Stiamo vivendo un momento molto difficile e drammatico per la nostra
società. Se da una parte si assiste ad un progressivo aumento del
malessere individuale e di conseguenza del numero di persone che stanno
vivendo con difficoltà la solitudine a cui sono costrette, dall’altra
c’è il rischio di un aumento dei contrasti interpersonali e della
conflittualità familiare dovuti alla convivenza forzata. Le donne che
subiscono violenza domestica si vedono obbligate a coabitare con i loro
aggressori, aumentano i casi di persone giovani costrette, date le
difficoltà di sostenere un canone d’affitto, a tornare a vivere con la
famiglia d’origine, portando così a una rinnovata centralità il modello
di famiglia patriarcale. Anche i bambini e gli adolescenti, privati
della libertà di socializzare, giocare e interagire, si trovano a vivere
una situazione particolarmente difficile.
Come collettivo antipsichiatrico siamo preoccupati per l’aumento dei
suicidi, per il frequente ricorso al TSO (Trattamento Sanitario
Obbligatorio), per il possibile aumento del consumo di psicofarmaci e
della contenzione fisica all’interno dei reparti psichiatrici di
diagnosi e cura. Denunciamo l’utilizzo del taser per sedare le persone
in difficoltà, come è avvenuto qualche settimana fa all’interno di un
ufficio postale di Torino dove un uomo è stato stordito dai carabinieri e
lasciato a terra in attesa dell’arrivo dell’ambulanza, a causa di un
diverbio scoppiato con le altre persone presenti nell’ufficio postale
poiché privo di mascherina.
Preoccupante anche la situazione negli Istituti di pena già in stato di
sovraffollamento cronico. Mai come ora si rende evidente la necessità
del superamento del carcere con modelli di pena alternativi.
Improrogabile un’amnistia generale, la liberazione dei detenuti per le
lotte sociali, dei tossicodipendenti, dei sofferenti di presunte
patologie psichiatriche e in generale di tutti coloro che scontano pene
per reati connessi alle fallimentari leggi proibizioniste sulle droghe.
La crisi economica e sociale che stavamo vivendo, prima dell’inizio
della pandemia, rischia di amplificarsi e travolgere la maggior parte
della popolazione. In Italia il Covid-19 ha accelerato un processo in
corso da anni, volto a demolire il Servizio Sanitario Nazionale a
beneficio delle sempre più numerose cliniche private, mediante politiche
bipartisan di tagli, aziendalizzazione e privatizzazione; è difficile
pensare a una reale tutela della salute quando la priorità da parte
delle Asl e delle aziende ospedaliere è quella di rispettare i bilanci.
Da subito il Covid-19 ha mostrato di “essere un virus per ricchi” e
sempre più persone iniziano a capire che non siamo tutti sulla stessa
barca. Un prezzo altissimo lo sta già pagando chi non ha una casa o è
costretto a condividerla con altri in spazi inadeguati; chi è obbligato
a svolgere il proprio lavoro senza i mezzi di sicurezza idonei, chi
l’ha perso o chi è impossibilitato a portarlo avanti poiché in nero. C’è
poi chi non può beneficiare dello smart working e della teledidattica
perché non possiede un computer in casa e una connessione internet
affidabile. Ma come fa chi non ha documenti, chi è senza casa, chi non
ha accesso ai servizi sanitari, all’ammortizzatori sociali? Le persone
che si trovano in strada per necessità rischiano un ulteriore
inasprimento della loro situazione, dal punto di vista giudiziario e
sanitario. Ci chiediamo che ripercussioni avrà questo stato di emergenza
su chi vive già in una condizione di isolamento ed esclusione?
Mentre assistiamo al martellante appello all’unità nazionale, milioni di
persone si trovano ancora costrette ad andare al lavoro, il più delle
volte su mezzi pubblici sovraffollati, senza protezioni di alcun tipo e
soprattutto in settori assolutamente non essenziali come quello della
produzione di armi o di beni lusso.
È molto probabile che chi ci governa tenterà di far pagare i costi di
questa emergenza alle lavoratrici, ai lavoratori e ai soggetti più
fragili; non c’è alcuna volontà di aggredire i grandi patrimoni privati
attuando meccanismi di redistribuzione della ricchezza. Le emergenze
sociali e sanitarie chiedono un cambiamento nella distribuzione delle
risorse collettive che invece, negli ultimi decenni, sono state
dirottate senza sosta dal pubblico al privato, con il plauso di
industriali e banchieri.
Solo in questi ultimi giorni ci stiamo rendendo conto di come molti
contagi siano avvenuti all’interno di Fondazioni e Istituzioni private,
nelle RSA (Residenze Sanitarie Assistite) e nelle residenze
psichiatriche senza che siano state prese misure di sicurezza adeguate.
All’interno di queste strutture un’umanità indifesa soggiace spesso
silenziosamente all’abuso sociale di chi l’ha dichiarata ormai
improduttiva e quindi sacrificabile. I responsabili delle strutture,
quando si sono manifestati nuovi casi, hanno deciso di trincerarsi
dentro e di chiudere ogni contatto con l’esterno, pur non avendo i mezzi
per contrastare la diffusione del virus (nella regione Lombardia,
secondo la delibera emessa, chi è anziano, poiché troppo a rischio, non
dovrebbe essere curato in terapia intensiva quindi le responsabilità
sono a livello regionale). Il risultato in molte zone è la diffusione
massiccia dell'epidemia e a farne le spese sono in primo luogo gli
anziani over 80, gli intrasportabili e lo stesso personale sanitario che
lavora a rischio della propria vita.
In una struttura psichiatrica in provincia di Genova gli effetti causati
dall'epidemia di Coronavirus sono stati drammatici: su 40 ospiti 38
sono risultati positivi al tampone e la malattia ha fatto registrare per
il momento tre morti. A Milano nella RSA della Baggina ci sono stati
200 decessi, in provincia di Brescia in una struttura per donne
ex-psichiatrizzate le perdite di vite umane sono state 22. Tra le altre
regioni la Toscana non è da meno: su 320 RSA di cui 56 commissariate e
affidate a gestione Asl ci sono stati circa 170 decessi. Una riflessione
sullo Stato garante è dovuta: il governo a inizio marzo aveva
dichiarato che la situazione era sotto controllo ma è stato subito
smentito dai fatti. I tamponi per il personale sanitario sono arrivati
in ritardo e le mascherine si stanno diffondendo alla spicciolata a due
mesi distanza dall'emergenza mentre i governatori giocano al palleggio
delle proprie responsabilità, nelle zone "sospese" come la Valseriana,
intanto si sono sacrificati gli anziani e i soggetti più vulnerabili.
Vedremo che cosa ci prospetterà la cosiddetta fase 2.
Come non pensare anche ai morti nelle Rems e nelle carceri a causa del
Covid19? Una situazione come quella attuale dimostra che il superamento
delle istituzioni totali debba essere fra gli obiettivi delle nostre
lotte. I pazienti psichiatrici affetti da Covid 19 sono doppiamente a
rischio: secondo la testimonianza di un medico in Lombardia gli
psicofarmaci interferiscono con le cure ponendo un problema immediato di
dosaggio, che a sua volta provoca uno stato depressivo facilitando
l’azione del virus o uno stato euforico in cui il paziente spesso si
strappa la mascherina d’ossigeno a rischio della vita. In pratica questi
medici che non sono psichiatri ma internisti o virologi si trovano a
modulare una terapia su dei pazienti di cui ignorano completamente la
storia clinica.
Da settimane i media continuano a descrivere questa realtà come uno
stato di guerra, in cui i nostri ospedali sono le odierne trincee, in
una narrazione dei fatti tesa ad alimentare quella paura ed insicurezza
collettiva sulla quale si legittimano e trovano consenso tutte le scelte
della gestione securitaria cui stiamo assistendo.
L’utilizzo sempre più generalizzato dei social e delle tecnologie
digitali ispira nuovi paradigmi della sorveglianza e riconfigura
l’organizzazione del lavoro; certo i social network facilitano i
contatti interpersonali ma non sostituiranno mai il bisogno di relazioni
sociali non mediate intrinseco alla nostra specie; c’è il rischio
piuttosto che le nuove tecnologie finiscono per stravolgere e inaridire
ulteriormente i rapporti sociali già parecchio sfilacciati da modelli
economici, politici e culturali che ci vengono presentati come
ineluttabili. La retorica che ci presenta il nuovo paradigma digitale è
del tutto subordinata a logiche di controllo totale e iper
sfruttamento. Non dimentichiamo inoltre che ogni singola connessione non
fa che arricchire le multinazionali dei Big Data oltre a riempirne gli
archivi con i nostri dati personali che consentiranno profilazioni
sempre più raffinate.
Fondamentalmente la costruzione mediatica di una contrapposizione tra la
libertà individuale e la salute pubblica è stata coltivata ad arte dai
mezzi di comunicazione. Si è scelto di criminalizzare i comportamenti
individuali e farli diventare un vero e proprio capro espiatorio per
nascondere gli interessi degli industriali, che chiedevano e chiedono a
gran voce di continuare la produzione nonostante gli evidenti rischi di
nuovi contagi e focolai. Nel contempo il cittadino diventa complice e,
sentendosi investito del ruolo di sceriffo, finisce per denunciare chi, a
parer suo, non rispetta le norme.
È evidente che i dispositivi di protezione individuale e il mantenimento
della distanza di sicurezza siano utili per contenere il contagio, ma
il rischio è di finire in una spirale di controllo sociale repressivo e
permanente. Se da un lato il senso di responsabilità ci impone di
rispettare le misure di distanziamento sociale per arginare il contagio e
preservare la salute collettiva, dall’altra non possiamo non
rivendicare come tale scelta, apparentemente convergente con le
restrizioni imposte dai decreti, sia mossa da ragioni ben diverse da
quelle del Governo. Oltre allo smantellamento del sistema sanitario ad
opera dei governi degli ultimi anni non va dimenticato come i nuovi
dispositivi di controllo della popolazione (repressione del dissenso e
delle condotte devianti, tracciamento degli spostamenti,
militarizzazione delle strade, negazione del diritto di sciopero ecc …)
cui è ricorso lo Stato in questo periodo in nome della salute pubblica,
molto probabilmente resteranno anche a emergenza finita e andranno ad
arricchire quell’armamentario di decreti sicurezza e legislazione di
emergenza che già oggi limita le nostre libertà individuali e
collettive. Ci sarà da comprendere, vigilare e forse difendersi da un
futuro “Stato Dottore” che sarà sempre più legittimato a controllarci e
medicalizzarci in nome di una salute pubblica sempre più lontana dai
bisogni di tutti.
L'attuale pandemia dice con chiarezza che bisogna spostare lo sguardo
dal profitto economico ai reali bisogni della umanità e del pianeta,
perché in certe situazioni o ci si salva tutti, e insieme, o non si
salva nessuno.
Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud
antipsichiatriapisa@inventati.org - www.artaudpisa.noblogs.org – 3357002669
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