Alimentata dalle scoperte durante “il
decennio del cervello” degli anni novanta, la prospettiva biologica
sulla schizofrenia è diventata dominante. In questo articolo, il
dott. Daniel Fisher, biochimico e psichiatra ammalato di
schizofrenia, sfida l’approccio biologico riduzionistico a questa
malattia e le industrie farmaceutiche che sembrano supportarlo.
Sono guarito dalla schizofrenia. Se
questa dichiarazione vi stupisce, se pensate che la schizofrenia sia
una malattia cronica del cervello da cui non si può scappare, siete
stati fuorviati da un’eccessiva preoccupazione culturale che
imprigiona senza motivo milioni di persone sotto l’etichetta di
malattia mentale.
Negli ultimi vent’anni, le industrie
farmaceutiche sono diventate le maggiori sostenitrici della tesi che
la malattia mentale sia un disturbo cerebrale e che le vittime
debbano assumere farmaci per il resto della vita. E’
un’intelligente strategia di vendita: se le persone credono che la
malattia mentale sia puramente biologica, la tratteranno solo con una
pillola.
Le industrie farmaceutiche hanno
virtualmente comprato la professione psichiatrica. Traggono profitto
dai fondi per la ricerca, dalle pubblicazioni e dai dipartimenti di
psichiatria. Non sorprende che molti ricercatori abbiano concluso che
solo i farmaci costituiscono il trattamento d’elezione per la
malattia mentale. Malgrado recenti e convincenti ricerche che
mostrano l’utilità della psicoterapia nel trattamento della
schizofrenia, agli studenti di psichiatria viene ancora oggi detto
“non puoi parlare con una malattia”. Questo è il motivo per cui
gli psichiatri, al giorno d’oggi, passano più tempo a prescrivere
farmaci che a conoscere a fondo le persone che li assumono.
Anch’io ho usato il modello biologico
della malattia mentale. Trentun anni fa, come biochimico
specializzato all’Istituto Nazionale per la Ricerca Mentale, ho
fatto ricerca e pubblicato articoli sui neurotrasmettitori come la
dopamina e la serotonina. Poi mi fu diagnosticata la schizofrenia, e
la mia esperienza mi insegnò che i nostri sentimenti e sogni non
possono essere analizzati sotto un microscopio.
Malgrado quello che molte persone
presumono quando sentono parlare della mia guarigione, la diagnosi
originaria non era errata e venne confermata da un’equipe di sei
psichiatri della Marina Militare dopo il mio ricovero di quattro mesi
all’Ospedale Navale di Bethesda. Ero devastato dall’essere
marchiato come schizofrenico. La mia vita sembrava finita. Sei anni
dopo, tuttavia, nonostante le aspettative contrarie di tutti, ero
guarito. Gli elementi più importanti della mia guarigione furono uno
psicoterapeuta che credeva in me, il supporto della mia famiglia,
amici incrollabili e un lavoro significativo. E avevo un nuovo
obiettivo: volevo diventare psichiatra. Il mio terapeuta convalidò
questo sogno, dicendo “verrò alla tua laurea” (quando ricevetti
la mia laurea alla George Washington Medical School nel 1976, lui era
lì). I farmaci erano uno strumento che usavo durante le crisi, ma
non li assumo più da 25 anni.
Non sono un’anomalia. Migliaia di
altre persone sono guarite, ma hanno paura di rivelare il proprio
passato a causa dello stigma della malattia mentale. Il definitivo
studio longitudinale del Vermont, condotto da Courtenay Harding, ha
seguito 269 pazienti diagnosticati schizofrenici gravi alla fine
degli anni ’50. Tre decenni dopo, i due terzi di loro stavano
vivendo e funzionando autonomamente; e di questi, la metà era
completamente guarita senza farmaci.
Lo psichiatra svizzero Manfred Bleuler,
il cui padre, Eugen, coniò il termine “schizofrenia” nel 1908,
ottenne risultati simili. Suo padre aveva concluso erroneamente che
le persone non guariscono dalla schizofrenia, perché aveva visto
raramente i suoi pazienti dopo la dimissione. La nostra ricerca al
National Empowerment Centre (NEC), fondato dal Servizio del Centro
Federale per la Salute Mentale, mostra che il fattore più importante
nella guarigione della malattia mentale è costituito da persone che
credono nei pazienti e che danno loro speranza: i farmaci sono il
fattore meno importante.
Ma non è quello che si dice agli
psichiatri; recentemente mi è stato ricordato sotto quale stretto
controllo sia il loro tirocinio. Ho contattato un collega in una
delle più importanti scuole di medicina della West Coast, per
cercare di farmi invitare a condurre una delle loro tavole rotonde.
Mi ha detto scusandosi che non poteva: da quando aveva pubblicato una
critica al modello biologico della malattia mentale, dimostrando che
le persone potevano guarire dalla schizofrenia senza farmaci, lui
stesso non era più autorizzato a parlare agli studenti in tirocinio,
anche se si trattava della sua facoltà.
Le industrie farmaceutiche controllano
anche l’educazione pubblica. Chi può evitare che le immagini
televisive dell’uomo fobico che ha bisogno del Paxil per
socializzare? Le ricerche e gli esperti sponsorizzati dalle industrie
hanno un enorme impatto sui media. Infine, le industrie farmaceutiche
traggono vantaggi da gruppi di benintenzionati che supportano il
modello biologico della malattia mentale, dando a essi gran parte del
supporto finanziario di cui hanno bisogno.
La schizofrenia è più spesso dovuta a
una perdita di sogni che a una perdita di dopamina. Al NEC cerchiamo
di uscire dal baratro del caos. So che in molte persone si sentono di
aver fatto tutto quel che potevano, di aver combattuto contro la
malattia mentale senza alcun profitto, e noi capiamo il loro dolore.
Tuttavia crediamo che la guarigione sia possibile per tutti, anche se
ci può voler molto tempo per disfarsi di tutti i messaggi negativi
derivati da trattamenti passati. Possiamo offrire la speranza della
nostra esperienza diretta.
Prendersi cura della necessità delle
persone con malattie mentali richiede un ri-addestramento su larga
scala di tutti gli operatori nel campo della salute mentale, dei
politici, delle famiglie e del pubblico. Saranno necessarie ulteriori
ricerche relative ai modi in cui la gente guarisce. Ci sarà
necessità di più posti di lavoro, più loghi di ricovero, più
supporto dei pari e auto-aiuto, perché questi sono i sentieri
dell’autodeterminazione e dell’indipendenza. E c’è bisogno di
un cambiamento culturale che vada incontro alle persone, piuttosto
che di pillole per alleviare questa forma di sofferenza umana.
“The Washington Post”, 19 Agosto
2001
Veronika