Tratto da http://www.arivista.org/
intervista a Giorgio Antonucci
di Moreno Paulon
Dalla collaborazione con Franco Basaglia fino alla chiusura dei manicomi di Imola, uno dei più noti psicanalisti italiani ripercorre la sua vita professionale, ci ricorda che le “malattie mentali“ non esistono e spiega perché il principale nemico è ancora lo Stato.
Giorgio Antonucci (Lucca, 1933) è un medico italiano che ha dedicato i suoi studi e il suo lavoro ad abolire la violenza psichiatrica. Ha lavorato con Franco Basaglia nell'ospedale di Gorizia, ha diretto vari istituti psichiatrici sul territorio nazionale ed è autore di numerose pubblicazioni di ispirazione libertaria nelle quali pone in discussione gli assunti stessi dell'epistemoligia psichiatrica. Assumendo lo spirito dell'etica basagliana, ha lavorato allo smantellamento del manicomio di Imola. Nel 2005 è stato insignito del premio internazionale Thomas Szasz «per eccezionali contributi nella lotta contro lo Stato terapeutico», vale a dire contro uno Stato che adotta il pregiudizio psichiatrico per reprimere le devianze dall'ordine costituito.
Storicizzando la natura dell'apparato psichiatrico, decostruendone i concetti e abdicando personalmente alle sue pratiche repressive, Antonucci riconduce il patologico al sociale, indicando il ruolo politico delle concezioni mediche assunte al servizio delle relazioni di potere fra gli individui e fra i gruppi sociali. L'ho intervistato a casa sua, a Firenze, con l'intenzione di chiarire il ruolo dell'apparato statale di fronte alle spinte più progressiste della società italiana negli anni '70, di indagare lo scarto fra la sua visione e quella di Franco Basaglia e di scoprire quali siano gli ultimi muri, ancora da abbattere, nella lunga lotta contro la discriminazione sociale di ispirazione psichiatrica. Nelle lucide considerazioni di Giorgio Antonucci la psichiatria depone senza appello la sua maschera scientifica e svela un volto fatto di uomini, di comunicazione e di potere.
M.P.
Quando arrivò la polizia
noi ci chiudemmo dentro
L'Italia può gloriarsi oggi della legge 180/1978, del “metodo Basaglia“ e della chiusura dei manicomi come un progresso sociale nazionale. Ma quali furono realmente le prime reazioni dello Stato di fronte alle innovazioni promosse da te, da Cotti, da Basaglia?
Richiamo un episodio su tutti. Nel 1968 Basaglia stava trasformando il manicomio di Gorizia, Cotti era impegnato a Bologna al reparto manicomiale di villa Olimpia ed io lavoravo a Firenze. Quando Cotti si trasferì per assumere la dirigenza del nuovo reparto “neurologico“ di Cividale del Friuli, Basaglia pensò di inaugurare anche lì un discorso nuovo, così si rivolsero a me sapendo che avevamo le stesse idee. Io da Firenze, Cotti da Bologna e Leopoldo Tesi da Gorizia impostammo insieme il lavoro a Cividale secondo i nostri criteri: le persone si rivolgevano a noi soltanto volontariamente, non erano invitate ad assumere farmaci di nessun tipo, non erano contenute da camicie di forza ed erano anzi tutte libere di muoversi in giro per la città. Cotti aveva letto Il mito della malattia mentale di Thomas Szasz e sapeva che le persone non hanno malattie di mente, ma problemi di relazione da risolvere, così parlavamo con loro, singolarmente o in assemblee.
Fuori da questi incontri le persone andavano nei bar, in farmacia, a teatro, in chiesa, dove volevano. Cividale del Friuli è una cittadina piccola, la situazione divenne subito nota e il sindaco Guglielmo Pelizzo, sindaco democristiano, allineato con il governo Leone, governo democristiano, decise che queste persone non dovevano stare liberamente fra le altre, ma rinchiuse come da tradizione repressiva. Un giorno si seppe, attraverso Basaglia, che avevano intenzione di chiuderci. Mandarono la polizia. I poliziotti partirono da Udine in colonna. Il dispiegamento di forze era tale che i cittadini pensarono si trattasse di una mobilitazione legata ai fatti cecoslovacchi oltreconfine. Fu la sola volta, a mio sapere, che in una nazione non totalitaria un ospedale venne aggredito dallo Stato senza che fosse accaduto nulla.
Quando arrivò la polizia, noi ci chiudemmo dentro. Dopo un po' si iniziò a parlamentare e Cotti fece l'errore, decise di fidarsi e aprì la porta. Gli passarono addosso con tutta la violenza della polizia quando interviene per reprimere, la violenza che conosciamo anche oggi. Fummo aggrediti e ci buttarono fuori. Poi volevano portarsi via i nostri utenti, li volevano prendere e rinchiudere. Sia io che Cotti ci opponemmo fisicamente per evitare il sequestro, l'internamento delle persone, e ci riuscimmo. Però l'esperienza di Cividale fu chiusa. Ne parlarono tutti i giornali, anche all'estero, perché era un modo di intervenire inammissibile. Credo sia stata la prima volta nel mondo.
Quindi la lotta contro l'istituzione psichiatrica fu una lotta contro lo Stato?
È ancora una lotta contro lo Stato. Non c'è da stupirsi: persino Freud, da ebreo a Vienna in quegli anni e promotore di tutte le sue novità, trovava spesso la polizia nel suo studio.
Se si abolisse
il ricovero coatto...
Quali sono i nuovi orizzonti che la psichiatria dovrebbe porsi nei confronti dello Stato?
C'è una legge dello Stato, che secondo me non coincide con la Costituzione, che consente di rinchiudere un cittadino che non ha fatto niente, che non ha commesso nessun reato. Questa legge ammette la pratica del ricovero coatto, che oggi chiamano “trattamento sanitario obbligatorio“.
Se una persona dice di essere San Francesco, solo perché fa un discorso che non mi convince può finire sequestrata. Uno psichiatra emette un certificato medico, questo viene accompagnato da un'ordinanza del sindaco (il quale dovrebbe garantire il benessere dei cittadini, ma poi non si reca mai sul posto a controllare per davvero che cosa succede), e la persona viene presa e messa da parte, chiusa in un edificio chiamato comunità terapeutica, o clinica psichiatrica. Ci viene portata con la forza e contro la sua volontà. Se poi si arrabbia e spacca tutto (e ne ha tutte le ragioni) gli mettono pure la camicia di forza. Tutto legale.
Se si abolisse, come io chiedo da anni, il ricovero coatto, cambierebbe tutto il discorso. Essere presi con la forza e portati un in posto senza difesa è inammissibile. Lo Stato prevede ancora che una persona possa essere sequestrata con la forza quando un'altra crede che il suo pensiero non sia accettabile: è una questione repressiva. Con il trattamento sanitario obbligatorio lo Stato commette una violenza contro cittadini assolutamente innocenti e senza alcuna difesa. L'unico sequestro di persona concepibile nel nostro ordinamento è quello per un'ipotesi di reato. Ma in quel caso ci vuole un'iniziativa della Procura della Repubblica, poi c'è l'avvocato difensore, poi ci sarà il processo, un secondo grado e un terzo grado, poi la cassazione, per cui anche sotto ipotesi di reato un cittadino è garantito da una serie di difese. Invece la persona che sostiene di essere San Francesco, per questo o per altri discorsi, può essere sequestrata con un certificato medico di proposta, uno di conferma, e la benedizione di un sindaco. L'obiettivo da porsi è l'abolizione del ricovero coatto. Decaduto questo, il potere del controllo è finito. Per questo nessuno avanza questa richiesta, nemmeno Basaglia l'ha mai avanzata.
lunedì 27 giugno 2016
sabato 25 giugno 2016
Detenuto si suicida all'ex Opg di Barcellona
«Non sarebbe dovuto essere nemmeno qui»
La riforma prevedeva la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari entro il 31 marzo scorso. Ma in Sicilia ci sono solo due Rems, residenze sanitarie alternative, che non riescono ad accogliere tutti. Il 40enne che si è tolto la vita si è ammalato in carcere e da un anno e mezzo era stato trasferito nell'istituto messinese ...
fonte: http://meridionews.it
Un detenuto di 40 anni si è suicidato ieri notte nell'ex ospedale psichiatrico giudiziario di Barcellona Pozzo di Gotto. A togliersi la vita è stato un disabile psichico, trovato dall’agente di polizia penitenziaria di turno. L'unico che deve gestire due piani della struttura. Il tragico episodio fa tornare alla ribalta l'ex opg di Barcellona, trasformato in istituto polifunzionale giusto qualche mese fa dopo la riforma del sistema penitenziario. La legge 81 del 2014 prevedeva infatti la chiusura di tutti gli opg entro il 31 marzo 2015. Si sarebbero dovuti destinare gli internati a pene alternative, col trasferimento nelle Rems, le residenze sanitarie per le misure di sicurezza. O, nei casi in cui fosse stata esclusa la pericolosità sociale di queste persone, liberarli e passarli alle cure dei dipartimenti di salute mentale sparsi sul territorio. «Il problema - spiega una fonte interna all'ospedale psichiatrico di Barcellona - è che le uniche due Rems esistenti in Sicilia, quella di Caltagirone e quella di Naso, non sono sufficienti ad accogliere i tanti detenuti psichiatrici ancora presenti negli ex opg. Il quarantenne che si è suicidato non doveva nemmeno esserci qui, avrebbe dovuto posto in una Rems». La riforma degli istituti penitenziari ha seguito vie spesso tortuose con l’apertura in ritardo delle strutture demandate a ricevere gli internati e il mancato potenziamento dei dipartimento di salute mentale delle Asp. In particolare in Sicilia le due Rems possono accogliere una ventina di persone ciascuna, posti del tutto insufficienti. Con il risultato che l'ex opg di Barcellona continua ad avere una natura ibrida, come spiega il direttore dell'istituto Nunziante Rosania. «È una casa circondariale con detenuti ordinari in attesa di giudizio e per condannati con sentenza definitiva; c'è un residuo di internati del vecchio opg, circa 30 che a tutt’oggi non hanno trovato spazio nelle Rems: e infine c'è anche un'articolazione della salute mentale per malati psichici, (persone entrate sane in altre carceri e che sono state trasferite qui perché dietro le sbarre è subentrato un disagio psichico ndr), tra queste anche otto donne». In totale 187 persone. L'uomo che ieri si è tolto la vita era proprio un detenuto di quest'ultimo gruppo. Di origini catanesi, condannato per reati contro il patrimonio, è stato trasferito a Barcellona da una comunità terapeutica assistita. «Stava nella nostra struttura da un anno e qualche mese - spiega il direttore -. Ha sviluppato questa sua infermità durante la detenzione in un altro istituto». A trovarlo è stato uno dei 80 agenti di polizia penitenziaria che lavorano nell’ex opg. Secondo le stime di chi vi opera ne servirebbero almeno 125. Il direttore confida nel recente e storico passaggio della medicina penitenziaria dalla competenza del ministero della Difesa a quello della Salute, e quindi all'Asp. «Mi auguro che questo porti un incremento di personale per i servizi espletati nelle strutture come la nostra. Ad esempio - conclude Rosania - in una struttura esterna al nostro istituto è prevista la nascita di un Icam, un istituto a custodia attenuata per madri di bimbi fino a tre anni».
La riforma prevedeva la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari entro il 31 marzo scorso. Ma in Sicilia ci sono solo due Rems, residenze sanitarie alternative, che non riescono ad accogliere tutti. Il 40enne che si è tolto la vita si è ammalato in carcere e da un anno e mezzo era stato trasferito nell'istituto messinese ...
fonte: http://meridionews.it
Un detenuto di 40 anni si è suicidato ieri notte nell'ex ospedale psichiatrico giudiziario di Barcellona Pozzo di Gotto. A togliersi la vita è stato un disabile psichico, trovato dall’agente di polizia penitenziaria di turno. L'unico che deve gestire due piani della struttura. Il tragico episodio fa tornare alla ribalta l'ex opg di Barcellona, trasformato in istituto polifunzionale giusto qualche mese fa dopo la riforma del sistema penitenziario. La legge 81 del 2014 prevedeva infatti la chiusura di tutti gli opg entro il 31 marzo 2015. Si sarebbero dovuti destinare gli internati a pene alternative, col trasferimento nelle Rems, le residenze sanitarie per le misure di sicurezza. O, nei casi in cui fosse stata esclusa la pericolosità sociale di queste persone, liberarli e passarli alle cure dei dipartimenti di salute mentale sparsi sul territorio. «Il problema - spiega una fonte interna all'ospedale psichiatrico di Barcellona - è che le uniche due Rems esistenti in Sicilia, quella di Caltagirone e quella di Naso, non sono sufficienti ad accogliere i tanti detenuti psichiatrici ancora presenti negli ex opg. Il quarantenne che si è suicidato non doveva nemmeno esserci qui, avrebbe dovuto posto in una Rems». La riforma degli istituti penitenziari ha seguito vie spesso tortuose con l’apertura in ritardo delle strutture demandate a ricevere gli internati e il mancato potenziamento dei dipartimento di salute mentale delle Asp. In particolare in Sicilia le due Rems possono accogliere una ventina di persone ciascuna, posti del tutto insufficienti. Con il risultato che l'ex opg di Barcellona continua ad avere una natura ibrida, come spiega il direttore dell'istituto Nunziante Rosania. «È una casa circondariale con detenuti ordinari in attesa di giudizio e per condannati con sentenza definitiva; c'è un residuo di internati del vecchio opg, circa 30 che a tutt’oggi non hanno trovato spazio nelle Rems: e infine c'è anche un'articolazione della salute mentale per malati psichici, (persone entrate sane in altre carceri e che sono state trasferite qui perché dietro le sbarre è subentrato un disagio psichico ndr), tra queste anche otto donne». In totale 187 persone. L'uomo che ieri si è tolto la vita era proprio un detenuto di quest'ultimo gruppo. Di origini catanesi, condannato per reati contro il patrimonio, è stato trasferito a Barcellona da una comunità terapeutica assistita. «Stava nella nostra struttura da un anno e qualche mese - spiega il direttore -. Ha sviluppato questa sua infermità durante la detenzione in un altro istituto». A trovarlo è stato uno dei 80 agenti di polizia penitenziaria che lavorano nell’ex opg. Secondo le stime di chi vi opera ne servirebbero almeno 125. Il direttore confida nel recente e storico passaggio della medicina penitenziaria dalla competenza del ministero della Difesa a quello della Salute, e quindi all'Asp. «Mi auguro che questo porti un incremento di personale per i servizi espletati nelle strutture come la nostra. Ad esempio - conclude Rosania - in una struttura esterna al nostro istituto è prevista la nascita di un Icam, un istituto a custodia attenuata per madri di bimbi fino a tre anni».
mercoledì 22 giugno 2016
Volantino sul Tso anche in inglese e spagnolo
Il Collettivo Artuad di Pisa si è occupato della traduzione del volantino informativo relativo anche al TSO (che trovate qui sotto); a seguire le versioni in spagnolo ed inglese anche per chi ha subito dai centri richiedenti asilo si è trovato catapultato nella realtà psichiatrica senza sapere a cosa stesse andando incontro.
Possibilmente da stampare e diffondere.
Possibilmente da stampare e diffondere.
INFORMAZIONI
SUL TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio)
La
legge 180/78 è la normativa che regola in Italia i trattamenti
sanitari. La legge 180/78 sancisce che i trattamenti sanitari sono,
in generale, volontari. Ma stabilisce anche dei casi in cui il
ricovero venga eseguito coattivamente e contro la volontà
dell’individuo: è il caso del T.S.O. eseguibile all’interno del
reparto psichiatrico di un qualunque Ospedale generale civile; SPDC
(Servizio Psichiatrico Diagnosi e Cura)
Il
trattamento sanitario obbligatorio ha durata di 7 giorni, e per
essere disposto necessita di una serie di passaggi stabiliti per
legge. Esso deve essere disposto dal Sindaco del comune di residenza
su proposta di un medico e convalidato da uno psichiatra operante
nella struttura pubblica.
Dopo
aver firmato la richiesta di T.S.O. il sindaco deve inviare il
provvedimento e le certificazioni mediche al Giudice Tutelare
operante sul territorio. Il giudice, che ha un compito di vigilanza
sui trattamenti, può entro 48 ore convalidare o meno il
provvedimento. Lo stesso procedimento deve essere seguito nel caso in
cui il T.S.O. venga rinnovato.
Il
T.S.O. può essere eseguito solo se sussistono queste tre
condizioni:
1. L’individuo presenta alterazioni psichiche tali da necessitare interventi terapeutici urgenti;
2. L’individuo rifiuta l’interventi terapeutici;
3.L’individuo non può essere assistito in altro modo rispetto al ricovero ospedaliero.
1. L’individuo presenta alterazioni psichiche tali da necessitare interventi terapeutici urgenti;
2. L’individuo rifiuta l’interventi terapeutici;
3.L’individuo non può essere assistito in altro modo rispetto al ricovero ospedaliero.
Quanto
al contenuto, un Trattamento Sanitario Obbligatorio può essere
revocato se mancano le 3 condizioni che lo giustificano. Poiché è
molto difficile appellarsi alla mancanza dello stato di urgenza o di
necessità definito dall’arbitrio dello psichiatra di turno,è più
funzionale far riferimento alle altre 2 condizioni. Se non vi sono
omissioni e il T.S.O. risulta legale, una volta in reparto è
opportuno o dimostrare che il trattamento può avvenire in luogo
diverso rispetto all’ospedale, oppure accettare le cure che ci
vengono somministrate. In tali casi 2 delle condizioni decadono. A
questo punto si può chiedere la revoca del T.S.O. al Sindaco e al
Giudice Tutelare, magari allegando un’autocertificazione in cui si
dichiara l’accettazione della terapia.
Di
fronte alla presentazione di un provvedimento di T.S.O. abbiamo
diritto a chiedere la NOTIFICA del Sindaco relativa al provvedimento
stesso. In mancanza o in attesa di tale notifica, che deve pervenire
entro 48 ore, nessuno può obbligarci a ricoverarci o a seguire
terapie, a meno che non abbiamo violato norme penali o che lo
psichiatra abbia invocato lo stato di necessità regolato
dall’articolo 54 del Codice Penale.
Potrebbe
mancare a questo punto la notifica da parte del Giudice Tutelare che
deve pervenire entro le 48 ore successive alla richiesta del Sindaco.
Se la convalida del giudice non avviene entro questo lasso di tempo
il provvedimento decade. Ciò significa che abbiamo tutto il diritto,
ai sensi di legge, di lasciare la struttura ospedaliera in cui ci
avevano rinchiuso.
In
molti casi accade che i medici che firmano il provvedimento non
abbiano mai né visto né visitato il paziente. Il ricovero risulta
illegale e dunque il T.S.O. è invalidato. In questi casi, inoltre, i
medici possono essere denunciati per falso in atto pubblico.
Il
T.S.O. decade anche qualora o i medici o il Sindaco o il Giudice
Tutelare, nei loro documenti abbiano omesso di specificare le
motivazioni che hanno reso necessario il ricorso al ricovero coatto.
Se
il provvedimento di T.S.O. è disposto dal sindaco di un comune
diverso da quello di residenza, ne va data comunicazione al sindaco
di quest’ultimo comune. Se il provvedimento è adottato nei
confronti di cittadini stranieri o di apolidi, ne va data
comunicazione al Ministero degli Interni e al consolato competente,
tramite il prefetto.
I
DIRITTI CHE ABBIAMO in CASO di TRATTAMENTO SANITARIO OBBLIGATORIO
1.
abbiamo diritto alla notifica del provvedimento di TSO. In assenza di
questa notifica nessuno può obbligarci a seguirlo o ad assumere
terapie (esclusi i casi di comportamenti penalmente rilevanti e i
casi in cui si ravvisano gli estremi dello stato di necessità).
2.
abbiamo diritto di presentare ricorso avverso al TSO al Sindaco
che lo ha disposto. Questo ricorso può essere proposto anche da chi
ne ha interesse (familiari, amici, associazioni ecc..). Per ridurre i
tempi conviene inviarne copia al Giudice Tutelare, specie se il
ricorso parte entro le prime 48 ore dal ricovero (quando
presumibilmente lo stesso non ha ancora convalidato
il
provvedimento).
provvedimento).
3.
abbiamo diritto di avanzare richiesta di revoca al Tribunale,
chiedendo la sospensione immediata
del TSO e delegando, se vogliamo, una persona di nostra fiducia a rappresentarci al processo.
del TSO e delegando, se vogliamo, una persona di nostra fiducia a rappresentarci al processo.
4.
abbiamo diritto di scegliere, ove possibile, il reparto presso cui
essere ricoverati.
5.
abbiamo diritto di conoscere le terapie che ci vengono somministrate
e di poter scegliere fra
una serie di alternative.
una serie di alternative.
6.
abbiamo diritto di comunicare con chi riteniamo opportuno e di
ricevere visite nell’orario stabilito dalla struttura ospedaliera.
7.
abbiamo diritto di essere rispettati nella nostra dignità psichica e
fisica. Anche se sottoposti a TSO nessuna contenzione fisica e
meccanica può esserci applicata, se non in via eccezionale e per il
tempo strettamente necessario alla somministrazione della terapia e
in accordo alle linee guida dell’Ospedale. Gli atti di contenzione
di natura punitiva sono reati penalmente perseguibili.
8.
abbiamo diritto di dettare nella nostra cartella clinica ogni
informazione riguardante il nostro
stato di salute e i trattamenti che riceviamo.
stato di salute e i trattamenti che riceviamo.
9.
abbiamo diritto di conoscere i nomi e la qualifica degli operatori
del reparto (essi devono
indossare cartellini di riconoscimento).
indossare cartellini di riconoscimento).
Il
Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud
per
info e contatti:
Collettivo
Antipsichiatrico Antonin Artaud
via
San Lorenzo 38 56100 Pisa
antipsichiatriapisa@inventati.org
www.artaudpisa.noblogs.org
/ 335 7002669
INFORMACIONES
SOBRE EL T.S.O. (TRATAMIENTO SANITARIO OBLIGATORIO)
La
ley 180/78 afirma que los tratamientos sanitatios son, generalmente,
voluntarios. Esta dice también que hay casos en los que la
hospitalización viene efectuada coactivamente y contra la voluntad
del individuo: este es el caso del T.S.O., realizado en el interior
de la unidad psiquiátrica
de todos los hospitales nacionales; SPDC (Servicio Psiquiátrico
Diagnosis y Cura).
sabato 18 giugno 2016
OPG di Aversa diventerà un istituto penitenziario
chiude l'OPG di Aversa, è stato il primo manicomio criminale italiano.
diventerà una galera; per l'esattezza un'istituto penitenziario
ordinario a custodia attenuata ad alto indice trattamentale
con una capacità ricettiva di circa 270 posti detentivi.
Sono già 70 i detenuti ospitati nella sezione ordinaria,
altri 25 arriveranno nei prossimi giorni dalla casa circondariale di Napoli Poggioreale.
sotto alcuni link con la notizia della chiusura:
http://www.ilmattino.it/caserta/opg_aversa_chiusura-1798308.html
http://www.cronachedellacampania.it/chiude-opg-aversa-primo-manicomio-giudiziario-italia/
grazie al Collettivo Artaud per la segnalazione
venerdì 17 giugno 2016
La struttura dell’orrore, a Torchiagina pazienti presi a calci e pugni
Intercettazioni video e audio, quindi, ci sarebbero quelle ad inchiodare le persone arrestate alle loro responsabilità
“Secchiate di acqua fredda, le mani legate dietro la schiena con il nastro adesivo, polsi spezzati, schiaffi pugni, calci, presa per i capelli e bastonate a pazienti indifesi, punizioni fisiche e psicologiche per fatti di disobbedienza o di mancato rispetto delle regole interne alla struttura”. E poi ancora “pazienti senza pranzo o senza cena, nell’averli privati dei propri effetti personali e della possibilità di fumare, chiusi a chiave in uno dei bagni della struttura, o comunque in locali al buio o costretti a lavarsi i denti nelle fontane dei giardini esterni, nonché alla minaccia come metodo educativo”. E’ quanto sarebbe emerso dalle indagini effettuate dai carabinieri del Nas, sul comportamento degli operatori di una struttura sanitaria a Torchiagina, alle porte di Assisi.Il tutto sarebbe cominciato con una segnalazione di due anni fa arrivata ai Carabinieri. Da allora l’attenzione si è alzata sulla struttura di accoglienza di Torchiagina di Assisi, situata in via della Torre, e, grazie alla installazione di telecamere al lavoro certosino dei Carabinieri del Nucleo antisofisticazione e Sanità – il Nas – e il coordinamento del sostituto procuratore della Repubblica Michele Adragna, si è arrivati, nelle ultime ore, all’arresto di sei persone. Il responsabile della struttura e alcuni operatori “in concorso tra loro” avrebbero “maltrattato” almeno 12 pazienti-ospiti (la struttura ne ospita circa 30). La misura, per loro, sarebbe quella dei domiciliari.
Le indagini riguarderebbero la gestione della struttura e i metodi di assistenza delle persone che sono ricoverate. Quello di Torchiagina è un centro di accoglienza anche per malati psichiatrici, considerato, per altro, una vera e propria eccellenza. Da quanto si apprende, ma si capisce che sulla delicatissima vicenda c’è massimo riserbo, ci sarebbe una foto drammatica. Un volto di un uomo pieno di ematomi, dovuti a percosse. E anche qui la foto sarebbe stata inviata direttamente ai Carabinieri e quindi il via alla attività investigativa.
fonte: www.umbriajournal.com
martedì 14 giugno 2016
Per 195 persone trovare posto è un'impresa
PROCURE, gip e tribunali di sorveglianza fanno richiesta, ma trovano
tutte le porte sbarrate. Oggi in Italia ci sono 195 persone per le quali
non c'è spazio nelle Rems, le residenze per l'esecuzione delle misure
di sicurezza che devono archiviare per sempre la buia stagione degli
Opg, gli ospedali psichiatrici giudiziari. La filosofia alla base delle
nuove strutture è più sanitaria che carceraria, mira all'assistenza e al
recupero di malati psichiatrici giudicati socialmente pericolosi. E
infatti non è prevista la presenza della polizia penitenziaria ma solo
di personale sanitario.
Gli oltre 500 posti a disposizione nelle Rems già non bastano ad accogliere tutti. Ma viste le richieste, c'è il rischio che anche in futuro, quando la riforma sarà definitivamente partita e la capacità di accoglienza salirà a 600, ci si trovi un sistema sottodimensionato. «Il problema è che le Rems oggi vengono usate anche per quello che non sono. Cioè i magistrati chiedono di mandarci persone la cui posizione non è ancora definita dal punto di vista giudiziario, quindi per misure di sicurezza provvisorie. Invece dovrebbero andarci malati con misure definitive, cosa che vorrei fosse chiarita con un decreto legge». A parlare è Franco Corleone, commissario del Governo per l'applicazione della legge che ha stabilito la chiusura degli Opg indicando tra l'altro come termine il 31 marzo 2015. Il lavoro non è finito, visto che restano ancora aperti gli ospedali psichiatrici giudiziari di Montelupo Fiorentino e Barcellona Pozzo di Gotto (Messina) con dentro una cinquantina di persone. La prossima settimana finalmente chiuderà Aversa, il manicomio criminale più antico d'Italia.
Al posto degli Opg stanno nascendo le Rems: oggi sono 24 sulle 30 previste e ospitano circa 520 persone. Ma 195 sono ancora fuori. «Se si procede così i posti non basteranno mai — spiega Corleone — Ne abbiamo parlato anche mercoledì in una riunione con le Regioni e i ministeri della Giustizia e della Sanità. Chi aspetta il giudizio va mandato, anche a seconda della gravità di ciò che ha fatto, nella sezione sanitaria di un carcere, o in un reparto psichiatrico dell'ospedale. Ma ci sono anche Regioni che hanno creato strutture "intermedie" di assistenza, come ad esempio case famiglia, e che quindi "soffrono" di meno. In Emilia Romagna ci sono 5 ordinanze non eseguite per mancanza di letti nei Rems contro le 44 della Sicilia».
Gli Opg in alcuni anni sono arrivati ad ospitare anche 1.400 persone, più del doppio della disponibilità delle Rems. Secondo Corleone non è questo il problema, perché la nuova legge ha cambiato completamente l'approccio verso i malati psichiatrici pericolosi. «Negli Opg c'erano i cosiddetti "ergastoli bianchi", con le persone che restavano dentro tutta la vita. Nei Rems, la misura detentiva è equiparata alla pena per il reato commesso. Se sono previsti 10 anni, si resta dentro non di più. E poi c'è il grande tema dell'assistenza mirata a recuperare queste persone e a reinserirle nella società. Le strutture sono piccole, ci sono stanze a due letti con il bagno, si mangia insieme». Anche dei più pericolosi si occupa comunque il personale sanitario e non ci sono portoni o cancelli a chiudere dentro gli ospiti. Tutti particolari che hanno fatto dire ai sostenitori della riforma che siamo di fronte alla rivoluzione più importante nel mondo delle malattie mentali dai tempi della legge Basaglia.
Fonte: ricerca.repubblica.it
Gli oltre 500 posti a disposizione nelle Rems già non bastano ad accogliere tutti. Ma viste le richieste, c'è il rischio che anche in futuro, quando la riforma sarà definitivamente partita e la capacità di accoglienza salirà a 600, ci si trovi un sistema sottodimensionato. «Il problema è che le Rems oggi vengono usate anche per quello che non sono. Cioè i magistrati chiedono di mandarci persone la cui posizione non è ancora definita dal punto di vista giudiziario, quindi per misure di sicurezza provvisorie. Invece dovrebbero andarci malati con misure definitive, cosa che vorrei fosse chiarita con un decreto legge». A parlare è Franco Corleone, commissario del Governo per l'applicazione della legge che ha stabilito la chiusura degli Opg indicando tra l'altro come termine il 31 marzo 2015. Il lavoro non è finito, visto che restano ancora aperti gli ospedali psichiatrici giudiziari di Montelupo Fiorentino e Barcellona Pozzo di Gotto (Messina) con dentro una cinquantina di persone. La prossima settimana finalmente chiuderà Aversa, il manicomio criminale più antico d'Italia.
Al posto degli Opg stanno nascendo le Rems: oggi sono 24 sulle 30 previste e ospitano circa 520 persone. Ma 195 sono ancora fuori. «Se si procede così i posti non basteranno mai — spiega Corleone — Ne abbiamo parlato anche mercoledì in una riunione con le Regioni e i ministeri della Giustizia e della Sanità. Chi aspetta il giudizio va mandato, anche a seconda della gravità di ciò che ha fatto, nella sezione sanitaria di un carcere, o in un reparto psichiatrico dell'ospedale. Ma ci sono anche Regioni che hanno creato strutture "intermedie" di assistenza, come ad esempio case famiglia, e che quindi "soffrono" di meno. In Emilia Romagna ci sono 5 ordinanze non eseguite per mancanza di letti nei Rems contro le 44 della Sicilia».
Gli Opg in alcuni anni sono arrivati ad ospitare anche 1.400 persone, più del doppio della disponibilità delle Rems. Secondo Corleone non è questo il problema, perché la nuova legge ha cambiato completamente l'approccio verso i malati psichiatrici pericolosi. «Negli Opg c'erano i cosiddetti "ergastoli bianchi", con le persone che restavano dentro tutta la vita. Nei Rems, la misura detentiva è equiparata alla pena per il reato commesso. Se sono previsti 10 anni, si resta dentro non di più. E poi c'è il grande tema dell'assistenza mirata a recuperare queste persone e a reinserirle nella società. Le strutture sono piccole, ci sono stanze a due letti con il bagno, si mangia insieme». Anche dei più pericolosi si occupa comunque il personale sanitario e non ci sono portoni o cancelli a chiudere dentro gli ospiti. Tutti particolari che hanno fatto dire ai sostenitori della riforma che siamo di fronte alla rivoluzione più importante nel mondo delle malattie mentali dai tempi della legge Basaglia.
Fonte: ricerca.repubblica.it
venerdì 10 giugno 2016
mercoledì 8 giugno 2016
convegno/iniziativa NO OPG NO REMS a VOLTERRA sabato 11 giugno
Lo Spazio Libertario Pietro Gori, in collaborazione con
il collettivo antipsichiatrico Antonin Artaud di Pisa,
organizza per sabato 11 giugno a Volterra dalle ore 15 al Teatro di Nascosto
(via Scalette di Docciola)
una conferenza/dibattito dal titolo:
“ NO Opg/Rems a Volterra e ovunque! Percorsi “altri” e
immaginazione rivoluzionaria per un mondo senza gabbie!”
con:
GIORGIO ANTONUCCI- medico e psicoanalista
MARCO ROSSI curatore della ricerca “La Psichiatria di Guerra: il caso di Volterra”
COLLETTIVO ANTIPSICHIATRICO ANTONIN ARTAUD - Pisa
SPAZIO LIBERTARIO PIETRO GORI – Volterra
A SEGUIRE APERICENA
Organizza lo Spazio Libertario Pietro Gori e il Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud
Come Spazio Libertario Pietro Gori Volterra e Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud siamo contro tutte le istituzioni totali. Anche la REMS (Residenza Esecutiva per le Misure di Sicurezza) a Volterra è un mini OPG (Ospedale Psichiatrico Giudiziario), una struttura manicomiale, una istituzione totale. L’autoritarismo statale, con le sue appendici locali, pianifica il passaggio dai terribili OPG - però in parte ancora aperti - alle REMS sostenendo che ciò sarebbe qualcosa di “più umano”.
Cambia il nome, cambia in parte la gestione e cambiano alcune procedure, forse queste strutture saranno “più pulite, moderne e accoglienti”, ma non cambia la sostanza. La logica concentrazionaria che ne è alla base, resta quella del fascista Codice Rocco, basata su un meccanismo d’ internamento/custodia manicomiale per i cosiddetti “socialmente pericolosi”, un paradigma totalizzante/escludente per contenere una umanità “eccedente”.
Di fatto una parte consistente degli internati già dovrebbe essere fuori per le stesse, repressive, regole statali; la gran parte non ha commesso violenze gravi su vittime indifese, come invece spesso viene detto strumentalmente; in ogni caso, come dimostra la realtà, gli apparati d’ internamento/controllo sistemici riproducono disastri sul piano sociale e individuale. L’istituzione totale è un dispositivo classista e gerarchico, funzionale a logiche di profitto e dominio elitari, al contempo di omologazione e separazione. Per noi occorre partire da un nuovo paradigma non escludente, a cominciare dal fatto che la libertà è terapeutica e che occorre costruire relazioni sociali diverse e migliori, rivoluzionando l’esistente, rompendo così, a 360 gradi, la gabbia sistemica della cosiddetta “malattia mentale”, costruendo percorsi “altri”. Nel paese c’è un iniziale e variegato movimento - di cui ci sentiamo parte con le nostre autonomie di pensiero e pratiche, con le nostre peculiari soggettività - di contrapposizione e critica agli OPG/REMS, un movimento dal basso che si oppone alle logiche alienanti/repressive manicomiali e cerca di prefigurare e costruire alternative all’esclusione istituzionalizzata.
Come libertari crediamo che ci sia bisogno d’immaginare e sperimentare dal basso forme di sostegno socializzanti, come già avviene in alcune realtà autogestite, con persone che hanno cortocircuiti mentali e sofferenza psichica, che poi è sofferenza esistenziale, antitetici al sistemico internamento/controllo. Percorsi di apertura umana e interazione, coinvolgenti rispetto ai contesti territoriali e comunitari, in cui affrontare dal basso le vari situazioni critiche rigettando dispositivi segreganti. Sperimentazioni che possano usare risorse realmente pubbliche, in cui siano protagoniste le persone, nelle varie dimensioni, nel rispetto dell’integrità, dell’autonomia e della dignità di tutti/e i soggetti in campo, senza sbarre e contenzioni manicomiali.
A partire da ciò, con ulteriori aspetti da approfondire data la complessità della questione, certamente spinosa, pensiamo che sia importante aprire un confronto sociale e culturale.
Spazio Libertario Pietro Gori Volterra,Via Don Minzoni 58
Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud- via San Lorenzo 38 Pisa
il collettivo antipsichiatrico Antonin Artaud di Pisa,
organizza per sabato 11 giugno a Volterra dalle ore 15 al Teatro di Nascosto
(via Scalette di Docciola)
una conferenza/dibattito dal titolo:
“ NO Opg/Rems a Volterra e ovunque! Percorsi “altri” e
immaginazione rivoluzionaria per un mondo senza gabbie!”
con:
GIORGIO ANTONUCCI- medico e psicoanalista
MARCO ROSSI curatore della ricerca “La Psichiatria di Guerra: il caso di Volterra”
COLLETTIVO ANTIPSICHIATRICO ANTONIN ARTAUD - Pisa
SPAZIO LIBERTARIO PIETRO GORI – Volterra
A SEGUIRE APERICENA
Organizza lo Spazio Libertario Pietro Gori e il Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud
Come Spazio Libertario Pietro Gori Volterra e Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud siamo contro tutte le istituzioni totali. Anche la REMS (Residenza Esecutiva per le Misure di Sicurezza) a Volterra è un mini OPG (Ospedale Psichiatrico Giudiziario), una struttura manicomiale, una istituzione totale. L’autoritarismo statale, con le sue appendici locali, pianifica il passaggio dai terribili OPG - però in parte ancora aperti - alle REMS sostenendo che ciò sarebbe qualcosa di “più umano”.
Cambia il nome, cambia in parte la gestione e cambiano alcune procedure, forse queste strutture saranno “più pulite, moderne e accoglienti”, ma non cambia la sostanza. La logica concentrazionaria che ne è alla base, resta quella del fascista Codice Rocco, basata su un meccanismo d’ internamento/custodia manicomiale per i cosiddetti “socialmente pericolosi”, un paradigma totalizzante/escludente per contenere una umanità “eccedente”.
Di fatto una parte consistente degli internati già dovrebbe essere fuori per le stesse, repressive, regole statali; la gran parte non ha commesso violenze gravi su vittime indifese, come invece spesso viene detto strumentalmente; in ogni caso, come dimostra la realtà, gli apparati d’ internamento/controllo sistemici riproducono disastri sul piano sociale e individuale. L’istituzione totale è un dispositivo classista e gerarchico, funzionale a logiche di profitto e dominio elitari, al contempo di omologazione e separazione. Per noi occorre partire da un nuovo paradigma non escludente, a cominciare dal fatto che la libertà è terapeutica e che occorre costruire relazioni sociali diverse e migliori, rivoluzionando l’esistente, rompendo così, a 360 gradi, la gabbia sistemica della cosiddetta “malattia mentale”, costruendo percorsi “altri”. Nel paese c’è un iniziale e variegato movimento - di cui ci sentiamo parte con le nostre autonomie di pensiero e pratiche, con le nostre peculiari soggettività - di contrapposizione e critica agli OPG/REMS, un movimento dal basso che si oppone alle logiche alienanti/repressive manicomiali e cerca di prefigurare e costruire alternative all’esclusione istituzionalizzata.
Come libertari crediamo che ci sia bisogno d’immaginare e sperimentare dal basso forme di sostegno socializzanti, come già avviene in alcune realtà autogestite, con persone che hanno cortocircuiti mentali e sofferenza psichica, che poi è sofferenza esistenziale, antitetici al sistemico internamento/controllo. Percorsi di apertura umana e interazione, coinvolgenti rispetto ai contesti territoriali e comunitari, in cui affrontare dal basso le vari situazioni critiche rigettando dispositivi segreganti. Sperimentazioni che possano usare risorse realmente pubbliche, in cui siano protagoniste le persone, nelle varie dimensioni, nel rispetto dell’integrità, dell’autonomia e della dignità di tutti/e i soggetti in campo, senza sbarre e contenzioni manicomiali.
A partire da ciò, con ulteriori aspetti da approfondire data la complessità della questione, certamente spinosa, pensiamo che sia importante aprire un confronto sociale e culturale.
Spazio Libertario Pietro Gori Volterra,Via Don Minzoni 58
Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud- via San Lorenzo 38 Pisa
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