Il buon Peppus (Kalashnikov Collective) ci ha fatto dono di questo libro che prontamente recensiamo:
In
questo lavoro viene messo in luce, attraverso una chiara esposizione,
il pensiero dello psichiatra ungherese Thomas Szasz e i punti principali
della sua critica alla psichiatria come mezzo di controllo sociale,
asservimento e utilità economica.
L'autore ci propone un viaggio all'interno della storia di questa disciplina, mistificata negli anni dai suoi stessi esponenti, al fine di giustificarne i metodi e le finalità che poco hanno a che fare con lo scopo terapeutico della medicina e che hanno portato negli anni alla medicalizzazione sistematica della follia.
Tramite l'esposizione dei lavori di Szasz si riesce a smontare il mito della malattia mentale, con l'intento di riconsiderarla una metafora e non una condizione di patologia fisica. In questa direzione la psichiatria non dev'essere una branca della medicina che cerca una costante alterazione cerebrale per giustificare il dolore provato da una persona. Quello che deriva da questa erronea definizione è una forma di nuova schiavitù, farmacologica e coercitiva, operata dagli psichiatri sui pazienti e che incontra gli interessi di ordine sociale per quanto riguarda l'istituzione statale e di profitto a favore delle industrie farmaceutiche.
Come si può immaginare il punto di vista di Szasz risulterà di difficile condivisione all'interno del mondo psichiatrico, ma la sua volontà non si rivelerà mai distruttiva nei confronti della psichiatria, bensì di auspicio verso una rielaborazione della stessa sotto un profilo bioetico, per riportare la psichiatria ad essere uno strumento nuovamente terapeutico e a servizio del paziente.
Questo lavoro costituisce un utile strumento per comprendere la teoria bioetica unita al pensiero critico di Szasz riguardo la psichiatria e la sua non-storia, necessaria per capire e contrastare le mancanze che hanno deformato questa disciplina.
L'autore ci propone un viaggio all'interno della storia di questa disciplina, mistificata negli anni dai suoi stessi esponenti, al fine di giustificarne i metodi e le finalità che poco hanno a che fare con lo scopo terapeutico della medicina e che hanno portato negli anni alla medicalizzazione sistematica della follia.
Tramite l'esposizione dei lavori di Szasz si riesce a smontare il mito della malattia mentale, con l'intento di riconsiderarla una metafora e non una condizione di patologia fisica. In questa direzione la psichiatria non dev'essere una branca della medicina che cerca una costante alterazione cerebrale per giustificare il dolore provato da una persona. Quello che deriva da questa erronea definizione è una forma di nuova schiavitù, farmacologica e coercitiva, operata dagli psichiatri sui pazienti e che incontra gli interessi di ordine sociale per quanto riguarda l'istituzione statale e di profitto a favore delle industrie farmaceutiche.
Come si può immaginare il punto di vista di Szasz risulterà di difficile condivisione all'interno del mondo psichiatrico, ma la sua volontà non si rivelerà mai distruttiva nei confronti della psichiatria, bensì di auspicio verso una rielaborazione della stessa sotto un profilo bioetico, per riportare la psichiatria ad essere uno strumento nuovamente terapeutico e a servizio del paziente.
Questo lavoro costituisce un utile strumento per comprendere la teoria bioetica unita al pensiero critico di Szasz riguardo la psichiatria e la sua non-storia, necessaria per capire e contrastare le mancanze che hanno deformato questa disciplina.
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