Grazie a Luca per la segnalazione.
Veronika
domenica 26 gennaio 2014
martedì 21 gennaio 2014
venerdì 17 gennaio 2014
Peter Breggin: Per favore, basta elettroshock!
Recentemente ho raccolto sul sito www.ECTresources.org una collezione gratuita di documenti per aiutare la gente a opporsi alla TEC. Comprende più di 100 articoli sottoposti a "revisione paritaria"*, ricercabili tramite parole chiave come "brain damage" (danni al cervello), "memory loss" (perdita di memoria) ecc. E' anche possibile scaricare una brochure dedicata ai pazienti e i loro familiari.
La TEC prevede l'applicazione di due elettrodi sulla testa, per far circolare una corrente elettrica sufficiente a generare convulsioni di tipo epilettico. La corrente elettrica e le convulsioni danneggiano sempre il cervello in quanto causano sempre un coma profondo immediato, spesso accompagnato da un grafico di onde cerebrali piatte – simili a quelle che si hanno in seguito a morte del cervello – seguito inevitabilmente da segni di grave trauma cranico, come perdita di memoria, disorientamento, confusione, incapacità di giudizio, perdita di personalità e instabilità emotiva. I sintomi peggiorano e diventano permanenti all'aumentare del numero di trattamenti. Siccome almeno uno degli elettrodi, e spesso entrambi, viene posizionato sui lobi frontali, la TEC produce una vera e propria lobotomia elettrica.
mercoledì 15 gennaio 2014
Il miglior psichiatra del mondo!
Affidabile, corretto e capace di ascoltare i pazienti. Ecco il miglior psichiatra del mondo:
Purtroppo credo riceva solo a Miami...
Veronika
Purtroppo credo riceva solo a Miami...
Veronika
venerdì 10 gennaio 2014
Incontri
LA FABBRICA DELLA CURA MENTALE
diario di uno psichiatra riluttante
diario di uno psichiatra riluttante
incontro con l’autore, Piero Cipriano
VENERDì 17 GENNAIO 2014
ore 18.30 circolo Pink
via Scrimiari 7, Verona
a seguire: ore 20.30
aperi-cena diagnostica
con i FORNELLI RIBELLI
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A distanza di decenni dall’approvazione della legge 180, che sanciva la fine del manicomio, Cipriano ci racconta cos’è oggi un Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura. Se il manicomio ricordava un campo di concentramento, l’attuale Spdc ricorda una fabbrica, dove lo psichiatra è il tecnico specializzato addetto alla catena di montaggio umana, e il malato la macchina biologica rotta da aggiustare non con la parola ma con il farmaco. Così, quei luoghi destinati ad accogliere la sofferenza mentale sono diventati le roccaforti di una rinata cultura manicomiale in cui ad apparire socialmente pericolosi sono spesso proprio coloro che avrebbero dovuto garantire la gestione umana ed efficace delle crisi psichiatriche.
Piero Cipriano (1968), medico psichiatra psicoterapeuta, di formazione cognitivista ed etnopsichiatrica, ha lavorato in vari dipartimenti di Salute mentale d'Italia, dal Friuli alla Campania. Da qualche anno lavora in un Spdc di Roma.
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è un'iniziativa targata Biblioteca G. Domaschi - spazio culturale anarchico
con Studiare con lentezza
La biblioteca è aperta ogni giovedì dalle 17.00 alle 19.00
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domenica 5 gennaio 2014
La scomparsa dell'infanzia
Tratto dal sito Doppiozero, vi propongo un interessante articolo di Pietro Barbetta. Buona lettura.
Veronika
Un breve articolo di Paolo Mastrolilli sulla Stampa del 17 dicembre scorso – Usa:“Basta psicofarmaci ai bambini” Triplicato il loro uso in quindici anni – sollecita una riflessione più ampia. Qualche giorno prima, il 15 dicembre, appare sul New York Times un articolo di Alan Schwarz intitolato The Selling of Attention Deficit Disorder (La vendita del disturbo da deficit di attenzione), un atto di accusa alle case farmaceutiche che dal 2002 al 2012 hanno quadruplicato le vendite di psicostimolanti, quei farmaci che negli USA vengono venduti per“curare” o “guarire” questo disturbo nei bambini. Il fatto che appaia un simile articolo sul giornale più importante del mondo è confortante, vuol dire che qualcosa si muove.
Neil Postman (1931-2003) scrisse nel 1982 The Disappearence of Childhood. In quel libro si sosteneva che l'apparizione della cultura dei computer avrebbe tolto di mezzo l'asimmetria nella relazione adulto/bambino e avrebbe rivoluzionato il sistema scolastico. La maggiore facilità da parte dei bambini nell'acquisire la tecnologia elettronica li avrebbe messi, almeno per alcuni aspetti, in vantaggio rispetto agli adulti, capovolgendo il gap culturale.
La profezia di Postman si sta realizzando, ma per ragioni ben diverse: il mondo adulto ha paura del futuro e i bambini non sono più persone con cui condividere sentimenti, persone di cui avere fiducia riguardo al futuro. Sono diventati, nella cultura dominante, esseri potenzialmente pericolosi.
Un tempo il termine vivace, riferito a un bambino o a una bambina, indicava una caratteristica almeno in parte positiva. Vivace era il bimbo che sviluppava il pensiero divergente, che si esprimeva in maniera creativa. La vivacità (termine che contiene la parola “vita”) era espressione, volontà di creazione.
Certo comportava il conflitto. Capitava che, a casa, i fratellini e le sorelline litigassero tra loro, che, a scuola, i bambini facessero caciara. Tuttavia genitori e insegnanti sapevano che questa condizione, ancorché faticosa da gestire, richiedeva pazienza, attenzione, cura. Sapevano che i capricci e le discolerie nascondevano potenzialità. Si era cresciuti con Pinocchio, Alice nel paese delle meraviglie, Pierino porcospino, Il piccolo Principe, Piccole donne. Storie che, più o meno, descrivevano la formazione infantile. Ognuno, a suo modo, definiva il carattere nazionale di un paese.
L'infanzia era un fenomeno complesso. Era però chiaro che lo sguardo materno – che non è solo lo sguardo della madre – aveva un ruolo costitutivo nella relazione adulto/bambino. Si trattava anzitutto della fiducia, del codice affettivo, della semiotica del particolare (William Blake ci aveva insegnato che “il bene si fa nei minuti particolari”), della singolarità che si sviluppava.
A quell'epoca si sapeva come fare con i bambini vivaci, c'era del savoir faire.
Ve lo ricordate? Sembrano tempi così lontani.
A quel tempo la competenza sulle relazioni con l'infanzia si costruiva negli asili nido, nei giardini d'infanzia – ricordate la figura della maestra giardiniera? – nelle scuole a tempo pieno; dove c'era il tempo di leggere Marcovaldo, Rodari, La Pimpa. Nelle scuole montessoriane, dove si faceva educazione al tatto, al gusto, all'olfatto. Dove il sapere infantile era conseguenza di un godimento vitale: il gusto della scoperta, dell'esperimento. Dove il rispetto veniva da sé, non c'era bisogno di predicarlo, era parte fondamentale delle relazioni. Con tutta la fatica che i genitori, le educatrici, le maestre, gli insegnanti facevano. Spesso subendo le critiche di qualche intellettuale bacchettone, che proiettava le proprie frustrazioni su nuovi modi di apprendere, sostenendo che lo studio è sofferenza.
Oggi il bambino vivace è diventato un ADHD. Acronimo americano buono per il DSM, altro acronimo americano. Oggi parliamo per acronimi, gli acronimi coprono le origini, gli acronimi svolgono solo funzioni. Oggi non importa più neppure sapere da quali parole sono composti gli acronimi, anzi è meglio che non si sappia.
ADHD significa attention deficit hyperactivity disorder, ovvero disordine da deficit di attenzione e iperattività. I bambini vivaci sono patologizzati e le competenze per il loro trattamento sono diventate tecnologiche. In primo luogo farmaci. Si sostiene che i bambini affetti da ADHD hanno comportamenti impulsivi, che possono diventare adulti con disturbi di personalità (antisociali, borderline). Avete mai incontrato un bambino non impulsivo? Si è mai pensato, prima di quando l'ADHD diventasse una diagnosi diffusa, che l'impulsività non fosse una caratteristica costitutiva del bambino?
L'ADHD è solo l'esempio più scandaloso di come la tecnologia, questa Regina delle nevi che rapisce l'infanzia, abbia contribuito a diffondere una cultura della paura e della sfiducia nello sviluppo umano.
I codici materni, quella semiotica degli affetti, sono sotto attacco, l’evidence based medicine mostra come il metilfenidato, un potente farmaco psicostimolante, sia più efficace, nel correggere il comportamento, della relazione educativa e affettiva, le relazioni perdono importanza, si tratta di trattamento tecnologico.
È vero. Anche la lobotomia di Freeman aveva efficacia. Come mai non la usiamo più? Questa domanda oggi sembra diventare legittima. Già si vedono articoli divulgativi sulla psicochirurgia. Non sembrano esserci più le ragioni etiche che lo impedivano, sembra si sian dissolte. La scienza, quando è finanziata dalle multinazionali, dell'etica se ne fa un baffo. Scienza totalitaria. Sono finiti gli anni in cui si sorrideva, anzi si rideva, delle ingenuità del comportamentismo, che non per caso, durante la guerra fredda, aveva attecchito fortemente sia in URSS sia negli USA, a indicare che altro non era che un epifenomeno della teoria della guerra fredda.
Eppure negli USA si sono sviluppate le prime critiche radicali a questo modo dominante di trattare i bambini. Nel 1986 Hugh Mehan, Alma Hertweck e J. Lee Mehils dell'università della California a San Diego (UCSD) scrivono Handicapping the Handicapped, libro che denuncia i processi decisionali di attribuzione dell'etichetta di handicap del sistema sanitario californiano. Queste ricerche, che hanno connotato gli studi sociali fino agli anni Novanta, sono state abbandonate, gli studi infantili che vanno di moda sono in gran parte dedicati alle patologie reali o potenziali.
Ciò che va scomparendo non è l'infanzia ma l'idea che l'infanzia sia una fase della vita da proteggere. I bambini sono diventati potenziali individui pericolosi, abitati dall'impulsività, come i bambini con ADHD, potenziali adulti improduttivi, come nei casi di autismo, potenziali emarginati, potenziali dipendenti da sostanze, ecc. Questo giustifica che la loro infanzia venga rapita dalla tecnologia.
Riprendiamoci l'infanzia, riattiviamo codici materni, quelle competenze che il pediatra e psicoanalista Donald Winnicott descrive quando parla alle madri. Le madri sono là ad ascoltare lui, ma lui dice che il loro sapere per lui non è attingibile dalla posizione di pediatra e solo ipotizzabile dalla posizione di psicoanalista. Quel sapere degli affetti, dei sentimenti, dov'è finito?
Veronika
Un breve articolo di Paolo Mastrolilli sulla Stampa del 17 dicembre scorso – Usa:“Basta psicofarmaci ai bambini” Triplicato il loro uso in quindici anni – sollecita una riflessione più ampia. Qualche giorno prima, il 15 dicembre, appare sul New York Times un articolo di Alan Schwarz intitolato The Selling of Attention Deficit Disorder (La vendita del disturbo da deficit di attenzione), un atto di accusa alle case farmaceutiche che dal 2002 al 2012 hanno quadruplicato le vendite di psicostimolanti, quei farmaci che negli USA vengono venduti per“curare” o “guarire” questo disturbo nei bambini. Il fatto che appaia un simile articolo sul giornale più importante del mondo è confortante, vuol dire che qualcosa si muove.
Neil Postman (1931-2003) scrisse nel 1982 The Disappearence of Childhood. In quel libro si sosteneva che l'apparizione della cultura dei computer avrebbe tolto di mezzo l'asimmetria nella relazione adulto/bambino e avrebbe rivoluzionato il sistema scolastico. La maggiore facilità da parte dei bambini nell'acquisire la tecnologia elettronica li avrebbe messi, almeno per alcuni aspetti, in vantaggio rispetto agli adulti, capovolgendo il gap culturale.
La profezia di Postman si sta realizzando, ma per ragioni ben diverse: il mondo adulto ha paura del futuro e i bambini non sono più persone con cui condividere sentimenti, persone di cui avere fiducia riguardo al futuro. Sono diventati, nella cultura dominante, esseri potenzialmente pericolosi.
Un tempo il termine vivace, riferito a un bambino o a una bambina, indicava una caratteristica almeno in parte positiva. Vivace era il bimbo che sviluppava il pensiero divergente, che si esprimeva in maniera creativa. La vivacità (termine che contiene la parola “vita”) era espressione, volontà di creazione.
Certo comportava il conflitto. Capitava che, a casa, i fratellini e le sorelline litigassero tra loro, che, a scuola, i bambini facessero caciara. Tuttavia genitori e insegnanti sapevano che questa condizione, ancorché faticosa da gestire, richiedeva pazienza, attenzione, cura. Sapevano che i capricci e le discolerie nascondevano potenzialità. Si era cresciuti con Pinocchio, Alice nel paese delle meraviglie, Pierino porcospino, Il piccolo Principe, Piccole donne. Storie che, più o meno, descrivevano la formazione infantile. Ognuno, a suo modo, definiva il carattere nazionale di un paese.
L'infanzia era un fenomeno complesso. Era però chiaro che lo sguardo materno – che non è solo lo sguardo della madre – aveva un ruolo costitutivo nella relazione adulto/bambino. Si trattava anzitutto della fiducia, del codice affettivo, della semiotica del particolare (William Blake ci aveva insegnato che “il bene si fa nei minuti particolari”), della singolarità che si sviluppava.
A quell'epoca si sapeva come fare con i bambini vivaci, c'era del savoir faire.
Ve lo ricordate? Sembrano tempi così lontani.
A quel tempo la competenza sulle relazioni con l'infanzia si costruiva negli asili nido, nei giardini d'infanzia – ricordate la figura della maestra giardiniera? – nelle scuole a tempo pieno; dove c'era il tempo di leggere Marcovaldo, Rodari, La Pimpa. Nelle scuole montessoriane, dove si faceva educazione al tatto, al gusto, all'olfatto. Dove il sapere infantile era conseguenza di un godimento vitale: il gusto della scoperta, dell'esperimento. Dove il rispetto veniva da sé, non c'era bisogno di predicarlo, era parte fondamentale delle relazioni. Con tutta la fatica che i genitori, le educatrici, le maestre, gli insegnanti facevano. Spesso subendo le critiche di qualche intellettuale bacchettone, che proiettava le proprie frustrazioni su nuovi modi di apprendere, sostenendo che lo studio è sofferenza.
Oggi il bambino vivace è diventato un ADHD. Acronimo americano buono per il DSM, altro acronimo americano. Oggi parliamo per acronimi, gli acronimi coprono le origini, gli acronimi svolgono solo funzioni. Oggi non importa più neppure sapere da quali parole sono composti gli acronimi, anzi è meglio che non si sappia.
ADHD significa attention deficit hyperactivity disorder, ovvero disordine da deficit di attenzione e iperattività. I bambini vivaci sono patologizzati e le competenze per il loro trattamento sono diventate tecnologiche. In primo luogo farmaci. Si sostiene che i bambini affetti da ADHD hanno comportamenti impulsivi, che possono diventare adulti con disturbi di personalità (antisociali, borderline). Avete mai incontrato un bambino non impulsivo? Si è mai pensato, prima di quando l'ADHD diventasse una diagnosi diffusa, che l'impulsività non fosse una caratteristica costitutiva del bambino?
L'ADHD è solo l'esempio più scandaloso di come la tecnologia, questa Regina delle nevi che rapisce l'infanzia, abbia contribuito a diffondere una cultura della paura e della sfiducia nello sviluppo umano.
I codici materni, quella semiotica degli affetti, sono sotto attacco, l’evidence based medicine mostra come il metilfenidato, un potente farmaco psicostimolante, sia più efficace, nel correggere il comportamento, della relazione educativa e affettiva, le relazioni perdono importanza, si tratta di trattamento tecnologico.
È vero. Anche la lobotomia di Freeman aveva efficacia. Come mai non la usiamo più? Questa domanda oggi sembra diventare legittima. Già si vedono articoli divulgativi sulla psicochirurgia. Non sembrano esserci più le ragioni etiche che lo impedivano, sembra si sian dissolte. La scienza, quando è finanziata dalle multinazionali, dell'etica se ne fa un baffo. Scienza totalitaria. Sono finiti gli anni in cui si sorrideva, anzi si rideva, delle ingenuità del comportamentismo, che non per caso, durante la guerra fredda, aveva attecchito fortemente sia in URSS sia negli USA, a indicare che altro non era che un epifenomeno della teoria della guerra fredda.
Eppure negli USA si sono sviluppate le prime critiche radicali a questo modo dominante di trattare i bambini. Nel 1986 Hugh Mehan, Alma Hertweck e J. Lee Mehils dell'università della California a San Diego (UCSD) scrivono Handicapping the Handicapped, libro che denuncia i processi decisionali di attribuzione dell'etichetta di handicap del sistema sanitario californiano. Queste ricerche, che hanno connotato gli studi sociali fino agli anni Novanta, sono state abbandonate, gli studi infantili che vanno di moda sono in gran parte dedicati alle patologie reali o potenziali.
Ciò che va scomparendo non è l'infanzia ma l'idea che l'infanzia sia una fase della vita da proteggere. I bambini sono diventati potenziali individui pericolosi, abitati dall'impulsività, come i bambini con ADHD, potenziali adulti improduttivi, come nei casi di autismo, potenziali emarginati, potenziali dipendenti da sostanze, ecc. Questo giustifica che la loro infanzia venga rapita dalla tecnologia.
Riprendiamoci l'infanzia, riattiviamo codici materni, quelle competenze che il pediatra e psicoanalista Donald Winnicott descrive quando parla alle madri. Le madri sono là ad ascoltare lui, ma lui dice che il loro sapere per lui non è attingibile dalla posizione di pediatra e solo ipotizzabile dalla posizione di psicoanalista. Quel sapere degli affetti, dei sentimenti, dov'è finito?
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