domenica 17 gennaio 2016

Articolo e replica Giuseppe Bucalo


 Se si ha la bontà di andare oltre gli slogan e le frasi ad effetto (condite con il riferimento inevitabile al grande padre della psichiatria delle buone pratiche che, del resto, non può più replicare) ... il testo dell'appello appare del tutto diverso dalle premesse. L'abolizione della contenzione, che significa essenzialmente il varo di una norma cogente e vincolante per tutti che ne vieti l'uso e l'applicazione in ambito psichiatrico, si trasforma in una battaglia culturale per liberare gli psichiatri dal ruolo infame di custodi, per rimpolpare gli organici, per sperimentare nuove e più umane forme e strategie di applicazione dei trattamenti coatti, per invitare tutti a denunciare le cattive psichiatrie e osannare le buone ... tutto fuorché promuovere il riconoscimento del diritto soggettivo, esigibile direttamente e senza passare dalla concessione di carcerieri/liberatori di professione, a non essere coartati a "cure" (quali che siano) non richieste e per le quali non si è dato il consenso. La storia si ripete. L'appello ci dice fra le righe che la contenzione non va abolita, ma piuttosto abbandonata, non usata più, sostituita con altre e più efficaci (e socialmente accettabili) strategie di (in)trattenimento. Nel negarla se ne riconferma la natura di strategia di intervento, figlia di una concezione arcaica della psichiatria che va riformata e superata alla luce dei nuovi orientamenti terapeutici. La psichiatria delle buone pratiche non è interessata al riconoscimento della libertà di scelta dei suoi utenti (in)volontari, più di quanto lo sia quella delle "cattive" pratiche: legare e slegare le persone sono facce dello stesso esercizio di potere che esclude, sempre e comunque, la libertà di scelta dell'utente involontario e non ne riconosce il diritto naturale alla libertà di movimento e di espressione sancito e garantito per tutti.
Giuseppe Bucalo 

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