domenica 31 marzo 2019
Le case farmaceutiche israeliane testano farmaci sui prigionieri palestinesi
La professoressa israeliana Nadera Shalhoub-Kevorkian ha rivelato ieri che le autorità di occupazione israeliane rilasciano permessi a grandi aziende farmaceutiche per effettuare test su prigionieri palestinesi e arabi, come riportato da Felesteen.ps. Il Times of Israel ha anche riferito che in una registrazione dell’evento, la professoressa della Hebrew University ha anche rivelato che le ditte militari israeliane stanno testando armi su bambini palestinesi e svolgono questi test nei quartieri palestinesi della Gerusalemme occupata.
Parlando alla Columbia University di New York, Shalhoub-Kevorkian ha dichiarato di aver raccolto i dati mentre stava conducendo un progetto di ricerca per la Hebrew University.
“Gli spazi palestinesi sono laboratori”, ha detto. “L’invenzione di prodotti e i servizi di società di sicurezza sponsorizzate dallo stato sono alimentati dal coprifuoco a lungo termine e dall’oppressione del popolo palestinese da parte dell’esercito israeliano”.
Nel suo discorso, intitolato “Disturbing Spaces – Violent Technologies in Palestinian Jerusalem“, la professoressa ha aggiunto: “Controllano quali bombe usare, bombe a gas o petardi. Se mettere sacchi di plastica o sacchi di stoffa. Se colpirci con i loro fucili o prenderci a calci con gli stivali. “
La scorsa settimana, le autorità israeliane hanno rifiutato di consegnare il corpo di Fares Baroud, che è morto nelle prigioni israeliane dopo aver sofferto di una serie di malattie. La sua famiglia teme che possa essere utilizzato per tali test e Israele teme che questo possa essere rivelato attraverso indagini forensi.
Nel luglio 1997, il quotidiano israeliano Yedioth Ahronoth riferì che Dalia Itzik, presidente di una commissione parlamentare, ammetteva che il Ministero della Sanità israeliano aveva concesso alle case farmaceutiche il permesso di testare i loro nuovi farmaci sui detenuti, affermando che già erano stati effettuati 5.000 test.
Nell’agosto 2018, Robrecht Vanderbeeken, segretario culturale del sindacato ACOD belga, ha segnalato che la popolazione della Striscia di Gaza sta “morendo di fame, avvelenata, e che i bambini vengono rapiti e uccisi per i loro organi”.
Ciò ha seguito i precedenti avvertimenti dell’Ambasciatore Palestinese alle Nazioni Unite Riyad Mansour, il quale ha affermato che i corpi dei palestinesi uccisi dalle forze di sicurezza israeliane “sono stati restituiti con cornee e altri organi mancanti, confermando ulteriormente le notizie passate sul prelievo di organi da parte della potenza occupante”.
Segnalato dal Collettivo Antipsichiatrico Artaud di Pisa https://artaudpisa.noblogs.org/
Fonti: https://www.middleeastmonitor.com/20190220-israel-pharmaceutical-firms-test-medicines-on-palestinian-prisoners/?fbclid=IwAR3Fo7h3RXjUqiA_OhZ-_pUjjV5yoCWA6hZXiOBQSeAcYNVilEId2uVioZ
https://www.invictapalestina.org/archives/35450
martedì 26 marzo 2019
70 anni fa moriva Antonin Artaud...
Poco prima di morire Artaud dà alle stampe un’opera fondamentale per comprendere il lascito di questo grande intellettuale. Una critica aspra e forte alla società, attraverso gli occhi di Vincent Van Gogh: come lui, “suicidato della società”.
Antonin Artaud muore il 4 marzo del 1948 nella sua piccola abitazione di Ivry-sur-Reine. Muore in estrema solitudine, come aveva trascorso gran parte della sua vita interiore: verrà ritrovato con una scarpa in mano, probabilmente stroncato da un’iniezione letale di sedativi. Più che teorico, profeta. Più che folle, geniale. E sempre e comunque inascoltato. Ad un altro grande folle genio aveva dedicato la sua ultima opera, Van Gogh, che definì "il suicidato della società” racchiudendo tutto il senso della sua stessa vita in poche, lucidissime, parole: "un pazzo è anche un uomo che la società non ha voluto ascoltare e a cui ha voluto impedire di pronunciare delle insostenibili verità".
L’irrappresentabile, attraverso la Crudeltà
Antonin Artaud protagonista del dramma "I Cenci" di Percy Bysshe Shelley, nel 1935.
in foto: Antonin Artaud protagonista del dramma "I Cenci" di Percy Bysshe Shelley, nel 1935.
Se per Brecht era stata dichiaratamente, socialmente e politicamente rivoluzionaria, per Artaud la rappresentazione teatrale ha avuto una valenza sovversiva molto più profonda e intima: quella psicologica e spirituale. L’esistenza umana, caratterizzata dal caos e seppellita sotto “strati di parole” vuote, era la vera protagonista e al tempo stesso spettatrice della sua idea di teatro. Ridotto dalla società contemporanea a “consumo momentaneo”, questo doveva tornare sulla scena nella sua più intima,vera e primordiale essenza: come “compimento dei più puri desideri umani”.
Puri i desideri umani, tanto quanto puro doveva essere il teatro stesso: una purezza che in Artaud è sinonimo di Crudeltà, di un sentimento di profonda avversione e repulsione verso tutto ciò che aveva snaturato la scena. Crudeltà per Artaud significava sacrificio degli elementi superficiali che trasformano il teatro in mero intrattenimento, e ritorno alla potenza ancestrale di gesti, musiche e luci per veicolare il messaggio. Sacerdoti infallibili di tale rituale sacro dovevano essere gli attori: dei “geroglifici animati”, degli “sciamani” capaci di mutare in atto l’irrappresentabile della vita umana.
Il teatro, diceva Artaud, è come la peste, morbo terribile che spinge in superficie lo spirito represso di ogni uomo, così come aveva fatto quella "follia" che lo ha accompagnato per gran parte della sua vita. Dipendente dagli oppiacei, e spesso sofferente di forti depressioni, l’autore francese venne più volte internato in manicomio per problemi psichici subendo anche, soprattutto negli ultimi anni, traumatici elettroshock e violente terapie.
Il lascito di Antonin Artaud è incommensurabile: centinaia di appunti, decine di riflessioni sugli aspetti meno scontati del fare teatro e alcune fra le opere più importanti del secolo come “Il teatro e il suo doppio” e “Poesie della crudeltà”. Ma è forse nell’ultimo testo, buttato giù un anno prima di morire, che Artaud ha lasciato il suo più crudele e veritiero messaggio: è in “Van Gogh il suicidato della società” che l’autore è stato capace di racchiudere se stesso.
Un atto di estrema sovversione intellettuale quella che Artaud compie nel guardarsi allo specchio e nel vedere riflesso il volto di Vincent Van Gogh. Entrambi divorati dalla loro stessa genialità, entrambi malati di verità e finzione al tempo stesso. Entrambi “suicidati della società”. La follia degli artisti, sostiene Artaud, è un’invenzione che il resto del mondo usa per difendersi dalle rivelazioni di menti superiori:
'' Una società tarata ha inventato la psichiatria per difendersi dalle lucide indagini di certe menti superiori le cui facoltà di divinazione la infastidivano. No, Van Gogh non era pazzo, ma i suoi dipinti erano dei fuochi greci, delle bombe atomiche… Così la società ha fatto strangolare nei suoi manicomi tutti coloro di cui ha voluto sbarazzarsi o difendersi, poiché s’erano rifiutati di rendersi complici con lei di certe incredibili oscenità. Perché un pazzo è anche un uomo che la società non ha voluto ascoltare e a cui ha voluto impedire di pronunciare delle insostenibili verità.''
fonte: http://www.fanpage.it/
Antonin Artaud muore il 4 marzo del 1948 nella sua piccola abitazione di Ivry-sur-Reine. Muore in estrema solitudine, come aveva trascorso gran parte della sua vita interiore: verrà ritrovato con una scarpa in mano, probabilmente stroncato da un’iniezione letale di sedativi. Più che teorico, profeta. Più che folle, geniale. E sempre e comunque inascoltato. Ad un altro grande folle genio aveva dedicato la sua ultima opera, Van Gogh, che definì "il suicidato della società” racchiudendo tutto il senso della sua stessa vita in poche, lucidissime, parole: "un pazzo è anche un uomo che la società non ha voluto ascoltare e a cui ha voluto impedire di pronunciare delle insostenibili verità".
L’irrappresentabile, attraverso la Crudeltà
Antonin Artaud protagonista del dramma "I Cenci" di Percy Bysshe Shelley, nel 1935.
in foto: Antonin Artaud protagonista del dramma "I Cenci" di Percy Bysshe Shelley, nel 1935.
Se per Brecht era stata dichiaratamente, socialmente e politicamente rivoluzionaria, per Artaud la rappresentazione teatrale ha avuto una valenza sovversiva molto più profonda e intima: quella psicologica e spirituale. L’esistenza umana, caratterizzata dal caos e seppellita sotto “strati di parole” vuote, era la vera protagonista e al tempo stesso spettatrice della sua idea di teatro. Ridotto dalla società contemporanea a “consumo momentaneo”, questo doveva tornare sulla scena nella sua più intima,vera e primordiale essenza: come “compimento dei più puri desideri umani”.
Puri i desideri umani, tanto quanto puro doveva essere il teatro stesso: una purezza che in Artaud è sinonimo di Crudeltà, di un sentimento di profonda avversione e repulsione verso tutto ciò che aveva snaturato la scena. Crudeltà per Artaud significava sacrificio degli elementi superficiali che trasformano il teatro in mero intrattenimento, e ritorno alla potenza ancestrale di gesti, musiche e luci per veicolare il messaggio. Sacerdoti infallibili di tale rituale sacro dovevano essere gli attori: dei “geroglifici animati”, degli “sciamani” capaci di mutare in atto l’irrappresentabile della vita umana.
Il teatro, diceva Artaud, è come la peste, morbo terribile che spinge in superficie lo spirito represso di ogni uomo, così come aveva fatto quella "follia" che lo ha accompagnato per gran parte della sua vita. Dipendente dagli oppiacei, e spesso sofferente di forti depressioni, l’autore francese venne più volte internato in manicomio per problemi psichici subendo anche, soprattutto negli ultimi anni, traumatici elettroshock e violente terapie.
Il lascito di Antonin Artaud è incommensurabile: centinaia di appunti, decine di riflessioni sugli aspetti meno scontati del fare teatro e alcune fra le opere più importanti del secolo come “Il teatro e il suo doppio” e “Poesie della crudeltà”. Ma è forse nell’ultimo testo, buttato giù un anno prima di morire, che Artaud ha lasciato il suo più crudele e veritiero messaggio: è in “Van Gogh il suicidato della società” che l’autore è stato capace di racchiudere se stesso.
Un atto di estrema sovversione intellettuale quella che Artaud compie nel guardarsi allo specchio e nel vedere riflesso il volto di Vincent Van Gogh. Entrambi divorati dalla loro stessa genialità, entrambi malati di verità e finzione al tempo stesso. Entrambi “suicidati della società”. La follia degli artisti, sostiene Artaud, è un’invenzione che il resto del mondo usa per difendersi dalle rivelazioni di menti superiori:
'' Una società tarata ha inventato la psichiatria per difendersi dalle lucide indagini di certe menti superiori le cui facoltà di divinazione la infastidivano. No, Van Gogh non era pazzo, ma i suoi dipinti erano dei fuochi greci, delle bombe atomiche… Così la società ha fatto strangolare nei suoi manicomi tutti coloro di cui ha voluto sbarazzarsi o difendersi, poiché s’erano rifiutati di rendersi complici con lei di certe incredibili oscenità. Perché un pazzo è anche un uomo che la società non ha voluto ascoltare e a cui ha voluto impedire di pronunciare delle insostenibili verità.''
fonte: http://www.fanpage.it/
domenica 24 marzo 2019
FIRENZE: ven 5/04 presentazione di “DIVIETO D’INFANZIA” c/o Ateneo Libertario
Presenta:
“DIVIETO D’INFANZIA. Psichiatria, controllo, profitto.”
A cura di Chiara Gazzola e Sebastiano Ortu, edizioni BFS
Saranno presenti gli autori.
A seguire cena sociale
Per info: antipsichiatriapisa@inventati.org
venerdì 22 marzo 2019
Mitologie antipsichiatriche
di Giuseppe Bucalo
"Per quanto ci riguarda la nostra critica alle terapie psichiatriche non è critica alle scelte dei suoi pazienti volontari.
L'idea di essere malati e di avere bisogno di cure, non è diversa dall'idea di essere stati scelti da dio e di aver bisogno di un albero sul quale stare appolaiati. L'antipsichiatria rispetta queste idee e chi le formula, indipendentemente dal giudizio che ognuno di noi può esprimere sulla psichiatria o sulla religione e dal fatto di riconoscerle o meno reali.
"Per quanto ci riguarda la nostra critica alle terapie psichiatriche non è critica alle scelte dei suoi pazienti volontari.
L'idea di essere malati e di avere bisogno di cure, non è diversa dall'idea di essere stati scelti da dio e di aver bisogno di un albero sul quale stare appolaiati. L'antipsichiatria rispetta queste idee e chi le formula, indipendentemente dal giudizio che ognuno di noi può esprimere sulla psichiatria o sulla religione e dal fatto di riconoscerle o meno reali.
Da una parte e dall'altra, occorre che tutti smettiamo di pensare che
le scelte delle persone hanno senso solo se provano le verità che
abbiamo in testa. Il fatto che le persone rifiutino le terapie
psichiatriche non prova che esse non siano utili, così come il fatto che
le accettino non prova che lo siano. Analogamente, chi rifiuta queste
cure non prova di essere malato, cosi come chi le accetta non prova di
essere sano. Queste scelte mostrano solo ciò che un individuo,in un dato
momento, riesce, o può, prospettarsi o subire, come soluzioni ai
problemi che ha con o procura a se stesso e agli altri.
Accettare o rifiutare gli psicofarmaci possono essere ambedue scelte antipsichiatriche. In entrambi i casi la persona può cercare di trovare un senso a ciò che gli accade e cercare di affrontarlo. Non dobbiamo necessariamente condividere nessuna di queste scelte, non dobbiamo aspettarci che esse confermino o meno le nostre teorie, dobbiamo aiutare le persone, se lo chiedono, ad agire fino in fondo le loro scelte, a verificarle e a cambiarle, se occorre.
In questi casi, l'unico aiuto davvero necessario che possiamo dare è quello di smettere di tentare di farli ragionare e smettere di ragionare anche noi".
G. Bucalo "Mitologie antipsichiatriche" in "DIzionARIO antipsichiatrico. Esplorazioni e viaggio attraverso la follia"
Accettare o rifiutare gli psicofarmaci possono essere ambedue scelte antipsichiatriche. In entrambi i casi la persona può cercare di trovare un senso a ciò che gli accade e cercare di affrontarlo. Non dobbiamo necessariamente condividere nessuna di queste scelte, non dobbiamo aspettarci che esse confermino o meno le nostre teorie, dobbiamo aiutare le persone, se lo chiedono, ad agire fino in fondo le loro scelte, a verificarle e a cambiarle, se occorre.
In questi casi, l'unico aiuto davvero necessario che possiamo dare è quello di smettere di tentare di farli ragionare e smettere di ragionare anche noi".
G. Bucalo "Mitologie antipsichiatriche" in "DIzionARIO antipsichiatrico. Esplorazioni e viaggio attraverso la follia"
domenica 17 marzo 2019
presentazioni di “LE ISTITUZIONI DELL’AGONIA” giov 21/03 a Livorno e ven 22/03 a Pisa
Il Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud e il Teatro Officina Refugio
presentano in toscana: “LE ISTITUZIONI DELL’AGONIA. Ergastolo e pena di morte” di Nicola Valentino , Edizioni Sensibili Alle Foglie
GIOVEDì 21 MARZO a LIVORNO alle ore 18 c/o il Teatro Officina Refugio, Scali del Refugio 8
VENERDI’ 22 MARZO a PISA alle ore 17 c/o aula magna della Facoltà di Scienze Politiche in via Serafini 3
Sarà presente l’autore
Per info: antipsichiatriapisa@inventati.org
martedì 5 marzo 2019
Venezia: 3 giorni antipsichiatrica - Camap presente Domenica 10 Marzo
3 giorni benefit contro la coercizione. Importante sarà , per chi potrà, supportare tutti i giorni dell'iniziativa. Noi ci saremo sicuramente il 10 dal pomeriggio per condividere esperienze e pratiche d'ispirazione antipsichiatrica.
domenica 3 marzo 2019
Il ritorno oscuro dell’elettroshock
di Andrea Capocci,
03.02.2019 SCIENZA. La scarica elettrica al cervello sembra una barbarie del passato. Invece divide ancora gli scienziati. È stato inventato 80 anni fa a Roma, da Ugo Cerletti e Lucio Bini come «metodo dell’annichilimento». Nell’ultimo numero del «British Medical Journal» la discussione in corso Tre volte l’anno, l’Istituto di Psichiatria del King’s College di Londra organizza i «Maudsley Debates». Si tratta di dibattiti pubblici su tematiche di largo impatto sociale, in cui il pubblico è chiamato a schierarsi a favore o contro la sua tesi dopo le presentazioni di due esperti. Con un telecomando il pubblico in sala esprime la sua posizione, sia prima che dopo il dibattito. Si tratta di discussioni di alto livello, tanto che il prestigioso British Medical Journal (Bmj) ne dà regolare resoconto.
COME RIPORTA l’ultimo numero del BMJ, la 57/a edizione del dibattito verteva sull’uso della terapia elettroconvulsivante, più nota come «elettroshock»: il suo uso medico è ammissibile? A favore del suo uso, è intervenuto lo psichiatra Sameer Jauhar dell’Istituto di Psichiatria dello stesso King’s College. Giocava invece in trasferta l’oppositore John Read, psichiatra anche lui ma all’università di East London. Il pubblico, telecomando alla mano, all’inizio del dibattito si è schierato decisamente con il beniamino di casa. Questo schieramento, in Italia, può apparire sorprendente. Nel nostro immaginario collettivo, l’elettroshock è una terapia appartenente a epoche oscure, come il salasso o la lobotomia. Molti ritengono (sbagliando) che l’elettroshock sia stato addirittura bandito dalla legge Basaglia come una barbara pseudoscienza. Invece, il trattamento è ancora utilizzato, all’estero e pure in Italia. D’altronde, l’elettroshock è stato inventato proprio ottant’anni fa a Roma, da Ugo Cerletti e Lucio Bini. Lo sperimentarono per la prima volta su un quarantenne senza fissa dimora. Secondo uno studio della ricercatrice norvegese Kari Ann Leiknes del 2012, Usa, Belgio, Norvegia e Australia sono oggi i paesi in cui l’uso dell’elettroshock è più comune. In America tocca a circa duecentomila persone ogni anno. D’altronde, le assicurazioni private statunitensi preferiscono rimborsare l’elettroshock rispetto ad altre terapie. In Italia, secondo un’inchiesta dell’Espresso di un anno fa, ci passano circa trecento persone ogni anno. In maggioranza si tratta di individui gravemente depressi. In quasi tutti i casi si fa sotto anestesia, anche se in molti paesi asiatici questa precauzione è ancora rara.
NELLA COMUNITÀ scientifica, però, è in corso una sorta di riabilitazione dell’elettroshock ed è probabile che dopo anni di calo, nel prossimo futuro il trattamento torni di moda. Ci sono ragioni reali per un simile cambio di rotta? In ottant’anni, le conoscenze sugli effetti biochimici dell’elettroshock non sono progredite granché. Si sa che la «scossa» agisce su alcune proteine coinvolte nella trasmissione dei segnali neuronali, e secondo qualche ricercatore sarebbe anche in grado di stimolare la crescita dei neuroni. Ma come questi fattori esattamente influenzino l’umore è ancora ignoto. Si sa qualcosa in più sugli effetti. Secondo Jauhar, che nel dibattito londinese perorava la causa del trattamento, molte ricerche dimostrano che nei pazienti gravemente depressi
03.02.2019 SCIENZA. La scarica elettrica al cervello sembra una barbarie del passato. Invece divide ancora gli scienziati. È stato inventato 80 anni fa a Roma, da Ugo Cerletti e Lucio Bini come «metodo dell’annichilimento». Nell’ultimo numero del «British Medical Journal» la discussione in corso Tre volte l’anno, l’Istituto di Psichiatria del King’s College di Londra organizza i «Maudsley Debates». Si tratta di dibattiti pubblici su tematiche di largo impatto sociale, in cui il pubblico è chiamato a schierarsi a favore o contro la sua tesi dopo le presentazioni di due esperti. Con un telecomando il pubblico in sala esprime la sua posizione, sia prima che dopo il dibattito. Si tratta di discussioni di alto livello, tanto che il prestigioso British Medical Journal (Bmj) ne dà regolare resoconto.
COME RIPORTA l’ultimo numero del BMJ, la 57/a edizione del dibattito verteva sull’uso della terapia elettroconvulsivante, più nota come «elettroshock»: il suo uso medico è ammissibile? A favore del suo uso, è intervenuto lo psichiatra Sameer Jauhar dell’Istituto di Psichiatria dello stesso King’s College. Giocava invece in trasferta l’oppositore John Read, psichiatra anche lui ma all’università di East London. Il pubblico, telecomando alla mano, all’inizio del dibattito si è schierato decisamente con il beniamino di casa. Questo schieramento, in Italia, può apparire sorprendente. Nel nostro immaginario collettivo, l’elettroshock è una terapia appartenente a epoche oscure, come il salasso o la lobotomia. Molti ritengono (sbagliando) che l’elettroshock sia stato addirittura bandito dalla legge Basaglia come una barbara pseudoscienza. Invece, il trattamento è ancora utilizzato, all’estero e pure in Italia. D’altronde, l’elettroshock è stato inventato proprio ottant’anni fa a Roma, da Ugo Cerletti e Lucio Bini. Lo sperimentarono per la prima volta su un quarantenne senza fissa dimora. Secondo uno studio della ricercatrice norvegese Kari Ann Leiknes del 2012, Usa, Belgio, Norvegia e Australia sono oggi i paesi in cui l’uso dell’elettroshock è più comune. In America tocca a circa duecentomila persone ogni anno. D’altronde, le assicurazioni private statunitensi preferiscono rimborsare l’elettroshock rispetto ad altre terapie. In Italia, secondo un’inchiesta dell’Espresso di un anno fa, ci passano circa trecento persone ogni anno. In maggioranza si tratta di individui gravemente depressi. In quasi tutti i casi si fa sotto anestesia, anche se in molti paesi asiatici questa precauzione è ancora rara.
NELLA COMUNITÀ scientifica, però, è in corso una sorta di riabilitazione dell’elettroshock ed è probabile che dopo anni di calo, nel prossimo futuro il trattamento torni di moda. Ci sono ragioni reali per un simile cambio di rotta? In ottant’anni, le conoscenze sugli effetti biochimici dell’elettroshock non sono progredite granché. Si sa che la «scossa» agisce su alcune proteine coinvolte nella trasmissione dei segnali neuronali, e secondo qualche ricercatore sarebbe anche in grado di stimolare la crescita dei neuroni. Ma come questi fattori esattamente influenzino l’umore è ancora ignoto. Si sa qualcosa in più sugli effetti. Secondo Jauhar, che nel dibattito londinese perorava la causa del trattamento, molte ricerche dimostrano che nei pazienti gravemente depressi
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