dell’iceberg.
L’inventario di metodi ricattatori utilizzati per convincere il
paziente a “confessare” la propria malattia fa rabbrividire. Ordinare al
paziente di rimanere in una posizione fisica (per esempio sdraiato)
fino a quando non gli si dica di smettere, o rimanere in uno specifico
spazio, come l’angolo di una stanza, è una tecnica psichiatria nota come
“exclusionary time-out”. Ritirare a un paziente degli oggetti,
impedirgli di svolgere alcune attività o negargli la possibilità di
avere interazioni sociali come conseguenza della sua disubbidienza sono
forme di ricatto, eufemisticamente chiamate “consequence-driven
strategies”. Alessandro Attilio Negroni – “Nota Introduttiva sul
concetto di contenzione in psichiatria” – Psichiatria e Psicoterapia
(2014 33, 4, 332-342).
Il passato recente rivela cose ancora più orrende: shock insulinico,
bagni ghiacciati, lobotomia, castrazione o passaggio di corrente
attraverso i genitali per curare omosessualità e masturbazione,
isterectomia (rimozione dell’utero) per curare l’isteria, curiosa forma di malattia di cui soffrono le donne che osano ribellarsi alla violenza maschile.
Perché tanti morti?
La persona che si vede circondata da sbirri spesso reagisce con
comprensibile violenza, verbale e/o fisica. A volte le cose degenerano,
come nel caso di Andrea Soldi, morto per “mancanza d’ossigeno causata
dalla presa al collo effettuata dai vigili” (eufemismo per
“strangolamento”) o di Francesco Mastrogiovanni, il maestro lucano morto
dopo essere stato legato al letto di contenzione per più di 80 ore.
Il CCDU ha raccolto storie di persone morte per soffocamento indotto da psicofarmaci: i farmaci neurolettici o antipsicotici (noti anche come camicie di forza chimiche)
oltre a stordimento e annullamento della volontà, causano discinesia
tardiva. Si tratta di movimenti anormali e incontrollati dei muscoli,
tremori ecc. e può includere i muscoli usati per respirare e deglutire:
la persona muore soffocata da un boccone che non riesce a mandar giù.
Non mancano i suicidi. Tante persone, non vedendo una via per uscire
dall’incubo del TSO, preferiscono togliersi la vita, come la ragazza
ventunenne che si è impiccata nell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di
Castiglione delle Stiviere.
Perché la storia della psichiatria è così costellata di violenza?
La violenza nella pratica psichiatrica istituzionale è intrinseca nel
concetto stesso di disturbo mentale. Il cosiddetto Manuale Diagnostico
e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM) – un libro pubblicato
dall’Associazione Psichiatrica Americana in cui non si trova nulla di
diagnostico né di statistico – contiene la descrizione di oltre 350
comportamenti, arbitrariamente definiti patologici. I criteri
diagnostici, però, non hanno carattere scientifico o oggettivo, e lo
psichiatra è l’unico arbitro del bene e del male. La negazione della
malattia e il rifiuto a conformarsi alle relative cure ci rende
“sbagliati”, facendoci perdere i diritti umani. Qualcun altro (sedicente
“giusto”) decide per noi, e questo consente il ricorso alla coercizione
e alla violenza.
Alberto Brugnettini
Comitato dei Cittadini per i Diritti Umani ONLUS (CCDU)
fonte www.dirittiglobali.it
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