martedì 31 dicembre 2019

Bambini rubati e tso alle madri che si ribellano? Ma cosa succede a Milano?

fonte: http://www.cronacaossona.com segnalato da Senzanumero

Milano. Ospedale di Niguarda. Il 24 dicembre alle 11.00 i rappresentanti di diverse associazioni di genitori si sono dati appuntamento al reparto di psichiatria (padiglione 7) per sostenere M. R. e sua moglie C. A. R. La donna è ricoverata con un accertamento sanitario trasformato in Tso dallo scorso 19 dicembre, su ordine del tribunale dei minori. Lo stesso tribunale ha emesso un decreto per l’adottabilità del loro bambino di 13 mesi. Il bambino è affidato temporaneamente ai nonni. Ma i dubbi sulla necessità di questo ricovero e sul provvedimento emesso dal tribunale sono molti. Cercheremo di capire cosa sta succedendo, perchè ci sono troppi casi, ormai, in cui succedono fatti davvero incomprensibili.
I gilet gialli – movimento per i diritti umani di Milano, l’associazione Mamme Coraggio, l’associazione il Coraggio, l’associazione Dagli Appennini alle Ande e altri gruppi auto-organizzati di genitori di bambini illecitamente tolti si sono presentati, durante l’orario di visite, al reparto di psichiatria dell’ospedale di Niguarda per ottenere la dimissione dal Trattamento sanitario obbligatorio di C. A. R. 
8 persone erano all’interno del reparto dell’ospedale e circa un centinaio nei dintorni, ad attendere. Non hanno causato disordini anche se i medici del reparto hanno chiesto l’intervento del 112. E’ infatti intervenuta una pattuglia del commissariato Comasina che ha chiesto i documenti ai partecipanti al presidio. I documenti sono stati regolarmente presentati e controllati. Non ci sono state resistenze, i poliziotti non hanno ravvisato problemi e quindi sono andati via. I medici non sono stati in grado di produrre il documento del giudice tutelare che convalidava la leicità del TSO. Avrebbero dovuto averlo tassativamente entro le 48 ore dal ricovero della signora. Cioè il 21 dicembre. Però questo documento non è stato prodotto nemmeno durante il presidio. E’ arrivato, invece, solo alle 5 del pomeriggio. Non è dato di sapere al momento la motivazione del ritardo.

Cosa c’è dietro a questo ricovero e perchè è così allarmante?

Pare che a Milano sia troppo facile essere sottoposti a tso. I 4 livelli di controllo che dovrebbero essere la garanzia che il tso sia effettuato solo in casi estremi e di assoluta e improrogabile necessità sembrano essere superati con troppa leggerezza. Si tratta di una misura altamente coercitiva della libertà personale, che avviene non in base ad un reato, ma su una valutazione personale di medici, e il cui abuso è molto pericoloso per la democrazia. Quindi deve essere usato con consapevolezza, lealtà e coscienza.
Insomma, se si decide di riempire di psicofarmaci, che inebetiscono e sopprimono la coscienza di qualunque essere umano, sano o 'malato' che sia, deve esserci un motivo maledettamente serio, ampiamente evidenziato e Un ricovero di questo tipo rimane come un marchio negativo nei fascicoli e nei documenti di una persona e se questa ha un bambino piccolo diventa ancora più facilmente aggredibile. In questi casi, l’attenzione, e non solo quella delle istituzioni, deve essere massima per evitare abusi ed errori. Anche quelli dovuti alla troppa fretta, che sono i più pericolosi, senza dover pensare ad altro.

sabato 28 dicembre 2019

Pisa - 11 Gennaio 2020

Circolo Arci CARACOL in via 64 alle ore 18
Presentazione del libro:
“DIVIETO D’INFANZIA. PSICHIATRIA, CONTROLLO, PROFITTO”
di Chiara Gazzola e Sebastiano Ortu , Edizioni BFS.
Dialoga con gli autori Sabrina Pezzini.
Letture di Alessandro Benassi in collaborazione con il Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud

Inaugurazione Mostra DELIRIUM OF BEAUTY
Photographer Alessio Mariotti, in frame Federica Gado
A seguire APERICENA/DJ SET Disease & Rozza dalle 20

mercoledì 25 dicembre 2019

Il reparto di psichiatria dove è morta Elena Casetto deve essere chiuso

di Giorgio Pompa (fonte: https://www.ilcappellaiomatto.org/)



"Non è affatto vero che:
“il ricorso alla contenzione fisica è dovuta alla carenza di personale sanitario”.
È indecentemente vero, invece, che:
il ricorso alla contenzione fisica permette la riduzione di personale sanitario,indirizzandolo verso altri compiti assistenziali!
Come testimonia il Comitato Prevenzione Tortura ( CPT), la coercizione fisica è anche un mezzo pratico per distogliere personale sanitario dai pazienti difficili, ‘messi in sicurezza con la contenzione fisica’ (laddove, naturalmente,questa presunta sicurezza non riguarda certo quella fisica e psichica del paziente legato!), in modo da far eseguire a questo personale, così 'liberato' da tali incombenze, forse ritenute secondarie, lo svolgimento di altre, più importanti, attività! Oppure che sia anche un mezzo pratico per ridurre al minimo l’assistenza infermieristica notturna, quando la coercizione fisica viene frequentemente messa in atto in ore notturne! .
In molti istituti psichiatrici visitati dal CPT, l'applicazione delle restrizioni è utilizzata come mezzo di praticità per il personale; messa in sicurezza di pazienti difficili mentre vengono eseguite altre attività. La solita giustificazione fornita al CPT è che la mancanza di personale richiede un aumento del ricorso a mezzi di contenzione. Questo ragionamento non è fondato. L'applicazione dei mezzi di contenimento nel modo corretto e nell'ambiente adeguato richiede un numero maggiore, non inferiore, di personale medico, poiché ogni caso di contenzione richiede che un membro del personale fornisca una supervisione diretta, personale e continua. "
Giorgio Pompa - Associazione dalle Ande agli Appennini

domenica 22 dicembre 2019

Psicofarmaci e carcere

Di Agnese Baini.
«In un’azione di rovesciamento istituzionale, il rifiuto dell’istituzione potrebbe essere il primo passo comune a tutti i livelli, internati ed équipe curante».
Franca Ongaro Basaglia, 1968
Nell’episodio di novembre di Ghinea, una newsletter femminista, si accennava ad un articolo sul penitenziario femminile di Pozzuoli: Da qui il mare non si vede, ascoltare le donne del carcere di Pozzuoli, scritto da Luigi Romano e Gaia Tessitore, avvocati dell’associazione Antigone. Il carcere femminile di Pozzuoli è situato all’interno di un convento poi trasformato in manicomio giudiziario e ora – con un leggero e insignificante cambio di destinazione d’uso – un carcere. Una vera Istituzione, mal gestita, in cui ci sono poche regole di sopravvivenza: rispettare le gerarchie e non discutere.
Si scopre così che quando qualche detenuta ha qualche problema, per esempio non riesce a dormire (per l’umidità, per il riscaldamento rotto, per i rumori incessanti di sottofondo) vengono somministrati (regalati?) psicofarmaci. Benzodiazepine per risolvere problemi di gestione.
Benzodiazepine e ansiolitici sono quotidianamente somministrati in carcere, anche in mancanza di una specifica diagnosi. Alla mancanza di un percorso di sostegno psicologico, si sopperisce con la contenzione chimica continua, a bassa intensità. Molte donne ci raccontano di compresse di cui non conoscono neanche il nome, ma solo l’effetto: «Mi fa dormire». Quando chiedo se le usino anche fuori, quasi tutte dicono di no, non ne hanno fatto mai uso prima. «Ma basta che chiedi, ti danno quello che vuoi per farti stare tranquilla».

Una pillola per risolvere problemi

Questo è ciò che avviene. Si può tranquillamente chiamare contenzione chimica: non ci sono delle persone davanti, con i proprio bisogni, ma dei problemi che vengono risolti facilmente somministrando qualsiasi cosa venga in mente pur di non avere disturbo. A me questo fa schifo.
I problemi (causati da una pessima gestione) non si possono risolvere con un farmaco, non bisognerebbe nemmeno arrivare a pensarlo. Invece, viene fuori che una persona detenuta su due abusa di psicofarmaci e circa il 46% delle prescrizioni che avvengono dentro le mura del carcere riguarda psicofarmaci, soprattutto ansiolitici. Non ci si rende conto che una persona arriva in un ambiente disumano, privato di ogni suo bene, allontanato da qualsiasi relazione umana di amicizia o di amore, lanciato nel vuoto dove il tempo non passa e nessuno si occupa di lui/lei. Il supporto psicologico, come a Pozzuoli, non esiste e la soluzione è far sparire la sofferenza e il disagio – disagio che è lo Stato stesso a creare mantenendo vive queste istituzioni – riempiendo di psicofarmaci. Gli psicofarmaci non risolvono problemi, anzi è stato dimostrato che causano danni collaterali enormi: una persona che assume psicofarmaci ha un’aspettativa di vita di 15 anni inferiore alla media.
Per approfondire la questione dell’abuso degli psicofarmaci e di come siano diventati una nuova forma di contenzione, si può leggere Il manicomio chimico di Piero Cipriano.
[Per tornare sempre sul mio amato pop, sarebbe bello che nelle canzoni e nei film non si parlasse di psicofarmaci come fossero caramelle alla frutta, perché dalla mia piccola bolla sembra quasi che se dichiari di prendere ansiolitici tu sia fico: «Xananas / Vieni a rilassarti, gioia / Xananas / Ne prendo un po’ anche da sola / Xananas / Peccati di gola / Xananas / È sempre l'ora per un po’ di».]

Di cosa parliamo quando parliamo di carcere

Questa assurda situazione che si verifica a Pozzuoli e non solo, dovrebbe farci rimettere in discussione l’esistenza delle strutture carcerarie: per queste donne di Pozzuoli e per tutte quelle persone che l’Istituzione priva di dignità e di libertà.
In Italia ci sono 191 Istituzioni carcerarie. A marzo 2019 erano intrappolate al loro interno 60.0512 persone – su 46 mila posti disponibili. La regione con più detenuti è la Lombardia. Le donne sono 2.659 (4,4% del totale). Di quasi 200 istituti, solo 4 sono esclusivamente femminili (di cui uno è quello di Pozzuoli). C’è una media di quattro suicidi al mese. Non sto esagerando, questi sono i dati diffusi dalla Polizia Penitenziaria.
Altri dati sono elaborati dall’associazione Antigone, che dalla fine degli anni ’80 si dedica ai diritti delle persone detenute; ogni anno redige un “rapporto sulle condizione di detenzione” – qua si può trovare l’ultimo relativo al 2018. La Corte di Strasburgo ha stabilito che bisogna garantire ad ogni persona detenuta 3 metri quadri di spazio, se questo non viene rispettato si tratta di trattamento inumano e degradante. Si scopre però che solo 16 carceri in Italia garantiscono questi tre metri quadri di spazio (lo spazio occupato da un letto matrimoniale è leggermente più grande). La Polizia penitenziaria parla di 61 suicidi, Antigone di 67 – era dal 2009 che non c’era un numero così alto: si tratta di un suicidio ogni 4/5 giorni. Anche se ce ne fosse soltanto 1 all’anno sarebbe terribile.
Questi dati dimostrano l’insostenibilità dell’Istituzione carcere.

Facciamola rotolare questa testa del re!

Qualche settimana fa, intorno ad un tavolo parlando delle REMS, ho chiesto perché non riusciamo a riconoscere il carcere come un luogo di reclusione totale, un luogo che dimostra che con la detenzione non si risolvono i problemi ma li si alimentano, un luogo in cui il soggetto che vi entra perde il suo essere un soggetto. La risposta non arriva, non riusciamo a vedere il carcere come un’istituzione che va distrutta e fatta sparire dalla faccia della terra. E non ci riusciamo mentre discutiamo all’interno degli spazi del parco San Giovanni a Trieste, quello che è stato un manicomio per quasi un secolo e che ora è stato trasformato in uno dei posti più magici che io conosca. Anzi, non stiamo nemmeno mettendo in discussione l’esistenza del carcere e ogni tanto qualcuno se ne esce con qualche frase che sottolinea la necessità della pena detentiva. Questo un po’ preoccupa. Una persona mi ha detto di leggere un testo del 1984, Tagliare ancora la testa del re (qualche frase sparsa si può trovare qua):
Dal momento in cui l’internato entra in carcere, o poco tempo dopo, non ha più importanza il suo reato né tanto meno la sua storia. Assume l’abito dell’istituzione e da quel momento l’identità del carcerato. In ordine a questa nuova identità sarà giorno per giorno visto, osservato, giudicato. Perché quel che conta è che egli sia appiattito e riconvertito in una scheggia seriale di una istituzione normativa. A nessuno interesserà più il suo reato, il suo perché. A noi sì.
Dovremmo indirizzare lì le nostre forze, i nostri pensieri, il nostro agire: dove le vulnerabilità sono maggiori. Dove ci sono delle persone in carcere, trattenute in condizioni disumane, riempite di psicofarmaci per non dar fastidio. Non possiamo avere il lusso di pensare che queste persone siano Altro da noi, che siano detenute quindi criminali quindi pericolose.
Sempre qualche settimana fa, un’altra persona ha ripreso una frase potente, can the subaltern speak?, aggiungendo altri verbi: se le subalterne non possono parlare, possono almeno ballare? Cantare? Camminare? Io mi chiedo: possono le detenute di Pozzuoli, fare una qualsiasi azione?
La risposta è no, quindi facciamo subito rotolare la testa del re perché questa risposta va cambiata.

domenica 15 dicembre 2019

Bandi per ospedali psichiatrici...

“Le finestre dovranno avere una protezione adeguata.
Si raccomanda di mascherare le inferriate artisticamente per evitare al malato l’impressione di essere in una prigione”
(da un bando per la costruzione di un Ospedale Psichiatrico)

Segnalato da Giuseppe Bucalo

domenica 8 dicembre 2019

Conversazione con Giorgio Antonucci

tratto da: https://www.ilcappellaiomatto.org

“Penso che spesso, oltre alla pericolosità del
giudizio psichiatrico, la cosa più pericolosa
sia la resa che una persona fa alla propria
convinzione di essere malata”.


“Giorgio Antonucci non ha niente del medico tradizionale, indaffarato, autoritario, privo di abbandoni che siamo abituati a conoscere. La sua faccia triste esprime una dolcezza morbida, acuta, quasi dolorosa. I suoi occhi sono pieni di una timida assorta attenzione”.
E’ così che Dacia Maraini ritrae Giorgio Antonucci in un articolo di La Stampa, e del reparto autogestito di Imola fa la seguente descrizione: “Una volta aperta la porta del reparto mi trovo in una sala lunga e stretta affollata di gente. In fondo, sotto un affresco di mari ondosi su cui navigano barche dalle vele rosse, ci sono i ragazzi dell’Aquila venuti qui a suonare. Fra l’orchestra e la porta tante sedie con tanti ricoverati, donne e uomini.[...]

La musica di Mozart, con la sua armonia esplosiva dilata gli spazi, entra in queste facce contratte segnate dalle torture trasformando la bruttezza in bellezza, si fa liquido delicato piacere. I ragazzi dell’orchestra con le loro barbe, i loro blue jeans, i loro capelli lunghi suonano, impetuosamente brandendo i corni, i violoncelli, gli oboi. Alcuni dei degenti si mettono a ballare. Altri ascoltano a bocca aperta, facendosi cullare dalla meraviglia di quelle note. L’atmosfera rispetto ai reparti chiusi è diversa, c’è “confusione, vocio, disordine, colori. [...]Le pareti sono coperte di stampe colorate, disegni, fiori, stelle. Una ragazza in vestaglia va e viene portando dei dolci”.
Artisti come Luca Bramante e Piero Colacicchi hanno collaborato alle iniziative culturali e dipinto gli affreschi del reparto. Dacia Maraini chiede perché, visto il buon risultato ottenuto, non si fa lo stesso negli altri reparti: “Prima di tutto perché é molto faticoso - risponde Antonucci con la sua voce quieta, dolce - mi ci sono voluti cinque anni di lavoro durissimo per ridare fiducia a queste donne; cinque anni di conversazioni, di presenza anche notturna, di rapporto a tu per tu. Però non si tratta di una tecnica, ma di un diverso modo di concepire i rapporti umani. [...] “In che consiste questo metodo nuovo per quanto riguarda i cosiddetti malati psichici?”, continua con le domande la scrittrice. “Per me significa che i malati mentali non esistono e la psichiatria va completamente eliminata. I medici dovrebbero essere presenti solo per curare le malattie del corpo.