Riceviamo e pubblichiamo con orgoglio l'articolo del nostro amico luminare milanese Peppus del Kalashnikov Collective che ci regala questo articolo inedito da inserire sul blog:
Gli spari di Valerie Solanas
ad Andy Warhol ed al suo staff rappresentano lo sbocco sanguinario quanto
ingenuo di un pensiero critico sottesamente lucido. La più estrema delle
militanti lesbo-femministe, che nel suo deflagrante “Manifesto per la
distruzione del maschio” del 1967 aveva proclamato la necessità di eliminare il
sesso maschile (facendo coincidere l'appropriazione da parte della donna
dei processi riproduttivi con la
possibilità di porre in essere un salvifico annichilimento eugenetico
dell'uomo,conditio sine qua non di una trionfante rigenerazione anarchica
dell'identità femminile) non era riuscita a cogliere come l'annientamento delle
identità di genere coincida con il loro svuotamento ontologico. La geniale
pensatrice-terrorista, che pagò la propria visione non omologata con tre anni
di ospedale psichiatrico giudiziario, non poteva conoscere una rivelatoria
sentenza dell'autrice de “Il corpo lesbico”,Monique Wittig: “Non vi è nulla di
ontologico nel concetto di differenza”,essendo vero che le identità di genere(
da intendersi per Wittig quali inclusive del sesso biologicamente definito,
colto illusoriamente di norma quale incontestabile dato naturale) vanno
riconosciute come fittizie e distrutte
nell'ottica di una estinzione del binarismo uomo-donna, attraverso il
sabotaggio concettuale e sociale del primo dei due termini ad opera delle
soggettività che osino radicalmente sottrarsi all'identificazione col secondo.
E' tuttavia l'accusa di malattia mentale mossa nei confronti di Valerie Solanas
a fornirci una profonda delucidazione su come i processi di vanimento
dell'identità di genere vadano radicalmente perseguiti:al riguardo è opportuno
interrogare l'ottica anti-psichiatrica nella sua capacità di mettere a fuoco le
intersezioni tra lo stigma sessista e lo stigma psichiatrico non dimenticandoci
la più profonda e strutturale stigmatizzazione posta in essere dalla nostra
civiltà,da leggersi quale correlata e funzionale alle due precedenti, quella
specista. La seconda e la terza modalità citate dello stigma agiscono come
grandi cornici del nostro ordine sociale, costituendo lo strumento strategico
dell'espulsione di una moltitudine di soggetti(folli e animali) dallo spazio
dell'ordinarietà giuridica onde recluderli nelle terre di confine di una
giurisdizione d'eccezione(i folli) o di un radicale svuotamento di diritti(gli
animali), nell'ottica di un rapporto con essi orientato all'oggettivazione
conoscitiva( psicopatologica o zoologica) da parte di una soggettività
(antropica e raziocinante) la quale definisce la sua normalità proprio in
sottesa relazione con le diversità che esclude. Le due finzioni della follia e
dell' animalità presidiano i confini della società Straight, la quale le utilizza
per determinare e stigmatizzare i vari gradi di eccedenza degli individui dalla
declinazione dominante della soggettività,il maschio umano, eterosessuale e
raziocinante: è infatti palese l' importanza strutturale, nella costruzione
patriarcale della Donna,della sua caratterizzazione nei termini della
prevalenza istintuale,che la accosta da un lato alla follia tramite lo stigma,
attivo in particolare contro le femministe, della donna “isterica” e
“delirante” e, dall'altro più radicalmente alla sfera animale. D'altro canto la
società Straight ha dimostrato negli ultimi decenni di dar luogo a percorsi di emancipazione delle
minoranze i quali, strutturandosi nell'assenza di una puntuale revisione dello
stigma psichiatrico e specista ,vengono a configurarsi in realtà quali processi
orientati all' assimilazione delle
identità socialmente squalificate, normalizzandole il più possibile nel
quadro dei modelli identitari dominanti: antropici, maschili e raziocinanti. “Siamo
fieri di avere praticamente abolito i nostri pregiudizi sulle differenze tra
uomini e donne o tra bianchi e neri. Ma siamo ancora più fieri di aver creato
un complesso di credenze psichiatriche relative alla differenza tra la natura
neuroanatomica e neurofisiologica del sano e quella dell'insano, del sano di
mente e del malato di mente”, come scrive ne “Il mito della malattia mentale”
Thomas Szasz, uno dei massimi critici della psichiatria:l'unica via
controffensiva praticabile per il femminismo contemporaneo è lo svuotamento ontologico dei concetti
sessuali, psicopatologici e zoologici, aprendo una battaglia
de-naturalizzatrice che ne mostri il carattere fittizio e ne saboti
l'implacabile gioco esclusorio, verso il vanimento della Straight Society
nell'abissale,oscura vertigine di una soggettività senza più nome.
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