giovedì 4 luglio 2013

Edvard Munch


 
150 anni fa nasceva Edvard Munch. Sulla sua opera di pittore e sui suoi quadri non credo ci sia bisogno di scrivere nulla. Anche sulla sua triste esistenza sono stati scritti libri e articoli a volontà. Ma tramite questo blog ci piace ricordare l'esperienza da lui provata in una casa di cura e di come la pittura abbia ribaltato i ruoli di potere esistenti fra medico e paziente. Nel 1908 infatti entra in una clinica di Copenhagen, dove passerà otto mesi della sua vita tentando di risolvere quelli che vengono generalmente definiti come episodi di estrema ansia, paralisi e abuso di alcol.
 Ecco il dottor Jakobsen al lavoro, mentre "si prende cura" di Munch. Si potrebbe pensare che stia praticando un elettroshock, ma in realtà si tratta di non meglio specificata "elettroterapia". “Professor Jacobsen is electrifying the famous painter Munch, and is bringing a positive masculine force and a negative feminine force to his fragile brain.” Questo è ciò che recita la didascalia sopra il disegno.
Ma i ruoli, come scritto sopra, si sarebbero ben presto invertiti. Munch sfuggiva alle (inutili) cure dell'ospedale con la sua arma migliore, la pittura naturalmente. Ovviamente è proprio il dottor Jakobsen a diventare uno dei suoi soggetti preferiti.
 
Munch descrive il suo medico e il loro rapporto: “Jacobsen was a fine physician. He walked around like a pope among white nurses and pale patients. The food was white too—everything was white except Jacobsen. I wanted to say something too, so I asked him to pose for me…I have put him in the flames of hell. He stands looking down as a pope upon his white-clad nurses and us, the pale, sick ones…When I was painting him, Jacobsen begged for mercy and he became as gentle as a dove.”

Alla fine Munch seguirà le prescrizioni del medico (“tobacco-free cigars, alcohol-free drinks, and poison-free women.”) e abbandonerà la casa di cura, ma chiaramente non guarirà. Guarire per Munch avrebbe significato abbandonare la sua stessa natura, essere un altro, perdere la propria identità...e questa non può essere chiamata guarigione.

“My sufferings are part of my self and my art. They are indistringuishable from me, and their destruction would destroy my art.”

Veronika



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