Tratto dal sito Doppiozero, vi propongo un interessante articolo di Pietro Barbetta. Buona lettura.
Veronika
Un breve articolo di Paolo Mastrolilli sulla Stampa del 17 dicembre scorso – Usa:“Basta psicofarmaci ai bambini” Triplicato il loro uso in quindici anni –
sollecita una riflessione più ampia. Qualche giorno prima, il 15
dicembre, appare sul New York Times un articolo di Alan Schwarz
intitolato The Selling of Attention Deficit Disorder
(La vendita del disturbo da deficit di attenzione), un atto di accusa
alle case farmaceutiche che dal 2002 al 2012 hanno quadruplicato le
vendite di psicostimolanti, quei farmaci che negli USA vengono venduti
per“curare” o “guarire” questo disturbo nei bambini. Il fatto che appaia
un simile articolo sul giornale più importante del mondo è confortante,
vuol dire che qualcosa si muove.
Neil Postman (1931-2003) scrisse nel 1982 The Disappearence of Childhood.
In quel libro si sosteneva che l'apparizione della cultura dei computer
avrebbe tolto di mezzo l'asimmetria nella relazione adulto/bambino e
avrebbe rivoluzionato il sistema scolastico. La maggiore facilità da
parte dei bambini nell'acquisire la tecnologia elettronica li avrebbe
messi, almeno per alcuni aspetti, in vantaggio rispetto agli adulti,
capovolgendo il gap culturale.
La profezia di Postman si sta realizzando, ma per ragioni ben diverse:
il mondo adulto ha paura del futuro e i bambini non sono più persone con
cui condividere sentimenti, persone di cui avere fiducia riguardo al
futuro. Sono diventati, nella cultura dominante, esseri potenzialmente pericolosi.
Un tempo il termine vivace, riferito a un bambino o a una
bambina, indicava una caratteristica almeno in parte positiva. Vivace
era il bimbo che sviluppava il pensiero divergente, che si esprimeva in
maniera creativa. La vivacità (termine che contiene la parola “vita”)
era espressione, volontà di creazione.
Certo comportava il conflitto. Capitava che, a casa, i fratellini e le
sorelline litigassero tra loro, che, a scuola, i bambini facessero
caciara. Tuttavia genitori e insegnanti sapevano che questa condizione,
ancorché faticosa da gestire, richiedeva pazienza, attenzione, cura.
Sapevano che i capricci e le discolerie nascondevano potenzialità. Si
era cresciuti con Pinocchio, Alice nel paese delle meraviglie, Pierino porcospino, Il piccolo Principe, Piccole donne. Storie che, più o meno, descrivevano la formazione infantile. Ognuno, a suo modo, definiva il carattere nazionale di un paese.
L'infanzia era un fenomeno complesso. Era però chiaro che lo sguardo
materno – che non è solo lo sguardo della madre – aveva un ruolo
costitutivo nella relazione adulto/bambino. Si trattava anzitutto della
fiducia, del codice affettivo, della semiotica del particolare (William
Blake ci aveva insegnato che “il bene si fa nei minuti particolari”),
della singolarità che si sviluppava.
A quell'epoca si sapeva come fare con i bambini vivaci, c'era del savoir faire.
Ve lo ricordate? Sembrano tempi così lontani.
A quel tempo la competenza sulle relazioni con l'infanzia si costruiva
negli asili nido, nei giardini d'infanzia – ricordate la figura della
maestra giardiniera? – nelle scuole a tempo pieno; dove c'era il tempo
di leggere Marcovaldo, Rodari, La Pimpa. Nelle scuole montessoriane,
dove si faceva educazione al tatto, al gusto, all'olfatto. Dove il
sapere infantile era conseguenza di un godimento vitale: il gusto della
scoperta, dell'esperimento. Dove il rispetto veniva da sé, non c'era
bisogno di predicarlo, era parte fondamentale delle relazioni. Con tutta
la fatica che i genitori, le educatrici, le maestre, gli insegnanti
facevano. Spesso subendo le critiche di qualche intellettuale
bacchettone, che proiettava le proprie frustrazioni su nuovi modi di
apprendere, sostenendo che lo studio è sofferenza.
Oggi il bambino vivace è diventato un ADHD. Acronimo americano buono
per il DSM, altro acronimo americano. Oggi parliamo per acronimi, gli
acronimi coprono le origini, gli acronimi svolgono solo funzioni. Oggi
non importa più neppure sapere da quali parole sono composti gli
acronimi, anzi è meglio che non si sappia.
ADHD significa attention deficit hyperactivity disorder,
ovvero disordine da deficit di attenzione e iperattività. I bambini
vivaci sono patologizzati e le competenze per il loro trattamento sono
diventate tecnologiche. In primo luogo farmaci. Si sostiene che i
bambini affetti da ADHD hanno comportamenti impulsivi, che possono
diventare adulti con disturbi di personalità (antisociali, borderline).
Avete mai incontrato un bambino non impulsivo? Si è mai pensato, prima
di quando l'ADHD diventasse una diagnosi diffusa, che l'impulsività non
fosse una caratteristica costitutiva del bambino?
L'ADHD è solo l'esempio più scandaloso di come la tecnologia, questa
Regina delle nevi che rapisce l'infanzia, abbia contribuito a diffondere
una cultura della paura e della sfiducia nello sviluppo umano.
I codici materni, quella semiotica degli affetti, sono sotto attacco, l’evidence based medicine mostra come il metilfenidato,
un potente farmaco psicostimolante, sia più efficace, nel correggere il
comportamento, della relazione educativa e affettiva, le relazioni
perdono importanza, si tratta di trattamento tecnologico.
È vero. Anche la lobotomia di Freeman aveva efficacia. Come mai non la
usiamo più? Questa domanda oggi sembra diventare legittima. Già si
vedono articoli divulgativi sulla psicochirurgia. Non sembrano esserci
più le ragioni etiche che lo impedivano, sembra si sian dissolte. La
scienza, quando è finanziata dalle multinazionali, dell'etica se ne fa
un baffo. Scienza totalitaria. Sono finiti gli anni in cui si sorrideva,
anzi si rideva, delle ingenuità del comportamentismo, che non per caso,
durante la guerra fredda, aveva attecchito fortemente sia in URSS sia
negli USA, a indicare che altro non era che un epifenomeno della teoria
della guerra fredda.
Eppure negli USA si sono sviluppate le prime critiche radicali a questo
modo dominante di trattare i bambini. Nel 1986 Hugh Mehan, Alma
Hertweck e J. Lee Mehils dell'università della California a San Diego
(UCSD) scrivono Handicapping the Handicapped, libro che
denuncia i processi decisionali di attribuzione dell'etichetta di
handicap del sistema sanitario californiano. Queste ricerche, che hanno
connotato gli studi sociali fino agli anni Novanta, sono state
abbandonate, gli studi infantili che vanno di moda sono in gran parte
dedicati alle patologie reali o potenziali.
Ciò che va scomparendo non è l'infanzia ma l'idea che l'infanzia sia
una fase della vita da proteggere. I bambini sono diventati potenziali
individui pericolosi, abitati dall'impulsività, come i bambini con ADHD,
potenziali adulti improduttivi, come nei casi di autismo, potenziali
emarginati, potenziali dipendenti da sostanze, ecc. Questo giustifica
che la loro infanzia venga rapita dalla tecnologia.
Riprendiamoci l'infanzia, riattiviamo codici materni, quelle competenze
che il pediatra e psicoanalista Donald Winnicott descrive quando parla
alle madri. Le madri sono là ad ascoltare lui, ma lui dice che il loro
sapere per lui non è attingibile dalla posizione di pediatra e solo
ipotizzabile dalla posizione di psicoanalista. Quel sapere degli
affetti, dei sentimenti, dov'è finito?
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