mercoledì 28 dicembre 2016
Paolo Algranati "Voci dal silenzio - diario di uno psichiatra anomalo" edit. Eléuthera
E' la cronaca 1981 - 1998 dell'apertura, della restituzione di responsabilità individuali, e infine svuotamento, di un reparto del Manicomio di Roma
Questo è senz'altro un libro che gli attuali psichiatri, magari magari anche quelli detentori di cattedra universitaria, nonché il collaterale personale dei sedicenti 'servizi di salute mentale', dovrebbero leggere e rileggere - ammesso e non concesso che un testa di casso ben convinto della superiorità -e comodità - della propria cassosità, possa capire come si fa a non essere testa di casso. (in ogni caso chi scrive questa segnalazione ritiene che è proprio il ruolo di psichiatra, il mestiere in sé, fondato su presunzione vana non seria non autentica medica, ma tesa a mantenere la tradizione la paga il prestigio il ruolo, che fa il danno; tanto più se il personale coadiuvante gioca simultaneamente lo stesso gioco scaricabarile e scansaproblemi di 'solo i miei compiti' e 'non voglio rogne' ..)
E' la storia negli anni - dal 1981 al 1998 - di come gli internati di uno dei reparti del Manicomio di Roma, sono stati progressivamente 'resi liberi'; di come cioè si è svolta nel concreto l'operazione basagliana di apertura e svuotamento del reparto, con sistemazione curata fuori di tutti i 'pazienti' uno per uno.
Progressivamente si è passati dalla situazione di tutti inchiavardati a ruoli mimica pantomime fissi totalmente subordinati senza diritti e senza voce, inchiavardati alla routine giornaliera sotto una gerarchia di infermieri di fatto solo secondini - una suora caposala direttrice pluridecennale forse faceva la cresta sui farmaci degna di un film a tinte cupe,
a una situazione di rottura della routine di reparto e dei ruoli fissi, con gli infermieri e gli operatori delle pulizie, e anche i medici, che non tengono più le distanze dai 'malati', anzi ci parlano spesso alla pari.
incominciando da: se dare gocce di serenase o discorrerci per due ore, che si dimostra altrettanto risolutivo (pag. 42),
sorgono discussioni a più voci sugli argomenti e problemi più importanti, come su pericolosità, incomprensibilità, inguaribilità, non considerati astrattamente ma di fronte alla realtà di tre pazienti corrispondenti (a pag 106 e seg) ,
sottolineamo che in questo percorso le terapie farmacologiche sono assai ridotte: più della metà dei pazienti NON ASSUMONO ALCUNA TERAPIA, per gli altri ... (pag. 158 e seg.)
è discusso perché c'è cronicizzazione e come riabilitare (pag.161)
si trova che nei nuovi servizi di salute mentale (anni 1996 -97), che dovrebbero dare una mano per alcuni dei dismessi, ci sono invece "Meccanismi disabilitanti" della persona del tutto analoghi a quelli del vecchio manicomio, molto spesso questi nuovi servizi danno un apporto decisamente negativo (pag. 182)
infine una analisi di cosa è comunità (pag. 184).
e, 1998, tutti sistemati fuori e manicomio chiuso.
---------
L'autore, lo psichiatra Paolo Agranati, nato a Roma nel 1954,
è il responsabile che entrato giovanissimo nel reparto in questione, nel 1981 a soli 27 anni, si appassiona dirige lotta per tutta l'operazione fino alla chiusura 1998. Si autodefinisce "psichiatra anomalo" e effettivamente da come agisce e ragiona è all'estremo limite della psichiatria basagliana. Prossimo se non quasi raggiungente, nel suo limitare al massimo i mezzi medici aumentando invece la sensibilità umana, l'antipsichiatria vera, quella che nega decisamente la psichiatria stessa, cioè Laing, Cooper, il nostro Giorgio Antonucci, l'ultimo Loren Mosher.
fonte: http://www.nopazzia.it
mercoledì 14 dicembre 2016
Appuntamenti antipsichiatrici a Dicembre
Questa settimana a Vicenza e Roma:
presentazioni ELETTROSHOCK sab 17 SCHIO e dom 18 MONTECCHIO (VICENZA)
SABATO 17 DICEMBRE SCHIO (VICENZA)
c/o il bar Due Mori in via Pasubioalle ore 21 presentazione di:
“ELETTROSHOCK” La storia delle terapie elettroconvulsive e i racconti di chi le ha vissute.”
a cura del Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud.
Edizioni Sensibili Alle Foglie.
DOMENICA 18 DICEMBRE MONTECCHIO (VICENZA)
c/o Circolo La Mesa in via Leonardo da Vinci (zona Alte Ceccato)alle ore 16:30 presentazione di:
“ELETTROSHOCK” La storia delle terapie elettroconvulsive e i racconti di chi le ha vissute.”
a cura del Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud
Edizioni Sensibili Alle Foglie.
per info: antipsichiatriapisa@inventati.org www.artaudpisa.noblogs.org
Venerdì 16/12 al Bam FUGA DALLA PSICHIATRIA SE LA CONOSCI LA EVITI
Dai manicomi criminali agli OPG, dagli OPG alle REMS. Riforme
presentate come “superamenti”. Ma cosa c’è davvero sulla imbandita
tavola del controllo psichiatrico? Proviamo a capirlo assieme.
La serata avrà luogo al BAM (Biblioteca abusiva metropolitana), via dei Castani 42 (Metro C, Tram 5-19, Centocelle, Roma) a partire dalle ore 18.30.
Programma della serata:
– Proiezione di “Blocco E, IV piano” di Sergio Bertani
– Dal manicomio alle Rems: L’evoluzione del potere psichiatrico – dibattito
– Distribuzione dell’opuscolo “Tattiche e strategie di fuga dalla psichiatria”
– Incursione musicale di Italo Vegliante – La Pantera Rosa
– A seguire cena a buffet a sostegno del collettivo senzanumero
La serata avrà luogo al BAM (Biblioteca abusiva metropolitana), via dei Castani 42 (Metro C, Tram 5-19, Centocelle, Roma) a partire dalle ore 18.30.
Programma della serata:
– Proiezione di “Blocco E, IV piano” di Sergio Bertani
– Dal manicomio alle Rems: L’evoluzione del potere psichiatrico – dibattito
– Distribuzione dell’opuscolo “Tattiche e strategie di fuga dalla psichiatria”
– Incursione musicale di Italo Vegliante – La Pantera Rosa
– A seguire cena a buffet a sostegno del collettivo senzanumero
SABATO 17/12 SERATA ANTIPSICHIATRICA al Centocelle Aperte
venerdì 2 dicembre 2016
Omicidio Casu – ingiustizia è fatta
Il
26 Ottobre 2016, a dieci anni dalla morte di Giuseppe Casu,
l’interminabile vicenda processuale legata alla sua uccisione nel
reparto di psichiatria di Cagliari, è giunta alla sua assurda e
grottesca conclusione: tutti innocenti i responsabili dell’assassinio di
quest’uomo, unici colpevoli i militanti antipsichiatrici che hanno
osato sollevare il caso. Questa tragica storia merita di essere
ricordata ancora una volta, per come riassume in se la natura criminale
del potere, in tutte le sue articolazioni.
Nel
Giugno 2006 viene sottoposto a TSO un venditore ambulante di Quartu
Sant’Elena, Giuseppe Casu. La richiesta parte dall’amministrazione
comunale di Quartu (sindaco Ruggeri) impegnata in un’aggressiva campagna
per cacciare i venditori ambulanti dal centro. Poiché, nonostante le
numerose multe, Giuseppe Casu insiste a presentarsi in piazza con la sua
motocarrozzella piena di verdure, dal comune organizzano per lui una
vera e propria trappola. Tutto avviene molto rapidamente, i giornalisti
sono stati preavvisati e attendono dietro l’angolo, intervengono i
carabinieri con le guardie municipali, spunta anche un’ambulanza. Gli
agenti lo afferrano con la forza, di fronte a tutti, lo sbattono a
terra, lo immobilizzano. Giuseppe Casu viene caricato, ammanettato alla
barella e portato via. È in atto un ricovero coatto in psichiatria. Il
signor Casu non era mai stato in “cura” da uno psichiatra, il suo
ricovero all’ospedale SS. Trinità di Cagliari, oltre a non avere alcuna
giustificazione “medica”, è illegittimo ed illegale, infatti il giudice
non ha convalidato il TSO entro la scadenza stabilita per legge.
Tecnicamente si tratterebbe di abuso di potere e sequestro di persona,
cosa per cui sono stati incriminati, processati, e poi naturalmente
assolti, sette medici del reparto di psichiatria, a cominciare da Turri,
allora primario. Dopo sette giorni di contenzione ininterrotta (legato
al letto mani e piedi) e di sevizie impropriamente spacciate come
“cure”, Giuseppe Casu muore.
Per la morte, non certo
accidentale, di quest’uomo vengono incriminati e processati il primario
Turri e la dottoressa Cantone. I periti del tribunale attribuiscono la
sua morte a diversi fattori, dalla lunghissima stasi dovuta alla
contenzione, a uno psicofarmaco fortemente tossico per il cuore
l’Aloperidolo che gli è stato somministrato in dosi massicce assieme ad
altri farmaci pericolosi e inutili. Immediatamente dopo la sua morte, i
familiari e il “Comitato verità e giustizia per Giuseppe Casu” chiedono
giustizia per quest’uomo e per tutta risposta i resti anatomici della
vittima vengono fatti sparire dall’ospedale e sostituiti con quelli di
un altro paziente! Lo scandalo che ne segue è tale che i primari dei
reparti coinvolti vengono sospesi dal servizio e in psichiatria si avvia
un timido tentativo di riforma, per ridurre almeno le pratiche più
violente e letali. Poi, poco a poco, tutto torna come prima: viene
reintegrato in servizio l’ex primario dott. Turri, che viene poi assolto
nel processo di primo grado, assieme alla dottoressa Cantone. Il
primario di anatomia patologica invece, dopo una prima assoluzione in
primo grado, viene condannato in appello ad Aprile 2013, per aver fatto
sparire i resti anatomici del signor Casu. La sparizione dei resti della
vittima ha però sortito il suo malefico effetto, infatti, il 19
Settembre 2013, i giudici di appello, non potendo accertare precisamente
le cause della morte di signor Casu, assolvono i medici Turri e Cantone
anche nel secondo e terzo grado di giudizio. Evidentemente il delitto
paga!!
Per
la morte del signor Giuseppe Casu nessuno è colpevole. Colpevoli sono
invece alcune/i attiviste/i, per aver volantinato davanti al reparto di
psichiatria, nel 2009, quando il dott. Turri dopo un anno e tre mesi di
sospensione preventiva, viene reintegrato. La rabbia per l’arroganza di
questa imposizione fa loro utilizzare per il primario l’appellativo,
forse poco elegante, di assassino. Nell’occasione vengono identificat*
da una volante della polizia e in seguito denunciat* dagli avvocati di
Turri per “diffamazione” e processat*. Assolt* in primo grado, vengono
poi condannat* in appello, su richiesta della procura generale.
Una condanna che ha il sapore
di una intimidazione e di una vendetta. Il messaggio è chiaro, sulla
tragica vicenda del signor Giuseppe Casu va messa una pietra tombale, i
responsabili, tutti inseriti nelle schiere dei poteri forti locali, non
ammettono critiche. Noi siamo invece di parere opposto, per tutta la
durata dei processi non abbiamo mai smesso di denunciare l’accaduto e la
necessità di sostenere, anche economicamente i militant* che hanno
subito una condanna, sarà l’occasione per continuare a farlo. Contro le
sevizie psichiatriche di ieri e di oggi.
G.A.P. Cagliari
giovedì 1 dicembre 2016
Bello come una prigione che brucia: aspetti giuridici delle Rems
qui il link per ascoltare:
domenica 27 novembre 2016
Venerdì 9 Dicembre
VENERDì 9 DICEMBRE c/o Spazio Antagonista NEWROZ In via Garibaldi 72 a Pisa
Il NEWROZ e il COLLETTIVO ANTIPSICHIATRICO ANTONIN ARTAUD
Organizzano la presentazione di:
SCARCERANDA 2017 dalle ore 18 interveranno :
un compagno di Radio Onda Rossa di Roma che cura la pubblicazione dell'agenda e del quaderno sul carcere;
il Collettivo Artaud che si sta occupando delle problematiche relative alle Rems (residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza) nate in sostituzione degli Opg;
alcuni compagni di Pisa colpiti da Daspo di Piazza, nuova misura repressiva di cui la nostra città è territorio di sperimentazione.
a seguire SERATA BENEFIT per le spese legali contro i DASPO di Piazza
Il NEWROZ e il COLLETTIVO ANTIPSICHIATRICO ANTONIN ARTAUD
Organizzano la presentazione di:
SCARCERANDA 2017 dalle ore 18 interveranno :
un compagno di Radio Onda Rossa di Roma che cura la pubblicazione dell'agenda e del quaderno sul carcere;
il Collettivo Artaud che si sta occupando delle problematiche relative alle Rems (residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza) nate in sostituzione degli Opg;
alcuni compagni di Pisa colpiti da Daspo di Piazza, nuova misura repressiva di cui la nostra città è territorio di sperimentazione.
a seguire SERATA BENEFIT per le spese legali contro i DASPO di Piazza
giovedì 17 novembre 2016
Mastrogiovanni, pene più basse per chi uccise il maestro anarchico
Condanne confermate ma pene ridotte per i sei medici e gli undici infermieri colpevoli del sequestro di persona e della contenzione inumana, fino alla morte, di Francesco Mastrogiovanni
di Checchino AntoniniLa Corte d’Appello di Salerno ha confermato le condanne per i sei medici del reparto di psichiatria dell’ospedale di Vallo della Lucania coinvolti nella morte di Francesco Mastrogiovanni, il maestro elementare deceduto nell’agosto del 2009. Le pene sono state ridotte, mentre sono stati condannati gli 11 infermieri che in primo grado erano stati assolti. I medici sono stati condannati a pene che vanno dai 13 mesi ai due anni, gli infermieri dai 14 mesi ai 15 mesi. Per tutti la pena è sospesa.
Francesco Mastrogiovanni morì dopo quattro giorni di ricovero in seguito a un trattamento sanitario obbligatorio e dalle indagini emerse che era stato legato mani e piedi a un lettino di ospedale, per diversi giorni. Quanto accaduto nell’ospedale di Vallo della Lucania (Salerno) fu registrato dalle telecamere di videosorveglianza: è stato proprio quel video ad inchiodare gli imputati. La sentenza in primo grado fu emessa dal Tribunale di Vallo il 30 ottobre del 2012. All’udienza era presente una delegazione dell’associazione Acad, contro gli abusi in divisa, solidale con i familiari e i sodali di Mastrogiovanni: quella dei Tso è una pratica inumana che spesso sfocia in abusi violenti. Questa storia, come la tragica fine del signor Giuseppe, Giuseppe Casu di Quartu S.Elena, stanno a dimostrarlo.
La storia fu raccontata da Daniele Nalbone su Liberazione, nel 2009. Francesco Mastrogiovanni è morto legato al letto del reparto psichiatrico dell’ospedale San Luca di Vallo della Lucania alle 7.20 di martedì 4 agosto. Cinquantotto anni, insegnante elementare originario di Castelnuovo Cilento, era, per tutti i suoi alunni, semplicemente “il maestro più alto del mondo”. Il suo metro e novanta non passava inosservato. La mattina del 31 luglio decine di carabinieri e vigili urbani, alcuni in borghese, altri armati fino ai denti, hanno circondato la casa in cui alloggiava dall’inizio di luglio per le vacanze estive in un campeggio cilentano. Uno spiegamento degno dell’arresto di un boss della camorra per dar seguito a un’ordinanza di Trattamento Sanitario Obbligatorio (competenza, per legge, solo dei vigili urbani) proveniente dalla giunta comunale di Pollica Acciaroli. Oscuri i motivi della decisione: si dice per disturbo della quiete pubblica. Fonti interne alle forze dell’ordine raccontano di un incidente in cui, guidando contromano, alcune sere prima, avrebbe tamponato quattro autovetture parcheggiate, «ma nessun agente, né vigile, ha mai contestato qualche infrazione e nessuno ha sporto denuncia verso l’assicurazione», ci racconta Vincenzo, il cognato di Francesco. Mistero fitto, quindi, sui motivi dell’“assedio”, che getta ovviamente nel panico Francesco. Scappa dalla finestra e inizia a correre per il villaggio turistico, finendo per gettarsi in acqua. Come non bastassero carabinieri e vigili urbani «è intervenuta una motovedetta della Guardia Costiera che dall’altoparlante avvertiva i bagnanti: “Caccia all’uomo in corso”».
Per oltre tre ore, dalla riva e dall’acqua, le forze dell’ordine cercano di bloccare Francesco che, ormai, è fuori controllo. «Inevitabile» commenta suo cognato «dopo quanto gli è accaduto dieci anni fa». Il riferimento è a due brutti episodi del passato «che hanno distrutto Francesco psicologicamente» spiega il professor Giuseppe Galzerano, suo concittadino e carissimo amico, come lui anarchico. Il 7 luglio 1972 Mastrogiovanni rimase coinvolto nella morte di Carlo Falvella, vicepresidente del Fronte universitario d’unione nazionale di Salerno: Francesco stava passeggiando con due compagni, Giovanni Marini e Gennaro Scariati, sul lungomare di Salerno quando furono aggrediti, coltello alla mano, da un gruppo di fascisti, tra cui Falvella. Il motivo dell’aggressione ce lo spiega il professor Galzerano: «Marini stava raccogliendo notizie per far luce sull’omicidio di Giovanni, Annalisa, Angelo, Francesco e Luigi, cinque anarchici calabresi morti in quello che dicono essere stato un incidente stradale nei pressi di Ferentino (Frosinone) dove i ragazzi si stavano recando per consegnare i risultati di un’inchiesta condotta sulle stragi fasciste del tempo». Carte e documenti provenienti da Reggio Calabria non furono mai ritrovati e nell’incidente, avvenuto all’altezza di una villa di proprietà di Valerio Borghese, era coinvolto un autotreno guidato da un salernitano con simpatie fasciste. Sul lungomare di Salerno, però, Giovanni Marini anziché morire, uccise Falvella con lo stesso coltello che questi aveva in mano. Francesco Mastrogiovanni fu ferito alla gamba. Nel processo che seguì, Francesco venne assolto dall’accusa di rissa mentre Marini fu condannato a nove anni.
Nel 1999 il secondo trauma. Mastrogiovanni venne arrestato «duramente, con ricorso alla forza, manganellate e calci» spiega il cognato Vincenzo, per resistenza a pubblico ufficiale. Il motivo? Protestava per una multa. In primo grado venne condannato a tre anni di reclusione dal Tribunale di Vallo della Lucania «grazie a prove inesistenti e accuse costruite ad arte dai carabinieri». In appello, dalla corte di Salerno, pienamente prosciolto. Ma le botte prese, i mesi passati ai domiciliari e le angherie subite dalle forze dell’ordine lasciano il segno nella testa di Francesco.«Da allora viveva in un incubo».
Eppure da quei fatti Mastrogiovanni si era ripreso alla grande,«tanto da essere diventato un ottimo insegnante elementare», sottolinea l’amico Galzerano, «come dimostra il fatto che quest’anno avrebbe finalmente ottenuto un posto di ruolo, essendo diciottesimo nella graduatoria provinciale». Era in cura psichiatrica ma si stava lasciando tutto alle spalle. Fino al 31 luglio. Giorno in cui salì «di sua volontà» sottolinea Licia del campeggio Club Costa Cilento «su un’ambulanza chiamata solo dopo averlo lasciato sdraiato in terra per oltre quaranta minuti una volta uscito dall’acqua». La sera stessa venne legato al letto e rimase così quattro giorni.
fonte: popoffquotidiano.it
domenica 13 novembre 2016
Processo Mastrogiovanni: Martedì 15/11 la sentenza
Martedì 15 novembre 2016, ore 9,30, alla Corte d'Appello del Tribunale
di Salerno, presieduta dal giudice Michelangelo Russo, si terrà - con la
replica del Procuratore Generale - l'ultima udienza e sarà pronunziata
la sentenza del processo d'appello a carico dei sei medici e dei dodici
infermieri responsabili della atroce morte del maestro elementare
Francesco Mastrogiovanni, tenuto legato mani e piedi, senza alcuna
umanità, per 88 ore nell'ospedale di Vallo della Lucania.
I medici, in primo grado, sono stati condannati a pene dai 2 ai 4 anni di reclusione e gli infermieri furono assolti.
I medici, in primo grado, sono stati condannati a pene dai 2 ai 4 anni di reclusione e gli infermieri furono assolti.
venerdì 4 novembre 2016
Padova: sessantenne muore in seguito a TSO
MONSELICE. È giallo sulla morte di Fabio
Boaretto, il sessantenne di Galzignano ricoverato nel reparto di
Psichiatria dell’ospedale Madre Teresa di Calcutta, a Schiavonia, in
seguito a un Tso (trattamento sanitario obbligatorio). E poi deceduto a
neanche 24 ore di distanza. Il pubblico ministero di Padova, Roberto
Piccione, ha aperto un’inchiesta, al momento senza indagati. E ha deciso
di far eseguire l’autopsia sul corpo dello sfortunato paziente, in cura
per problemi mentali. Di più. Il magistrato ha autorizzato soltanto
l’espianto dei bulbi oculari, bocciando la richiesta di espiantare pure
fegato e reni, organi la cui disponibilità era stata sollecitata dalla
Direzione sanitaria dell’ospedale: non è stato possibile per non
compromettere l’esito della perizia autoptica indispensabile per
ricostruire la verità su quella morte.
La ricostruzione. Fabio Boaretto muore intorno alle 11 di ieri mattina. «Il paziente era stato accompagnato una prima volta in ospedale giovedì 27 ottobre per un Tso, ma si era poi allontanato prima che il ricovero potesse avvenire» spiega in una nota l’ufficio stampa dell’Usl 17, «Nel pomeriggio del 31 ottobre è stato nuovamente accompagnato in ospedale, dove è stato ricoverato in Psichiatria e sottoposto a una serie di esami. Durante la sera di lunedì ha manifestato gravi problemi respiratori, a seguito dei quali è stata subito allertato il soccorso interno. Quindi il paziente è stato intubato e trasferito in Rianimazione dove, nonostante le cure prestate, le sue condizioni si sono aggravate fino determinarne il decesso».
Lunedì il sindaco di Galzignano, Riccardo Masin, era stato contattato dal medico di base di Boaretto: il 60enne era andato in escandescenze. A volte dimenticava di assumere i farmaci, altre volte sbagliava le dosi: ormai era incontrollabile. Da qui la richiesta del medico al primo cittadino: era necessario un Tso. Intorno a mezzogiorno la firma del provvedimento. Boaretto è ricoverato in Psichiatria: al momento non è stato accertato se gli siano stati somministrati farmaci. Nel pomeriggio le complicanze respiratorie, poi la situazione precipita. Alle 22.30 Boaretto va in coma e viene trasferito in Rianimazione: a causa della mancanza di ossigeno, le sue condizioni risultano gravemente compromesse. Alle 11 di ieri la dichiarazione di morte. Sul corpo nessuna lesione.
Il Tso. Il Tso è una procedura complessa che coinvolge varie figure per evitare qualsiasi forma di abuso. La legge stabilisce che si può attuare sono in presenza di due condizioni: quando il soggetto necessita di cure secondo i sanitari che l’hanno visitato e, nel contempo, le rifiuta. Di fatto il Tso viene messo in atto quando la persona appare pericolosa per sé o per gli altri in caso di disturbo psichiatrico (ma anche quando un tossicodipendente o un alcolista manifestano comportamenti incontenibili in crisi di astinenza). La durata massima del Tso è di una settimana: viene disposto con provvedimento firmato dal sindaco del Comune di residenza o di dimora, nella sua qualità di autorità sanitaria. E deve essere giustificato dal certificato di due medici (di regola il medico di base, mentre il secondo obbligatoriamente deve essere dipendente di una struttura pubblica, in genere uno psichiatra dell’Usl).
fonte:http://mattinopadova.gelocal.it
La ricostruzione. Fabio Boaretto muore intorno alle 11 di ieri mattina. «Il paziente era stato accompagnato una prima volta in ospedale giovedì 27 ottobre per un Tso, ma si era poi allontanato prima che il ricovero potesse avvenire» spiega in una nota l’ufficio stampa dell’Usl 17, «Nel pomeriggio del 31 ottobre è stato nuovamente accompagnato in ospedale, dove è stato ricoverato in Psichiatria e sottoposto a una serie di esami. Durante la sera di lunedì ha manifestato gravi problemi respiratori, a seguito dei quali è stata subito allertato il soccorso interno. Quindi il paziente è stato intubato e trasferito in Rianimazione dove, nonostante le cure prestate, le sue condizioni si sono aggravate fino determinarne il decesso».
Lunedì il sindaco di Galzignano, Riccardo Masin, era stato contattato dal medico di base di Boaretto: il 60enne era andato in escandescenze. A volte dimenticava di assumere i farmaci, altre volte sbagliava le dosi: ormai era incontrollabile. Da qui la richiesta del medico al primo cittadino: era necessario un Tso. Intorno a mezzogiorno la firma del provvedimento. Boaretto è ricoverato in Psichiatria: al momento non è stato accertato se gli siano stati somministrati farmaci. Nel pomeriggio le complicanze respiratorie, poi la situazione precipita. Alle 22.30 Boaretto va in coma e viene trasferito in Rianimazione: a causa della mancanza di ossigeno, le sue condizioni risultano gravemente compromesse. Alle 11 di ieri la dichiarazione di morte. Sul corpo nessuna lesione.
Il Tso. Il Tso è una procedura complessa che coinvolge varie figure per evitare qualsiasi forma di abuso. La legge stabilisce che si può attuare sono in presenza di due condizioni: quando il soggetto necessita di cure secondo i sanitari che l’hanno visitato e, nel contempo, le rifiuta. Di fatto il Tso viene messo in atto quando la persona appare pericolosa per sé o per gli altri in caso di disturbo psichiatrico (ma anche quando un tossicodipendente o un alcolista manifestano comportamenti incontenibili in crisi di astinenza). La durata massima del Tso è di una settimana: viene disposto con provvedimento firmato dal sindaco del Comune di residenza o di dimora, nella sua qualità di autorità sanitaria. E deve essere giustificato dal certificato di due medici (di regola il medico di base, mentre il secondo obbligatoriamente deve essere dipendente di una struttura pubblica, in genere uno psichiatra dell’Usl).
fonte:http://mattinopadova.gelocal.it
domenica 30 ottobre 2016
30 Ottobre 2016: Ma(LA)tinèe Antipsichiatrico / Proiezione + Concerto
Malami Collective presenta:
[ Proiezione antipsichiatrica a cura di Stultifera Navis - More Info Soon ]
A seguire concerto con:
[ Pisciosangue ]
-- Punk Hardcore sporco e marcio, in tour per presentare il loro nuovo album!
https://www.facebook.com/PISCIOSANGUE-173923259355445/
[ De Tegenpartij ]
-- Hardcore Punk bello veloce da Meppel (Paesi Bassi) !
https://detegenpartij.bandcamp.com/
[ TxHxC Transient Hate Contact ]
-- Grindcore locals da Novara, per la prima volta col nuovo cantante!
https://www.facebook.com/SubhumanHordes/
[ Subhuman Hordes ]
-- Grindcore locals da Novara, per la prima volta col nuovo cantante!
https://www.facebook.com/SubhumanHordes/
{ Neniu faŝismo! }
{ Neniu seksismo! }
{ Neniu rasismo! }
----> https://www.facebook.com/events/1089361384511447/
sabato 8 ottobre 2016
15 e 16 Ottobre, Bologna
████████████████████
SABATO 15 OTTOBRE
XM24
Via Fioravanti 24 (Bolognina)
█████ ★ VIOLET PUNK ★ █████
CONCERTI BENEFIT X TELEFONI VIOLA
████████████████████
dalle 20.oo ◉ CENA VEG
>>> per sostenere le lotte del Collettivo AntiPsichiatrico di Bologna
dalle 22 ◉ CONCERTI PUNK
◑ EBOLA (Ultracore Bastards)
◒ RAUCHERS (Fastcore Gardaland)
◓ NEGOT (Dark Punx – Bergamo)
━━━━━━━━━━━━━━━━━━━━━━━━
I Telefoni Viola, realtà attiva da più di tre anni, sono una linea di ascolto per raccogliere richieste di aiuto da parte di chi ritiene di subire abusi da parte della psichiatria e per tutte le persone che vogliano raccontare la propria storia
BERGAMO: 377 4501228
PIACENZA: 345 7904938
PISA: 335 7002669
SICILIA: 333 3090778
REGGIO EMILIA: 388 4921945
Per maggiori info: http://telefonoviola.org/
★ Durante tutta la serata, distro, info e chiacchiere anti-psichiatriche ★
Domenica 16 Ottobre dalle ore 15:00 alle ore 18:00
Vag 61, mercato CampiApertiPoiché osserviamo con preoccupazione il dilagare della psichiatria in ogni ambito della vita individuale e sociale ed essendo chiamati politicamente a mettere insieme delle resistenze contro la diffusione di culture egemoni e invasive, ci è sembrato fosse necessario affrontare la questione in un momento collettivo, affinché si possa provare a rendere conto della complessità del fenomeno senza appiattirlo a un gioco di parti, restituendo piuttosto la pluralità dei punti di vista.
Nel tentativo di proporre delle tracce per la discussione, abbiamo individuato due temi oggi molto discussi che sembrano fare al caso nostro: da una parte, la crescente psichiatrizzazione della società e, dall'altra, l'obbligo di cura.
Con “psichiatrizzazione” intendiamo l'estensione dello sguardo psichiatrico ad ambiti che prima ne erano esclusi e la tendenza a patologizzare fenomeni che in precedenza non venivano considerati come malattie (e quindi non arginati attraverso cure). Il massiccio aumento nella classificazione dei disturbi mentali, nei più svariati ambiti (scuola, ospizi, centri diurni per disabili, carceri, centri di detenzione per migranti etc), induce sospetti circa i criteri diagnostici adottati. Perché la società è maggiormente psichiatrizzata? In che misura si tratta di progresso scientifico e quanto è forte il condizionamento economico? Che cosa comporta la psichiatrizzazione della società? In che misura è un servizio di tutela e quanto produce stigma? Psichiatrizzare significa ancora sorvegliare?
Pur non potendo in alcun modo negare le sofferenze umane causate dalle problematiche esistenziali, la psichiatria tende a vincolare anche tutta una serie di individui a delle cure che non vogliono. L'obbligo di cura consiste in una norma giuridica e morale che trascende la volontà dell'individuo, con la pretenziosa aspettativa di curarla. Le pratiche di contenimento, quando meccaniche (legare ad un letto) quando chimiche (somministrazione di psicofarmaci), si sono rivelate talvolta suscettibili di sovradeterminare interamente la vita dei cosiddetti pazienti, annientando le loro esistenze, fino a causare un elevato numero di morti durante l'esecuzione di Trattamenti Sanitari Obbligatori. Ma si può "curare" davvero qualcuno contro la sua volontà? Qual è il raggio di dispiegamento di un potere come quello psichiatrico? E quale il limite delle libertà inviolabili di ogni essere umano?
L'idea è dunque quella di incontrarci, conoscersi e partire da questi due punti. Vorremmo costruire un incontro tra realtà disposte a confrontarsi, mettere e mettersi in discussione, con l'obiettivo di trovare pratiche e progettualità comuni volte a rispondere alle problematiche poste in questi tempi dalla psichiatria.
Per maggiori info o per sottoscrivere la propria iscrizione siete pregati di scrivere a 16ottobrebologna@gmail.com
domenica 2 ottobre 2016
SABATO 8 OTTOBRE c/o Spazio Antagonista NEWROZ Via Garibaldi 72 a Pisa
ArmInLottA RICORDANDO ANTONELLA!!
ore 20:30 Apericena
ore 22:00 Progetto poetico - musicale "RADICI SCALENE"*
Una riflessione sul tema delle disuguaglianze attraverso la poesia.
di e con Elisabetta Cipolli, Edo De Maio, Carlo Mari e Selvaggio Casella
ore 23:30 serata Dj Set con WANAGANA (Megatron Sound)
Il ricavato della serata servirà a sostenere le lotte del Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud di Pisa, in cui credeva e di cui faceva parte la compagna Antonella.
Organizza :
Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud
Spazio Antagonista Newroz
Per info: antpsichiatriapisa@inventati.org
*Il Progetto poetico - musicale "Radici Scalene" prende vita all'inizio di quest'anno durante le fasi di scrittura e pubblicazione della silloge "Radici Scalene" di Elisabetta Cipolli, edita per Sensibili alle Foglie, dedicata al complesso tema del biopotere.
Grazie alla collaborazione con i musicisti le metriche scelte per il progetto omonimo rappresentano un tentativo di ricerca ritmica e sonora legata alla parola e ai versi, tenendo conto dell'originaria fusione tra musica e poesia.
Il progetto Radici Scalene ha l'intento di far riflettere sul tema delle disuguaglianze ed è aperto a chiunque sia interessato a scoprire, o riscoprire, l'importanza del mezzo comunicativo poetico.
ore 20:30 Apericena
ore 22:00 Progetto poetico - musicale "RADICI SCALENE"*
Una riflessione sul tema delle disuguaglianze attraverso la poesia.
di e con Elisabetta Cipolli, Edo De Maio, Carlo Mari e Selvaggio Casella
ore 23:30 serata Dj Set con WANAGANA (Megatron Sound)
Il ricavato della serata servirà a sostenere le lotte del Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud di Pisa, in cui credeva e di cui faceva parte la compagna Antonella.
Organizza :
Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud
Spazio Antagonista Newroz
Per info: antpsichiatriapisa@inventati.org
*Il Progetto poetico - musicale "Radici Scalene" prende vita all'inizio di quest'anno durante le fasi di scrittura e pubblicazione della silloge "Radici Scalene" di Elisabetta Cipolli, edita per Sensibili alle Foglie, dedicata al complesso tema del biopotere.
Grazie alla collaborazione con i musicisti le metriche scelte per il progetto omonimo rappresentano un tentativo di ricerca ritmica e sonora legata alla parola e ai versi, tenendo conto dell'originaria fusione tra musica e poesia.
Il progetto Radici Scalene ha l'intento di far riflettere sul tema delle disuguaglianze ed è aperto a chiunque sia interessato a scoprire, o riscoprire, l'importanza del mezzo comunicativo poetico.
domenica 25 settembre 2016
1 Ottobre Camap allo Spazio Anarchico/Libertario Stella Nera - Modena
TuttiPazzi HC Fest:
-ore 20:00 Cena sociale
-ore 21:30 Presentazione del libro "La critica psichiatrica" di Gabriele Crimella del Collettivo antipsichiatrico CAMAP+Dibattito
http://collettivoantipsichiatricocamuno.blogspot.it/
L’Antipsichiatria risulta spesso sconosciuta ai più. Confusa dalla maggior parte delle persone con un semplice rifiuto di una scienza medica, in realtà chi si occupa di critica psichiatrica tende a mettere in discussione teorie e pratiche di dubbio valore scientifico, con l’obiettivo di rendere le persone sempre più consapevoli e abolire la coercizione psichiatrica. Il CAMAP (Collettivo Antipsichiatrico Camuno) propone nelle sue serate una riflessione teorica, affiancata al racconto diretto dell’esperienza di chi ha subito la violenza del sistema psichiatrico; non ultima l'oppressione femminile/omosex punta di diamante della psichiatria attraverso gli anni e tutt ora . Il tutto in un’ottica di serietà e competenza. Siamo attivi ormai da tempo con un blog (collettivoantipsichiatricocamuno.blogspot.it), serate a tema, Telefono Camap in sostegno alle vittime della psichiatria, incontri, cortei, libri e produzioni artistiche di vario tipo. Siamo infatti convinti che se da una parte il requisito fondamentale per affrontare una materia così delicata è la preparazione teorica, dall’altra è necessario allo stesso modo dare libertà di espressione a quella parte del mondo che i più considerano folle, malata, matta, ecc. ecc. Nella serata che vi proponiamo sarà dunque presente un momento di presentazione del nostro Collettivo, di quali sono i nostri obiettivi, delle basi teoriche da cui partono le nostre critiche (principalmente l’opera di Szasz e Foucault) e delle nostre produzioni artistiche (libri, dischi, fanzine, ecc.). Sarà presente alla serata anche chi ha subito in prima persona gli abusi del sistema psichiatrico, donandoci la testimonianza di uno spaccato di quella che è considerata medicina, ma in realtà è oppressione. ...VISTO DA VICINO NESSUNO E' PSICHIATRICO...
-ore 20:00 Cena sociale
-ore 21:30 Presentazione del libro "La critica psichiatrica" di Gabriele Crimella del Collettivo antipsichiatrico CAMAP+Dibattito
http://collettivoantipsichiatricocamuno.blogspot.it/
-ore 23:00 Concerto a sostegno dello spazio Anarchico/Libertario StellaNera con:
-Reset Clan (Verona Hardcore)
https://www.youtube.com/watch?v=aM9YQkE2WWI
-Igioia(Trento PowerViolence)
https://www.youtube.com/watch?v=QSHffgU4qPg
-Doxie(BolognaPunx)
https://www.youtube.com/watch?v=O2ixOpxOGnA
-UltimoRespiro(Mantova Hardcore)
STELLA NERA SPAZIO ANARCHICO LIBERTARIO - VIA FOLLONI 67, MODENA
sabato 10 settembre 2016
16-17-18 settembre
FESTIVAL DELLA FILOSOFIA: “L’ANTAGONISMO”
3 giorni di incontri – dibattiti – proiezioni – presentazioni di libri – musica – arte cibo – socialità
MODENA VENERDI’ 16 SETTEMBRE
c/o Stella Nera via Folloni 67/A
alle ore 21:30 presentazione di
"ELETTROSHOCK" La storia delle terapie elettroconvulsive e i racconti di chi le ha vissute."
a cura del Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud
Edizioni Sensibili Alle Foglie.
A seguire dibattito con vari collettivi Antipsichiatrici e attivisti dei Telefoni Viola.…
ore 23 concerti e a seguire dj set
per info:
antipsichiatriapisa@inventati.org
www.artaudpisa.noblogs.org
3 giorni di incontri – dibattiti – proiezioni – presentazioni di libri – musica – arte cibo – socialità
MODENA VENERDI’ 16 SETTEMBRE
c/o Stella Nera via Folloni 67/A
alle ore 21:30 presentazione di
"ELETTROSHOCK" La storia delle terapie elettroconvulsive e i racconti di chi le ha vissute."
a cura del Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud
Edizioni Sensibili Alle Foglie.
A seguire dibattito con vari collettivi Antipsichiatrici e attivisti dei Telefoni Viola.…
ore 23 concerti e a seguire dj set
per info:
antipsichiatriapisa@inventati.org
www.artaudpisa.noblogs.org
domenica 4 settembre 2016
mercoledì 31 agosto 2016
SPUNTI CRITICI RIGUARDO AL SEMINARIO "ANTIPSICHIATRIA E RESISTENZA ANIMALE"
In riferimento alla recente pubblicazione degli atti del seminario in oggetto, tenutosi nel corso dell'XI
incontro di liberazione animale, si ritiene necessaria una critica
aperta. Il testo a cui si fa riferimento, spesso
pone l'attenzione su singoli aspetti tematici, tuttavia nell'affrontare le presunte connessioni tra i due
argomenti, esprime molti elementi di contradditorietà, molte approssimazioni. Iniziamo dunque ad
anal
izzarne la portata speculativa, all'interno di un sincero dibattito sul tema.
Nell'introduzione all'importante testimonianza di Giuseppe Bucalo, viene menzionato come intento degli
organizzatori, quello di schierarsi a fianco e non alla guida di quegli ani
mali che agiscono per la propria
libertà, salvo poi riconoscere l'inevitabilità di tradurre la loro protesta attraverso parole umane. Per
rappresentare la condizione animale si utilizzano termini quali resistenza, rivolta, evasione, addirittura
tentativo d
i vita diversa. Parole che si fissano inevitabilmente a concetti, di cui non si può disconoscerne
l'implicazione e la densità storica. A tal proposito, non si cerca attraverso questo elaborato critico, di
minimizzare la complessità dell'essere animale nell
e sue manifestazioni fisiche, psichiche, emotive, affettive
e perchè no anche culturali. Oggetto della contestazione, sono le argomentazioni rispetto le quali sarebbe
possibile associare esistenze animali ad esistenze psichiatriche, manicomi e canili, in v
irtù di un comune
assoggettamento ad un apparato repressivo. La debolezza teorica delle argomentazioni in oggetto è frutto
di un riduzionismo che confonde un sistema che opera in modo repressivo, in vista di una razionalità
produttiva (allevamenti intensi
vi) o scientifica (vivisezione) ed un altro che opera "creativamente",
attraverso tecniche finalizzate a fornire le prove scientifiche della patologia. Foucault, introduce a tal
proposito il concetto di visibilità della malattia. A cosa servirebbe amminist
rare il denaro dei pazienti se non
a sottoporre questo stato di privazione alla visibilità e al giudizio altrui? Difatti, si dissente da quanto
sintetizzato da Giuseppe Bucalo, attraverso questo pensiero: "In ambito psichiatrico non c'è niente che non
sia
esclusivamente parola o definizione: perchè non c'è nessuna sostanza, non c'è nessuna malattia e non
c'è nessuna cura. Tutto è sorretto dalle parole", poichè non è il logos ad attivare il pregiudizio, ma lo
sguardo. E' esponendosi alla visibilità che si pr
ovoca un'emozione, per incutere timore la malattia mentale
deve esprimersi attraverso l'evidenza di una sintomatologia. Nel testo si trova un raffronto rispetto a
quanto detto, tuttavia si tratta di una citazione isolata e si disperde nella genericità dell
a discussione. Si
esprime l'importanza di elaborare narrazioni diverse, costruire un'altra storia, tuttavia a tal proposito viene
menzionata l'esperienza di Giorgio Antonucci per esaltarne le gesta di "regista" del gesto di liberazione. Ci si
dimentica dun
que che quelle persone...si sono liberate!!! Ma come...così attenti
\
e verso gli ultimi e vi siete
dimenticati
\
e di loro??? Queste defaillances rimandano all'inevitabilità di costruirsi narrazioni rassicuranti e
affidarsi ai liberatori di professione, conse
gnando i pazienti psichiatrici al ruolo passivo della vittima,
proprio ciò che più volte viene retoricamente criticato. Servono si narrazioni diverse, ma in prima persona.
Il racconto di Giuseppe riguardo alla propria esperienza antipsichiatrica è sicurame
nte molto emozionante
e ricco di vivide suggestioni, ma quando la narrazione cerca raffronti nell'ambito dello sfruttamento
animale i pensieri appaiono confusi. Cita l'addomesticamento come fattore unificante tra i due argomenti,
dimenticando che è una con
dizione universale di assoggettamento e non relativa alla sola sfera psichiatrica.
Giuseppe esprime comunque un pensiero condivisibile: riguardo agli animali conosciamo ben poco.
Possiamo avvicinarci a loro, relazionarsi con rispetto verso esseri ed esist
enze diverse, ma non si può far a
meno di rappresentarli nell'immaginario collettivo, nella cultura popolare, dunque di oggettivarli. Proprio
questo spunto introduce un altro elemento di critica. Nella documentazione prodotta si parla solo
dell'approccio p
sichiatrico come negazione della libera espressione, dell'intenzionalità ad autodeterminarsi,
omettendo che mediazione e contrattazione son concreti elementi su cui poggia la convivenza sociale.
Come telefono viola, si preferisce approcciarsi alle autobiog
rafie, alle esperienze, alle scelte e ai
comportamenti, non attraverso categorie identitarie fisse, ma con la consapevolezza di accogliere possibili
espressioni della transitorietà di un percorso evolutivo, che è ogni esistenza umana. Non ci interessa fare
la
narrazione del gesto ribelle, per introdurre la complessità delle storie e raccontare la psichiatria. Si è
consapevoli che la conflittualità è un elemento importante nella trama psichiatrica, ne è talvolta la
protagonista, tuttavia la psichiatria agisc
e in modo preventivo, poichè il fine ultimo non è la repressione,
bensì la presa in carico, il governo del vivente. Difatti, i servizi psichiatrici attraverso "l'eccezionalità" delle
loro misure, attaccano direttamente gli elementi di normalità nella vita
dei pazienti: l'autonomia e le
relazioni sociali. Le relazioni tecniche sperimentate, scoraggiano legami di complicità che solo un amico o
amica ti può dare...magari insieme ad un rimando critico!!! Spesso le persone che si incontrano, ci
riportano di rius
cire a stringere relazioni significative e leali solo con altri pazienti psichiatrici, ciò misura la
distanza del cosiddetto mondo normale con la moltitudine dei cosiddetti matti. A proposito di
normalità...ma anche di solitudine!
Succede così che, sul lun
go periodo, il bisogno più esplicito che esprime una persona "in carico" ai servizi,
sia proprio autodeterminarsi attraverso l'acquisizione di elementi della quotidianità che il pregiudizio e la
prassi psichiatrica trasfigurano, per poi surrogarli sotto fo
rma di "percorso terapeutico".
Il lavoro del telefono viola, spesso muove a partire da una prospettiva di riduzione del danno. Questa
condizione ci ha abituati all'ascolto, al dialogo, alla negoziazione. Grande ricchezza di questo percorso, è
mettersi in
gioco in vista di un miglioramento sostanziale nella condizione di vita di chi ci contatta. Questo
obiettivo altamente soggettivo, spesso passa attraverso la richiesta di afferrare punti fermi, come per
esempio un lavoro, una casa, minacciati dall'istituz
ionalizzazione.
In un intervento contenuto negli atti, si legge che nei manicomi è difficile ribellarsi così come in un
allevamento. A scanso di equivoci è opportuno risottolineare la funzione dei luoghi della psichiatria. Gli
SPDC servono anche a gestire
"l'emergenza", ma sono soprattutto i luoghi in cui viene estorta una "falsa
confessione", dove la malattia prende le sembianze di un corpo, dove si mettono a punto le condizioni e le
strategie della presa in carico, dove si interiorizza l'habitus del mala
to mentale. Dopotutto, il senso è
implicito nella sua denominazione: la diagnosi è la rappresentazione scientifica di questa visibilità, di questa
confessione estorta attraverso tortura; la cura è la prassi in vista di una presa in carico. Pertanto, il
con
tributo che può dare la vivisezione nel realizzare quadri diagnostici in ambito psichiatrico, come
affermato nel testo, è pur sempre di dubbia portata vista la presenza di un "setting così reale", per usare il
loro cinismo. Infine, nel dibattito si parla d
i un'ulteriore connessione tra i due ambiti, rispetto alla presenza
di due dimensioni: quella etica e quella scientifica. La questione psichiatrica non può esser risolta senza
affrontare la sua dimensione politica e gli interrogativi che essa pone. La post
a in gioco è la negazione del
diritto di scegliere se e come curarsi. Non tanto è giusto o sbagliato, vero o falso. Porre l'attenzione
sull'obbligatorietà dei trattamenti, aiuta a riflettere su come il nostro senso di comunità sia attraversato
dalla paura,
tanto da sacrificare avanzamenti civili importanti sull'altare della psichiatria. Rispetto a
quest'ultimo concetto conveniamo con Giuseppe, quando parla di una mediazione per favorire una risposta
sociale diversa dalla psichiatria. E' necessario che indiv
idui e comunità non ne abbiano più bisogno,
attraverso una partecipazione diretta nelle decisioni che la riguardano direttamente. Dopotutto, la
convivenza è la sfida più importante.
Telefono Viola Bergamo,Piacenza,Sicilia www.telefonoviola.org
Telefono Viola Bergamo,Piacenza,Sicilia www.telefonoviola.org
giovedì 4 agosto 2016
Un uomo sta facendo le vacanze in un campeggio: Francesco Mastrogiovanni
Sette anni dall'atroce morte di Francesco
Mastrogiovanni durante un TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio)
Un
uomo sta facendo le sue vacanze in un campeggio. Si chiama Francesco
Mastrogiovanni. È un insegnante, e i suoi alunni lo chiamano “Il
maestro più alto del mondo”.
Un'ordinanza
di TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio) nei suoi confronti fa
scattare una imponente caccia all'uomo. Francesco Mastrogiovanni,
dopo un'inutile tentativo di fuga fatto entrando in mare, braccato da
terra dai carabinieri e dal mare dalla guardia costiera, è costretto
a consegnarsi.
Secondo
la legge vigente, il TSO viene fatto quando: 1) la persona si trova
in una situazione di alterazione tale da necessitare urgenti
interventi terapeutici; 2) gli interventi proposti vengono rifiutati;
3) non è possibile adottare tempestive misure extraospedaliere.
Gli
psichiatri dunque propongono il TSO (che poi dev'essere convalidato
dal sindaco) quando ritengono che una persona abbia urgente ed
immediato bisogno di cure, di essere aiutato.
Non è necessario sottolineare più di tanto che un intervento terapeutico è un intervento che dovrebbe essere finalizzato al benessere di chi l'intervento lo riceve.
Non è necessario sottolineare più di tanto che un intervento terapeutico è un intervento che dovrebbe essere finalizzato al benessere di chi l'intervento lo riceve.
Chi
ha ordinato il TSO per Mastrogiovanni, ha ritenuto quindi che
Francesco è malato, che necessita di aiuto e che è bisognoso di
cure, di cure così urgenti che viene, per l'appunto, comminato il
TSO. Lo conducono per ciò al reparto psichiatrico dell'ospedale di
Vallo della Lucania per aiutarlo e curarlo.
Le
cure saranno legarlo in un letto per più di 80 ore senza cibo né
acqua durante torride giornate estive. Gli effetti di queste cure
saranno la sua morte.
Era
quasi la metà di agosto del 2009 quando ho appreso della tragica
morte di Francesco Mastrogiovanni, definito dai suoi alunni “il
maestro più alto del mondo”.
È
stato scioccante e straziante leggere ciò che avevano fatto a
Francesco Mastrogiovanni. Catturato con un provvedimento di TSO e
legato al letto di un reparto di psichiatria per più di 80 ore
ininterrotte, senza cibo né acqua, fino a quando la morte l'ha
portato con sé dopo una lunghissima agonia. Si provi ad immaginare
quale sia il supplizio di una persona legata, quanta immane
sofferenza lacera le sue carni e la sua anima.
Un Paese che vuol definirsi civile, non può permettere ciò, non può permettere che accada senza che poi prenda gli adeguati provvedimenti. E un Paese civile non può permettere che le persone vengano legate ad un letto. E quando parlo di Paese civile, non mi riferisco solamente alle istituzioni ma anche a tutte le persone che della società fanno parte.
Nei sit-in fatti per Francesco, campeggiava la scritta “E mai più”. Che mai più una persona debba morire in questo modo orrendo. Che mai più ci sia questa tortura, che mai più degli esseri umani vengano legati al letto. Tantissime persone, psichiatri e psichiatre in testa, dicono che la contenzione è terapeutica, che fa parte del piano terapeutico. Fa quindi bene, no? Dunque la tortura, qualcosa che sconvolge la mente e l'animo di una persona, farebbe bene, sarebbe terapeutica.
È venuto il momento che tutte le persone del mondo dicano prima e concretizzino poi “E mai più”. Se questo ci fosse già stato, Francesco ed altre persone sarebbero ancora vive e molte altre non sarebbero mentalmente dilaniate per il resto dei loro giorni.
Natale Adornetto ©Copyright
Il
30 ottobre 2012 c'è stata la sentenza del processo Mastrogiovanni.
Al Tribunale di Vallo della Lucania (Sa), dopo una lunga Camera di
Consiglio, cominciata alle ore 14:00, il Presidente del Tribunale, la
Dr.ssa Elisabetta Garzo, alle 18,30, in un’aula superaffollata, ha
dato lettura della sentenza che condanna alla reclusione i sei medici
del caso Mastrogiovanni per i reati di falso in atto pubblico,
sequestro di persona e morte come conseguenza di altro reato (il
sequestro di persona). Il primario Michele Di Genio è stato
condannato alla pena complessiva di 3 anni e 6 mesi di reclusione.
Rocco Barone, che dispose senza annotarla in cartella la contenzione,
a 4 anni. Stessa pena a Raffaele Basso. 3 anni ad Amerigo Mazza e
alla dott.ssa Anna Angela Ruberto, che era di turno la notte del 3
agosto 2009 durante la quale il cuore di Mastrogiovanni cessò di
battere e si accorse del decesso sei ore dopo. Michele Della Pepa è
stato condannato a 2 anni, con sospensione della pena, per sequestro
di persona e falso in atto pubblico. Tutti i medici, tranne il dott.
Della Pepa, sono stati inoltre interdetti dai pubblici uffici per 5
anni e condannati al pagamento delle spese legali. Tutti i 12
infermieri si portano l’assoluzione a casa. Sono stati assolti
poiché il fatto non costituisce reato.
Ad
oggi, è ancora in corso il processo d'appello.
venerdì 29 luglio 2016
Carcere di Pozzale diventa una Rems
Carcere di Pozzale diventa una Rems, Pavese: “Una scelta illogica”
E quindi un carcere (fra l’altro struttura d’eccellenza a detta degli addetti ai lavori) si trasformerà in Rems. Questo è quanto deciso per mettere in atto una legge, quella sul superamento degli Opg, che già era fatta male ma che viene applicata ancora peggio. La decisione di trasformare il carcere femminile di Empoli in Rems per ospitare i pazienti psichiatrici dell’ex Opg di Montelupo è una decisione priva di ogni logica: si parla di strutture sanitarie di recupero e poi si trasferiscono i pazienti in strutture carcerarie, come di fatto è la Rems di Volterra, che ho personalmente visitato, anche se solo dall’esterno, che ovviamente non basta più per ospitare i degenti toscani e delle altre regioni “convenzionate”. E perché? Perché chi ha fatto la legge sul superamento degli Opg ( amministratori di maggioranza montelupini, che negli anni hanno fatto viaggi e viaggi ai ministeri romani per fornire preziose consulenze, compresi) ha fatto una legge demagogica e dettata dall’ideologia del recupero sociale a tutti i costi che poi si è scontrata con la dura realtà. Ma invece di rimediare, magari cambiando la legge, ripristinando una sorveglianza almeno perimetrale della polizia penitenziaria alle Rems, si prendono strutture carcerarie o se ne trasformano altre in mini carceri (come Volterra), affidandosi, per la sicurezza, a un sistema territoriale di pubblica sicurezza, già in difficoltà. Aggiungendo altri lavoratori di polizia penitenziaria da dover ricollocare sul territorio. Unica nota positiva della futura Rems di Empoli: le competenze del personale sanitario della nostra Asl, che saranno sicuramente d’aiuto nella delicata gestione della situazione. Ma il tutto non giustifica un’improvvisazione attuativa che poteva essere evitata, mantenendo la Rems toscana nelle sezioni montelupine, ristrutturate con fior di milioni di finanziamenti pubblici.
Grazie ad Artaud per la segnalazione, fonte: (gonews.it)
E quindi un carcere (fra l’altro struttura d’eccellenza a detta degli addetti ai lavori) si trasformerà in Rems. Questo è quanto deciso per mettere in atto una legge, quella sul superamento degli Opg, che già era fatta male ma che viene applicata ancora peggio. La decisione di trasformare il carcere femminile di Empoli in Rems per ospitare i pazienti psichiatrici dell’ex Opg di Montelupo è una decisione priva di ogni logica: si parla di strutture sanitarie di recupero e poi si trasferiscono i pazienti in strutture carcerarie, come di fatto è la Rems di Volterra, che ho personalmente visitato, anche se solo dall’esterno, che ovviamente non basta più per ospitare i degenti toscani e delle altre regioni “convenzionate”. E perché? Perché chi ha fatto la legge sul superamento degli Opg ( amministratori di maggioranza montelupini, che negli anni hanno fatto viaggi e viaggi ai ministeri romani per fornire preziose consulenze, compresi) ha fatto una legge demagogica e dettata dall’ideologia del recupero sociale a tutti i costi che poi si è scontrata con la dura realtà. Ma invece di rimediare, magari cambiando la legge, ripristinando una sorveglianza almeno perimetrale della polizia penitenziaria alle Rems, si prendono strutture carcerarie o se ne trasformano altre in mini carceri (come Volterra), affidandosi, per la sicurezza, a un sistema territoriale di pubblica sicurezza, già in difficoltà. Aggiungendo altri lavoratori di polizia penitenziaria da dover ricollocare sul territorio. Unica nota positiva della futura Rems di Empoli: le competenze del personale sanitario della nostra Asl, che saranno sicuramente d’aiuto nella delicata gestione della situazione. Ma il tutto non giustifica un’improvvisazione attuativa che poteva essere evitata, mantenendo la Rems toscana nelle sezioni montelupine, ristrutturate con fior di milioni di finanziamenti pubblici.
Grazie ad Artaud per la segnalazione, fonte: (gonews.it)
domenica 10 luglio 2016
Gli antidepressivi, deprimono
fonte: http://lantipsichiatria.blogspot.it/ e La Stampa Salute
In alcuni casi gli antidepressivi, non solo possono rendere più depressi, ma possono causare anche gravi effetti indesiderati come ictus e morte prematura
Gli psicofarmaci antidepressivi si assumono proprio per combattere la
depressione, se però si rischia di veder addirittura peggiorare i
sintomi, e avere in più difficoltà digestive, allora forse c’è qualcosa
che non va. Ed è quello che hanno scoperto i ricercatori della canadese
McMaster University.
Gli investigatori hanno voluto indagare
sugli effetti dei cosiddetti farmaci inibitori selettivi della
serotonina o SSRI, che hanno il preciso compito di gestire i livelli di
serotonina nel cervello in modo che la persona si “senta bene”.
Tuttavia, proprio la gestione della serotonina si può dimostrare un’arma
a doppio taglio in quanto questo ormone agisce in aree del cervello e
del corpo in modi differenti.
Ciò che i ricercatori guidati dallo
professor Paul Andrews hanno scoperto è che livelli di serotonina
alterati dai farmaci possono produrre tutta una vasta gamma di effetti
indesiderati, anche gravi.
Tra questi si va dai più “semplici”
problemi digestivi ai più seri come difficoltà sessuali, aborto
spontaneo, ictus e morte prematura negli anziani. «Dobbiamo essere molto
più cauti nei confronti dell’uso diffuso di questi farmaci», ha
commentato a tale proposito il dottor Andrews.
Dai risultati dello studio, pubblicati su Frontiers In Evolutionary Psychology,
si scopre che la ricerca ha suggerito fin dal principio che certi
farmaci offrono pochi benefici per la maggior parte delle persone
affette da depressione lieve e moderata, mentre offrono un aiuto attivo
solo ad alcuni tra i più gravemente depressi. Si parla addirittura di
effetti positivi più marcati con l’uso di un placebo.
La chiave di
tutto ciò sta proprio nella serotonina e negli effetti che produce la
sua alterazione, sottolinea Andrews. E sempre i livelli alterati di
questo ormone che possono spiegare il motivo per cui i pazienti possono
spesso finiscono per sentirsi ancora più depressi dopo aver terminato un
ciclo di cura con i farmaci SSRI.
Secondo Andrews gli
antidepressivi SSRI interferiscono con il cervello, lasciando il
paziente vulnerabile a una depressione di “rimbalzo” che speso si
presenta con intensità ancora maggiore rispetto a prima.
Pertanto, a
seguito di una sospensione dai farmaci SSRI «dopo un uso prolungato, il
cervello compensa riducendo i livelli di produzione di serotonina – fa
notare Andrews – Questo cambia anche il modo in cui i recettori nel
cervello rispondono alla serotonina, rendendo il cervello meno sensibile
a questa sostanza».
Allo stato attuale, i ricercatori ritengono che
detti cambiamenti siano temporanei, tuttavia diversi studi suggeriscono
che gli effetti indesiderati possono permanere fino a due anni.
Sebbene
i casi di ricaduta non siano esclusivi e ascrivibili soltanto ai
farmaci SSRI, ma possono mostrarsi con tutte le classi di farmaci
antidepressivi, i ricercatori ritengono che il rischio sia decisamente
maggiore con gli SSRI.
Oltre a ciò, i farmaci SSRI possono interferire con tutti i processi fisici che di norma sono regolati dalla serotonina.
Per
esempio, la maggior parte di questa sostanza la ritroviamo
nell’intestino. Ed è altresì utilizzata per controllare la digestione,
formare dei coaguli di sangue nei punti di cicatrizzazione e anche
regolare la riproduzione e la crescita. Ecco dunque che un farmaco che
interferisce con la serotonina può causare problemi di sviluppo nei
bambini, problemi sessuali e nello sviluppo degli spermatozoi negli
adulti. Come accennato si possono verificare anche problemi digestivi,
stipsi, diarrea, indigestione e gonfiore. Infine, non sono da
sottovalutare un possibile sanguinamento anormale ed eventi
cardiovascolari come l’ictus nei pazienti anziani, conclude Andrews.
domenica 3 luglio 2016
lunedì 27 giugno 2016
Psichiatria e potere
Tratto da http://www.arivista.org/
intervista a Giorgio Antonucci di Moreno Paulon
Dalla collaborazione con Franco Basaglia fino alla chiusura dei manicomi di Imola, uno dei più noti psicanalisti italiani ripercorre la sua vita professionale, ci ricorda che le “malattie mentali“ non esistono e spiega perché il principale nemico è ancora lo Stato. Giorgio Antonucci (Lucca, 1933) è un medico italiano che ha dedicato i suoi studi e il suo lavoro ad abolire la violenza psichiatrica. Ha lavorato con Franco Basaglia nell'ospedale di Gorizia, ha diretto vari istituti psichiatrici sul territorio nazionale ed è autore di numerose pubblicazioni di ispirazione libertaria nelle quali pone in discussione gli assunti stessi dell'epistemoligia psichiatrica. Assumendo lo spirito dell'etica basagliana, ha lavorato allo smantellamento del manicomio di Imola. Nel 2005 è stato insignito del premio internazionale Thomas Szasz «per eccezionali contributi nella lotta contro lo Stato terapeutico», vale a dire contro uno Stato che adotta il pregiudizio psichiatrico per reprimere le devianze dall'ordine costituito. Storicizzando la natura dell'apparato psichiatrico, decostruendone i concetti e abdicando personalmente alle sue pratiche repressive, Antonucci riconduce il patologico al sociale, indicando il ruolo politico delle concezioni mediche assunte al servizio delle relazioni di potere fra gli individui e fra i gruppi sociali. L'ho intervistato a casa sua, a Firenze, con l'intenzione di chiarire il ruolo dell'apparato statale di fronte alle spinte più progressiste della società italiana negli anni '70, di indagare lo scarto fra la sua visione e quella di Franco Basaglia e di scoprire quali siano gli ultimi muri, ancora da abbattere, nella lunga lotta contro la discriminazione sociale di ispirazione psichiatrica. Nelle lucide considerazioni di Giorgio Antonucci la psichiatria depone senza appello la sua maschera scientifica e svela un volto fatto di uomini, di comunicazione e di potere. M.P.
Quando arrivò la polizia noi ci chiudemmo dentro
L'Italia può gloriarsi oggi della legge 180/1978, del “metodo Basaglia“ e della chiusura dei manicomi come un progresso sociale nazionale. Ma quali furono realmente le prime reazioni dello Stato di fronte alle innovazioni promosse da te, da Cotti, da Basaglia?
Richiamo un episodio su tutti. Nel 1968 Basaglia stava trasformando il manicomio di Gorizia, Cotti era impegnato a Bologna al reparto manicomiale di villa Olimpia ed io lavoravo a Firenze. Quando Cotti si trasferì per assumere la dirigenza del nuovo reparto “neurologico“ di Cividale del Friuli, Basaglia pensò di inaugurare anche lì un discorso nuovo, così si rivolsero a me sapendo che avevamo le stesse idee. Io da Firenze, Cotti da Bologna e Leopoldo Tesi da Gorizia impostammo insieme il lavoro a Cividale secondo i nostri criteri: le persone si rivolgevano a noi soltanto volontariamente, non erano invitate ad assumere farmaci di nessun tipo, non erano contenute da camicie di forza ed erano anzi tutte libere di muoversi in giro per la città. Cotti aveva letto Il mito della malattia mentale di Thomas Szasz e sapeva che le persone non hanno malattie di mente, ma problemi di relazione da risolvere, così parlavamo con loro, singolarmente o in assemblee. Fuori da questi incontri le persone andavano nei bar, in farmacia, a teatro, in chiesa, dove volevano. Cividale del Friuli è una cittadina piccola, la situazione divenne subito nota e il sindaco Guglielmo Pelizzo, sindaco democristiano, allineato con il governo Leone, governo democristiano, decise che queste persone non dovevano stare liberamente fra le altre, ma rinchiuse come da tradizione repressiva. Un giorno si seppe, attraverso Basaglia, che avevano intenzione di chiuderci. Mandarono la polizia. I poliziotti partirono da Udine in colonna. Il dispiegamento di forze era tale che i cittadini pensarono si trattasse di una mobilitazione legata ai fatti cecoslovacchi oltreconfine. Fu la sola volta, a mio sapere, che in una nazione non totalitaria un ospedale venne aggredito dallo Stato senza che fosse accaduto nulla. Quando arrivò la polizia, noi ci chiudemmo dentro. Dopo un po' si iniziò a parlamentare e Cotti fece l'errore, decise di fidarsi e aprì la porta. Gli passarono addosso con tutta la violenza della polizia quando interviene per reprimere, la violenza che conosciamo anche oggi. Fummo aggrediti e ci buttarono fuori. Poi volevano portarsi via i nostri utenti, li volevano prendere e rinchiudere. Sia io che Cotti ci opponemmo fisicamente per evitare il sequestro, l'internamento delle persone, e ci riuscimmo. Però l'esperienza di Cividale fu chiusa. Ne parlarono tutti i giornali, anche all'estero, perché era un modo di intervenire inammissibile. Credo sia stata la prima volta nel mondo.
Quindi la lotta contro l'istituzione psichiatrica fu una lotta contro lo Stato?
È ancora una lotta contro lo Stato. Non c'è da stupirsi: persino Freud, da ebreo a Vienna in quegli anni e promotore di tutte le sue novità, trovava spesso la polizia nel suo studio.
Se si abolisse il ricovero coatto...
Quali sono i nuovi orizzonti che la psichiatria dovrebbe porsi nei confronti dello Stato?
C'è una legge dello Stato, che secondo me non coincide con la Costituzione, che consente di rinchiudere un cittadino che non ha fatto niente, che non ha commesso nessun reato. Questa legge ammette la pratica del ricovero coatto, che oggi chiamano “trattamento sanitario obbligatorio“. Se una persona dice di essere San Francesco, solo perché fa un discorso che non mi convince può finire sequestrata. Uno psichiatra emette un certificato medico, questo viene accompagnato da un'ordinanza del sindaco (il quale dovrebbe garantire il benessere dei cittadini, ma poi non si reca mai sul posto a controllare per davvero che cosa succede), e la persona viene presa e messa da parte, chiusa in un edificio chiamato comunità terapeutica, o clinica psichiatrica. Ci viene portata con la forza e contro la sua volontà. Se poi si arrabbia e spacca tutto (e ne ha tutte le ragioni) gli mettono pure la camicia di forza. Tutto legale. Se si abolisse, come io chiedo da anni, il ricovero coatto, cambierebbe tutto il discorso. Essere presi con la forza e portati un in posto senza difesa è inammissibile. Lo Stato prevede ancora che una persona possa essere sequestrata con la forza quando un'altra crede che il suo pensiero non sia accettabile: è una questione repressiva. Con il trattamento sanitario obbligatorio lo Stato commette una violenza contro cittadini assolutamente innocenti e senza alcuna difesa. L'unico sequestro di persona concepibile nel nostro ordinamento è quello per un'ipotesi di reato. Ma in quel caso ci vuole un'iniziativa della Procura della Repubblica, poi c'è l'avvocato difensore, poi ci sarà il processo, un secondo grado e un terzo grado, poi la cassazione, per cui anche sotto ipotesi di reato un cittadino è garantito da una serie di difese. Invece la persona che sostiene di essere San Francesco, per questo o per altri discorsi, può essere sequestrata con un certificato medico di proposta, uno di conferma, e la benedizione di un sindaco. L'obiettivo da porsi è l'abolizione del ricovero coatto. Decaduto questo, il potere del controllo è finito. Per questo nessuno avanza questa richiesta, nemmeno Basaglia l'ha mai avanzata.
intervista a Giorgio Antonucci di Moreno Paulon
Dalla collaborazione con Franco Basaglia fino alla chiusura dei manicomi di Imola, uno dei più noti psicanalisti italiani ripercorre la sua vita professionale, ci ricorda che le “malattie mentali“ non esistono e spiega perché il principale nemico è ancora lo Stato. Giorgio Antonucci (Lucca, 1933) è un medico italiano che ha dedicato i suoi studi e il suo lavoro ad abolire la violenza psichiatrica. Ha lavorato con Franco Basaglia nell'ospedale di Gorizia, ha diretto vari istituti psichiatrici sul territorio nazionale ed è autore di numerose pubblicazioni di ispirazione libertaria nelle quali pone in discussione gli assunti stessi dell'epistemoligia psichiatrica. Assumendo lo spirito dell'etica basagliana, ha lavorato allo smantellamento del manicomio di Imola. Nel 2005 è stato insignito del premio internazionale Thomas Szasz «per eccezionali contributi nella lotta contro lo Stato terapeutico», vale a dire contro uno Stato che adotta il pregiudizio psichiatrico per reprimere le devianze dall'ordine costituito. Storicizzando la natura dell'apparato psichiatrico, decostruendone i concetti e abdicando personalmente alle sue pratiche repressive, Antonucci riconduce il patologico al sociale, indicando il ruolo politico delle concezioni mediche assunte al servizio delle relazioni di potere fra gli individui e fra i gruppi sociali. L'ho intervistato a casa sua, a Firenze, con l'intenzione di chiarire il ruolo dell'apparato statale di fronte alle spinte più progressiste della società italiana negli anni '70, di indagare lo scarto fra la sua visione e quella di Franco Basaglia e di scoprire quali siano gli ultimi muri, ancora da abbattere, nella lunga lotta contro la discriminazione sociale di ispirazione psichiatrica. Nelle lucide considerazioni di Giorgio Antonucci la psichiatria depone senza appello la sua maschera scientifica e svela un volto fatto di uomini, di comunicazione e di potere. M.P.
Quando arrivò la polizia noi ci chiudemmo dentro
L'Italia può gloriarsi oggi della legge 180/1978, del “metodo Basaglia“ e della chiusura dei manicomi come un progresso sociale nazionale. Ma quali furono realmente le prime reazioni dello Stato di fronte alle innovazioni promosse da te, da Cotti, da Basaglia?
Richiamo un episodio su tutti. Nel 1968 Basaglia stava trasformando il manicomio di Gorizia, Cotti era impegnato a Bologna al reparto manicomiale di villa Olimpia ed io lavoravo a Firenze. Quando Cotti si trasferì per assumere la dirigenza del nuovo reparto “neurologico“ di Cividale del Friuli, Basaglia pensò di inaugurare anche lì un discorso nuovo, così si rivolsero a me sapendo che avevamo le stesse idee. Io da Firenze, Cotti da Bologna e Leopoldo Tesi da Gorizia impostammo insieme il lavoro a Cividale secondo i nostri criteri: le persone si rivolgevano a noi soltanto volontariamente, non erano invitate ad assumere farmaci di nessun tipo, non erano contenute da camicie di forza ed erano anzi tutte libere di muoversi in giro per la città. Cotti aveva letto Il mito della malattia mentale di Thomas Szasz e sapeva che le persone non hanno malattie di mente, ma problemi di relazione da risolvere, così parlavamo con loro, singolarmente o in assemblee. Fuori da questi incontri le persone andavano nei bar, in farmacia, a teatro, in chiesa, dove volevano. Cividale del Friuli è una cittadina piccola, la situazione divenne subito nota e il sindaco Guglielmo Pelizzo, sindaco democristiano, allineato con il governo Leone, governo democristiano, decise che queste persone non dovevano stare liberamente fra le altre, ma rinchiuse come da tradizione repressiva. Un giorno si seppe, attraverso Basaglia, che avevano intenzione di chiuderci. Mandarono la polizia. I poliziotti partirono da Udine in colonna. Il dispiegamento di forze era tale che i cittadini pensarono si trattasse di una mobilitazione legata ai fatti cecoslovacchi oltreconfine. Fu la sola volta, a mio sapere, che in una nazione non totalitaria un ospedale venne aggredito dallo Stato senza che fosse accaduto nulla. Quando arrivò la polizia, noi ci chiudemmo dentro. Dopo un po' si iniziò a parlamentare e Cotti fece l'errore, decise di fidarsi e aprì la porta. Gli passarono addosso con tutta la violenza della polizia quando interviene per reprimere, la violenza che conosciamo anche oggi. Fummo aggrediti e ci buttarono fuori. Poi volevano portarsi via i nostri utenti, li volevano prendere e rinchiudere. Sia io che Cotti ci opponemmo fisicamente per evitare il sequestro, l'internamento delle persone, e ci riuscimmo. Però l'esperienza di Cividale fu chiusa. Ne parlarono tutti i giornali, anche all'estero, perché era un modo di intervenire inammissibile. Credo sia stata la prima volta nel mondo.
Quindi la lotta contro l'istituzione psichiatrica fu una lotta contro lo Stato?
È ancora una lotta contro lo Stato. Non c'è da stupirsi: persino Freud, da ebreo a Vienna in quegli anni e promotore di tutte le sue novità, trovava spesso la polizia nel suo studio.
Se si abolisse il ricovero coatto...
Quali sono i nuovi orizzonti che la psichiatria dovrebbe porsi nei confronti dello Stato?
C'è una legge dello Stato, che secondo me non coincide con la Costituzione, che consente di rinchiudere un cittadino che non ha fatto niente, che non ha commesso nessun reato. Questa legge ammette la pratica del ricovero coatto, che oggi chiamano “trattamento sanitario obbligatorio“. Se una persona dice di essere San Francesco, solo perché fa un discorso che non mi convince può finire sequestrata. Uno psichiatra emette un certificato medico, questo viene accompagnato da un'ordinanza del sindaco (il quale dovrebbe garantire il benessere dei cittadini, ma poi non si reca mai sul posto a controllare per davvero che cosa succede), e la persona viene presa e messa da parte, chiusa in un edificio chiamato comunità terapeutica, o clinica psichiatrica. Ci viene portata con la forza e contro la sua volontà. Se poi si arrabbia e spacca tutto (e ne ha tutte le ragioni) gli mettono pure la camicia di forza. Tutto legale. Se si abolisse, come io chiedo da anni, il ricovero coatto, cambierebbe tutto il discorso. Essere presi con la forza e portati un in posto senza difesa è inammissibile. Lo Stato prevede ancora che una persona possa essere sequestrata con la forza quando un'altra crede che il suo pensiero non sia accettabile: è una questione repressiva. Con il trattamento sanitario obbligatorio lo Stato commette una violenza contro cittadini assolutamente innocenti e senza alcuna difesa. L'unico sequestro di persona concepibile nel nostro ordinamento è quello per un'ipotesi di reato. Ma in quel caso ci vuole un'iniziativa della Procura della Repubblica, poi c'è l'avvocato difensore, poi ci sarà il processo, un secondo grado e un terzo grado, poi la cassazione, per cui anche sotto ipotesi di reato un cittadino è garantito da una serie di difese. Invece la persona che sostiene di essere San Francesco, per questo o per altri discorsi, può essere sequestrata con un certificato medico di proposta, uno di conferma, e la benedizione di un sindaco. L'obiettivo da porsi è l'abolizione del ricovero coatto. Decaduto questo, il potere del controllo è finito. Per questo nessuno avanza questa richiesta, nemmeno Basaglia l'ha mai avanzata.
sabato 25 giugno 2016
Detenuto si suicida all'ex Opg di Barcellona
«Non sarebbe dovuto essere nemmeno qui»
La riforma prevedeva la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari entro il 31 marzo scorso. Ma in Sicilia ci sono solo due Rems, residenze sanitarie alternative, che non riescono ad accogliere tutti. Il 40enne che si è tolto la vita si è ammalato in carcere e da un anno e mezzo era stato trasferito nell'istituto messinese ...
fonte: http://meridionews.it
Un detenuto di 40 anni si è suicidato ieri notte nell'ex ospedale psichiatrico giudiziario di Barcellona Pozzo di Gotto. A togliersi la vita è stato un disabile psichico, trovato dall’agente di polizia penitenziaria di turno. L'unico che deve gestire due piani della struttura. Il tragico episodio fa tornare alla ribalta l'ex opg di Barcellona, trasformato in istituto polifunzionale giusto qualche mese fa dopo la riforma del sistema penitenziario. La legge 81 del 2014 prevedeva infatti la chiusura di tutti gli opg entro il 31 marzo 2015. Si sarebbero dovuti destinare gli internati a pene alternative, col trasferimento nelle Rems, le residenze sanitarie per le misure di sicurezza. O, nei casi in cui fosse stata esclusa la pericolosità sociale di queste persone, liberarli e passarli alle cure dei dipartimenti di salute mentale sparsi sul territorio. «Il problema - spiega una fonte interna all'ospedale psichiatrico di Barcellona - è che le uniche due Rems esistenti in Sicilia, quella di Caltagirone e quella di Naso, non sono sufficienti ad accogliere i tanti detenuti psichiatrici ancora presenti negli ex opg. Il quarantenne che si è suicidato non doveva nemmeno esserci qui, avrebbe dovuto posto in una Rems». La riforma degli istituti penitenziari ha seguito vie spesso tortuose con l’apertura in ritardo delle strutture demandate a ricevere gli internati e il mancato potenziamento dei dipartimento di salute mentale delle Asp. In particolare in Sicilia le due Rems possono accogliere una ventina di persone ciascuna, posti del tutto insufficienti. Con il risultato che l'ex opg di Barcellona continua ad avere una natura ibrida, come spiega il direttore dell'istituto Nunziante Rosania. «È una casa circondariale con detenuti ordinari in attesa di giudizio e per condannati con sentenza definitiva; c'è un residuo di internati del vecchio opg, circa 30 che a tutt’oggi non hanno trovato spazio nelle Rems: e infine c'è anche un'articolazione della salute mentale per malati psichici, (persone entrate sane in altre carceri e che sono state trasferite qui perché dietro le sbarre è subentrato un disagio psichico ndr), tra queste anche otto donne». In totale 187 persone. L'uomo che ieri si è tolto la vita era proprio un detenuto di quest'ultimo gruppo. Di origini catanesi, condannato per reati contro il patrimonio, è stato trasferito a Barcellona da una comunità terapeutica assistita. «Stava nella nostra struttura da un anno e qualche mese - spiega il direttore -. Ha sviluppato questa sua infermità durante la detenzione in un altro istituto». A trovarlo è stato uno dei 80 agenti di polizia penitenziaria che lavorano nell’ex opg. Secondo le stime di chi vi opera ne servirebbero almeno 125. Il direttore confida nel recente e storico passaggio della medicina penitenziaria dalla competenza del ministero della Difesa a quello della Salute, e quindi all'Asp. «Mi auguro che questo porti un incremento di personale per i servizi espletati nelle strutture come la nostra. Ad esempio - conclude Rosania - in una struttura esterna al nostro istituto è prevista la nascita di un Icam, un istituto a custodia attenuata per madri di bimbi fino a tre anni».
La riforma prevedeva la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari entro il 31 marzo scorso. Ma in Sicilia ci sono solo due Rems, residenze sanitarie alternative, che non riescono ad accogliere tutti. Il 40enne che si è tolto la vita si è ammalato in carcere e da un anno e mezzo era stato trasferito nell'istituto messinese ...
fonte: http://meridionews.it
Un detenuto di 40 anni si è suicidato ieri notte nell'ex ospedale psichiatrico giudiziario di Barcellona Pozzo di Gotto. A togliersi la vita è stato un disabile psichico, trovato dall’agente di polizia penitenziaria di turno. L'unico che deve gestire due piani della struttura. Il tragico episodio fa tornare alla ribalta l'ex opg di Barcellona, trasformato in istituto polifunzionale giusto qualche mese fa dopo la riforma del sistema penitenziario. La legge 81 del 2014 prevedeva infatti la chiusura di tutti gli opg entro il 31 marzo 2015. Si sarebbero dovuti destinare gli internati a pene alternative, col trasferimento nelle Rems, le residenze sanitarie per le misure di sicurezza. O, nei casi in cui fosse stata esclusa la pericolosità sociale di queste persone, liberarli e passarli alle cure dei dipartimenti di salute mentale sparsi sul territorio. «Il problema - spiega una fonte interna all'ospedale psichiatrico di Barcellona - è che le uniche due Rems esistenti in Sicilia, quella di Caltagirone e quella di Naso, non sono sufficienti ad accogliere i tanti detenuti psichiatrici ancora presenti negli ex opg. Il quarantenne che si è suicidato non doveva nemmeno esserci qui, avrebbe dovuto posto in una Rems». La riforma degli istituti penitenziari ha seguito vie spesso tortuose con l’apertura in ritardo delle strutture demandate a ricevere gli internati e il mancato potenziamento dei dipartimento di salute mentale delle Asp. In particolare in Sicilia le due Rems possono accogliere una ventina di persone ciascuna, posti del tutto insufficienti. Con il risultato che l'ex opg di Barcellona continua ad avere una natura ibrida, come spiega il direttore dell'istituto Nunziante Rosania. «È una casa circondariale con detenuti ordinari in attesa di giudizio e per condannati con sentenza definitiva; c'è un residuo di internati del vecchio opg, circa 30 che a tutt’oggi non hanno trovato spazio nelle Rems: e infine c'è anche un'articolazione della salute mentale per malati psichici, (persone entrate sane in altre carceri e che sono state trasferite qui perché dietro le sbarre è subentrato un disagio psichico ndr), tra queste anche otto donne». In totale 187 persone. L'uomo che ieri si è tolto la vita era proprio un detenuto di quest'ultimo gruppo. Di origini catanesi, condannato per reati contro il patrimonio, è stato trasferito a Barcellona da una comunità terapeutica assistita. «Stava nella nostra struttura da un anno e qualche mese - spiega il direttore -. Ha sviluppato questa sua infermità durante la detenzione in un altro istituto». A trovarlo è stato uno dei 80 agenti di polizia penitenziaria che lavorano nell’ex opg. Secondo le stime di chi vi opera ne servirebbero almeno 125. Il direttore confida nel recente e storico passaggio della medicina penitenziaria dalla competenza del ministero della Difesa a quello della Salute, e quindi all'Asp. «Mi auguro che questo porti un incremento di personale per i servizi espletati nelle strutture come la nostra. Ad esempio - conclude Rosania - in una struttura esterna al nostro istituto è prevista la nascita di un Icam, un istituto a custodia attenuata per madri di bimbi fino a tre anni».
mercoledì 22 giugno 2016
Volantino sul Tso anche in inglese e spagnolo
Il Collettivo Artuad di Pisa si è occupato della traduzione del volantino informativo relativo anche al TSO (che trovate qui sotto); a seguire le versioni in spagnolo ed inglese anche per chi ha subito dai centri richiedenti asilo si è trovato catapultato nella realtà psichiatrica senza sapere a cosa stesse andando incontro.
Possibilmente da stampare e diffondere.
Possibilmente da stampare e diffondere.
INFORMAZIONI
SUL TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio)
La
legge 180/78 è la normativa che regola in Italia i trattamenti
sanitari. La legge 180/78 sancisce che i trattamenti sanitari sono,
in generale, volontari. Ma stabilisce anche dei casi in cui il
ricovero venga eseguito coattivamente e contro la volontà
dell’individuo: è il caso del T.S.O. eseguibile all’interno del
reparto psichiatrico di un qualunque Ospedale generale civile; SPDC
(Servizio Psichiatrico Diagnosi e Cura)
Il
trattamento sanitario obbligatorio ha durata di 7 giorni, e per
essere disposto necessita di una serie di passaggi stabiliti per
legge. Esso deve essere disposto dal Sindaco del comune di residenza
su proposta di un medico e convalidato da uno psichiatra operante
nella struttura pubblica.
Dopo
aver firmato la richiesta di T.S.O. il sindaco deve inviare il
provvedimento e le certificazioni mediche al Giudice Tutelare
operante sul territorio. Il giudice, che ha un compito di vigilanza
sui trattamenti, può entro 48 ore convalidare o meno il
provvedimento. Lo stesso procedimento deve essere seguito nel caso in
cui il T.S.O. venga rinnovato.
Il
T.S.O. può essere eseguito solo se sussistono queste tre
condizioni:
1. L’individuo presenta alterazioni psichiche tali da necessitare interventi terapeutici urgenti;
2. L’individuo rifiuta l’interventi terapeutici;
3.L’individuo non può essere assistito in altro modo rispetto al ricovero ospedaliero.
1. L’individuo presenta alterazioni psichiche tali da necessitare interventi terapeutici urgenti;
2. L’individuo rifiuta l’interventi terapeutici;
3.L’individuo non può essere assistito in altro modo rispetto al ricovero ospedaliero.
Quanto
al contenuto, un Trattamento Sanitario Obbligatorio può essere
revocato se mancano le 3 condizioni che lo giustificano. Poiché è
molto difficile appellarsi alla mancanza dello stato di urgenza o di
necessità definito dall’arbitrio dello psichiatra di turno,è più
funzionale far riferimento alle altre 2 condizioni. Se non vi sono
omissioni e il T.S.O. risulta legale, una volta in reparto è
opportuno o dimostrare che il trattamento può avvenire in luogo
diverso rispetto all’ospedale, oppure accettare le cure che ci
vengono somministrate. In tali casi 2 delle condizioni decadono. A
questo punto si può chiedere la revoca del T.S.O. al Sindaco e al
Giudice Tutelare, magari allegando un’autocertificazione in cui si
dichiara l’accettazione della terapia.
Di
fronte alla presentazione di un provvedimento di T.S.O. abbiamo
diritto a chiedere la NOTIFICA del Sindaco relativa al provvedimento
stesso. In mancanza o in attesa di tale notifica, che deve pervenire
entro 48 ore, nessuno può obbligarci a ricoverarci o a seguire
terapie, a meno che non abbiamo violato norme penali o che lo
psichiatra abbia invocato lo stato di necessità regolato
dall’articolo 54 del Codice Penale.
Potrebbe
mancare a questo punto la notifica da parte del Giudice Tutelare che
deve pervenire entro le 48 ore successive alla richiesta del Sindaco.
Se la convalida del giudice non avviene entro questo lasso di tempo
il provvedimento decade. Ciò significa che abbiamo tutto il diritto,
ai sensi di legge, di lasciare la struttura ospedaliera in cui ci
avevano rinchiuso.
In
molti casi accade che i medici che firmano il provvedimento non
abbiano mai né visto né visitato il paziente. Il ricovero risulta
illegale e dunque il T.S.O. è invalidato. In questi casi, inoltre, i
medici possono essere denunciati per falso in atto pubblico.
Il
T.S.O. decade anche qualora o i medici o il Sindaco o il Giudice
Tutelare, nei loro documenti abbiano omesso di specificare le
motivazioni che hanno reso necessario il ricorso al ricovero coatto.
Se
il provvedimento di T.S.O. è disposto dal sindaco di un comune
diverso da quello di residenza, ne va data comunicazione al sindaco
di quest’ultimo comune. Se il provvedimento è adottato nei
confronti di cittadini stranieri o di apolidi, ne va data
comunicazione al Ministero degli Interni e al consolato competente,
tramite il prefetto.
I
DIRITTI CHE ABBIAMO in CASO di TRATTAMENTO SANITARIO OBBLIGATORIO
1.
abbiamo diritto alla notifica del provvedimento di TSO. In assenza di
questa notifica nessuno può obbligarci a seguirlo o ad assumere
terapie (esclusi i casi di comportamenti penalmente rilevanti e i
casi in cui si ravvisano gli estremi dello stato di necessità).
2.
abbiamo diritto di presentare ricorso avverso al TSO al Sindaco
che lo ha disposto. Questo ricorso può essere proposto anche da chi
ne ha interesse (familiari, amici, associazioni ecc..). Per ridurre i
tempi conviene inviarne copia al Giudice Tutelare, specie se il
ricorso parte entro le prime 48 ore dal ricovero (quando
presumibilmente lo stesso non ha ancora convalidato
il
provvedimento).
provvedimento).
3.
abbiamo diritto di avanzare richiesta di revoca al Tribunale,
chiedendo la sospensione immediata
del TSO e delegando, se vogliamo, una persona di nostra fiducia a rappresentarci al processo.
del TSO e delegando, se vogliamo, una persona di nostra fiducia a rappresentarci al processo.
4.
abbiamo diritto di scegliere, ove possibile, il reparto presso cui
essere ricoverati.
5.
abbiamo diritto di conoscere le terapie che ci vengono somministrate
e di poter scegliere fra
una serie di alternative.
una serie di alternative.
6.
abbiamo diritto di comunicare con chi riteniamo opportuno e di
ricevere visite nell’orario stabilito dalla struttura ospedaliera.
7.
abbiamo diritto di essere rispettati nella nostra dignità psichica e
fisica. Anche se sottoposti a TSO nessuna contenzione fisica e
meccanica può esserci applicata, se non in via eccezionale e per il
tempo strettamente necessario alla somministrazione della terapia e
in accordo alle linee guida dell’Ospedale. Gli atti di contenzione
di natura punitiva sono reati penalmente perseguibili.
8.
abbiamo diritto di dettare nella nostra cartella clinica ogni
informazione riguardante il nostro
stato di salute e i trattamenti che riceviamo.
stato di salute e i trattamenti che riceviamo.
9.
abbiamo diritto di conoscere i nomi e la qualifica degli operatori
del reparto (essi devono
indossare cartellini di riconoscimento).
indossare cartellini di riconoscimento).
Il
Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud
per
info e contatti:
Collettivo
Antipsichiatrico Antonin Artaud
via
San Lorenzo 38 56100 Pisa
antipsichiatriapisa@inventati.org
www.artaudpisa.noblogs.org
/ 335 7002669
INFORMACIONES
SOBRE EL T.S.O. (TRATAMIENTO SANITARIO OBLIGATORIO)
La
ley 180/78 afirma que los tratamientos sanitatios son, generalmente,
voluntarios. Esta dice también que hay casos en los que la
hospitalización viene efectuada coactivamente y contra la voluntad
del individuo: este es el caso del T.S.O., realizado en el interior
de la unidad psiquiátrica
de todos los hospitales nacionales; SPDC (Servicio Psiquiátrico
Diagnosis y Cura).
sabato 18 giugno 2016
OPG di Aversa diventerà un istituto penitenziario
chiude l'OPG di Aversa, è stato il primo manicomio criminale italiano.
diventerà una galera; per l'esattezza un'istituto penitenziario
ordinario a custodia attenuata ad alto indice trattamentale
con una capacità ricettiva di circa 270 posti detentivi.
Sono già 70 i detenuti ospitati nella sezione ordinaria,
altri 25 arriveranno nei prossimi giorni dalla casa circondariale di Napoli Poggioreale.
sotto alcuni link con la notizia della chiusura:
http://www.ilmattino.it/caserta/opg_aversa_chiusura-1798308.html
http://www.cronachedellacampania.it/chiude-opg-aversa-primo-manicomio-giudiziario-italia/
grazie al Collettivo Artaud per la segnalazione
venerdì 17 giugno 2016
La struttura dell’orrore, a Torchiagina pazienti presi a calci e pugni
Intercettazioni video e audio, quindi, ci sarebbero quelle ad inchiodare le persone arrestate alle loro responsabilità
“Secchiate di acqua fredda, le mani legate dietro la schiena con il nastro adesivo, polsi spezzati, schiaffi pugni, calci, presa per i capelli e bastonate a pazienti indifesi, punizioni fisiche e psicologiche per fatti di disobbedienza o di mancato rispetto delle regole interne alla struttura”. E poi ancora “pazienti senza pranzo o senza cena, nell’averli privati dei propri effetti personali e della possibilità di fumare, chiusi a chiave in uno dei bagni della struttura, o comunque in locali al buio o costretti a lavarsi i denti nelle fontane dei giardini esterni, nonché alla minaccia come metodo educativo”. E’ quanto sarebbe emerso dalle indagini effettuate dai carabinieri del Nas, sul comportamento degli operatori di una struttura sanitaria a Torchiagina, alle porte di Assisi.Il tutto sarebbe cominciato con una segnalazione di due anni fa arrivata ai Carabinieri. Da allora l’attenzione si è alzata sulla struttura di accoglienza di Torchiagina di Assisi, situata in via della Torre, e, grazie alla installazione di telecamere al lavoro certosino dei Carabinieri del Nucleo antisofisticazione e Sanità – il Nas – e il coordinamento del sostituto procuratore della Repubblica Michele Adragna, si è arrivati, nelle ultime ore, all’arresto di sei persone. Il responsabile della struttura e alcuni operatori “in concorso tra loro” avrebbero “maltrattato” almeno 12 pazienti-ospiti (la struttura ne ospita circa 30). La misura, per loro, sarebbe quella dei domiciliari.
Le indagini riguarderebbero la gestione della struttura e i metodi di assistenza delle persone che sono ricoverate. Quello di Torchiagina è un centro di accoglienza anche per malati psichiatrici, considerato, per altro, una vera e propria eccellenza. Da quanto si apprende, ma si capisce che sulla delicatissima vicenda c’è massimo riserbo, ci sarebbe una foto drammatica. Un volto di un uomo pieno di ematomi, dovuti a percosse. E anche qui la foto sarebbe stata inviata direttamente ai Carabinieri e quindi il via alla attività investigativa.
fonte: www.umbriajournal.com
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