sotto il link alla versione pdf da
scaricare dell’opuscolo di Marco Rossi “Correnti di guerra”. Sulla
psichiatria militare e l’uso della corrente elettrica durante la prima
guerra mondiale, autoprodotto dal Collettivo Artaud.
https://artaudpisa.noblogs.org/files/2017/03/correnti-di-guerra-pdf.pdf
qui la prefazione:
''Continua la collaborazione con Marco, di cui abbiamo imparato ad apprezzare il preciso lavoro di ricerca storica.
In questo suo ultimo scritto, ci rende noto come durante la Prima Guerra Mondiale, quindi prima dell’invenzione dell’elettroshock, la corrente elettrica fosse già utilizzata sui soldati degli eserciti europei «per il trattamento delle nevrosi di guerra, oltre che per smascherare presunti simulatori». Siamo di fronte alla prima affermazione della corrente elettrica come strumento di “cura” e punizione.
Alla Prima Guerra Mondiale e all’uso della corrente faradica sui soldati, seguiranno gli anni della sperimentazione delle terapie da shock che consistono nell’infliggere volontariamente un trauma, ritenendo che il controllo e la gestione dello shock così provocato possa portare risultati terapeutici.
Nei manicomi, nelle cliniche psichiatriche universitarie e religiose, così come nei lager, si perfeziona l’induzione di stati di incoscienza con l’utilizzo delle più svariate sostanze e procedure.
Dal 1917 al 1935, si introducono in psichiatria la malarioterapia, la “cura del sonno a permanenza” tramite iniezione ciclica di barbiturici, lo shock insulinico e la terapia convulsiva mediante iniezioni di Cardiazol. Ma è nel 1938 che la corrente elettrica si insedia ufficialmente tra gli strumenti di “cura” psichiatrici; a Roma Cerletti sperimenta infatti l’ultima delle terapie da shock: l’elettroshock.
Nonostante la brutalità di tali pratiche, tanto il coma insulinico come la convulsione da Cardiazol si diffusero immediatamente.
Lo stesso avvenne poi per l’elettroshock, tuttora utilizzato e largamente praticato in Italia, dove siamo passati nell’ultimo decennio da 9 a più di 90 strutture attrezzate per la cosiddetta terapia elettroconvulsivante (TEC).
Come sottolinea Marco, dolore e terrore erano nei primi decenni del ‘900 parte fondamentale delle pratiche psichiatriche di investigazione e recupero; ma ancora oggi queste non hanno mutato la loro essenza violenta e si manifestano attraverso la coercizione, l’obbligo di cura, la contenzione fisica e farmacologica.
Durante la Prima Guerra Mondiale decine di migliaia di persone furono internate nei manicomi. La psichiatria militare rifiutava però di riconoscere nella guerra la causa delle psiconevrosi dei soldati che, come ci spiega Marco, erano considerate effetti collaterali che si manifestavano in individui “predisposti”.
Il Disturbo da Stress Post Traumatico (PTSD) è oggi catalogato nel Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM), come la possibile risposta di un soggetto a un evento critico abnorme (terremoti, incendi, nubifragi, attentati, azioni belliche, incidenti stradali, abusi sessuali, atti di violenza subiti o di cui si è stati testimoni, etc.). A questa nuova “malattia” si risponde con trattamenti psico-farmacologici dagli esiti spesso letali.
Tra i soldati statunitensi in Afghanistan, sono più quelli che si suicidano una volta ritornati a casa (a volte dopo aver sterminato anche la famiglia), che quelli morti in combattimento.
La stessa diagnosi PTSD e lo stesso trattamento vengono somministrati alle vittime di guerra con risvolti drammatici: sempre più si diffondono antidepressivi e antipsicotici nei campi profughi, negli Hot Spot, nei CIE. Per le donne Kurde Yezide che si disperano troppo per la perdita dei loro figli o parenti, si aprono le porte dei manicomi turchi dove neanche si parla la loro lingua.
Simile dramma viene vissuto dai bambini palestinesi della striscia di Gaza, costretti a vivere fin dalla nascita in quella prigione a cielo aperto su cui le multinazionali delle armi sperimentano sempre nuovi ordigni; il 90% di loro soffre di disturbi psicologici, ma niente paura: centinaia di ONG occidentali importano diagnosi e cure come da DSM V.
Un orribile quanto reale paradosso che rivela, oggi come allora,l’inganno e la strategia che gli sta dietro: curare il sintomo, cioè la persona “disturbata”, piuttosto che intervenire sulle reali cause del disturbo, cioè la guerra, l’occupazione, i bombardamenti, l’embargo, la fame.
Guerre, controllo psichiatrico mascherato da intervento umanitario e business delle multinazionali del farmaco, sono un pericoloso mix che dovrebbe renderci più vigili su ciò che il futuro sembra riservarci.
Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud
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