Carcere di Pozzale diventa una Rems, Pavese: “Una scelta illogica”
E
quindi un carcere (fra l’altro struttura d’eccellenza a detta degli
addetti ai lavori) si trasformerà in Rems. Questo è quanto deciso per
mettere in atto una legge, quella sul superamento degli Opg, che già era
fatta male ma che viene applicata ancora peggio. La decisione di
trasformare il carcere femminile di Empoli in Rems per ospitare i
pazienti psichiatrici dell’ex Opg di Montelupo è una decisione priva di
ogni logica: si parla di strutture sanitarie di recupero e poi si
trasferiscono i pazienti in strutture carcerarie, come di fatto è la
Rems di Volterra, che ho personalmente visitato, anche se solo
dall’esterno, che ovviamente non basta più per ospitare i degenti
toscani e delle altre regioni “convenzionate”. E perché? Perché chi ha
fatto la legge sul superamento degli Opg ( amministratori di maggioranza
montelupini, che negli anni hanno fatto viaggi e viaggi ai ministeri
romani per fornire preziose consulenze, compresi) ha fatto una legge
demagogica e dettata dall’ideologia del recupero sociale a tutti i costi
che poi si è scontrata con la dura realtà. Ma invece di rimediare,
magari cambiando la legge, ripristinando una sorveglianza almeno
perimetrale della polizia penitenziaria alle Rems, si prendono strutture
carcerarie o se ne trasformano altre in mini carceri (come Volterra),
affidandosi, per la sicurezza, a un sistema territoriale di pubblica
sicurezza, già in difficoltà. Aggiungendo altri lavoratori di polizia
penitenziaria da dover ricollocare sul territorio. Unica nota positiva
della futura Rems di Empoli: le competenze del personale sanitario della
nostra Asl, che saranno sicuramente d’aiuto nella delicata gestione
della situazione. Ma il tutto non giustifica un’improvvisazione
attuativa che poteva essere evitata, mantenendo la Rems toscana nelle
sezioni montelupine, ristrutturate con fior di milioni di finanziamenti
pubblici.
Grazie ad Artaud per la segnalazione, fonte: (gonews.it)
venerdì 29 luglio 2016
domenica 10 luglio 2016
Gli antidepressivi, deprimono
fonte: http://lantipsichiatria.blogspot.it/ e La Stampa Salute
In alcuni casi gli antidepressivi, non solo possono rendere più depressi, ma possono causare anche gravi effetti indesiderati come ictus e morte prematura
Gli psicofarmaci antidepressivi si assumono proprio per combattere la
depressione, se però si rischia di veder addirittura peggiorare i
sintomi, e avere in più difficoltà digestive, allora forse c’è qualcosa
che non va. Ed è quello che hanno scoperto i ricercatori della canadese
McMaster University.
Gli investigatori hanno voluto indagare
sugli effetti dei cosiddetti farmaci inibitori selettivi della
serotonina o SSRI, che hanno il preciso compito di gestire i livelli di
serotonina nel cervello in modo che la persona si “senta bene”.
Tuttavia, proprio la gestione della serotonina si può dimostrare un’arma
a doppio taglio in quanto questo ormone agisce in aree del cervello e
del corpo in modi differenti.
Ciò che i ricercatori guidati dallo
professor Paul Andrews hanno scoperto è che livelli di serotonina
alterati dai farmaci possono produrre tutta una vasta gamma di effetti
indesiderati, anche gravi.
Tra questi si va dai più “semplici”
problemi digestivi ai più seri come difficoltà sessuali, aborto
spontaneo, ictus e morte prematura negli anziani. «Dobbiamo essere molto
più cauti nei confronti dell’uso diffuso di questi farmaci», ha
commentato a tale proposito il dottor Andrews.
Dai risultati dello studio, pubblicati su Frontiers In Evolutionary Psychology,
si scopre che la ricerca ha suggerito fin dal principio che certi
farmaci offrono pochi benefici per la maggior parte delle persone
affette da depressione lieve e moderata, mentre offrono un aiuto attivo
solo ad alcuni tra i più gravemente depressi. Si parla addirittura di
effetti positivi più marcati con l’uso di un placebo.
La chiave di
tutto ciò sta proprio nella serotonina e negli effetti che produce la
sua alterazione, sottolinea Andrews. E sempre i livelli alterati di
questo ormone che possono spiegare il motivo per cui i pazienti possono
spesso finiscono per sentirsi ancora più depressi dopo aver terminato un
ciclo di cura con i farmaci SSRI.
Secondo Andrews gli
antidepressivi SSRI interferiscono con il cervello, lasciando il
paziente vulnerabile a una depressione di “rimbalzo” che speso si
presenta con intensità ancora maggiore rispetto a prima.
Pertanto, a
seguito di una sospensione dai farmaci SSRI «dopo un uso prolungato, il
cervello compensa riducendo i livelli di produzione di serotonina – fa
notare Andrews – Questo cambia anche il modo in cui i recettori nel
cervello rispondono alla serotonina, rendendo il cervello meno sensibile
a questa sostanza».
Allo stato attuale, i ricercatori ritengono che
detti cambiamenti siano temporanei, tuttavia diversi studi suggeriscono
che gli effetti indesiderati possono permanere fino a due anni.
Sebbene
i casi di ricaduta non siano esclusivi e ascrivibili soltanto ai
farmaci SSRI, ma possono mostrarsi con tutte le classi di farmaci
antidepressivi, i ricercatori ritengono che il rischio sia decisamente
maggiore con gli SSRI.
Oltre a ciò, i farmaci SSRI possono interferire con tutti i processi fisici che di norma sono regolati dalla serotonina.
Per
esempio, la maggior parte di questa sostanza la ritroviamo
nell’intestino. Ed è altresì utilizzata per controllare la digestione,
formare dei coaguli di sangue nei punti di cicatrizzazione e anche
regolare la riproduzione e la crescita. Ecco dunque che un farmaco che
interferisce con la serotonina può causare problemi di sviluppo nei
bambini, problemi sessuali e nello sviluppo degli spermatozoi negli
adulti. Come accennato si possono verificare anche problemi digestivi,
stipsi, diarrea, indigestione e gonfiore. Infine, non sono da
sottovalutare un possibile sanguinamento anormale ed eventi
cardiovascolari come l’ictus nei pazienti anziani, conclude Andrews.
domenica 3 luglio 2016
lunedì 27 giugno 2016
Psichiatria e potere
Tratto da http://www.arivista.org/
intervista a Giorgio Antonucci di Moreno Paulon
Dalla collaborazione con Franco Basaglia fino alla chiusura dei manicomi di Imola, uno dei più noti psicanalisti italiani ripercorre la sua vita professionale, ci ricorda che le “malattie mentali“ non esistono e spiega perché il principale nemico è ancora lo Stato. Giorgio Antonucci (Lucca, 1933) è un medico italiano che ha dedicato i suoi studi e il suo lavoro ad abolire la violenza psichiatrica. Ha lavorato con Franco Basaglia nell'ospedale di Gorizia, ha diretto vari istituti psichiatrici sul territorio nazionale ed è autore di numerose pubblicazioni di ispirazione libertaria nelle quali pone in discussione gli assunti stessi dell'epistemoligia psichiatrica. Assumendo lo spirito dell'etica basagliana, ha lavorato allo smantellamento del manicomio di Imola. Nel 2005 è stato insignito del premio internazionale Thomas Szasz «per eccezionali contributi nella lotta contro lo Stato terapeutico», vale a dire contro uno Stato che adotta il pregiudizio psichiatrico per reprimere le devianze dall'ordine costituito. Storicizzando la natura dell'apparato psichiatrico, decostruendone i concetti e abdicando personalmente alle sue pratiche repressive, Antonucci riconduce il patologico al sociale, indicando il ruolo politico delle concezioni mediche assunte al servizio delle relazioni di potere fra gli individui e fra i gruppi sociali. L'ho intervistato a casa sua, a Firenze, con l'intenzione di chiarire il ruolo dell'apparato statale di fronte alle spinte più progressiste della società italiana negli anni '70, di indagare lo scarto fra la sua visione e quella di Franco Basaglia e di scoprire quali siano gli ultimi muri, ancora da abbattere, nella lunga lotta contro la discriminazione sociale di ispirazione psichiatrica. Nelle lucide considerazioni di Giorgio Antonucci la psichiatria depone senza appello la sua maschera scientifica e svela un volto fatto di uomini, di comunicazione e di potere. M.P.
Quando arrivò la polizia noi ci chiudemmo dentro
L'Italia può gloriarsi oggi della legge 180/1978, del “metodo Basaglia“ e della chiusura dei manicomi come un progresso sociale nazionale. Ma quali furono realmente le prime reazioni dello Stato di fronte alle innovazioni promosse da te, da Cotti, da Basaglia?
Richiamo un episodio su tutti. Nel 1968 Basaglia stava trasformando il manicomio di Gorizia, Cotti era impegnato a Bologna al reparto manicomiale di villa Olimpia ed io lavoravo a Firenze. Quando Cotti si trasferì per assumere la dirigenza del nuovo reparto “neurologico“ di Cividale del Friuli, Basaglia pensò di inaugurare anche lì un discorso nuovo, così si rivolsero a me sapendo che avevamo le stesse idee. Io da Firenze, Cotti da Bologna e Leopoldo Tesi da Gorizia impostammo insieme il lavoro a Cividale secondo i nostri criteri: le persone si rivolgevano a noi soltanto volontariamente, non erano invitate ad assumere farmaci di nessun tipo, non erano contenute da camicie di forza ed erano anzi tutte libere di muoversi in giro per la città. Cotti aveva letto Il mito della malattia mentale di Thomas Szasz e sapeva che le persone non hanno malattie di mente, ma problemi di relazione da risolvere, così parlavamo con loro, singolarmente o in assemblee. Fuori da questi incontri le persone andavano nei bar, in farmacia, a teatro, in chiesa, dove volevano. Cividale del Friuli è una cittadina piccola, la situazione divenne subito nota e il sindaco Guglielmo Pelizzo, sindaco democristiano, allineato con il governo Leone, governo democristiano, decise che queste persone non dovevano stare liberamente fra le altre, ma rinchiuse come da tradizione repressiva. Un giorno si seppe, attraverso Basaglia, che avevano intenzione di chiuderci. Mandarono la polizia. I poliziotti partirono da Udine in colonna. Il dispiegamento di forze era tale che i cittadini pensarono si trattasse di una mobilitazione legata ai fatti cecoslovacchi oltreconfine. Fu la sola volta, a mio sapere, che in una nazione non totalitaria un ospedale venne aggredito dallo Stato senza che fosse accaduto nulla. Quando arrivò la polizia, noi ci chiudemmo dentro. Dopo un po' si iniziò a parlamentare e Cotti fece l'errore, decise di fidarsi e aprì la porta. Gli passarono addosso con tutta la violenza della polizia quando interviene per reprimere, la violenza che conosciamo anche oggi. Fummo aggrediti e ci buttarono fuori. Poi volevano portarsi via i nostri utenti, li volevano prendere e rinchiudere. Sia io che Cotti ci opponemmo fisicamente per evitare il sequestro, l'internamento delle persone, e ci riuscimmo. Però l'esperienza di Cividale fu chiusa. Ne parlarono tutti i giornali, anche all'estero, perché era un modo di intervenire inammissibile. Credo sia stata la prima volta nel mondo.
Quindi la lotta contro l'istituzione psichiatrica fu una lotta contro lo Stato?
È ancora una lotta contro lo Stato. Non c'è da stupirsi: persino Freud, da ebreo a Vienna in quegli anni e promotore di tutte le sue novità, trovava spesso la polizia nel suo studio.
Se si abolisse il ricovero coatto...
Quali sono i nuovi orizzonti che la psichiatria dovrebbe porsi nei confronti dello Stato?
C'è una legge dello Stato, che secondo me non coincide con la Costituzione, che consente di rinchiudere un cittadino che non ha fatto niente, che non ha commesso nessun reato. Questa legge ammette la pratica del ricovero coatto, che oggi chiamano “trattamento sanitario obbligatorio“. Se una persona dice di essere San Francesco, solo perché fa un discorso che non mi convince può finire sequestrata. Uno psichiatra emette un certificato medico, questo viene accompagnato da un'ordinanza del sindaco (il quale dovrebbe garantire il benessere dei cittadini, ma poi non si reca mai sul posto a controllare per davvero che cosa succede), e la persona viene presa e messa da parte, chiusa in un edificio chiamato comunità terapeutica, o clinica psichiatrica. Ci viene portata con la forza e contro la sua volontà. Se poi si arrabbia e spacca tutto (e ne ha tutte le ragioni) gli mettono pure la camicia di forza. Tutto legale. Se si abolisse, come io chiedo da anni, il ricovero coatto, cambierebbe tutto il discorso. Essere presi con la forza e portati un in posto senza difesa è inammissibile. Lo Stato prevede ancora che una persona possa essere sequestrata con la forza quando un'altra crede che il suo pensiero non sia accettabile: è una questione repressiva. Con il trattamento sanitario obbligatorio lo Stato commette una violenza contro cittadini assolutamente innocenti e senza alcuna difesa. L'unico sequestro di persona concepibile nel nostro ordinamento è quello per un'ipotesi di reato. Ma in quel caso ci vuole un'iniziativa della Procura della Repubblica, poi c'è l'avvocato difensore, poi ci sarà il processo, un secondo grado e un terzo grado, poi la cassazione, per cui anche sotto ipotesi di reato un cittadino è garantito da una serie di difese. Invece la persona che sostiene di essere San Francesco, per questo o per altri discorsi, può essere sequestrata con un certificato medico di proposta, uno di conferma, e la benedizione di un sindaco. L'obiettivo da porsi è l'abolizione del ricovero coatto. Decaduto questo, il potere del controllo è finito. Per questo nessuno avanza questa richiesta, nemmeno Basaglia l'ha mai avanzata.
intervista a Giorgio Antonucci di Moreno Paulon
Dalla collaborazione con Franco Basaglia fino alla chiusura dei manicomi di Imola, uno dei più noti psicanalisti italiani ripercorre la sua vita professionale, ci ricorda che le “malattie mentali“ non esistono e spiega perché il principale nemico è ancora lo Stato. Giorgio Antonucci (Lucca, 1933) è un medico italiano che ha dedicato i suoi studi e il suo lavoro ad abolire la violenza psichiatrica. Ha lavorato con Franco Basaglia nell'ospedale di Gorizia, ha diretto vari istituti psichiatrici sul territorio nazionale ed è autore di numerose pubblicazioni di ispirazione libertaria nelle quali pone in discussione gli assunti stessi dell'epistemoligia psichiatrica. Assumendo lo spirito dell'etica basagliana, ha lavorato allo smantellamento del manicomio di Imola. Nel 2005 è stato insignito del premio internazionale Thomas Szasz «per eccezionali contributi nella lotta contro lo Stato terapeutico», vale a dire contro uno Stato che adotta il pregiudizio psichiatrico per reprimere le devianze dall'ordine costituito. Storicizzando la natura dell'apparato psichiatrico, decostruendone i concetti e abdicando personalmente alle sue pratiche repressive, Antonucci riconduce il patologico al sociale, indicando il ruolo politico delle concezioni mediche assunte al servizio delle relazioni di potere fra gli individui e fra i gruppi sociali. L'ho intervistato a casa sua, a Firenze, con l'intenzione di chiarire il ruolo dell'apparato statale di fronte alle spinte più progressiste della società italiana negli anni '70, di indagare lo scarto fra la sua visione e quella di Franco Basaglia e di scoprire quali siano gli ultimi muri, ancora da abbattere, nella lunga lotta contro la discriminazione sociale di ispirazione psichiatrica. Nelle lucide considerazioni di Giorgio Antonucci la psichiatria depone senza appello la sua maschera scientifica e svela un volto fatto di uomini, di comunicazione e di potere. M.P.
Quando arrivò la polizia noi ci chiudemmo dentro
L'Italia può gloriarsi oggi della legge 180/1978, del “metodo Basaglia“ e della chiusura dei manicomi come un progresso sociale nazionale. Ma quali furono realmente le prime reazioni dello Stato di fronte alle innovazioni promosse da te, da Cotti, da Basaglia?
Richiamo un episodio su tutti. Nel 1968 Basaglia stava trasformando il manicomio di Gorizia, Cotti era impegnato a Bologna al reparto manicomiale di villa Olimpia ed io lavoravo a Firenze. Quando Cotti si trasferì per assumere la dirigenza del nuovo reparto “neurologico“ di Cividale del Friuli, Basaglia pensò di inaugurare anche lì un discorso nuovo, così si rivolsero a me sapendo che avevamo le stesse idee. Io da Firenze, Cotti da Bologna e Leopoldo Tesi da Gorizia impostammo insieme il lavoro a Cividale secondo i nostri criteri: le persone si rivolgevano a noi soltanto volontariamente, non erano invitate ad assumere farmaci di nessun tipo, non erano contenute da camicie di forza ed erano anzi tutte libere di muoversi in giro per la città. Cotti aveva letto Il mito della malattia mentale di Thomas Szasz e sapeva che le persone non hanno malattie di mente, ma problemi di relazione da risolvere, così parlavamo con loro, singolarmente o in assemblee. Fuori da questi incontri le persone andavano nei bar, in farmacia, a teatro, in chiesa, dove volevano. Cividale del Friuli è una cittadina piccola, la situazione divenne subito nota e il sindaco Guglielmo Pelizzo, sindaco democristiano, allineato con il governo Leone, governo democristiano, decise che queste persone non dovevano stare liberamente fra le altre, ma rinchiuse come da tradizione repressiva. Un giorno si seppe, attraverso Basaglia, che avevano intenzione di chiuderci. Mandarono la polizia. I poliziotti partirono da Udine in colonna. Il dispiegamento di forze era tale che i cittadini pensarono si trattasse di una mobilitazione legata ai fatti cecoslovacchi oltreconfine. Fu la sola volta, a mio sapere, che in una nazione non totalitaria un ospedale venne aggredito dallo Stato senza che fosse accaduto nulla. Quando arrivò la polizia, noi ci chiudemmo dentro. Dopo un po' si iniziò a parlamentare e Cotti fece l'errore, decise di fidarsi e aprì la porta. Gli passarono addosso con tutta la violenza della polizia quando interviene per reprimere, la violenza che conosciamo anche oggi. Fummo aggrediti e ci buttarono fuori. Poi volevano portarsi via i nostri utenti, li volevano prendere e rinchiudere. Sia io che Cotti ci opponemmo fisicamente per evitare il sequestro, l'internamento delle persone, e ci riuscimmo. Però l'esperienza di Cividale fu chiusa. Ne parlarono tutti i giornali, anche all'estero, perché era un modo di intervenire inammissibile. Credo sia stata la prima volta nel mondo.
Quindi la lotta contro l'istituzione psichiatrica fu una lotta contro lo Stato?
È ancora una lotta contro lo Stato. Non c'è da stupirsi: persino Freud, da ebreo a Vienna in quegli anni e promotore di tutte le sue novità, trovava spesso la polizia nel suo studio.
Se si abolisse il ricovero coatto...
Quali sono i nuovi orizzonti che la psichiatria dovrebbe porsi nei confronti dello Stato?
C'è una legge dello Stato, che secondo me non coincide con la Costituzione, che consente di rinchiudere un cittadino che non ha fatto niente, che non ha commesso nessun reato. Questa legge ammette la pratica del ricovero coatto, che oggi chiamano “trattamento sanitario obbligatorio“. Se una persona dice di essere San Francesco, solo perché fa un discorso che non mi convince può finire sequestrata. Uno psichiatra emette un certificato medico, questo viene accompagnato da un'ordinanza del sindaco (il quale dovrebbe garantire il benessere dei cittadini, ma poi non si reca mai sul posto a controllare per davvero che cosa succede), e la persona viene presa e messa da parte, chiusa in un edificio chiamato comunità terapeutica, o clinica psichiatrica. Ci viene portata con la forza e contro la sua volontà. Se poi si arrabbia e spacca tutto (e ne ha tutte le ragioni) gli mettono pure la camicia di forza. Tutto legale. Se si abolisse, come io chiedo da anni, il ricovero coatto, cambierebbe tutto il discorso. Essere presi con la forza e portati un in posto senza difesa è inammissibile. Lo Stato prevede ancora che una persona possa essere sequestrata con la forza quando un'altra crede che il suo pensiero non sia accettabile: è una questione repressiva. Con il trattamento sanitario obbligatorio lo Stato commette una violenza contro cittadini assolutamente innocenti e senza alcuna difesa. L'unico sequestro di persona concepibile nel nostro ordinamento è quello per un'ipotesi di reato. Ma in quel caso ci vuole un'iniziativa della Procura della Repubblica, poi c'è l'avvocato difensore, poi ci sarà il processo, un secondo grado e un terzo grado, poi la cassazione, per cui anche sotto ipotesi di reato un cittadino è garantito da una serie di difese. Invece la persona che sostiene di essere San Francesco, per questo o per altri discorsi, può essere sequestrata con un certificato medico di proposta, uno di conferma, e la benedizione di un sindaco. L'obiettivo da porsi è l'abolizione del ricovero coatto. Decaduto questo, il potere del controllo è finito. Per questo nessuno avanza questa richiesta, nemmeno Basaglia l'ha mai avanzata.
sabato 25 giugno 2016
Detenuto si suicida all'ex Opg di Barcellona
«Non sarebbe dovuto essere nemmeno qui»
La riforma prevedeva la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari entro il 31 marzo scorso. Ma in Sicilia ci sono solo due Rems, residenze sanitarie alternative, che non riescono ad accogliere tutti. Il 40enne che si è tolto la vita si è ammalato in carcere e da un anno e mezzo era stato trasferito nell'istituto messinese ...
fonte: http://meridionews.it
Un detenuto di 40 anni si è suicidato ieri notte nell'ex ospedale psichiatrico giudiziario di Barcellona Pozzo di Gotto. A togliersi la vita è stato un disabile psichico, trovato dall’agente di polizia penitenziaria di turno. L'unico che deve gestire due piani della struttura. Il tragico episodio fa tornare alla ribalta l'ex opg di Barcellona, trasformato in istituto polifunzionale giusto qualche mese fa dopo la riforma del sistema penitenziario. La legge 81 del 2014 prevedeva infatti la chiusura di tutti gli opg entro il 31 marzo 2015. Si sarebbero dovuti destinare gli internati a pene alternative, col trasferimento nelle Rems, le residenze sanitarie per le misure di sicurezza. O, nei casi in cui fosse stata esclusa la pericolosità sociale di queste persone, liberarli e passarli alle cure dei dipartimenti di salute mentale sparsi sul territorio. «Il problema - spiega una fonte interna all'ospedale psichiatrico di Barcellona - è che le uniche due Rems esistenti in Sicilia, quella di Caltagirone e quella di Naso, non sono sufficienti ad accogliere i tanti detenuti psichiatrici ancora presenti negli ex opg. Il quarantenne che si è suicidato non doveva nemmeno esserci qui, avrebbe dovuto posto in una Rems». La riforma degli istituti penitenziari ha seguito vie spesso tortuose con l’apertura in ritardo delle strutture demandate a ricevere gli internati e il mancato potenziamento dei dipartimento di salute mentale delle Asp. In particolare in Sicilia le due Rems possono accogliere una ventina di persone ciascuna, posti del tutto insufficienti. Con il risultato che l'ex opg di Barcellona continua ad avere una natura ibrida, come spiega il direttore dell'istituto Nunziante Rosania. «È una casa circondariale con detenuti ordinari in attesa di giudizio e per condannati con sentenza definitiva; c'è un residuo di internati del vecchio opg, circa 30 che a tutt’oggi non hanno trovato spazio nelle Rems: e infine c'è anche un'articolazione della salute mentale per malati psichici, (persone entrate sane in altre carceri e che sono state trasferite qui perché dietro le sbarre è subentrato un disagio psichico ndr), tra queste anche otto donne». In totale 187 persone. L'uomo che ieri si è tolto la vita era proprio un detenuto di quest'ultimo gruppo. Di origini catanesi, condannato per reati contro il patrimonio, è stato trasferito a Barcellona da una comunità terapeutica assistita. «Stava nella nostra struttura da un anno e qualche mese - spiega il direttore -. Ha sviluppato questa sua infermità durante la detenzione in un altro istituto». A trovarlo è stato uno dei 80 agenti di polizia penitenziaria che lavorano nell’ex opg. Secondo le stime di chi vi opera ne servirebbero almeno 125. Il direttore confida nel recente e storico passaggio della medicina penitenziaria dalla competenza del ministero della Difesa a quello della Salute, e quindi all'Asp. «Mi auguro che questo porti un incremento di personale per i servizi espletati nelle strutture come la nostra. Ad esempio - conclude Rosania - in una struttura esterna al nostro istituto è prevista la nascita di un Icam, un istituto a custodia attenuata per madri di bimbi fino a tre anni».
La riforma prevedeva la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari entro il 31 marzo scorso. Ma in Sicilia ci sono solo due Rems, residenze sanitarie alternative, che non riescono ad accogliere tutti. Il 40enne che si è tolto la vita si è ammalato in carcere e da un anno e mezzo era stato trasferito nell'istituto messinese ...
fonte: http://meridionews.it
Un detenuto di 40 anni si è suicidato ieri notte nell'ex ospedale psichiatrico giudiziario di Barcellona Pozzo di Gotto. A togliersi la vita è stato un disabile psichico, trovato dall’agente di polizia penitenziaria di turno. L'unico che deve gestire due piani della struttura. Il tragico episodio fa tornare alla ribalta l'ex opg di Barcellona, trasformato in istituto polifunzionale giusto qualche mese fa dopo la riforma del sistema penitenziario. La legge 81 del 2014 prevedeva infatti la chiusura di tutti gli opg entro il 31 marzo 2015. Si sarebbero dovuti destinare gli internati a pene alternative, col trasferimento nelle Rems, le residenze sanitarie per le misure di sicurezza. O, nei casi in cui fosse stata esclusa la pericolosità sociale di queste persone, liberarli e passarli alle cure dei dipartimenti di salute mentale sparsi sul territorio. «Il problema - spiega una fonte interna all'ospedale psichiatrico di Barcellona - è che le uniche due Rems esistenti in Sicilia, quella di Caltagirone e quella di Naso, non sono sufficienti ad accogliere i tanti detenuti psichiatrici ancora presenti negli ex opg. Il quarantenne che si è suicidato non doveva nemmeno esserci qui, avrebbe dovuto posto in una Rems». La riforma degli istituti penitenziari ha seguito vie spesso tortuose con l’apertura in ritardo delle strutture demandate a ricevere gli internati e il mancato potenziamento dei dipartimento di salute mentale delle Asp. In particolare in Sicilia le due Rems possono accogliere una ventina di persone ciascuna, posti del tutto insufficienti. Con il risultato che l'ex opg di Barcellona continua ad avere una natura ibrida, come spiega il direttore dell'istituto Nunziante Rosania. «È una casa circondariale con detenuti ordinari in attesa di giudizio e per condannati con sentenza definitiva; c'è un residuo di internati del vecchio opg, circa 30 che a tutt’oggi non hanno trovato spazio nelle Rems: e infine c'è anche un'articolazione della salute mentale per malati psichici, (persone entrate sane in altre carceri e che sono state trasferite qui perché dietro le sbarre è subentrato un disagio psichico ndr), tra queste anche otto donne». In totale 187 persone. L'uomo che ieri si è tolto la vita era proprio un detenuto di quest'ultimo gruppo. Di origini catanesi, condannato per reati contro il patrimonio, è stato trasferito a Barcellona da una comunità terapeutica assistita. «Stava nella nostra struttura da un anno e qualche mese - spiega il direttore -. Ha sviluppato questa sua infermità durante la detenzione in un altro istituto». A trovarlo è stato uno dei 80 agenti di polizia penitenziaria che lavorano nell’ex opg. Secondo le stime di chi vi opera ne servirebbero almeno 125. Il direttore confida nel recente e storico passaggio della medicina penitenziaria dalla competenza del ministero della Difesa a quello della Salute, e quindi all'Asp. «Mi auguro che questo porti un incremento di personale per i servizi espletati nelle strutture come la nostra. Ad esempio - conclude Rosania - in una struttura esterna al nostro istituto è prevista la nascita di un Icam, un istituto a custodia attenuata per madri di bimbi fino a tre anni».
mercoledì 22 giugno 2016
Volantino sul Tso anche in inglese e spagnolo
Il Collettivo Artuad di Pisa si è occupato della traduzione del volantino informativo relativo anche al TSO (che trovate qui sotto); a seguire le versioni in spagnolo ed inglese anche per chi ha subito dai centri richiedenti asilo si è trovato catapultato nella realtà psichiatrica senza sapere a cosa stesse andando incontro.
Possibilmente da stampare e diffondere.
Possibilmente da stampare e diffondere.
INFORMAZIONI
SUL TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio)
La
legge 180/78 è la normativa che regola in Italia i trattamenti
sanitari. La legge 180/78 sancisce che i trattamenti sanitari sono,
in generale, volontari. Ma stabilisce anche dei casi in cui il
ricovero venga eseguito coattivamente e contro la volontà
dell’individuo: è il caso del T.S.O. eseguibile all’interno del
reparto psichiatrico di un qualunque Ospedale generale civile; SPDC
(Servizio Psichiatrico Diagnosi e Cura)
Il
trattamento sanitario obbligatorio ha durata di 7 giorni, e per
essere disposto necessita di una serie di passaggi stabiliti per
legge. Esso deve essere disposto dal Sindaco del comune di residenza
su proposta di un medico e convalidato da uno psichiatra operante
nella struttura pubblica.
Dopo
aver firmato la richiesta di T.S.O. il sindaco deve inviare il
provvedimento e le certificazioni mediche al Giudice Tutelare
operante sul territorio. Il giudice, che ha un compito di vigilanza
sui trattamenti, può entro 48 ore convalidare o meno il
provvedimento. Lo stesso procedimento deve essere seguito nel caso in
cui il T.S.O. venga rinnovato.
Il
T.S.O. può essere eseguito solo se sussistono queste tre
condizioni:
1. L’individuo presenta alterazioni psichiche tali da necessitare interventi terapeutici urgenti;
2. L’individuo rifiuta l’interventi terapeutici;
3.L’individuo non può essere assistito in altro modo rispetto al ricovero ospedaliero.
1. L’individuo presenta alterazioni psichiche tali da necessitare interventi terapeutici urgenti;
2. L’individuo rifiuta l’interventi terapeutici;
3.L’individuo non può essere assistito in altro modo rispetto al ricovero ospedaliero.
Quanto
al contenuto, un Trattamento Sanitario Obbligatorio può essere
revocato se mancano le 3 condizioni che lo giustificano. Poiché è
molto difficile appellarsi alla mancanza dello stato di urgenza o di
necessità definito dall’arbitrio dello psichiatra di turno,è più
funzionale far riferimento alle altre 2 condizioni. Se non vi sono
omissioni e il T.S.O. risulta legale, una volta in reparto è
opportuno o dimostrare che il trattamento può avvenire in luogo
diverso rispetto all’ospedale, oppure accettare le cure che ci
vengono somministrate. In tali casi 2 delle condizioni decadono. A
questo punto si può chiedere la revoca del T.S.O. al Sindaco e al
Giudice Tutelare, magari allegando un’autocertificazione in cui si
dichiara l’accettazione della terapia.
Di
fronte alla presentazione di un provvedimento di T.S.O. abbiamo
diritto a chiedere la NOTIFICA del Sindaco relativa al provvedimento
stesso. In mancanza o in attesa di tale notifica, che deve pervenire
entro 48 ore, nessuno può obbligarci a ricoverarci o a seguire
terapie, a meno che non abbiamo violato norme penali o che lo
psichiatra abbia invocato lo stato di necessità regolato
dall’articolo 54 del Codice Penale.
Potrebbe
mancare a questo punto la notifica da parte del Giudice Tutelare che
deve pervenire entro le 48 ore successive alla richiesta del Sindaco.
Se la convalida del giudice non avviene entro questo lasso di tempo
il provvedimento decade. Ciò significa che abbiamo tutto il diritto,
ai sensi di legge, di lasciare la struttura ospedaliera in cui ci
avevano rinchiuso.
In
molti casi accade che i medici che firmano il provvedimento non
abbiano mai né visto né visitato il paziente. Il ricovero risulta
illegale e dunque il T.S.O. è invalidato. In questi casi, inoltre, i
medici possono essere denunciati per falso in atto pubblico.
Il
T.S.O. decade anche qualora o i medici o il Sindaco o il Giudice
Tutelare, nei loro documenti abbiano omesso di specificare le
motivazioni che hanno reso necessario il ricorso al ricovero coatto.
Se
il provvedimento di T.S.O. è disposto dal sindaco di un comune
diverso da quello di residenza, ne va data comunicazione al sindaco
di quest’ultimo comune. Se il provvedimento è adottato nei
confronti di cittadini stranieri o di apolidi, ne va data
comunicazione al Ministero degli Interni e al consolato competente,
tramite il prefetto.
I
DIRITTI CHE ABBIAMO in CASO di TRATTAMENTO SANITARIO OBBLIGATORIO
1.
abbiamo diritto alla notifica del provvedimento di TSO. In assenza di
questa notifica nessuno può obbligarci a seguirlo o ad assumere
terapie (esclusi i casi di comportamenti penalmente rilevanti e i
casi in cui si ravvisano gli estremi dello stato di necessità).
2.
abbiamo diritto di presentare ricorso avverso al TSO al Sindaco
che lo ha disposto. Questo ricorso può essere proposto anche da chi
ne ha interesse (familiari, amici, associazioni ecc..). Per ridurre i
tempi conviene inviarne copia al Giudice Tutelare, specie se il
ricorso parte entro le prime 48 ore dal ricovero (quando
presumibilmente lo stesso non ha ancora convalidato
il
provvedimento).
provvedimento).
3.
abbiamo diritto di avanzare richiesta di revoca al Tribunale,
chiedendo la sospensione immediata
del TSO e delegando, se vogliamo, una persona di nostra fiducia a rappresentarci al processo.
del TSO e delegando, se vogliamo, una persona di nostra fiducia a rappresentarci al processo.
4.
abbiamo diritto di scegliere, ove possibile, il reparto presso cui
essere ricoverati.
5.
abbiamo diritto di conoscere le terapie che ci vengono somministrate
e di poter scegliere fra
una serie di alternative.
una serie di alternative.
6.
abbiamo diritto di comunicare con chi riteniamo opportuno e di
ricevere visite nell’orario stabilito dalla struttura ospedaliera.
7.
abbiamo diritto di essere rispettati nella nostra dignità psichica e
fisica. Anche se sottoposti a TSO nessuna contenzione fisica e
meccanica può esserci applicata, se non in via eccezionale e per il
tempo strettamente necessario alla somministrazione della terapia e
in accordo alle linee guida dell’Ospedale. Gli atti di contenzione
di natura punitiva sono reati penalmente perseguibili.
8.
abbiamo diritto di dettare nella nostra cartella clinica ogni
informazione riguardante il nostro
stato di salute e i trattamenti che riceviamo.
stato di salute e i trattamenti che riceviamo.
9.
abbiamo diritto di conoscere i nomi e la qualifica degli operatori
del reparto (essi devono
indossare cartellini di riconoscimento).
indossare cartellini di riconoscimento).
Il
Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud
per
info e contatti:
Collettivo
Antipsichiatrico Antonin Artaud
via
San Lorenzo 38 56100 Pisa
antipsichiatriapisa@inventati.org
www.artaudpisa.noblogs.org
/ 335 7002669
INFORMACIONES
SOBRE EL T.S.O. (TRATAMIENTO SANITARIO OBLIGATORIO)
La
ley 180/78 afirma que los tratamientos sanitatios son, generalmente,
voluntarios. Esta dice también que hay casos en los que la
hospitalización viene efectuada coactivamente y contra la voluntad
del individuo: este es el caso del T.S.O., realizado en el interior
de la unidad psiquiátrica
de todos los hospitales nacionales; SPDC (Servicio Psiquiátrico
Diagnosis y Cura).
sabato 18 giugno 2016
OPG di Aversa diventerà un istituto penitenziario
chiude l'OPG di Aversa, è stato il primo manicomio criminale italiano.
diventerà una galera; per l'esattezza un'istituto penitenziario
ordinario a custodia attenuata ad alto indice trattamentale
con una capacità ricettiva di circa 270 posti detentivi.
Sono già 70 i detenuti ospitati nella sezione ordinaria,
altri 25 arriveranno nei prossimi giorni dalla casa circondariale di Napoli Poggioreale.
sotto alcuni link con la notizia della chiusura:
http://www.ilmattino.it/caserta/opg_aversa_chiusura-1798308.html
http://www.cronachedellacampania.it/chiude-opg-aversa-primo-manicomio-giudiziario-italia/
grazie al Collettivo Artaud per la segnalazione
venerdì 17 giugno 2016
La struttura dell’orrore, a Torchiagina pazienti presi a calci e pugni
Intercettazioni video e audio, quindi, ci sarebbero quelle ad inchiodare le persone arrestate alle loro responsabilità
“Secchiate di acqua fredda, le mani legate dietro la schiena con il nastro adesivo, polsi spezzati, schiaffi pugni, calci, presa per i capelli e bastonate a pazienti indifesi, punizioni fisiche e psicologiche per fatti di disobbedienza o di mancato rispetto delle regole interne alla struttura”. E poi ancora “pazienti senza pranzo o senza cena, nell’averli privati dei propri effetti personali e della possibilità di fumare, chiusi a chiave in uno dei bagni della struttura, o comunque in locali al buio o costretti a lavarsi i denti nelle fontane dei giardini esterni, nonché alla minaccia come metodo educativo”. E’ quanto sarebbe emerso dalle indagini effettuate dai carabinieri del Nas, sul comportamento degli operatori di una struttura sanitaria a Torchiagina, alle porte di Assisi.Il tutto sarebbe cominciato con una segnalazione di due anni fa arrivata ai Carabinieri. Da allora l’attenzione si è alzata sulla struttura di accoglienza di Torchiagina di Assisi, situata in via della Torre, e, grazie alla installazione di telecamere al lavoro certosino dei Carabinieri del Nucleo antisofisticazione e Sanità – il Nas – e il coordinamento del sostituto procuratore della Repubblica Michele Adragna, si è arrivati, nelle ultime ore, all’arresto di sei persone. Il responsabile della struttura e alcuni operatori “in concorso tra loro” avrebbero “maltrattato” almeno 12 pazienti-ospiti (la struttura ne ospita circa 30). La misura, per loro, sarebbe quella dei domiciliari.
Le indagini riguarderebbero la gestione della struttura e i metodi di assistenza delle persone che sono ricoverate. Quello di Torchiagina è un centro di accoglienza anche per malati psichiatrici, considerato, per altro, una vera e propria eccellenza. Da quanto si apprende, ma si capisce che sulla delicatissima vicenda c’è massimo riserbo, ci sarebbe una foto drammatica. Un volto di un uomo pieno di ematomi, dovuti a percosse. E anche qui la foto sarebbe stata inviata direttamente ai Carabinieri e quindi il via alla attività investigativa.
fonte: www.umbriajournal.com
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