martedì 18 febbraio 2014

INVALSI: pregiudizi che invalgono

Tratto da "Doppiozero", vi propongo un articolo del Professor Barbetta, attento come sempre alle trappole della catalogazione e della diagnosi a tutti i costi.

Veronika
L'epistemologo Heinz von Foerster (1911-2002) scriveva che a scuola si fanno quasi sempre “domande illegittime”.Che cosa sono le “domande illegittime”? Sono quelle domande poste da chi sa la risposta a chi non la sa. Contengono qualcosa di minaccioso, come nelle interrogazioni. Tadeusz Kantor (1915-1990), in La classe morta, ce ne dà qualche esempio teatrale, come quello dell'alzata di mano con arretramento: “Io! Io! La so signor maestro!”, finché non mi chiama la so, quando mi chiama sono perduto, come il tempo di Agostino.

Invalsi: da invalére, essere prevalente, participio passato, plurale maschile. Si dice di un pregiudizio quando è dominante. La storia ne è piena. Ne racconterò un paio di queste storie.
La prima riguarda il Manuale diagnostico dei disordini mentali, la seconda la somministrazione di massa dei Test di Quoziente intellettivo. La seconda storia invalse, sopratutto negli Stati Uniti, nelle pratiche di discriminazione dal 1917 fino alle seconde guerra mondiale e oltre, la prima invale di questi tempi, ne è come la continuazione.

Perché un Manuale diagnostico? “Per costringere tutti i clinici ad andare d'accordo”, si scrive nelle introduzioni di queste (sempre nuove e ripetute) edizioni del medesimo Manuale. Per ogni categoria diagnostica si fissano criteri (da krino, separo) specifici di quella categoria. A loro volta questi criteri sono astratti, per esempio: “delirio”. Qualcosa che viene detto, raccontato, sostenuto, che abbia caratteristiche bizzarre, eccentriche è un delirio. Si tratta di una specie di manuale per il montaggio Ikea, ma là ci sono viti, assi e tasselli, qui parole.

Un esempio di delirio sarebbe quello messo insieme da qualcuno, che suona così:

'Twas brillig, and the slithy toves
Did gyre and gimble in the wabe;
All mimsy were the borogoves,
And the mome raths outgrabe. (Carroll)

La cui traduzione può suonare così:

S'era a cocce e i ligli tarri
girtrellavan nel pischetto,
tutti losci i cincinarri
suffugiavan longe stetto. (Progetto Manuzio)

Oppure così:

Si era al pillonto e gli scavoni celerosi
Obrigolavano e girovellavano
Fin laggiù dove la circaglia va da percima a stracolà
E da stracolà a paslaggiù
Tutte le chiurlozzole erano floscenti
E i verdelli selestolti GRUGNUSCHIVANO. (Artaud)


O qualsiasi altra cosa una persona poco sensibile designerebbe come stranezza inutile o, peggio, superflua.

Nulla di condivisibile, che si richieda a un normale clinico (o educatore). Criterio per andare a comporre una seconda astrazione, la diagnosi. Un artificio attraverso il quale il Manuale ci rende sudditi. Tutti clinici cinici, educatori cinici, operatori cinici, polizia morale, globale, in qualsiasi posto del mondo, con qualsiasi tipo di formazione e ideologia. Si tratta di assoggettarsi alle categorie, perché poi le categorie vanno trasformate in sigle per i rimborsi economici assicurativi o regionali (ma chi se ne frega del paziente! Che conta sono i rimborsi!).

La somministrazione di massa dei Test IQ invece riguarda la discriminazione delle minoranze attraverso un apparato di distribuzione delle carriere in base a una parola tipicamente Otto-Novecentesca: “intelligenza”. “Intelligenza”, nel Novecento, indica qualcosa che può essere misurato, tecnicamente viene anche chiamata fattore G., ma non è esattamente il punto G. a cui state pensando, è, in qualche modo, il contrario. Quel che viene misurato qui è un modo di pensare, o meglio: la sottomissione al solo modo di pensare che invale.

Ora, a che servono le prove INVALSI, invalenti in questa società iperburocratizzata, per usare l'elegante prosa maroniana? A mettere d'accordo tutte le maestre elementari d'Europa che una Tigre, in seconda elementare, è rappresentata da quell'orribile disegnino che sta nella casella (che tutt'al più somiglia vagamente a un gatto randagio), oppure a discriminare quella bambina che, per esempio, non segna nessuna casella perché magari, andando al circo o allo zoo, ne ha vista una vera (di tigre) e chiaramente non trova nulla di simile nelle caselle a lei somministrate? O a entrambe le finalità?

Risposta attesa: Magari, se è solo per la tigre, magari no, ma se l'errore è sistematico, cara bambina: sei fuori (concetto briatoriano).

Ma che fine fanno l'educazione estetica, l'educazione sentimentale, l'inventio? Chi si ricorda più di Gianni Rodari, di Marcovaldo, della Pimpa, di Pinocchio? In una delle scuole a tempo pieno che ho conosciuto, un insegnante di matematica (un Maestro meraviglioso!) aveva inventato la posta matematica. Di sabato i bambini potevano infilare in una scatola quesiti matematici. Domande sull'infinito, sulla geometria euclidea e non, sugli insiemi e le classi proprie, cui nessuno sapeva rispondere. Si ricercava insieme. Certo il maestro non trascurava quello che oggi invale, che allora si chiamava pensiero convergente, ma non lo rendeva assoluto. Che fine avranno fatto questi poveri alunni perduti nei meandri di queste orribili esperienze creative? Beh, di almeno uno posso testimoniare, studia in Giappone, con grande passione. Le poche volte che incontro questo maestro, mi chiede di lui e sembra orgoglioso, ancora ricorda i suoi alunni, dopo quasi vent'anni.

Le prove INVALSI invece sembrano servire a dimenticare, altrimenti davanti al disegno della tigre ci sarebbe almeno scritto: “Ceci n'est pas un tigre”.

Pietro Barbetta

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