martedì 22 gennaio 2013

Mastrogiovanni ma non solo... (tratto dalla lettera aperta dei collettivi Artaud di Pisa e Viola di Milano)

Qualche anno fa, a Vallo della Lucania, un uomo venne braccato da un
imponente schieramento di forze dell’ordine per aver commesso
un’infrazione stradale. L’uomo era conosciuto dai servizi psichiatrici
territoriali, si chiamava Francesco Mastrogiovanni e per questo scattò
nei suoi confronti un Trattamento Sanitario Obbligatorio. Per chiunque
altro sarebbe finito tutto con una multa o, nel peggiore dei casi, con
un ritiro della patente. Ma per il maestro delle elementari la vicenda
si concluse in un reparto di psichiatria dove trovò la morte dopo 4
giorni di contenzione forzata. Un’altra storia simile avvenne in
Sardegna, dove Giuseppe Casu, venditore ambulante, mentre protestava per
il diniego dell’autorizzazione a occupare il suolo pubblico veniva
internato e moriva nel reparto psichiatrico di Cagliari dopo diversi
giorni di letto di contenzione.
In realtà si tratta di storie dall’origine più disparata, che non
avrebbero niente in comune tra di loro se non fossero accomunate dal
ricovero in un reparto psichiatrico in seguito al quale è sopraggiunta
la morte.

In Italia la detenzione psichiatrica, ovvero il Trattamento Sanitario
Obbligatorio, è regolamentata dalla legge 180 del 1978. Questa per
arginare gli abusi del sistema Manicomiale sancì tutta una serie di
norme che resero l’internamento coatto un provvedimento amministrativo
temporaneo, proposto da medici, autorizzato dal Sindaco, in qualità di
autorità sanitaria locale e convalidato dal giudice Tutelare, entro
tempi prestabiliti. Omissioni e ritardi producevano la nullità del
provvedimento amministrativo da realizzarsi solo ed esclusivamente nei
reparti psichiatrici di ospedali generali. La riforma Basaglia, come
venne soprannominata, condusse gradualmente alla chiusura delle grandi
strutture manicomiali e alla nascita degli SPDC (Servizi Psichiatrici di
Diagnosi e Cura), dove si sarebbero dovute internare persone solo per
gravi ed urgenti motivi e per un periodo di tempo limitato ad una
settimana, prolungabile con una richiesta di proroga e con la convalida
del Giudice Tutelare. La legge Basaglia stabilì in sostanza una
procedura formale che avrebbe dovuto funzionare da antidoto agli abusi
manicomiali. Un tentativo di imbrigliare gli eventuali abusi
psichiatrici nelle maglie di una burocrazia che dava, a chiunque ne
avesse l’interesse, il diritto a ricorrere verso tale provvedimento, una
sorta di controllo democratico sull’operato dell’istituzione
psichiatrica che nel suo passato manicomiale si era contraddistinta per
particolari violazioni ed atrocità.
A Pisa esiste il Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud che si
muove ormai da più di un decennio in difesa dei diritti fondamentali
delle persone che diventano pazienti psichiatrici e vengono quindi
sottoposti al TSO. Il Collettivo viene contattato dai diretti
interessati quando sono in reparto, da familiari, da amici e vengono
richiesti consigli, informazioni legali e sui farmaci, viene chiesto
aiuto e sostegno o semplicemente di essere ascoltati per denunciare
quello che per loro è un abuso. In questo modo pervengono all’orecchio
del Collettivo molte storie di vita che quando vengono verificate e
approfondite risultano complicate dalla psichiatria stessa.
Come la storia di un uomo, pervenuta di recente all'orecchio del
Collettivo, al quale la psichiatria aveva intenzione di fare
l'elettroshock. Il signore in questione è stato ricoverato per più di
venti giorni all’ospedale Santa Chiara di Pisa senza essere oggetto di
alcun provvedimento di trattamento sanitario obbligatorio. In maniera
preventiva, non appena l'uomo arrivava al reparto di psichiatria veniva
immediatamente legato. L'uomo era li perché non mangiava più da due
settimane, ma fu immediatamente legato al letto e solo diversi giorni
dopo alimentato. Questa storia è emblematica del fatto che gli
psichiatri abbiano avuto immediata premura di legare la persona al letto
e di proporre l'elettroshock, ma non di alimentarla. Negli stati di
anoressia, quando necessita un'alimentazione forzata, si arriva spesso a
legare al letto per prevenire il rischio che il paziente si tolga il
sondino naso-gastrico, ma nel caso di quest'uomo la misura di sicurezza
preventiva è stata antecedente addirittura all'alimentazione,
prolungando così il suo digiuno.
Spesso durante i ricoveri psichiatrici vengono omessi gli obblighi di
legge previsti dalla legge 180, procrastinando illegalmente nel tempo,
anche per settimane, la formalizzazione del TSO. Re-legare a letto
produce rischi per l'apparato respiratorio, mina le capacità motorie e
compromette gravemente l'autonomia di una qualunque persona,
specialmente per periodi prolungati. Inoltre la risposta omologante e
uguale per tutti che si sostanzia nella somministrazione di
psicofarmaci, presso il proprio domicilio, in day hospital, in casa
famiglia o in reparto, rende la psichiatria pubblica come una sorta di
dispositivo di controllo dal quale, una volta entrati, non è facile
uscire, facendo sentire le persone completamente espropriate della
facoltà di decidere della propria esistenza. In nome di una presunta e
presupposta pericolosità sociale, che è sempre importante ricordare non
proviene da una sentenza di un tribunale, ma di fatto dal semplice
giudizio psichiatrico, vengono limitati i diritti costituzionali delle
persone. Dalla esperienza del Collettivo questo approccio psichiatrico
alla questione che fa della persona “malata” un nemico della società dal
quale bisogna difendersi, produce una sorta di stato di guerra
permanente che ad esempio porta alla contenzione al letto anche persone
molto pacifiche. Tra l’istituzione e le persone coinvolte c'è una vera e
propria guerra fredda in nome della sicurezza preventiva e questo
conduce inevitabilmente all’innalzamento di muri di incomprensione e
alla degenerazione delle vicende di cui la psichiatria si prende carico.
Tutte le cure dovrebbero essere volontarie senza eccezione per le
“patologie psichiatriche”, solo con l'abolizione del TSO si possono
superare gli abusi che si sono perpetrati nei manicomi e che oggi
continuano nei reparti di psichiatria. Per non avere altri casi
Mastrogiovanni, bisognerebbe smetterla di legare persone, e capire che
chiunque se viene maltrattato e forzato diventa pericoloso per chi lo
maltratta e lo forza. Al di là di tanta bella teoria, nella realtà dei
fatti, la psichiatria pubblica non cerca di conoscere la storia ed il
vissuto delle persone, per tutti esiste una sola risposta terapeutica:
quella farmacologica o tutto al più l'elettroshock. Chi non ha
abbastanza denaro e non può permettersi uno specialista privato o
scegliere liberamente una struttura dove ricoverarsi difficilmente sarà
capace di sottrarsi ad un destino che altri hanno "prescritto" per lui.

Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud- Pisa
Collettivo Telefono Viola- Milano

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