“Gelida desolata vuota vita piatta/
Eternamente uguale/Che fare?/Morire o fare il pazzo/ Elevarsi in volo per
essere liberi?”
Non so perché, ma penso
che le brutte notizie in carcere fanno più male che fuori.
Oggi ho letto questa
notizia sulla rassegna stampa:
“Ha
aspettato la fine dei controlli giornalieri. Ha scambiato due parole con un
infermiere e ha guardato gli agenti e il personale allontanarsi dalla cella.
Poi, una volta rimasto solo, si è tolto la maglietta intima e l'ha trasformata
in un cappio da legare alle sbarre della cella. Così un uomo, un italiano di
circa 50 anni, si è tolto la vita all'Ospedale psichiatrico giudiziario di
Reggio Emilia, dove era rinchiuso da tempo. È successo nei primi giorni di
gennaio, almeno due settimane fa, anche se la notizia è emersa ed è stata
confermata solo in questi giorni.”(Il Fatto Quotidiano,
G.Zaccariello)
E chissà perché quando
muore un “matto” in carcere, che le persone perbene chiamano ospedali
psichiatrici, mi arrabbio di più. Forse perché nelle carceri ci si finisce
perché lo vuoi tu o lo vuole la tua vita, invece nei manicomi ci vai da
innocente, perché lo vuole Dio, o la natura per lui. Forse semplicemente quando
muore un matto in carcere mi ricordo di quella volta, appena ventenne, che mi
mandarono al manicomio di Montelupo Fiorentino dove mi riempirono di pugni nel
cuore e calci nel corpo e mi legarono per lungo tempo al letto di contenzione.
Fu lì che conobbi
Concetto. Chissà se è ancora vivo. Non penso, almeno lo spero per lui.
Probabilmente, a quest’ora, per sua fortuna, sarà nel paradiso dei matti. Spero
solo che non sia morto legato nel letto di contenzione o con la camicia di
forza.
Mi ricordo che Concetto
per il carcere dei matti era un osso duro. E gli operatori del manicomio
potevano fare ben poco contro di lui perché lui non aveva più né sogni, né
speranze. D’altronde non ne aveva quasi mai avuti. Non c’era con la testa. Era
quasi tutto cuore e poco cervello, ma era buono e dolce come lo sanno essere
solo i matti. Non parlava quasi mai con nessuno. Lo faceva solo con me. Mi
ricordo che Concetto viveva di poco e di niente. Il mondo non lo interessava
più. Il mondo lo aveva rifiutato e lui aveva rifiutato il mondo. Non gli
interessava neppure più la libertà perché lui ormai si sentiva libero di suo. E
non dava confidenza a nessuno, ma non gli sfuggiva niente. Concetto mi aveva
raccontato che era cresciuto da solo. Senza nessuno. Prima in compagnia delle
suore. Poi dei preti. La sua infanzia non era stata bella. Non aveva mai avuto
famiglia. Nessuno lo aveva mai voluto. Nessuno aveva mai voluto stare con lui.
Fin da bambino aveva imparato a tenersi compagnia da solo. Solo con il suo
cuore. E con la sua pazzia. Neppure il carcere lo aveva voluto. E lo avevano
mandato al manicomio. Si era sempre rifiutato di sottomettersi alla vita e al
mondo. E dopo si era rifiutato di sottomettersi all’Assassino dei Sogni dei matti,
per questo lo tenevano quasi sempre legato. Tutti pensavano che fosse pazzo da
legare. Lo pensava pure lui. Io invece non l’ho mai pensato. E non l’ho mai
dimenticato nonostante siano passati quarant’anni. Nel suo sguardo non c’era
nessuna cattiveria come vedo spesso anche adesso nelle persone “normali”.
Spero che chiudano
molto presto gli Opg perché non sono altro che luoghi di tortura. E chissà
quanti Concetti ci saranno ancora dentro quelle mura.
Carmelo Musumeci
Carcere di Padova,
gennaio 2015
Grazie a Beppe per la segnalazione.
Veronika
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